Apre Gli Archivi Anche L’Altra Grande Icona Della Musica Canadese. Joni Mitchell – Archives Volume 1: The Early Years 1963-1967

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Joni Mitchell – Archives Volume 1: The Early Years 1963-1967 – 5CD Box Set Rhino – 30-10-2010

Mentre prosegue faticosamente l’iter della pubblicazione degli Archivi di Neil Young, che dopo una infinita serie di annunci e a “soli” 11 anni dall’uscita del primo volume sta per pubblicare il 20 novembre il secondo cofanetto (ma non si sa ancora il prezzo, il formato effettivo della confezione, solo il contenuto, che non è poi detto sia esatto), anche Joni Mitchell, altra grande icona della musica canadese, e probabilmente la più grande cantatutrice di tutti i tempi (anzi togliamo il probabilmente), inizia a pubblicare, sotto l’egida della Rhino, ma con la sua fattiva collaborazione, il primo volume di una serie di cofanetti che illustreranno tutta (anche il periodo Geffen, Nonesuch e Hear Music? Vedremo) la sua fantastica discografia. Il primo annuncio parlava di “alcuni” volumi in uscita nei prossimi anni, ora si parla di “parecchi”, lo sapremo solo vivendo, perciò non sarà una cosa breve, speriamo solo più rapida di quella di Young, e senza troppi doppioni e ripetizioni.

Però il primo cofanetto è previsto per il 30 ottobre, prezzo indicativo non troppo modico, oscillante tra i 70 e gli 80 euro a seconda dei paesi (meno che in Nord America dove dovrebbe costare circa 15 euro in meno, ma poi, per noi europei, ti massacrano con spese di spedizione, dogana e IVA, a meno che non conosciate qualche residente locale): nella confezione c’è anche un bel libretto di 40 pagine che intravedete qui sotto, con una lunga conversazione della stessa Joni Mitchell con il giornalista e regista Cameron Crowe e molte foto mai viste, prese dalla sua collezione personale.

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E stiamo parlando solo del periodo 1963-1967, quindi prima della uscita del primo album ufficiale e alcune quando si presentava ancora come Joni Anderson, già bellissima, come si vede nel video sopra: come si diceva la Mitchell ha dato la sua piena collaborazione, non solo, ha anche corretto alcune sue dichiarazioni del passato, la più famosa quella che diceva “Non sono una folk singer”, mentre ora Joni, dopo avere ascoltato tutto questo vecchio materiale dichiara “Era bellissimo, mi ha fatto perdonare i miei inizi, Ed ho avuto questa realizzazione…In realtà ero una cantante Folk”. Anche il sottoscritto, che la considera, come detto poc’anzi, la più grande (con Sandy Denny, buona seconda, parere personale ovviamente), dopo avere letto e visto i contenuti (e i prezzi) era un po’scettico, ma poi ho dato una veloce ascoltata a quello che si può sentire e devo dire che la qualità, anche sonora, dei contenuti, mi pare eccellente, anche se mi riservo di valutare il tutto bene dopo l’uscita.

Intendiamoci, come sanno i fans, e anche gli appassionati praticanti di buona musica, come chi scrive, molto di questo materiale è già uscito su bootleg, e soprattutto in vari broadcast radiofonici di CD più o meno legittimi: la Rhino dichiara che tutto il materiale consta di “six hours of unreleased recordings”, registrazioni casalinghe, dal vivo e radiofoniche, tra le quali 29 composizioni originali mai ascoltate prima con la sua voce, ovvero, qualcuna ha già circolato, ma non cantata da lei. Tra le cover, che sono parecchie, oltre ad alcuni traditionals, citiamo, per rimanere in argomento Sugar Mountain di Neil Young. Per ora il primo brano che è stato rilasciato su video, è proprio una versione del brano tradizionale House Of The Rising Sun registrato per la CFQC AM Radio Station di  Saskatoon, Saskatchewan, Canada nel 1963.

E non è finita, per gli amanti della cantautrice canadese, e del vinile, oltre che con un portafoglio ben rifornito, usciranno anche due vinili, piuttosto costosi, con brani estratti dal box, uno triplo e uno singolo, rispettivamente Live at Canterbury House – 1967 Early Joni – 1963. Comunque ecco come al solito la lista completa dei contenuti.

[CD1]
Radio Station CFQC AM, Saskatoon, Saskatchewan, Canada (ca. 1963)

“House Of The Rising Sun”
“John Hardy”
“Dark As A Dungeon”
“Tell Old Bill”
“Nancy Whiskey”
“Anathea”
“Copper Kettle”
“Fare Thee Well (Dink’s Song)”
“Molly Malone”

Live at the Half Beat: Yorkville, Toronto, Canada (October 21, 1964)
First Set

Introduction
“Nancy Whiskey”
Intro to “The Crow On The Cradle”
“The Crow On The Cradle”
“Pastures Of Plenty”
“Every Night When The Sun Goes In”
Intro to “Sail Away”
“Sail Away”

Second Set

“John Hardy”
“Dark As A Dungeon”
Intro to “Maids When You’re Young Never Wed An Old Man”
“Maids When You’re Young Never Wed An Old Man”
“The Dowie Dens Of Yarrow”
“Deportee (Plane Crash At Los Gatos)”
Joni’s Parents’ House: Saskatoon, Saskatchewan, Canada (February 1965)
“The Long Black Rifle”
“Ten Thousand Miles”
“Seven Daffodils”

[CD2]
Myrtle Anderson Birthday Tape: Detroit, MI (1965)

“Urge For Going”
“Born To Take The Highway”
“Here Today And Gone Tomorrow”

Jac Holzman Demo: Detroit, MI (August 24, 1965)

“What Will You Give Me”
“Let It Be Me”
“The Student Song”
“Day After Day”
“Like The Lonely Swallow”

Let’s Sing Out, CBC TV: University of Manitoba, Winnipeg, MB, Canada (October 4, 1965)

“Favorite Colour”
“Me And My Uncle”

Home Demo: Detroit, MI (ca. 1966)

“Sad Winds Blowin’”

Let’s Sing Out, CBC TV: Laurentian University, London, ON, Canada (October 24, 1966)

“Just Like Me”
“Night In The City”

Live at the 2nd Fret: Philadelphia, PA (November 1966)

“Brandy Eyes”
Intro to “Urge For Going”
“Urge For Going”
Intro to “What’s The Story Mr. Blue”
“What’s The Story Mr. Blue”
“Eastern Rain”
Intro to “The Circle Game”
“The Circle Game”
Intro to “Night In The City”
“Night In The City”

[CD3]
Folklore, WHAT FM: Philadelphia, PA, (March 12, 1967)

Intro to “Both Sides Now”
“Both Sides Now”
Intro to “The Circle Game”
“The Circle Game”

Live at the 2nd Fret: Philadelphia, PA (March 17, 1967)
Second Set

“Morning Morgantown”
“Born To Take The Highway”
Intro to “Song To A Seagull”
“Song To A Seagull”

Third Set

“Winter Lady”
Intro to “Both Sides Now”
“Both Sides Now”

Folklore, WHAT FM: Philadelphia, PA (March 19, 1967)

Intro to “Eastern Rain”
“Eastern Rain”
Intro to “Blue On Blue”
“Blue On Blue”

“A Record Of My Changes” – Michael’s Birthday Tape: North Carolina (May 1967)

“Gemini Twin”
“Strawflower Me”
“A Melody In Your Name”
“Tin Angel”
“I Don’t Know Where I Stand”
Joni improvising

Folklore, WHAT FM: Philadelphia, PA (May 28, 1967)

Intro to “Sugar Mountain”
“Sugar Mountain”

[CD4]
Home Demo: New York City, NY (ca. June 1967)

