A Quanto Dicono, Uno Dei Loro Migliori Concerti…E Hanno Ragione! Neil Young & Crazy Horse – Way Down In The Rust Bucket

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Neil Young & Crazy Horse – Way Down In The Rust Bucket – Reprise/Warner 2CD – 4LP – Super Deluxe 2CD/4LP/DVD Box Set

Nel 1988 Neil Young era tornato alla Reprise dopo sei anni di dischi quantomeno controversi per la Geffen, e forse l’aria di casa gli aveva fatto bene in quanto This Note’s For You era un album più che discreto. Freedom, del 1989, era senza mezzi termini un grande disco, ma il botto Young lo fece nel ’90 allorquando si rimise insieme ai Crazy Horse e pubblicò Ragged Glory, uno splendido lavoro di puro rock chitarristico che era in assoluto il più elettrico da lui mai pubblicato: infatti il capolavoro Rust Never Sleeps, disco del 1979 di cui Ragged Glory era l’ideale seguito, aveva comunque un lato acustico. La tournée che seguì ebbe un notevole successo, e lo stesso felice destino toccò al devastante live Weld, un doppio CD di inaudita potenza ed estasi chitarristica che era quello che Live Rust era stato per Rust Never Sleeps. Ma se Weld documentava una serie di canzoni registrate in varie date del tour del 1991 con il gruppo già ampiamente rodato, Neil ed il Cavallo Pazzo (Frank “Poncho” Sampedro, Billy Talbot e Ralph Molina) avevano tenuto due concerti di “warm-up” nel novembre del ’90, il secondo dei quali al piccolo Catalyst di Santa Cruz (California) è considerato dai fans uno dei migliori show di sempre del rocker canadese.

UNITED KINGDOM - JANUARY 01: FINSBURY PARK Photo of Neil YOUNG (Photo by Stuart Mostyn/Redferns)

UNITED KINGDOM – JANUARY 01: FINSBURY PARK Photo of Neil YOUNG (Photo by Stuart Mostyn/Redferns)

Way Down In The Rust Bucket, il nuovo episodio delle Performance Series del Bisonte ed il secondo consecutivo con i Crazy Horse dopo Return To Greendale, si occupa proprio di quella serata del 13 novembre 1990, e devo dire dopo averlo ascoltato che i fans avevano ragione. Il doppio CD (o quadruplo LP, e c’è pure il solito costoso cofanetto che comprende tutto ma aggiunge anche il filmato dello show in DVD, con in più Cowgirl In The Sand che non è presente in formato audio per problemi tecnici) è infatti una vera goduria, un’orgia chitarristica con i nostri che suonano per quasi due ore e mezza in maniera incredibile, mostrando di essere in forma come non mai. Canzoni lunghe, in alcuni casi molto lunghe, dove spesso la parte cantata è secondaria rispetto a quella strumentale: i Crazy Horse si confermano la migliore band tra quelle che hanno accompagnato Young nel corso della carriera, dimostrando che nella musica molto spesso non occorre possedere una tecnica sopraffina quando si ha in dote un feeling di questa portata. Way Down In The Rust Bucket (da notare il collegamento nel titolo con i due album del 1979) è quindi perfino meglio di Weld, anche se un po’ mi spiace dell’assenza di brani come Hey Hey, My My, Powderfinger e Rockin’ In The Free World, ma non si può avere tutto.

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Da Ragged Glory il quartetto suona ben otto pezzi, e se la cover della vecchia hit di Don & Dewey Farmer John non mi ha mai entusiasmato, il resto è formidabile, a partire dalla splendida Country Home, dai fraseggi chitarristici strepitosi e ritornello contagioso https://www.youtube.com/watch?v=O3Ax9Z2-OgI , e proseguendo con sublimi cavalcate elettriche come Love To Burn, Days That Used To Be, e Over And Over, l’orecchiabile e coinvolgente Mansion On The Hill https://www.youtube.com/watch?v=Bptgc_q0GMM , il pugno in faccia della dura Fuckin’ Up e l’epica Love And Only Love, uno degli inni più esaltanti del nostro. Non mancano ovviamente gli evergreen: dalle countreggianti Don’t Cry No Tears e Roll Another Number (versione superba, la migliore mai sentita), si passa alle sventagliate punk di Sedan Delivery, senza dimenticare una ruspante rilettura di Homegrown https://www.youtube.com/watch?v=Bptgc_q0GMM  e tre superclassici del calibro di Cinnamon Girl, Like A Hurricane (magnifica) e la fluida Cortez The Killer, che chiude alla grande lo show https://www.youtube.com/watch?v=2cxneDwxmvE .

