Una Etnomusicologa Canadese Dalla Voce Sopraffina Per Un Album Eclettico E Di Grande Spessore. Kat Danser – One Eye Open

kat danser one eye open

Kat Danser – One Eye Open – Black Hen Music

Accidempoli, ma questi canadesi non finiscono mai di stupirci: d’altronde qualcosa devono pur fare per scaldarsi da quel freddo “sbarbino” che imperversa dalle loro parti. Prendiamo Kat Danser da Edmonton, stato di Alberta, nel momento in cui sto scrivendo questa recensione la temperatura lassù è a  -12, ma questo non preclude agli indaffarati abitanti della città di indulgere nelle loro attività: per esempio Kat Danser, anzi la dottoressa Danser, visto che ha un master in etnomusicologia e lavori sociali, insegna pure, è una esperta di musica latina, cubana in particolare, grazie ai suoi viaggi in loco, ha realizzato già sei album, vincitrici di svariati premi nelle più disparate categorie e anche candidata ai Juno Awards. Ma quello che conta al di là del CV è la musica che si sprigiona da questi album, il nuovo One Eye Open incluso: un mèlange, un frullato di stili, che includono Mississippi Delta blues da cui si parte. che sfuma in quello di New Orleans, soul e gumbo locali inclusi, profumati ed arricchiti da sfumature molto evidenti di musica cubana e per non farsi mancare nulla anche un po’ di sano R&R https://www.youtube.com/watch?v=gumNFlLnvsc . Se aggiungiamo che la produzione del tutto è stata affidata a Steve Dawson, che da Nashville ha assemblato tutto quello che gli arrivava da Edmonton, Vancouver e Toronto, visto che durante la pandemia non ci si poteva muovere, facendo sembrare il risultato organico e vitale, e regalando anche la sua maestria alle chitarre, spesso in modalità slide, come un novello Ry Cooder, alle tastiere il grande Kevin McKendree, una sezione fiati composta da Dominic Conway, Jeremy Cooke e Malcolm Aiken, ai quali si aggiunge Daniel Lapp, che suona violino, tromba e tenor guitar, e la sezione ritmica con Jeremy Holmes al basso e il bravissimo Gary Craig alla batteria, che ricordiamo con Blackie And The Rodeo Kings e Bruce Cockburn, giusto per citarne un paio.

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Il risultato finale, se non prodigioso, per non fare le solite inutili esagerazioni, è comunque eccellente, con materiale in gran parte originale, con un paio di cover scelte con cura. Way I Like It Done, è un midtempo delizioso, con McKendree che con il suo pianino intrigante, dà poi stura alla slide di Dawson, mentre i fiati imperversano tra blues e moderato R&R e lei canta in assoluta souplesse, come se passasse di lì per caso, ma non fatevi ingannare https://www.youtube.com/watch?v=gqYHEM1mWu4 . E siamo solo all’inizio: Lonely And The Dragon è un “lentone”malinconico, un blues intriso di umori sudisti, con chitarre, organo e fiati che sorreggono in modo robusto il cantato quasi sussurrato di Kat, che porge le 12 battute con garbo e classe senza forzare il suo timbro vocale comunque affascinante https://www.youtube.com/watch?v=dsUeiNJoXCw , poi ci trasporta con la cover di Bring It With You When You Come di Gus Cannon nel blues arcano degli anni ‘20, però quelli del secolo scorso, con chitarrine accarezzate, fiati e ritmi discreti, lei che gigioneggia appena il giusto, perché il brano lo richiede, ma è pronta a tuffarsi nel R&B ribaldo di Frenchman Street Shake, quando i suoi musicisti alzano i ritmi, la voce si fa più limpida e scherzosa, la solita chitarra slide di Dawson volteggia, la ritmica si fa più complessa e coinvolgente, i fiati sempre più coinvolti e non mancano dei tocchi latini https://www.youtube.com/watch?v=GJ_cFtJ5Abk .