“I Had A King”
“Free Darling”
“Conversation”
“Morning Morgantown”
“Dr. Junk”
“Gift Of The Magi”
“Chelsea Morning”
“Michael From Mountains”
“Cara’s Castle”
“Jeremy” (Incomplete)

Live at Canterbury House: Ann Arbor, MI (October 27, 1967)
First Set

“Conversation”
Intro to “Come To The Sunshine”
“Come To The Sunshine”
Intro to “Chelsea Morning”
“Chelsea Morning”
Intro to “Gift Of The Magi”
“Gift Of The Magi”
“Play Little David”
Intro to “The Dowie Dens Of Yarrow”
“The Dowie Dens Of Yarrow”
“I Had A King”
Intro to “Free Darling”
“Free Darling”
Intro to “Cactus Tree”
“Cactus Tree”

[CD5]
Live at Canterbury House: Ann Arbor, MI (October 27, 1967)
Second Set

“Little Green”
Intro to “Marcie”
“Marcie”
Intro to “Ballerina Valerie”
“Ballerina Valerie”
“The Circle Game”
Intro to “Michael From Mountains”
“Michael From Mountains”
“Go Tell The Drummer Man”
Intro to “I Don’t Know Where I Stand”
“I Don’t Know Where I Stand”

Third Set

“A Melody In Your Name”
Intro to “Carnival In Kenora”
“Carnival In Kenora”
“Songs To Aging Children Come”
Intro to “Dr. Junk”
“Dr. Junk”
“Morning Morgantown”
Intro to “Night In The City”
“Night In The City”
“Both Sides Now”
“Urge For Going”

Quindi non ci resta che aspettare l’uscita e poi ne riparliamo diffusamente.

Bruno Conti

Un Annuncio Atteso Da Anni (Ed Un Piccolo Disco Per Ingannare L’Attesa)! Neil Young – Archives Vol. II/The Times

neil young archives vol. 2

Neil Young – Archives Vol. II – Reprise/Warner 10CD Box Set 20/11/2020

Neil Young – The Times – Reprise/Warner EP CD

Quando qualche mese fa Neil Young aveva annunciato una lunga serie di progetti da pubblicare tutti entro il 2020 mi ero fatto una grassa risata, abituato ormai alla volubilità del musicista canadese, che una ne fa e cento ne pensa. Ricapitolando, la lista delle uscite in programma era: il mitico album inedito Homegrown, poi effettivamente pubblicato a giugno, il live con i Crazy Horse Return To Greendale inciso nel 2003 (che ad oggi sembra seriamente candidato ad uscire veramente, pare il 6 novembre), un altro disco dal vivo con il Cavallo Pazzo registrato nel 1990 (Way Down In The Rust Bucket), un concerto acustico del 1971 intitolato Young Shakespeare, la ristampa del mini CD El Dorado ed un’edizione speciale di After The Gold Rush per il cinquantesimo anniversario. Come se non bastasse, la settimana scorsa Young ha annunciato un nuovo doppio live con i Promise Of The Real, Noise And Flowers, che però più ragionevolmente potrebbe vedere la luce nel 2021.

Ho lasciato per ultima la pubblicazione che rappresenta il fiore all’occhiello di questa valanga di materiale, e cioè il pluri-annunciato e pluri-rimandato secondo volume degli archivi di Neil, a ben undici anni dal primo “tomo”. Ebbene, che ci crediate o no, Young ha appena confermato l’uscita di Archives Vol. II, con tanto di foto del cofanetto postata sul suo sito ed addirittura la tracklist: la data di uscita è ora il 20 novembre, e pare che il box sarà disponibile in esclusiva proprio sul website del Bisonte, con i pre-ordini che scatteranno dal 16 ottobre (a che prezzo ancora non si sa). Voci non confermate dicono però che una versione più “povera” dal punto di vista del manufatto verrà comunque messa in commercio attraverso i canali tradizionali. Ecco comunque di seguito la tracklist dei dieci CD: come vedete il periodo di tempo coperto, 1972-1976, è molto più breve di quello del primo volume (che andava dal 1963 al 1972), ma bisogna dire che in quegli anni Young era posseduto da un fermento artistico incredibile; così come nel box precedente, i brani sono un mix tra canzoni inedite, versioni alternate e brani già conosciuti, e ci sono ancora quelle antipatiche ripetizioni di album già usciti separatamente (e che quindi tutti hanno già comprato), come per esempio il già citato Homegrown o i live Tuscaloosa e Roxy: Tonight’s The Night Live.

Archives Volume II: 1972-1976 track listing:
* = previously unreleased song
# = new unreleased version

Disc 1 (1972-1973)
Everybody’s Alone

Letter From ‘Nam *
Monday Morning #
The Bridge #
Time Fades Away #
Come Along and Say You Will *
Goodbye Christmas on the Shore *
Last Trip to Tulsa
The Loner #
Sweet Joni *
Yonder Stands the Sinner
L.A. (Story)
L.A. #
Human Highway &#035

Disc 2 (1973)
Tuscaloosa

Here We Go in the Years
After the Gold Rush
Out on the Weekend
Harvest
Old Man
Heart of Gold
Time Fades Away
Lookout Joe
New Mama
Alabama
Don’t Be Denied

Disc 3 (1973)
Tonight’s the Night

Speakin’ Out Jam #
Everybody’s Alone #
Tired Eyes
Tonight’s the Night
Mellow My Mind
World on a String
Speakin’ Out
Raised on Robbery (Joni Mitchell song) *
Roll Another Number
New Mama
Albuquerque
Tonight’s the Night Part II

Disc 4 (1973)
Roxy: Tonight’s the Night Live

Tonight’s the Night
Mellow My Mind
World on a String
Speakin’ Out
Albuquerque
New Mama
Roll Another Number
Tired Eyes
Tonight’s the Night Part II
Walk On
The Losing End #

Disc 5 (1974)
Walk On

Winterlong
Walk On
Bad Fog of Loneliness #
Borrowed Tune
Traces #
For the Turnstiles
Ambulance Blues
Motion Pictures
On the Beach
Revolution Blues
Vampire Blues
Greensleeves *

Disc 6 (1974)
The Old Homestead

Love/Art Blues #
Through My Sails #
Homefires *
Pardon My Heart #
Hawaiian Sunrise #
LA Girls and Ocean Boys *
Pushed It Over the End #
On the Beach #
Vacancy #
One More Sign #
Frozen Man *
Give Me Strength #
Bad News Comes to Town #
Changing Highways #
Love/Art Blues #
The Old Homestead
Daughters *
Deep Forbidden Lake
Love/Art Blues #

Disc 7 (1974)
Homegrown

Separate Ways
Try
Mexico
Love Is a Rose
Homegrown
Florida
Kansas
We Don’t Smoke It No More
White Line
Vacancy
Little Wing
Star of Bethlehem

Disc 8 (1975)
Dume

Ride My Llama #
Cortez the Killer
Don’t Cry No Tears
Born to Run *
Barstool Blues
Danger Bird
Stupid Girl
Kansas #
Powderfinger #
Hawaii #
Drive Back
Lookin’ for a Love
Pardon My Heart
Too Far Gone #
Pocahontas #
No One Seems to Know #

Disc 9 (1976)
Look Out for My Love
Like a Hurricane
Lotta Love
Lookin’ for a Love
Separate Ways #
Let It Shine #
Long May You Run
Fontainebleau
Traces #
Mellow My Mind #
Midnight on the Bay #
Stringman #
Mediterranean *
Ocean Girl #
Midnight on the Bay #
Human Highway #