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In mezzo Neil ripesca anche qualche “deep cut”: la poco nota Bite The Bullet è una rock song incalzante che però non è tra le mie preferite, mentre è decisamente meglio Danger Bird (che se non sbaglio viene proposta qui per la prima volta dal vivo), lenta, vibrante e con una serie di splendidi e lirici assoli da parte del leader, uno degli highlights dello spettacolo https://www.youtube.com/watch?v=9T5yqB1Tj94 ; ci sono perfino due pezzi da Re-ac-tor, cioè l’evocativa Surfer Joe And Moe The Sleaze, che non ricordavo così trascinante, e la divertente (a dispetto del testo idiota) T-Bone, che ha sempre avuto dalla sua un bel riff ed un tiro notevole. Un concerto formidabile, tra i migliori album di sempre nella ormai vastissima discografia dal vivo di Neil Young.

Marco Verdi

Terza Uscita Annuale Del “Bisonte”, In Attesa Dei Botti Finali! Neil Young & Crazy Horse – Return To Greendale

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Neil Young & Crazy Horse – Return To Greendale – Reprise/Warner 2CD – 2LP – Deluxe 2CD/2LP/BluRay/DVD Box Set

Da artista che annuncia mille progetti per poi rimandarne più della metà, quest’anno Neil Young è diventato quasi affidabile (ho detto quasi). Sarà perché si è reso conto di non essere più un giovincello (ha compiuto 75 anni proprio in questi giorni), fatto sta che il rocker canadese nel corso del 2020 ha pubblicato finalmente il leggendario album inedito Homegrown, l’instant-EP acustico The Times, il disco dal vivo di cui mi accingo a parlare, e tra pochi giorni sarà la volta del tanto atteso secondo volume degli archivi a ben undici anni dal primo, sulle cui discutibili modalità di commercializzazione tornerò a tempo debito.

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Non solo, perché a dicembre uscirà una deluxe edition per i 50 anni di After The Gold Rush (invero piuttosto magra), e per l’anno prossimo sono già in programma un altro live per febbraio (Way Down In The Rust Bucket, registrato nel 1990) e più avanti un concerto acustico del 1971 intitolato Young Shakespeare, la ristampa del rarissimo EP El Dorado del 1989 e, pare, un altro disco dal vivo con i Promise Of The Real (per non parlare dell’annunciato progetto Bootleg Series che dovrebbe riguardare altri concerti del passato, con la copertina originale dell’edizione pirata dell’epoca ma con il suono potenziato). Oggi mi occupo del nuovo episodio delle “Performance Series” di Young, ovvero del live Return To Greendale, registrato il 4 settembre del 2003 all’Air Canada Center di Toronto insieme ai Crazy Horse, durante il tour in supporto all’album Greendale, un concept ambizioso che narrava le vicende degli abitanti di un’immaginaria cittadina sulla costa della California, una storia con risvolti ambientali ed ecologisti che però attirò su Neil parecchie critiche: il nostro fu infatti accusato di aver pubblicato un disco noioso, pretenzioso, prolisso e poco ispirato, ed alcuni arrivarono anche a definirlo il suo peggior lavoro con i Crazy Horse (dimenticandosi forse dell’esistenza di Re-ac-tor e Life), provocando la sua profonda delusione in quanto si trattava di un progetto al quale teneva particolarmente.

A me Greendale era invece piaciuto, al punto che lo avevo addirittura messo tra i dieci migliori album del 2003 (ammetto però che non è tra i dischi di Neil che ascolto più di frequente), e quindi ho accolto con favore anche la pubblicazione di questo doppio CD dal vivo, che esce anche come doppio LP ed in formato box set con entrambe le configurazioni audio, un BluRay con le immagini dello stesso concerto ed un DVD con il “making of” del Greendale originale (già uscito nel 2003): questa volta ho optato per la versione “semplice” in CD, dal momento che il box non offre granché in più e costa pure caro (circa 100 euro). Return To Greendale presenta le stesse dieci canzoni del disco in studio, che veniva suonato per intero tutte le sere nella prima parte dello show, e devo dire che i vari brani ne escono addirittura migliorati: d’altronde sappiamo che i Crazy Horse hanno sempre suonato meglio dal vivo (e molto spesso le loro incisioni in studio sono comunque in presa diretta), ma lo stesso Neil appare più convinto e concentrato, cosa che si riflette nelle canzoni che ne escono arricchite e nel suono che appare più grintoso e coinvolgente.