kat danser one eye open 2

steve dawson photo

steve dawson photo

Get Right Church è l’altra cover, dal repertorio di Jessie Mae Hemphill, una delle regine pellerossa del blues del secolo scorso, grande brano, cantato con passione e “anima”, nel quale lentamente andiamo sulle rive del Mississippi, sempre grazie al lavoro essenziale delle chitarre di Dawson, doppiato anche da un assolo di trombone https://www.youtube.com/watch?v=buW1IoxqpKI ; non dico che One Eye Closed viri addirittura verso il punk come qualcuno ha detto, ma la Danser in questa canzone si infervora e si arrochisce, il rock’n’roll raggiunge quasi una intensità alla Patti Smith dei tempi che furono, assolo tiratissimo della solista incluso, si chiude un occhio ma l’altro è decisamente aperto https://www.youtube.com/watch?v=gumNFlLnvsc . Ottima anche Trainwreck, altra canzone dai tempi mossi dove rock (delle radici) e blues, incrociano le loro traiettorie, con Dawson che aggiunge il solito tappeto sonoro per le evoluzioni vocali, misurate ma impetuose della brava Kat https://www.youtube.com/watch?v=dtkLZZ7dh4Y ; Please Don’t Cry è una struggente ballata, con qualche tocco country, grazie all’uso del violino di Lapp, ma senza mai dimenticare blues e anche un pizzico di jazz notturno e demodé https://www.youtube.com/watch?v=gXkI1ggLKW0 . Molto bella anche End Of Days, dove blues e canzone d’autore convergono sulla melodia superba del brano, con assolo di organo strappamutande di McKendree che sottolinea il cantato soave della Danser, che mi ha ricordato quasi la Christine McVie dei tempi d’oro https://www.youtube.com/watch?v=7RsUAa-AONM . E last but not least Mi Corazon, convoglia pulsioni cubane, tex-mex, dolci trasporti amorosi a tempo di valzer e carezzevoli sentimenti tutti insiti nella voce leggiadra di Kat https://www.youtube.com/watch?v=kjbIOehnz2Q . Well Done Mrs, Danser.

Bruno Conti

Ieri Se Ne E’ Andato Anche Dr. John A.k.a. Mac Rebennack 1941-2019 R.I.P.

Dr. John Bruce Weber

Dr. John Photo Bruce Weber

Dopo una tregua che durava da qualche tempo sono riprese le morti eccellenti.Ieri ci ha lasciati purtroppo anche Dr. John: aveva 77 anni, nato a New Orleans, si è spento per un infarto: qui sotto potete leggere quello che avevo scritto alla fine del 2017 su di lui.in relazione ai suoi anni migliori a livello musicale.

dr. john atco alnum collection

Dr. John – The Atco Albums Collection: Prima Che Sia Troppo Tardi!

Dr. John, a.k.a Mac Rebennack, è stato sicuramente uno dei musicisti più importanti generati dalla scena di New Orleans: rimanendo in un ambito contemporaneo, e senza tornare troppo indietro nel tempo, lo si può accostare a Professor Longhair, Fats Domino (e forse James Booker), tra quelli in azione dagli anni ’50, Allen Toussaint, la famiglia Neville, sia come Meters che come Neville Brothers, probabilmente anche Irma Thomas (nel passato Jelly Roll Morton, Sidney Bechet e Louis Armstrong, ma anche Mahalia Jackson, tanto per non fare nomi), fino ad arrivare ai vari Marsalis, la Dirty Dozen Brass Band, i Radiators tra i bianchi, Trombone Shorty e così via, ne ho dimenticati sicuramente molti. Ma Dr. John è certamente uno di quelli che meglio è riuscito a fondere le radici jazz e blues, con il R&B e il soul, il rock, il boogie woogie, in modo magistrale nel Gumbo: la sua carriera discografica, per certi versi parte tardi, il suo primo album solista è del 1968, quando Rebennack aveva già 28 anni, ma poi è stata ricca e feconda, con tantissimi dischi pubblicati negli anni, e a livello di ristampe del  suo catalogo è sempre stata servita discretamente bene. Gli album principali sono raccolti nel boxettino economico della Original Album Series, tuttora in produzione, che ne riporta 5 dei primi 6 (manca solo Remedies)e anche gli album singoli sono stati spesso editi in passato in edizione singola, anche se attualmente la maggior parte non sono reperibili facilmente, per usare un eufemismo.