Disc 10 (1976)
Odeon Budokan Live

The Old Laughing Lady #
After the Gold Rush #
Too Far Gone #
Old Man #
Stringman #
Don’t Cry No Tears #
Cowgirl in the Sand #
Lotta Love #
Drive Back #
Cortez the Killer #

neil young the times

Sembra quindi la volta buona (e di materiale interessante pare essercene a bizzeffe)…ma siccome a Neil non piace stare con le mani in mano, da pochi giorni è uscito The Times, un EP di sette canzoni registrato durante le Fireside Sessions (una serie di concerti acustici trasmessi via web che il nostro ha tenuto durante il lockdown e anche dopo) che contiene sei brani del passato reincisi per sola voce e chitarra più una cover, tutte con il comune denominatore del carattere “politico” dei testi (tranne un’eccezione), allo scopo di cercare di contrastare la possibile rielezione di Donald Trump. Il dischetto, 26 minuti, è stato inciso in presa diretta in puro stile “buona la prima”, ed il fascino risiede proprio nella voce sempre più fragile del nostro e nelle imperfezioni tecniche, che sono però compensate dal feeling che i fans del nostro conoscono bene (e che mancava nell’analogo A Letter Home di qualche anno fa). Neil non si preoccupa di rilasciare la versione definitiva delle canzoni presenti, ma riesce comunque ad emozionare con una performance intensa e di grande forza emotiva. E poi ci sono tre capolavori assoluti (Alabama, Ohio e Southern Man), una grande canzone poco conosciuta (Campaigner), la cover di un brano leggendario (The Times They Are A-Changin’ di Bob Dylan, forse la più traballante del lotto), un pezzo discreto ma eseguito in maniera molto intima (Little Wing, l’unica non di “protesta”) e la riedizione con un nuovo testo attualizzato di Lookin’ For A Leader, originariamente scritta “contro” la presidenza di George W. Bush.

Un dischetto da ascoltare tutto d’un fiato, in attesa del piatto forte in arrivo a novembre…sperando che sia davvero la volta buona.

Marco Verdi

Lou Reed, Cofanetto New York In Uscita il 25 Settembre: “Peccato” Sia Un Bundle CD/DVD/LP!

lou reed new york

Lou Reed – New York – Box 3 CD + DVD + 2 LP Sire Rhino – 25-09-2020

Non c’entra, ma proprio in questi giorni Neil Young per l’ennesima volta annuncia l’uscita dell’atteso Archives Vol. 2: 1972-1976, cofanetto da 10 CD che in un primo tempo (si fa per dire, visto che siamo in ballo da 10 anni), diciamo per il 2020, avrebbe dovuto essere pubblicato proprio in questi giorni di agosto, ora viene spostato al 6 novembre, e già che ci siamo si parla pure di un non meglio identificato Return To Greendale, sempre per lo stesso giorno. Ma qualcuno ci crede ancora? L’unica cosa certa è che il vecchio Neil ha postato una nuova canzone Lookin’ For A Leader 2020 https://www.youtube.com/watch?v=c0cOUDwKl9kche il nostro amico invita Trump ad utilizzare pure durante la campagna elettorale, vedremo.

Veniamo al cofanetto di New York di Lou Reed, considerando che c’entra sempre la Rhino. Iniziativa lodevole: in effetti i dischi di Reed del periodo Sire, pur essendo stato pubblicato nel 2015 un bel cofanetto da 10 CD, anche a prezzo speciale, The Sire Years: Complete Albums Box,non erano mai stati rimasterizzati, a differenza di quelli del periodo antecedente contenuti in RCA & Arista Album Collection del 2015. Nel titolo dico “peccato” riferendomi a questo vezzo della Rhino di unire insieme le versioni in CD (e DVD) con quelle in vinile: penso ad esempio alle ristampe dei Doors. Ovviamente il costo dei manufatti cresce e comunque si tratta di due tipi di pubblico differenti, gli amanti del LP e quelli delle versioni digitali: basterebbe, come si fa spesso e volentieri, tenerle divise.

Comunque l’annuncio è stato fatto, il box è previsto in uscita per il 25 settembre (salvo ripensamenti dell’ultima ora, non impossibili, dato questo periodo di continui e snervanti rinvii) e conterrà in CD l’album originale (probabilmente, insieme a quello dell’anno successivo con John Cale, uno degli album grandi album di Reed) con remaster 2020, un secondo dischetto con 14 brani dal vivo registrati nel corso del tour mondiale del 1989, anno di pubblicazione del disco originale, un terzo dischetto con 14 altre 14 tracce, versioni da 45 giri, qualche demo e versione alternativa o acustica, un pezzo non utilizzato nel CD originale e altre due canzoni dal vivo. I pezzi in studio del disco del 1989, escono anche in un doppio vinile, mentre nel DVD ci sono altri brani Live, ovvero l’esibizione completa del Theatre St. Denis – Montreal, Canada – August 13, 1989, pubblicata ai tempi solo in VHS e su Laser Disc, una intervista con Lou Reed e di nuovo le 14 canzoni in versioni ad alta definizione per audiofili, e un libro rilegato 12×12, con nuovi saggi, articoli e foto. Alla preparazione del tutto hanno collaborato la sua compagna Laurie Anderson, Don Fleming, Bill Ingot, Jason Stern, e Hal Willner.

Il prezzo annunciato, con la presenza dei vinili, indicativamente sarà sui 70 euro.

Al solito ecco la lista dettagliata dei contenuti. Se volete farvi del male, sul sito della Rhino è disponibile anche una edizione esclusiva con (musi)cassetta aggiunta.

Tracklist
[CD1: Original Album 2020 Remaster]
01 Romeo Had Juliette
02 Halloween Parade
03 Dirty Blvd.
04 Endless Cycle
05 There Is No Time
06 Last Great American Whale
07 Beginning of a Great Adventure
08 Busload of Faith
09 Sick of You
10 Hold On
11 Good Evening Mr. Waldeheim
12 Xmas in February
13 Strawman
14 Dime Store Mystery

[CD2: Live Performance Tracks]
01 Romeo Had Juliette (Warner Theater, Washington, DC, 3/14/1989)
02 Halloween Parade (Joseph Meyerhoff Symphony Hall, Baltimore, MD, 3/16/1989)
03 Dirty Blvd. (Wembley Arena, London, UK, 7/14/1989)
04 Endless Cycle (Warner Theater, Washington, DC, 3/14/1989)
05 There Is No Time (The Mosque, Richmond, VA, 8/8/1989)
06 Last Great American Whale (The Mosque, Richmond, VA, 8/8/1989)
07 Beginning of a Great Adventure (Wembley Arena, London, UK, 7/4/1989)
08 Busload of Faith (Falconer Theater, Copenhagen, Denmark, 6/9/1989 )
09 Sick of You (Tower Theater, Upper Darby, PA, 3/17/1989)
10 Hold On (The Mosque, Richmond, VA, 8/8/1989)
11 Good Evening Mr. Waldheim (Joseph Meyerhoff Symphony Hall, Baltimore, MD, 3/16/1989)
12 Xmas in February (Joseph Meyerhoff Symphony Hall, Baltimore, MD, 3/16/1989)
13 Strawman (Wembley Arena, London, UK, 7/4/1989)
14 Dime Store Mystery (The Mosque, Richmond, VA, 8/8/1989)

[CD3: Bonus Tracks]
01 Romeo Had Juliette (7 “Version)
02 Dirty Blvd. (Work Tape)
03 Dirty Blvd. (Rough Mix)
04 Endless Cycle (Work Tape)
05 Last Great American Whale (Work Tape)
06 Beginning of a Great Adventure (Rough Mix)
07 Busload of Faith (Acoustic Version)
08 Sick of You (Work Tape)
09 Sick of You ( Rough Mix)
10 Hold On (Rough Mix)
11 Strawman (Rough Mix)
12 The Room (Non-Album Track)
13 Sweet Jane (Live Encore at The Mosque, Richmond, VA, 8/8/1989)
14 Walk on the Wild Side (Live Encore at The Mosque, Richmond, VA, 8/8/1989)

