Il Disco Country Dell’Anno? Anche Qualcosa In Più! The Highwomen

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The Highwomen – The Highwomen – Elektra/Warner CD

Quando qualche mese fa ho visto che tra le pubblicazioni in arrivo c’era l’esordio di un supergruppo country al femminile che fin dal nome, The Highwomen, era un diretto omaggio agli Highwaymen di Willie, Waylon, Cash e Kristofferson ho inizialmente pensato che si stesse scherzando col fuoco, ma quando ho ascoltato il disco sono rimasto letteralmente fulminato. L’idea iniziale di formare una band del genere è venuta ad Amanda Shires un giorno che, durante un lungo viaggio, ha constatato che nelle radio country americane passavano molte più canzoni di artisti maschili che femminili; Amanda ne ha parlato col produttore Dave Cobb, che le ha suggerito di contattare Brandi Carlile (non il primo nome che mi sarebbe venuto in mente, non perché non sia brava, anzi la considero una delle migliori giovani songwriters in circolazione, ma perché non è prettamente country), che ha accettato all’istante con entusiasmo. Le due hanno poi chiamato Maren Morris, stellina del country in rapida ascesa, e Natalie Hemby che è la meno popolare delle quattro in quanto più nota nell’ambiente di Nashville come autrice per conto terzi.

Le quattro hanno trovato subito l’intesa e hanno cominciato a scrivere canzoni con estrema facilità, ed il risultato finale è a mio parere uno dei più bei dischi del 2019, e non solo in ambito country (tra l’altro il successo è stato immediato, dato che in America è balzato subito al numero uno in classifica). Un album intenso e godibile, con almeno cinque grandi canzoni ed una cover spettacolare, con la Carlile che è indubbiamente leader ed anima del progetto (al punto da sembrare una country artist in tutto e per tutto): non è il primo supergruppo country al femminile (penso alle Pistol Annies, o andando ancora più indietro al Trio Harris-Parton-Ronstadt), ma questo CD sprigiona una magia rara. La produzione è ovviamente nelle mani di Cobb, che compare come al solito anche come chitarrista, mentre Brandi ha portato con sé i gemelli Phil e Tim Hanseroth, suoi abituali collaboratori, ed Amanda ha fatto lo stesso con il marito Jason Isbell (completano il quadro il tastierista Peter Levin ed il batterista Chris Powell, un habitué di Cobb). Per rendere ancora più saporito il piatto, troviamo alla voce in un paio di pezzi Sheryl Crow e la bravissima cantante country-soul inglese Yola, che ha esordito pochi mesi fa con l’ottimo Walk Through Fire, prodotto da Dan Auerbach.

Il disco parte alla grandissima con Highwomen, che non è altro che Highwayman di Jimmy Webb con il testo cambiato al femminile da Brandi e Amanda (chiaramente col permesso dell’autore), in cui le protagoniste sono rispettivamente un’immigrata dall’Honduras, una guaritrice impalata a Salem come strega, una combattente per la libertà degli afroamericani nei sixties (ed infatti in questa strofa la voce solista è di Yola) ed una predicatrice. E la cover è semplicemente formidabile, eseguita con pathos enorme e cantata in maniera sontuosa: non arrivo a dire che questa versione è superiore a quella degli Highwaymen, ma non è di certo così distante. Redisigning Women è il primo singolo, un brano scritto dalla Hemby in cui le quattro si alternano al canto, ed è una splendida country song cadenzata e dalla melodia scintillante, di quelle che dopo mezzo ascolto non ti escono più dalla testa. E’ il turno della Morris con la deliziosa Loose Change, altro pezzo dal ritmo pulsante e con un ritornello vincente ed evocativo, impreziosito da un bel lavoro di steel ed organo, mentre Crowded Table, che vede ancora tutte e quattro alle lead vocals, è una toccante ballata corale con il suono che ha più di un rimando agli anni settanta ed un altro refrain strepitoso: quattro canzoni una più bella dell’altra, un grande inizio.

Le ragazze non danno tregua: My Name Can’t Be Mama è un trascinante honky-tonk che potrebbe benissimo provenire dal Texas, gran ritmo e voci superbe. If She Ever Leaves Me è un lento intenso che affronta con molta delicatezza il tema dell’amore tra donne, ed infatti il brano (che è scritto dalla Shires insieme al marito) è affidato alla Carlile, omosessuale dichiarata e paladina per i diritti femminili; Old Soul, di e con Maren voce solista, è una country ballad dal ritmo sostenuto e sviluppo disteso, e precede l’elettrica e chitarristica Don’t Call Me (Shires + Carlile), che sembra quasi una versione al femminile di Johnny Cash, boom-chicka-boom compreso. My Only Child è un languido slow con la Hemby protagonista ed il solito ritornello di notevole impatto emotivo, mentre Heaven Is A Honky Tonk (scritta insieme a Ray LaMontagne) è un altro strepitoso country-rock coinvolgente al massimo e con una strofa cantata dalla Crow: una delle più belle del disco. Finale con la tenue Cocktail And A Song, dedicata dalla Shires al padre, e con la maestosa Wheels Of Laredo, splendida ballatona di Brandi che ha lo stile epico di certe cose di Kristofferson.