E non è una questione di improvvisazione, dal momento che i vari pezzi sono riproposti abbastanza in linea con le loro versioni originali (infatti Greendale durava 78 minuti e questo live 81, che è la ragione per cui è doppio). Neil è accompagnato come al solito da Frank “Poncho” Sampedro (però al piano elettrico e non alla chitarra ritmica, e d’altronde sul Greendale originale il buon Poncho manco c’era) e dalla sezione ritmica di Billy Talbot e Ralph Molina, con l’aggiunta ai cori delle Mountainettes, ovvero l’ex moglie di Neil Pegi Young, Twink Brewer, Nancy Hall e Susan Hall; durante lo show tra un brano e l’altro c’erano anche gli interventi di un gruppo di attori che recitavano parti della trama di Greendale, ma per fortuna qui ce li hanno risparmiati. (NDM: siccome non sono mai contento, e dato che sul doppio CD di spazio ne avanzava a iosa, non mi sarebbe dispiaciuto ascoltare il concerto completo. Nella fattispecie la serata in questione si era chiusa con una sequenza formata da Hey Hey, My My, Sedan Delivery, Down By The River, Powderfinger, Prisoners Of Rock’n’Roll, Cinnamon Girl e Fuckin’ Up).

L’inizio dello show è molto piacevole con la cadenzata Falling From Above, un country-rock ruspante nello stile di pezzi leggendari come appunto Powderfinger, melodia diretta ed orecchiabile, Neil che soffia dentro all’armonica e la sua chitarra che vola libera nel vento per quasi otto minuti. Double E è un rock-blues decisamente sanguigno e coinvolgente dal ritmo sostenuto, un riff insistito ed il nostro che inizia a maltrattare la sua Old Black come da prassi, mentre Devil’s Sidewalk è rock’n’roll alla maniera del Cavallo Pazzo, chitarra in primo piano con il tipico botta e risposta tra la voce di Young ed i suoi riff per uno dei pezzi più trascinanti del progetto (e sinceramente non ricordavo un avvio così roccato e potente sul Greendale originale). Leave The Driving è cadenzata e distesa, con un’armonica bluesy ed uno sviluppo strumentale molto discorsivo, e precede Carmichael, primo di tre brani che superano i dieci minuti: questa è una fulgida rock ballad con una parte chitarristica tutta da godere, grazie a Neil che svolge un lavoro splendido suonando con il suo abituale feeling che sopperisce ad una tecnica un po’ grezza.

L’acustica e delicata Bandit, che vede Young da solo sul palco per un momento di quiete fra cantato e talkin’ (ma la chitarra sembra quasi scordata), porta ad un altro dei brani centrali del doppio: Grandpa’s Interview, altra rock song intensa e profonda con un lirismo chitarristico ed un tocco che si riconoscono dopo due note, tredici minuti di puro godimento musicale, non importa che il brano non abbia una melodia ben definita. La breve e toccante ballata Bringin’ Down Dinner, con Neil all’organo, prelude ai dodici minuti di Sun Green, vibrante rock song dal motivo forse già sentito ma con un approccio decisamente trascinante, che ad un certo punto diventa quasi un boogie. A conclusione del doppio CD abbiamo la straordinaria Be The Rain, una di quelle cavalcate elettriche travolgenti che hanno fatto la fortuna del connubio Neil Young/Crazy Horse, corredata da un ritornello irresistibile: un brano che ha le stimmate del classico. Un ottimo live quindi, che rivaluta un album, Greendale, secondo me ingiustamente bistrattato e che prepara il palato al volume due degli archivi younghiani.

Che, almeno per il momento, saranno un privilegio per pochi.

Marco Verdi

Novità Prossime Venture 17. Annunciato Da Mesi, Il Prossimo 25 Ottobre Uscirà Il Nuovo Album Di Neil Young Con I Crazy Horse Intitolato Colorado!