[LP1/LP2: Original Album 2020 Remaster]
(see tracklist for CD1)

[DVD]
Live at Theatre St. Denis – Montreal, Canada – August 13, 1989
01 Romeo Had Juliette
02 Halloween Parade
03 Dirty Blvd.
04 Endless Cycle
05 There Is No Time
06 Last Great American Whale
07 Beginning Of A Great Adventure
08 Busload Of Faith
09 Sick Of You
10 Hold On
11 Good Evening Mr. Waldheim
12 Xmas In February
13 Strawman
14 Dime Store Mystery
Feature
15 A Conversation With Lou Reed [25:34]
Original Album 96kHz/24-bit PCM Stereo
16 Romeo Had Juliette
17 Halloween Parade
18 Dirty Blvd.
19 Endless Cycle
20 There Is No Time
21 Last Great American Whale
22 Beginning of a Great Adventure
23 Busload of Faith
24 Sick of You
25 Hold On
26 Good Evening Mr. Waldeheim
27 Xmas in February
28 Strawman
29 Dime Store Mystery

Per il 9 ottobre la Warner/Rhino, sempre in queste edizioni miste CD/LP, annuncia anche la ristampa di Pleased To Meet Me dei Replacements, ne parliamo nei prossimi giorni.

Bruno Conti

Quando Gli “Scarti” Sono Meglio Dei Brani Originali! Lukas Nelson & Promise Of The Real – Naked Garden

lukas nelson naked garden

Lukas Nelson & Promise Of The Real – Naked Garden – Fantasy/Concord CD

Non credo sia un caso che il miglior disco della carriera di Lukas Nelson e dei suoi Promise Of The Real (Tato Melgar, Anthony LoGerfo, Corey McCormick e Logan Metz) sia il loro album omonimo uscito nel 2017 https://discoclub.myblog.it/2017/09/19/con-babbo-fratello-zia-e-cugine-acquisite-al-seguito-non-male-lukas-nelson-and-promise-of-the-real/ , quarto in totale e primo per la Fantasy, e cioè il lavoro uscito al termine della loro esperienza sia live che in studio come backing band di Neil Young: Lukas ha indubbiamente imparato moltissimo dalla collaborazione con il Bisonte, e la sua maturazione era palese in quel disco che, pur non essendo un capolavoro, era un ottimo esempio di rock americano al 100%, con diverse canzoni di livello egregio. E non dimentichiamo che essere figlio di Willie Nelson se hai un minimo di talento e sai assorbire gli insegnamenti nel modo giusto può essere un enorme vantaggio, anche se è successo più volte che avere come padre una leggenda è stato come il “bacio della morte” per decine di giovani musicisti.

Lo scorso anno Lukas e i POTR hanno pubblicato Turn Off The News (Build A Garden), un lavoro che avrebbe dovuto confermare quanto di buono fatto nel disco del 2017, ma che in realtà si è rivelato una parziale delusione, in quanto sembrava di avere a che fare con un album di pop-rock californiano, che non sarebbe di per sé un difetto, ma l’approccio alle canzoni era troppo rilassato e piuttosto molle, e la sensazione era che i brani stessi non fossero di prima scelta. Ho avuto la fortuna di vedere i POTR dal vivo con Young, e mi sono reso conto di avere di fronte una rock band con le contropalle, perfetta tra l’altro per accompagnare il vecchio Neil (sono una specie di Crazy Horse meno rozzi e più tecnici), ma nel disco di un anno fa non ho ritrovato lo stesso gruppo bensì una band qualunque, senza grinta e mordente. Immaginatevi quindi il mio entusiasmo quando ho appreso che, a distanza di meno di un anno, i nostri sarebbero usciti con un nuovo lavoro che già dal titolo, Naked Garden, si riallacciava all’album del 2019, e nel quale avrebbero inserito outtakes di quelle sessions e versioni alternate di pezzi di Turn Off The News, il tutto con un suono meno lavorato e più crudo.

Temevo quindi il peggio, dato che già il CD di un anno fa non mi aveva entusiasmato e non avevo grandi aspettative per una collezione di brani scartati da quelle registrazioni, ma con mia grande sorpresa devo ammettere che Naked Garden si è rivelato fin dal primo ascolto come un signor disco, un lavoro diretto e piacevole che ci ha restituito il gruppo che aveva fatto ben sperare negli anni precedenti. Sarà il suono più grezzo e rock, con le chitarre di nuovo in primo piano, sarà l’approccio differente verso le versioni alternate dei brani già noti, ma questo disco è un piacere dalla prima all’ultima nota, ed una volta terminato l’ascolto mi viene anche il dubbio che l’anno scorso Lukas non sia stato proprio lungimirante nello scegliere i brani da inserire in Turn Off The News. Quindici pezzi in tutto, di cui sette già conosciuti (Speak The Truth i nostri la suonano dal vivo già da qualche anno, anche se in studio non era ancora stata pubblicata) e otto inediti: le canzoni nuove iniziano con Entirely Different Stars, avvio deciso e potente per un brano dal sapore sudista ed un giro chitarristico di stampo blues, con i primi due minuti acustici seguiti da un’entrata vigorosa della band che dona al pezzo tonalità addirittura psichedeliche. La saltellante Back When I Cared è quasi country e presenta un motivo decisamente orecchiabile ed un arrangiamento “rurale”; Movie In My Mind è una rock ballad tersa, rilassata e molto piacevole, con la strumentazione usata in maniera fluida, mentre Focus On The Music è una country ballad pianistica suonata in modo elegante che risente dell’influenza di papà Willie.

My Own Wave è un brano particolare, una ballata con elementi sia rock che funky che country, il tutto molto godibile e con un refrain immediato, Fade To Black mi ricorda invece certi midtempo cadenzati di Tom Petty, con in più un retrogusto blue-eyed soul. I brani inediti terminano con la solida Couldn’t Break Your Heart, bella rock’n’roll song dai toni crepuscolari, e con la sorprendente The Way You Say Goodbye, un valzerone d’altri tempi in cui Lukas sembra quasi Roy Orbison (voce a parte). E veniamo ai pezzi già noti: detto della già citata Speak The Truth (un gradevole brano funkeggiante ed annerito), ci sono due versioni alternate di Civilized Hell, una elettrica molto più diretta di quella dell’anno scorso, con un drumming possente ed una slide appiccicosa, ed una intensa e rallentata rilettura acustica (anche se il mio orecchio percepisce anche qui una chitarra elettrica). La solare Out In L.A. era già tra le più piacevoli di Turn Off The News, e questa versione extended non mi fa cambiare idea, così come la splendida rilettura alternata della bella Bad Case, decisamente trascinante e tra i migliori momenti del CD. Chiudono Naked Garden due missaggi differenti e più spontanei di Stars Made Of You e Where Does Love Go, quest’ultima bellissima, coinvolgente e con agganci alle produzioni di Jeff Lynne per Tom Petty e Traveling Wilburys.

Una bella sorpresa dunque questo Naked Garden, ed ennesima dimostrazione che a volte quello che viene lasciato fuori dai dischi è meglio di ciò che viene pubblicato.