Album bellissimo e sorprendente, che come dicevo prima va oltre il concetto di country, e che sono sicuro ci farà compagnia a lungo nei prossimi mesi.

Marco Verdi

Ecco Un Altro Che Migliora Disco Dopo Disco! Drew Holcomb & The Neighbors – Dragons

drew holcomb neighbors

Drew Holcomb & The Neighbors – Dragons – Magnolia/Thirty Tigers CD

A poco più di due anni dall’ottimo Souvenir https://discoclub.myblog.it/2017/03/30/saluti-da-nashville-il-meglio-nel-genere-americana-drew-holcomb-the-neighbors-souvenir/ , si rifà vivo con un lavoro nuovo di zecca Drew Holcomb, musicista originario di Memphis ma trapiantato a Nashville da diversi anni. Prolifico come pochi (Dragons è il suo tredicesimo album dal 2005 ad oggi, includendo però anche i live ed un paio di CD natalizi), Holcomb è un cantautore classico che fonde in maniera mirabile rock, country e Americana, ed è dotato di una facilità di scrittura che lo porta a costruire dischi pieni di canzoni belle e dirette, di quelle che piacciono al primo ascolto e che in maniera ciclica viene voglia di rimettere nel lettore (scusate se faccio riferimento a queste arcaiche azioni di fruizione della musica, è già tanto che non abbia detto “viene voglia di rimettere sul piatto del giradischi”).

Dragons vede il barbuto songwriter all’opera in dieci nuovi brani per una durata complessiva di 34 minuti, accompagnato come sempre dai fedeli Neighbors (Nathan Dugger, chitarre, piano, steel, tastiere ed quant’altro, Rich Brinsfield, basso, e Will Sayles, batteria, mentre Cason Cooley produce il disco e funge da membro aggiunto suonando il piano ed altre cosucce) e con l’aggiunta di qualche ospite perlopiù femminile che vedremo illustrando le canzoni. E l’album è davvero bellissimo, piacevole e ben fatto, un lavoro che conferma il talento compositivo di Drew e si pone sin dal primo ascolto come il suo lavoro più riuscito (almeno secondo il mio parere), a partire dall’iniziale Family, un pezzo allegro, gioioso e profondamente coinvolgente, uno sorta di folk-rock elettrificato e corale dal train sonoro irresistibile. End Of The World è una rock ballad ad ampio respiro, arrangiata in modo arioso e potente, cantata benissimo e caratterizzata da un motivo fluido e diretto, ancora influenzato dal folk (lo stile è simile a quello dei Lumineers, ma a livello compositivo siamo su un altro pianeta); But I’ll Never Forget The Way You Make Me Feel è il primo di cinque brani consecutivi con ospiti, nella fattispecie la moglie di Drew, Ellie Holcomb, per una deliziosa canzone dal tempo cadenzato e con un luccicante pianoforte alle spalle, il tutto suonato e cantato con estrema finezza: splendida.

La title track è un sontuoso slow di chiara matrice country, una melodia bellissima (ricorda un po’ Paradise di John Prine) ed un arrangiamento semplice basato su chitarra, piano e sulla partecipazione vocale dei Lone Bellow al completo (ed il pezzo è scritto insieme al leader del trio di Brooklyn Zach Williams): una delle più belle canzoni da me sentite ultimamente, e non esagero. See The World vede il ritorno di Ellie per un altro brano dallo sviluppo disteso e rilassato, con un songwriting classico che si rifà direttamente agli anni settanta ed un bell’assolo chitarristico, mentre You Want What You Can’t Have, in cui la partecipazione vocale è di Lori McKenna, è l’ennesima canzone splendida, una ballatona country-rock vibrante e dal ritmo acceso. In Maybe Drew viene raggiunto dalla brava Natalie Hemby (che con Brandi Carlile, Amanda Shires e Maren Morris ha appena pubblicato l’album d’esordio delle Highwomen, altro gran disco tra l’altro), la quale è anche co-autrice del brano, una rock song lenta ma dall’emozionante crescendo elettrico, mentre Make It Look So Easy ripresenta di nuovo Holcomb in compagnia esclusiva dei suoi “Vicini Di Casa”, per un pezzo dal ritmo sostenuto e contraddistinto dalla solita melodia vincente, puro rock chitarristico con ottimo assolo di Dugger.

Il CD termina con You Never Leave My Heart, toccante ballata pianistica dal pathos notevole, e con Bittersweet, unico pezzo del disco con sonorità moderne e leggermente “sintetizzate”, che però non va ad inficiare la qualità complessiva di un album che potremmo anche ritrovare nelle classifiche di fine anno.

Marco Verdi