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Niel Young And Crazy Horse – Colorado – Reprise – 25-10-2019

Quando la scorsa primavera sarebbe dovuto uscire il famoso e tanto sospirato secondo volume della serie The Archives, a sua volta annunciato da Neil Young sul finire dello scorso anno, il canadese aveva detto che in quei giorni, fine aprile, sarebbe entrato nei suoi studi, situati appunto in Colorado, per dare un seguito all’ultimo album pubblicato con i Crazy Horse Psychedelic Pill, uscito sul finire del 2012. Neil aveva annunciato che erano pronti almeno undici nuovo brani scritti da lui e che sarebbero stati registrati con la nuova formazione della band, dove Nils Lofgren (a quasi 50 anni dall’ultima apparizione in un album della band, avvenuta nel 1971), libero dagli impegni con la E Street Band, aveva sostituito il chitarrista Frank Sampedro, che aveva deciso di ritirarsi dalle scene. In effetti, come vediamo tra un attimo, le canzoni incise tra aprile e maggio del 2019 per questo nuovo Colorado sono state dieci, di durata oscillante tra i tre e i tredici minuti (She Showed Me Love), alcune già eseguite dal vivo negli scorsi mesi, così dicono le prime notizie. La versione in vinile, conterrà un 45 giri in “omaggio” (dal prezzo annunciato sui 45 dollari, non sembrerebbe molto), che avrà su un lato una bonus track ulteriore di studio Truth Kills e sull’altro lato un brano dal vivo Rainbow Of Colors, registrato dal vivo a Portland, Oregon il 17 maggio, la prima esecuzione live di questo pezzo che avrebbe dovuto essere anche.il primo singolo estratto dall’album (qui con i Promise Of The Real https://www.youtube.com/watch?v=X7v6e7f3_DE ) .

In effetti il primo singolo ad uscire in rete è stato in questi giorni Milky Way, che insieme alle altre due citate e a Green Is Blue, era uno dei brani già suonati in concerto, Comunque ecco la lista completa delle canzoni incluse in Colorado, la cui uscita è prevista per il prossimo 25 ottobre, salvo ripensamenti del nostro, che non sono assolutamente da escludere.Il disco è stato prodotto dallo stesso Neil Young con John Hanlon.

1. Think Of Me
2. She Showed Me Love
3. Olden Days
4. Help Me Lose My Mind
5. Green Is Blue
6. Shut It Down
7. Milky Way
8. Eternity
9. Rainbow Of Colors
10. I Do

Bruno Conti

Uno Sguardo Al Passato Per Il “Bisonte” Parte 2. Neil Young – Original Release Series Discs 8.5-12

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Neil Young – Original Release Series Discs 8.5-12 – Reprise/Warner 5CD Box Set

Questo è il secondo box di Neil Young uscito in contemporanea con quello quadruplo che prende in esame gli album della prima metà degli anni settanta: questo completa la decade, e a differenza del precedente presenta un dischetto in più. La particolarità del titolo, 8.5, è proprio inerente al primo CD, che è la collaborazione a due con Stephen Stills, vecchio compagno nei Buffalo Springfield ed in Crosby, Stills, Nash & Young: Long May You Run (1976), uscito a nome The Stills-Young Band (e quindi solo mezzo Young). In realtà il disco doveva uscire anche con Crosby e Nash come titolari, ma nuovi contrasti tra le due “fazioni”, ed il fatto che l’ex Byrds e l’ex Hollies abbandonarono le sessions per finire il loro album in duo Whistling Down The Wire, convinsero Stills e Young a cancellare le parti vocali degli altri due dal disco. Forse non è proprio un male che Long May You Run non sia uscito a nome del quartetto, in quanto è un album piuttosto deludente, non tanto per le cinque canzoni di Young che comunque, a parte un caso, non sono imperdibili, quanto per le quattro di Stills, la cui vena sembra alquanto prosciugata. Neil, come detto, si difende, specie con la splendida title track, una delle sue canzoni più belle di sempre, ma anche con Ocean Girl, dal leggero tempo reggae e ritornello gradevole, con l’elettrica Let It Shine, forse già sentita ma se non altro con un bel tiro, ed anche con la fluida rock ballad Fontainebleau (mentre Midnight On The Bay è un pop-rock californiano di poco conto). I brani di Stills, come già accennato abbastanza involuti, abbassano il voto finale di almeno mezza stelletta, e l’album non ottiene un grande successo, a causa anche dell’interruzione del tour promozionale dopo solo nove date per problemi (ma va?) tra i due leader.