Marco Verdi

A Volte, Fortunatamente, Ritornano Come Un Tempo! Ray LaMontagne – Monovision

ray lamontagne monovision

Ray Lamontagne – Monovision – Rca Records

I primi quattro album di Ray LaMontagne, da Trouble del 2004 a God Willin’ & The Creek Don’t Rise del 2010, mi erano piaciuti moltissimo, e non solo a me, perché erano dischi veramente bellissimi e furono anche di grande successo, perché complessivamente avevano venduto quasi 2 milioni di copie solo negli Usa, gli ultimi due arrivando fino al 3° posto delle classifiche, tanto che Ray (dopo una vita in cui aveva girovagato dal nativo New Hampshire, poi nello Utah e nel Maine) si era potuto permettere di comprare una fattoria di 103 acri a Ashfield, Massachusetts, per oltre un milione di dollari, dove vive tuttora e ci ha costruito anche uno studio di registrazione casalingo. Brani in serie televisive, colonne sonore, VH1 Storytellers, un duetto con Lisa Hannigan nel disco Passenger del 2011, Insomma lo volevano tutti: poi nel 2014 esce il disco Supernova, prodotto da Dan Auerbach, un disco dove il suono a tratti vira verso la psichedelia, un suono molto più “lavorato” e con derive pop barocche, non brutto nell’insieme, tanto che molte critiche sono ancora eccellenti e il disco arriva nuovamente al terzo posto delle classifiche di Billboard, alcuni brani ricordano il suo suono classico, ma nel complesso è “diverso”. Nel 2016 ingaggia Jim James dei My Morning Jacket per Ouroboros dove il pedale viene schacciato ulteriormente verso una psichedelia ancora più spinta, chitarre elettriche distorte, rimandi al suono dei Pink Floyd in lunghi brani con improvvisazoni strumentali, voce filtrata o utilizzata in un ardito falsetto, per chi scrive anche un po’ irritante, benché ci siano dei passaggi quasi bucolici e sereni che si lasciano apprezzare, sempre se non avesse fatto i primi quattro album.

Il disco va ancora abbastanza bene, per cui si ritira per la prima volta nel suo studio The Big Room e decide di proseguire con la sua svolta “cosmica” pubblicando nel 2018 Part Of The Light, che però cerca di coniugare lo spirito rock dei dischi precedenti ad altri momenti più intimi e ricercati che rimandano al folk astrale dei primi album, un ritorno alle sonorità più amate della prima decade. Che giungono a compimento in questo nuovo Monovision dove, come ricordo nel titolo, LaMontagne ritorna, per citare altre frasi celebri e modi di dire, sulla diritta via e lo fa tutto da solo (d’altronde “chi fa da sé fa per tre”) suonando tutti gli strumenti, chitarre, tastiere, sezione ritmica e componendo una serie di brani ispirati a sonorità più morbide, rustiche e “campagnole”, l’amato Van Morrison e il suo celtic soul, il primo Cat Stevens, mai passato di moda, la West Coast californiana e il Neil Young degli inizi, il tutto ovviamente rivisto nell’ottica di Ray che prende ispirazione da tutto quanto citato ma poi, quando l’ispirazione lo sorregge, come in questo disco, è in grado di emozionare l’ascoltatore anche con la sua voce particolare ed evocativa.

Prendiamo l’iniziale Roll Me Mama, Roll Me, una chitarra acustica arpeggiata, la voce sussurata che diventa roca e granulosa, un giro di basso palpitante che contrasta con l’atmosfera più intima ed improvvise aperture bluesy, che qualcuno ha voluto accostare, non sbagliando, ai Led Zeppelin più rustici e fok de terzo album. I Was Born To Love You è una di quelle ballate meravigliose in cui il nostro amico eccelle, un incipit acustico alla Cat Stevens che si trasforma all’impronta in una lirica melodia westcoastiana, con fraseggi deliziosi dell’elettrica e il cantato solenne di un ispirato LaMontagne che fa una serenata alla sua amata. Strong Enough è la canzone più mossa e ottimista del disco, un ritmo che prende spunto dalla soul music miscelato con il groove del rock classico dei Creedence, la voce di Ray che si fa “nera”, sfruttando al massimo la sua potenza di emissione.

Summer Clouds torna al suono di una solitaria acustica arpeggiata, alla quale il nostro amico aggiunge una tastiera che riproduce il suono degli archi, un cantato quieto ed avvolgente, uguale e diverso al contempo da quello malinconico di Nick Drake e dei folksingers britannici dei primi anni ’70, ma anche di un Don McLean; We’ll Make It Through, il brano più lungo con i suoi sei minuti, si avvale del suono dolcissimo di una armonica soffiata quasi con pudore, senza volere disturbare, un omaggio al soft rock delle ballate dolci e pacatamente malinconiche dei cantautori californiani dei primi anni ’70.

Misty Morning Rain ci riporta al suono dell’esordio Trouble, quando LaMontagne veniva giustamente presentato come un epigono del Van Morrison più mistico, con il suo celtic soul, dove la forza impetuosa del cantato solenne di Ray e la musica incalzante convergono in un tutt’uno assolutamente radioso ed affascinante, mentre Rocky Mountain Healin’ sembra uscire dai solchi di After The Gold Rush o di Harvest di Neil Young, LaMontagne armato di armonica, questa volta fa la serenata alle Montagne Rocciose, che anche il sottovalutato John Denver aveva cantato in una delle sue composizioni più belle e il nostro amico non è da meno in un altro brano di qualità eccellente. In Weeping Willow LaMontagne si sdoppia alla voce in una canzone che rende omaggio a gruppi vocali come Everly Brothers e Simon And Garfunkel in un adorabile quadretto sonoro demodé, ma ricco di affettuose sfumature. Delicata ed avvolgente anche la bucolica Morning Comes Wearing Diamonds è un piccolo gioiellino acustico di puro folk pastorale con Ray che ci regala ancora squisite armonie vocali di superba fattura. E nella conclusiva Highway To The Sun il buon Ray si avventura anche nelle languide atmosfere country-rock che avremo sentito mille volte ma quando sono suonate e cantate con questa passione e trasporto ti scaldano sempre il cuore. Semplicemente bentornato!

Bruno Conti

Non Avrei Mai Pensato Che Un Giorno Lo Avrei Recensito! Neil Young – Homegrown

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Neil Young – Homegrown – Reprise/Warner CD

A volte il destino è strano: finalmente ti decidi a far uscire ufficialmente un disco che hai nei cassetti da 45 anni e che è forse il principale desiderio nascosto (ma neanche troppo) dei tuoi fans, e con tutte le date a disposizione vai a scegliere quella in cui Bob Dylan pubblica il suo primo album di canzoni nuove in otto anni, ed uno dei suoi migliori delle ultime due decadi. Ma, facezie a parte, un po’ ancora non ci credo che sono qui a parlarvi di Homegrown, album registrato da Neil Young tra il 1974 ed il 1975 che in origine doveva rappresentare una sorta di seguito di Harvest, ma che poi è stato lasciato da parte diventando uno dei maggiori oggetti del desiderio da parte degli estimatori del musicista canadese (nonché il più celebre dei suoi LP “unreleased”, un elenco che comprende titoli come Chrome Dreams, Island In The Sea, Oceanside/Countryside, la prima versione di Old Ways e Toast, mentre Hitchhiker come sapete è stato pubblicato nel 2017).

La storia è abbastanza nota: Homegrown, un disco elettroacustico tra rock, country e folk realizzato tenendo presenti le sonorità di Harvest, era bello che pronto per uscire (c’era anche la copertina, che poi è la stessa dell’edizione odierna), ma un Neil Young ancora scosso per la perdita degli amici Danny Whitten e Bruce Berry ebbe il colpo di grazia a causa del naufragare della sua relazione con l’attrice Carry Snodgress, con cui aveva una relazione dal 1971 dalla quale era nato il piccolo Zeke (affetto tra l’altro da paralisi cerebrale): la cosa fece cadere il nostro in una profonda depressione che lo convinse a cancellare l’uscita di Homegrown a favore del cupo Tonight’s The Night. Negli anni seguenti Neil ha poi pubblicato alcuni pezzi pensati per quel disco, alcuni potenziati, altri completamente rifatti, altri ancora lasciati così com’erano, ma di Homegrown più nessuna traccia nonostante la notizia di una pubblicazione imminente, poi puntualmente smentita, verrà data più volte nelle decadi a venire. Ora però è la volta buona (anche se un altro ritardo di due mesi c’è stato, ma stavolta per il coronavirus), e Homegrown è finalmente una realtà, ed esattamente con la tracklist pensata all’epoca: sono stati quindi lasciati nei cassetti diversi altri titoli, alcuni noti in quanto già presenti nella discografia younghiana (Pardon My Heart, Deep Forbidden Lake, The Old Homestead), altri più oscuri nonostante Neil negli anni li abbia occasionalmente suonati dal vivo (Love/Art Blues, Homefires, Mediterranean, Frozen Man, Daughters, Barefoot Floors).

Risentito oggi Homegrown non ha perso nulla delle sue qualità: è infatti un disco bello, intenso e tipico del Neil Young mid-seventies, con momenti di profonda malinconia alternati a potenti svisate elettriche. Non è forse il capolavoro che la leggenda narrava, in quanto sia Harvest che Zuma e forse anche On The Beach e Tonight’s The Night sono superiori, ma teniamo presente che lo standard qualitativo del Bisonte in quegli anni era incredibilmente alto. Tra i sessionmen presenti nelle varie canzoni ci sono vecchie conoscenze (Ben Keith alla steel, Tim Drummond al basso e Karl T. Himmel alla batteria) ma anche alcuni ospiti di vaglia, come il pianista Stan Szelest e soprattutto i “The Band Boys” Robbie Robertson e Levon Helm e la voce di Emmylou Harris. Tre dei dodici pezzi totali sono pubblicati nelle versioni già note (le splendide Love Is A Rose e Star Of Bethlehem, presenti sull’antologia Decade, e la discreta Little Wing che nel 1980 aprirà l’album Hawks And Doves), mentre due brani che in seguito verranno reincisi qui sono nella prima stesura: l’energica e roccata title track, bella versione con Keith alla slide e forse migliore di quella rifatta coi Crazy Horse per American Stars’n’Bars, e White Line (che Neil pubblicherà addirittura nel 1991 su Ragged Glory sempre con il Cavallo Pazzo), ottima anche in questa resa a due chitarre con Young e Robertson come soli musicisti presenti. I brani “nuovi” iniziano con Separate Ways (che comunque il nostro ha suonato diverse volte dal vivo), una notevole ballata country-rock elettroacustica caratterizzata dalla bella steel di Keith e dal tipico drumming di Helm: la parte vocale, anche se non particolarmente rifinita, è incisiva grazie anche alla solida melodia.

Try è una delicata country ballad (acustica, ma full band) sullo stile di Harvest, con pochi ma calibrati strumenti ed un bellissimo ritornello reso ancora più prezioso dalla steel e dall’intervento vocale della Harris; la malinconica Mexico vede Neil da solo al piano per un breve e tenue brano dalla musicalità quasi fragile, a differenza di Florida che non è una canzone ma una conversazione di Young con Keith e sottofondo di…bicchieri di vino (!): l’avrei lasciata volentieri in un cassetto. Bella la gentile ed intensa Kansas, solo voce, chitarra ed armonica, mentre We Don’t Smoke It No More è un blues cadenzato e pianistico con aggiunta di slide, un pezzo strepitoso e coinvolgente nonostante Neil non sia propriamente un bluesman: singolare poi che la voce entri solo dopo quasi due minuti e mezzo. L’ultimo dei brani inediti è anche uno dei migliori: Vacancy è infatti una notevole rock song elettrica e potente dal motivo diretto, un pezzo che è la quintessenza di Young e che non capisco come possa essere rimasto da parte fino ad oggi. Homegrown non sarà dunque quel masterpiece di cui si è a lungo favoleggiato, ma è di sicuro un disco che tende dal buono all’ottimo e che rappresenta alla perfezione il Neil Young della metà degli anni settanta.

E comunque dopo aver aspettato 45 anni il minimo che si possa fare è non farselo sfuggire.

Marco Verdi

Come Dylan Anche Neil Young Pubblicherà A Sorpresa Un “Nuovo” Disco Il 19 Giugno: Si Tratta Di Homegrown, Album Previsto In Origine Per Il 1975

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Neil Young – Homegrown – Reprise/Warner CD LP – 19-06-2020

Se ne parlava da quasi un anno, visto che lo stesso Neil Young aveva annunciato l’uscita di Homegrown per la primavera del 2020, il 18 aprile il giorno del RSD, poi è partita la pandemia e si pensava che, come è successo per oltre la metà delle recenti uscite discografiche, anche questa sarebbe stata rinviata a una lontana data, ancora da destinarsi. Invece, forse stimolato anche dalla uscita del nuovo Bob Dylan sempre per il 19 giugno, pure il canadese ha deciso di dare il via libera per la pubblicazione nella stessa data (ma potrebbe sempre ripensarci, visto che mancano ancora una ventina di giorni, anche se nei vari siti di vendita si può prenotare regolarmente). Già che c’era, più o meno in contemporanea, il vecchio Neil ha sancito per il 21/08/2020 anche l’uscita del 2° volume delle Archive Series: qui mi permetto di dubitare, considerando che il cofanetto viene annunciato e poi rimandato ormai dal lontano 2011. Nel frattempo Young ha rinunciato ai formati DVD e Blu-ray audio che sembravano il suo nuovo credo, tornando al buon vecchio CD, o al limite al download, ma visto che non ci sono ancora dati certi, se non che dovrebbe trattarsi di un Box da 10 CD che coprirà il periodo 1972 -1976, veniamo ad Homegrown che proprio da quell’epoca arriva e vediamone i contenuti annunciati, con dovizia di particolari, dallo stesso autore.

Partiamo dalla tracklist:

Homegrown:

01 Separate Ways
02 Try
03 Mexico
04 Love Is a Rose
05 Homegrown
06 Florida
07 Kansas
08 We Don’t Smoke It No More
09 White Line
10 Vacancy
11 Little Wing
12 Star of Bethlehem

Ed ecco i molti dettagli svelati da Young in persona su suo sito a fine aprile: le dodici canzoni, tutte firmate dallo stesso Neil, e registrate tra giugno 1974 e gennaio 1975, avrebbero dovuto uscire appunto nel 1975 con il titolo di Homegrown, ma poi alla fine l’uscita del disco fu cancellata. Cinque dei brani, alcuni usciti in seguito anche in differenti versioni, mentre qui sono nelle prime takes, sono poi apparsi su altri dischi: “Love Is A Rose ” è stata pubblicata su Decade nel 1977,  “Homegrown” ri-registrata con i Crazy Horse e pubblicata su American Stars ‘N Bars nel 1977,  “White Line” addirittura due volte. ancora con i Crazy Horse per Chrome Dreams, album del 1975, rimasto inedito e anche per Ragged Glory del 1990, mentre la versione che appare nel CD è quella registrata con Robbie Robertson della Band, entrambi alla chitarra acustica,  “Little Wing” è uscita su Hawks And Doves nel 1980, infine “Star Of Bethlehem” di nuovo su American Stars ‘Bars.