Neil torna a fare il solista con American Stars’n’Bars (1977), un disco un po’ irrisolto e poco unitario, in quanto è composto da materiale eterogeneo, proveniente da sessions diverse e con band differenti, con alcuni brani presi da dischi fatti e finiti ma mai pubblicati (due su tutti: Homegrown, che doveva essere il vero seguito di Harvest, e Chrome Dreams). L’album entrerà negli annali comunque per la presenza della grandiosa Like A Hurricane, uno spettacolare brano elettrico (inciso con i Crazy Horse) che diventerà uno dei brani cardine del repertorio del canadese. Niente male anche Star Of Bethlehem, con Emmylou Harris, e la ruspante Homegrown, mentre la lunga ed interiore Will To Love è un po’ pesantina. Discreta anche la prima parte del disco (il vecchio lato A), molto country-rock, con punte come l’iniziale The Old Country Waltz e la saltellante Saddle Up The Palomino. Young torna ad atmosfere più bucoliche l’anno seguente (1978) con il celebrato Comes A Time, un disco più rilassato e decisamente country in parecchi punti, che infatti diventa il suo bestseller della decade dopo Harvest. Neil è in buona forma, ed è coadiuvato da Nicolette Larson come seconda voce in molte canzoni (i due duettano nella trascinante Motorcycle Mama, uno dei pezzi più rock), e nelle splendide Look Out For My Love e Lotta Love è accompagnato dai Crazy Horse in modalità “relax”. Molto belle anche la title track, la folkeggiante Human Highway (che doveva essere il titolo dell’album del 1974 di CSN&Y, mai finito), il puro country di Field Of Opportunity ed una scintillante cover del classico di Ian Tyson Four Strong Winds.

Neil sembra tornato sulla retta via, e lo conferma l’anno successivo con il grandioso Rust Never Sleeps, terzo album con i Crazy Horse ed ancora oggi uno dei suoi migliori in assoluto, un disco ispiratissimo ed influenzato da due eventi molto diversi tra loro come la morte di Elvis Presley e la crescita del fenomeno della musica punk. Tranne che per due pezzi, il disco è registrato dal vivo e sovrainciso poi in studio, ed alterna una prima parte acustica ad una seconda decisamente elettrica. Tra i cinque pezzi con la spina staccata sono sicuramente imperdibili My My, Hey Hey, che nella strepitosa controparte elettrica del secondo lato (Hey Hey, My My) diventerà uno degli highlights della carriera di Young, la bellissima Thrasher, uno dei migliori pezzi “minori” di Neil, e la cristallina Pocahontas. I quattro brani della parte elettrica sono un’esplosione rock’n’roll che suona devastante ancora oggi, con la meravigliosa Powderfinger, la già citata Hey Hey, My My e con l’attacco frontale delle punkeggianti Welfare Mothers e Sedan Delivery. Lo stesso anno il nostro pubblica Live Rust, un doppio album dal vivo (ma singolo CD) registrato sempre con il Cavallo Pazzo in varie locations (soprattutto al Cow Palace di San Francisco), un grande disco che cancella in un colpo solo Time Fades Away e si propone come uno dei migliori live della decade. Ad una splendida prima parte acustica, nella quale non mancano classici anche del periodo Buffalo Springfield (I Am A Child) si contrappone una parte elettrica letteralmente esplosiva, dove a tre dei quattro brani del lato B di Rust Never Sleeps (manca Welfare Mothers) si aggiungono tonanti versioni di, The Loner, Like A Hurricane, Cortez The Killer e Cinnamon Girl, per finire con un’intensa Tonight’s The Night di sette minuti. Inoltre, e questa è una cosa molto interessante per gli appassionati, sempre nel CD di Live Rust vengono ripristinate le versioni complete di Cortez The Killer, che da 7:25 era stata abbreviata a 6:19, e di Hey Hey, My My (Into the Black), che da 5:08 era stata ridotta a 4:37, nel CD che circolava fino a oggi infatti erano entrambe modificate

I prossimi box (ma quando usciranno?) prenderanno in esame gli anni ottanta, in assoluto la decade più problematica per Neil Young, e chissà se risentendo quei dischi con la giusta rimasterizzazione (come in questi due box) non ci saranno anche lì diverse canzoni da rivalutare.

Marco Verdi