Le sette mai pubblicate prima sono Separate Ways, che prevede la presenza di Ben Keith alle chitarre e Levon Helm della Band alla batteria. Try, dedicata a Carrie Snodgrass, prima compagna di Neil e mamma di Zeke, con le armonie vocali di Emmylou Harris e Ben Keith alla pedal steel, mentre Mexico è un brano in solitaria (come altri nel CD) solo Young, voce, armonica e chitarra, come pure Kansas e anche Florida dovrebbero appartenere alla categoria, il brano in questione con introduzione parlata. La “confessionale” We Don’t Smoke It More è un blues alla Neil Young tipico di quel periodo turbolento, alla Tonight’s The Night; infine Vacancy è un altro pezzo con Neil contemporaneamente a chitarra e armonica. Ovviamente per l’album vennero registrati parecchi altri brani dai nomi suggestivi tipo “Mediterranean”, “Hawaii”, “Homefires”, ”The Old Homestead”, “Barefoot Floors”, “Hawaiian Sunrise” (aka “Maui Mama”), “Bad News Has Come To Town”, “Frozen Man”, “Daughters”, “Deep Forbidden Lake”, “Give Me Strength”, “Love/Art Blues” and “Pardon My Heart, che verranno buoni magari per altri futuri progetti, forse per il famigerato Archives II. Nel “nuovo” CD oltre ai musicisti citati appaiono anche Tim Drummond al basso, Karl T. Himmel alla batteria, Mazzeo (?) ai backing vocals e Stan Szelest al piano e Wurlitzer.

La produzione è affidata allo stesso Young con Elliot Mazer (forse il fantomatico Mazzeo?) a parte due brani co-prodotti con Ben Keith.

Nel frattempo Neil Young in piena pandemia ha pubblicato anche un nuovo video e relativa canzone shut It Down con i Crazy Horse.

Ora non ci resta che aspettare, forse, per l’uscita del 19 giugno, in seguito alla quale il buon Marco Verdi, a cui lascio l’onere e l’onore vi delizierà con il suo parere sul disco. Per ora è tutto, alla prossima.

Bruno Conti

P.S. Se oggi vi è capitato di entrare sul Blog forse avrete assistito ad una sorta di Work In Progress del Post, in quanto il Blog aveva assunto una vita propria, per certi versi come un disco di Neil Young, ma questa è la versione definitiva.

Speravo Che L’Aria Di Montagna Facesse Più Effetto! Neil Young & Crazy Horse – Colorado

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Neil Young & Crazy Horse – Colorado – Reprise/Warner CD – 2LP/45rpm

L’ultimo scorcio della carriera di Neil Young è stato discograficamente parlando molto intenso (come peraltro anche in passato), ma non sempre di qualità: il suo album migliore degli ultimi sette anni è stato senza dubbio il primo registrato con i Promise Of The Real, The Monsanto Years, un disco buono ma non eccezionale https://discoclub.myblog.it/2015/06/24/ogm-grande-musica-neil-young-promise-of-the-real-the-monsanto-years/ , mentre A Letter Home era un esercizio fine a sé stesso (ed inciso con una qualità sonora da denuncia penale), Storytone mi era piaciuto molto ma a quanto pare ero uno dei pochi https://discoclub.myblog.it/2014/11/16/il-bisonte-sbaglia-due-volte-fila-neil-young-storytone/ , Peace Trail era un mezzo disastro e The Visitor solo leggermente meglio ma sempre insufficiente (e poi ci sarebbe anche la colonna sonora del film Paradox, da mettere nella categoria “stranezze younghiane”). L’ultimo grande lavoro del Bisonte è quindi indubbiamente lo splendido Psychedelic Pill, album del 2012 registrato con i Crazy Horse e che poteva stare senza problemi a fianco dei suoi dischi migliori https://discoclub.myblog.it/2012/11/16/giu-il-cappello-davanti-al-bisonte-neil-young-psychedelic-pi/ .

Ed è proprio con il suo gruppo “storico” che Neil ha inciso questo nuovo lavoro, Colorado: si pensava che la storia del Cavallo Pazzo fosse finita all’indomani del ritiro a vita privata del chitarrista Frank “Poncho” Sampedro nel 2014, ma Neil ha avuto il colpo di genio di rimpiazzarlo con Nils Lofgren (in pausa momentanea dalla E Street Band), che aveva già fatto parte del gruppo all’inizio degli anni settanta pur non avendo mai registrato un disco intero con Young (era però nella line-up ufficiale del gruppo nel loro esordio omonimo del 1971). Colorado deve il nome allo stato in cui è stato registrato, per l’esattezza nella città di Telluride dove Neil ha una casa con l’attuale moglie, l’attrice Daryl Hannah: Neil ha invitato per qualche giorno lo scorso mese di Aprile Lofgren, il bassista Billy Talbot ed il batterista Ralph Molina con le rispettive famiglie nella cittadina, dove hanno registrato il disco nel giro di poco tempo nello studio privato di Young, in un’atmosfera intima e conviviale (tra l’altro la stagione sciistica era finita e Telluride si era praticamente svuotata) e con le bombole d’ossigeno pronte all’occorrenza dato che la cittadina sorge ad un’altitudine di 2.667 metri. Colorado, prodotto da Young con John Hanlon, è un album che a detta di Lofgren è stato terapeutico per Neil, che aveva perso di recente la casa per un incendio e soprattutto era triste per la scomparsa dell’ex moglie Pegi, compagna di una vita (ed in giugno il nostro patirà anche la morte dello storico manager Elliot Roberts, al quale Colorado è dedicato), e presenta il classico suono dei dischi incisi con i Crazy Horse.

Un suono forte, potente, chitarristico, magari non troppo rifinito ma intenso e con una buona dose di feeling. C’è però un problema, e non da poco: le canzoni. Infatti in questo album mancano i brani epici che ci si aspetta di trovare quando Neil si mette con i CH, non ci sono né inni né pezzi che hanno le stimmate del futuro classico: le canzoni sono spesso di difficile fruibilità, a volte interiori ed altre volte prive di una linea melodica ben definita, ed inoltre la registrazione in presa diretta non aiuta certo l’ascolto, dato che in più di un momento le parti vocali sono traballanti e perfino stonate (lo erano anche in Tonight’s The Night ma in misura minore, e poi nel mitico album del 1975 il livello delle canzoni era ben altro). Non è un brutto disco, ma neppure bello, e sinceramente non credo che sarà meritevole di ascolti ripetuti. L’album (che esce anche in doppio vinile con allegato un 45 giri contenente l’inedita Truth Kills ed una versione dal vivo di Rainbow Of Colors) inizia sorprendentemente in maniera delicata con Think Of Me, una limpida folk ballad con Neil alla chitarra acustica ed armonica e Nils al pianoforte, ed un suono che sembra più figlio di Harvest che di un qualsiasi album con i Crazy Horse. Il rock entra subito dopo con She Showed Me Love, una cavalcata di quasi 14 minuti dominata dalle chitarre sporche del duo Neil & Nils, una canzone potente ma cupa e priva di una melodia vera e propria, dove non mancano gli assoli a profusione ed un finale quasi ipnotico, ma alla fine il brano non è di facile assimilazione, ed è molto lontano dalle atmosfere “crowd-pleasing” di pezzi come Like A Hurricane, Hey Hey, My My o Powderfinger (ed è anche tirato un po’ per le lunghe).

La cadenzata Olden Days è più canzone, ha una parte di chitarra più lirica ed un motivo accattivante, anche se la traccia vocale di Neil poteva essere migliore. Help Me Lose My Mind è dura e potente, ma Neil parla invece di cantare e la fluidità del brano ne risente, anche se le parti strumentali sono esenti da pecche; Green Is Blue è invece un’oasi pianistica, con un’atmosfera sognante e caratterizzata dalla voce fragile del canadese, mentre Shut It Down è di nuovo dura, rocciosa, ancora con Neil che più che cantare declama, ed il pezzo fa fatica ad emergere. Milky Way, sempre elettrica, è un lento sullo stile di Cortez The Killer, ma qui c’è una parte vocale approssimativa ed uno script che fa un po’ acqua, Eternity non presenta neppure una chitarra, in quanto Young suona il piano e Lofgren…balla il tip-tap (però il brano ha un suo fascino perverso). Finale con la roccata e corale Rainbow Of Colors, che finalmente offre una melodia epica degna del suo autore (il brano migliore, nonostante qualche stonatura vocale), e con la tenue, ed un po’ soporifera, I Do, cantata quasi sottovoce da Neil e con Nils all’organo a pompa. Un discreto ritorno quindi, un lavoro certamente migliore sia di Peace Trail che di The Visitor, ma non il grande disco che mi sarei aspettato, al punto che quando ho finito di ascoltarlo ho voglia di inserire nel lettore Psychedelic Pill o Ragged Glory. E questo vorrà pur dire qualcosa.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Un Boss “Diverso”, Ma Non Privo Di Sorprese! Bruce Springsteen – Bridge School 1986

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Bruce Springsteen – Bridge School, October 13th 1986 – live.brucespringsteen.net/nugs.net CD – Download

Per la penultima uscita della serie di concerti d’archivio di Bruce Springsteen la scelta è caduta su uno show molto particolare, una performance rara e poco conosciuta anche dai collezionisti di bootleg del Boss. Sto parlando della partecipazione del nostro al primo Bridge School Benefit in assoluto, tenutosi nell’Ottobre del 1986 allo Shoreline Amphitheatre di Mountain View in California, serata organizzata da Neil Young con l’allora moglie Pegi per supportare la Bridge School, istituto che si occupa di aiutare i bambini disabili (ricordo che Neil ha due figli affetti da problemi cerebrali), una manifestazione che da allora si è ripetuta per quasi tutti gli anni fino al 2016 e che ha ospitato alcuni tra i migliori artisti del panorama internazionale in performance perlopiù acustiche. Inutile dire che Springsteen era uno degli artisti di punta della serata, ed il nostro ha ripagato il pubblico con una prestazione breve ma intensa (dieci canzoni per un totale di 58 minuti, finora l’unica uscita su singolo CD dell’intera serie dei Live Archives di Bruce), che tra l’altro era il suo primo show dopo la trionfale tournée di Born In The U.S.A., ed il suo primo set acustico degli anni ottanta.

L’inizio del breve concerto è abbastanza strano, con una You Can Look (But You Better Not Touch) cantata a cappella, non il primo brano di Bruce che mi verrebbe in mente per una esecuzione per sola voce (ed infatti il risultato non mi convince molto, anche se il pubblico apprezza). Born In The U.S.A. è in una irriconoscibile versione folk-blues, che se nei futuri tour acustici diventerà familiare, in questa serata del 1986 era alla prima performance in assoluto con questo arrangiamento. Al terzo brano la prima sorpresa, in quanto salgono sul palco Danny Federici alla fisarmonica e Nils Lofgren alla chitarra e seconda voce, e rimarranno fino alla fine: Seeds è più tranquilla rispetto alle versioni elettriche con la E Street Band ma sempre coinvolgente, Dartlington County è vivace anche in questa veste stripped-down, e Mansion On The Hill è come al solito davvero intensa e toccante. Fire è il consueto divertissement, con Bruce che stimola le reazioni del pubblico alternando ad arte stacchi e ripartenze, mentre sia Dancing In The Dark che Glory Days, spogliate dalle sonorità “ruspanti” di Born In The U.S.A., sembrano quasi due canzoni nuove (e la seconda è trascinante anche in questa versione “ridotta”).

Dopo una godibilissima Follow That Dream in chiave folk (brano di Elvis Presley tra i preferiti del nostro), gran finale con il Boss che viene raggiunto nientemeno che da Crosby, Stills, Nash & Young alle voci (Stills e Young anche alle chitarre) per una corale e splendida Hungry Heart, rilettura decisamente emozionante con l’accordion di Federici grande protagonista, degna conclusione di un set breve ma intrigante, le cui vendite frutteranno la cifra di due dollari a copia (o download) da destinare alla Bridge School. Squilli di tromba e rulli di tamburo per la prossima uscita della serie, che si occuperà di quella che è forse la performance più leggendaria di sempre del Boss. Un indizio? Trattasi di un vero “cavallo di battaglia”…

Marco Verdi

Pop Californiano Dalla Louisiana? Si Può! Dylan LeBlanc – Renegade

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Dylan LeBlanc – Renegade – ATO CD

Dylan LeBlanc, originario della Louisiana, è un interessante songwriter attivo dal 2010, che ha già pubblicato tre album nella presente decade. Figlio di James LeBlanc, musicista in proprio a sua volta e sessionman di stanza ai mitici Muscle Shoals Studios (e non di Lenny LeBlanc, cantante degli anni settanta che, insieme a Pete Carr, ebbe un moderato successo con la canzone Falling), Dylan ha però poco da spartire con la musica tipica della sua terra, e con il Sud in generale https://discoclub.myblog.it/2010/08/24/giovani-virgulti-crescono-1-dylan-leblanc-paupers-field/ . Infatti la sua proposta è più vicina a certo pop-rock californiano degli anni settanta (in certi momenti mi fa pensare ai Fleetwood Mac), con melodie orecchiabili ma non banali ed un suono comunque basato sulle chitarre e su ritmi pimpanti e coinvolgenti. Renegade è il titolo del suo quarto album, che conferma il percorso sonoro del nostro ma con qualche passo in avanti sia a livello di composizioni, che sono tutte estremamente gradevoli e riuscite, che di sound, essendosi affidato alle sapienti mani di Dave Cobb. E Cobb, nonostante per una volta non abbia a che fare con sonorità roots (ma vorrei ricordare che in anni recenti ha prodotto anche gruppi come Europe e Rival Sons) se la cava comunque egregiamente, riuscendo a dare ai brani di LeBlanc un deciso feeling anni settanta, avvicinandosi quasi allo stile delle ultime produzioni di Dan Auerbach.

Oltre a Dylan e Dave, che suonano quasi tutte le chitarre e Cobb anche il mellotron, in Renegade troviamo un gruppo ristretto ma capace di musicisti, che comprende James Burgess IV alla chitarra elettrica, Spencer Duncan al basso, Jon Davis alla batteria e Clint Chandler alle tastiere. L’album parte molto bene con la title track, una rock song di ampio respiro, ritmata, elettrica, con una accattivante melodia di presa immediata ed un chiaro sapore seventies: in un mondo perfetto potrebbe addirittura essere un singolo vincente. Born Again è un delizioso pop-rock dal motivo diretto, belle chitarre jingle-jangle ed un altro refrain di quelli che piacciono al primo ascolto: Dylan ha una voce molto melodiosa, quasi femminile, che si sposa molto bene con questo tipo di arrangiamenti. Bang Bang Bang ha un ritmo pulsante ed è piacevole e orecchiabile, decisamente pop nonostante un uso pronunciato delle chitarre (è in pezzi come questo che penso all’ex gruppo di Lindsey Buckingham), Domino è quasi un blue-eyed soul dallo sviluppo sempre diretto, reso più sudista dall’uso del piano elettrico, mentre I See It In Your Eyes è un altro squisito pezzo di quelli dal motivo limpido che piace dopo pochi secondi, con una strumentazione che evoca un certo rock radiofonico del passato (quando in radio non passavano le ciofeche di oggi).

Damned ha una linea melodica che ricorda in parte certe cose di Neil Young, anche se l’accompagnamento è puro power pop, con le chitarre che mordono e la sezione ritmica che non si tira certo indietro; Sand And Stone è uno slow elettroacustico che abbassa un po’ la temperatura, ma Lone Rider è una delle più belle, una ballatona tersa e molto californiana, con piano e chitarre in evidenza ed un retrogusto malinconico. Chiusura con l’intrigante Magenta, altro limpido pop-rock stavolta con un piede negli anni sessanta, e con l’intima Honor Among Thieves, solo voce, chitarra e poco altro, ma con un quartetto d’archi che aggiunge pathos al tutto.  Non lasciatevi trarre in inganno dalle sue origini: Dylan LeBlanc è più californiano di tanti songwriters nati a Los Angeles e dintorni.

Marco Verdi