Dr. John – The Atco Albums Collection 7 CD Warner/Rhino

Quindi questo cofanetto della Rhino che raccoglie i sette dischi del periodo Atco, quello migliore, cade proprio a fagiolo, prima che sia troppo tardi , per una volta si festeggia la carriera di un grande da vivo ((ora non più, purtroppo): ci sono Gris – Gris, Babylon, Remedies, The Sun Moon & Herbs, Dr. John’s Gumbo, In The Right Place, Desitively Bonaroo, tutti di elevato valore qualitativo con la punta di eccellenza di Gumbo, per molti il suo capolavoro assoluto. Sono usciti, con cadenza abbastanza regolare, nel periodo che va dal 1968 al 1974, vediamoli, abbastanza velocemente., ma non troppo. I primi tre escono come Dr. John, “The Night Tripper”, lo pseudonimo adottato agli inizi, quando si presentava visivamente come un incrocio tra Screamin’ Jay Hawkins con i suoi copricapi eccentrici, un santone voodoo e qualche personaggio del Mardi Gras, mentre musicalmente fondeva il R&B di New Orleans con rock psichedelico e qualche abbondante spruzzata di jazz molto personalizzato: Gris-Gris, registrato nel 1967, esce a gennaio del 1968, prodotto da Harold Battiste, una delle leggende della scena locale, e usando una pattuglia di musicisti della Crescent City che avevano tutti il prefisso Dr. nel nome, a parte Bob West, che era Senator, all’inizio non fu accolto molto bene a livello critico, ma poi, grazie anche alla presenza di  una “misteriosa” I Walk On Guilded Sprinters (di cui ricordiamo, tra le tante, le versioni poderose degli Humble Pie e di Paul Weller) ma anche Gris-Gris Gumbo Ya-Ya che introduceva in pochi tratti il suo personaggio, tra ritmi tribali e voodoo jazz, Mama Roux, una sorta di ondeggiante boogaloo (come lo chiamò Ahmet Ertegun, il presidente della Atlantic, che non voleva pubblicare l’album), o Danse Frambeaux ,tutte firmate Dr. John Creaux, e che definire bizzarre ed avventurose significa non fargli torto; tradotto, l’ascolto non è facilissimo.

Babylon, il secondo album, esce un anno esatto dopo, stesso produttore, qualche nuovo musicista, e lo stesso Dr. John che si esibisce anche alla chitarra, i tempi musicali sono sempre abbastanza strani, ma il R&B è più accentuato, per esempio nell’iniziale title-track o nella mossa Glowin’, con sonorità a tratti zappiane o alla Captain Beefheart, per la voce particolare, roca e vissuta di Rebennack; Black Widow Spider è rock psichedelico, come anche The Lonesome Guitar Strangler, mentre la lunga Twilight Zone, ha degli elementi del futuro Dr. John balladeer confidenziale.

Remedies del 1970 è l’ultimo disco come Night Tripper, prodotto da Tom Dowd e Charles Greene, contiene la lunghissima Angola Anthem, ispirata da una brutta esperienza nella celebre prigione americana, un brano dove le percussioni di Jessie Hill giocano un ruolo molto importante, con il sound che ruota intorno a un classico chitarra, basso e batteria, molto funky e continui cambi di tempo, mentre il piano è assente; in Loop Garoo, What Goes Around Comes Around, Wash, Mama, Wash, e Chippy Chippy già impera il classico suono di Dr. John, tipicamente New Orleans, mentre la lunga Mardi Gras Day è più frammentaria.

Un disco di transizione, prima di arrivare a The Sun, Moon & Herbs l’album del 1971, dove ci sono i Memphis Horns in tre brani e i fiati anche in altri pezzi, ma pure moltissimi i musicisti impiegati, tra cui nomi celeberrimi come Eric Clapton alla chitarra in molti pezzi, che si porta dietro altri componenti di Derek And The Dominos, Mick Jagger alle armonie vocali, ma pure Bobby Whitlock e Doris Troy, il suono è molto espansivo e brani come la complessa Black John The Conqueror, la deliziosa Where Ya At Mule, il voodoo blues di Caney Crow, il puro New Orleans sound di Familiar Reality e Pots On Fiyo, sono gli antenati del sound di Meters e Neville Brothers, mentre la “funerea” Zu Zu Mamou è più dispersiva. Il disco arriva ben al 184° posto delle classifiche e fa da apripista per quello che per molti forse è il suo capolavoro assoluto.

Dr. John’s Gumbo, il disco del 1972 che è un tuffo nella tradizione musicale della sua città natale, composto tutto (meno un pezzo a firma Mac Rebennack) da brani classici come Iko Iko, trascinante e con fiati e voci femminili di supporto scatenate, mentre il Dottore lavora di fino sulla tastiera del piano, e poi Blow Wind Blow di Huey Piano Smith, Big Chief un brano, anche fischiettato, di Earl Gaines, dove si apprezza l’organo di Ronnie Barron; c’è anche Somebody Changed The Lock del “Dottore”, che è una anticipazione di Such A Night o Right Place, Wrong Time, per non dire di Let The Good Times Roll, Junco Partner, Stack-A-Lee e pure Tipitina, ma vi sfido a trovare un brano scarso.

Come pure nel successivo In The Right Place, uscito nel 1973, che fu il suo disco di maggiore successo, ben 33 settimane nelle classifiche di Billboard, per il sottoscritto anche il suo suo migliore, un disco dove suonano Allen Toussaint, che è anche il produttore, i Meters, Ralph McDonald, David Spinozza, e una sezione fiati guidata da Gary Brown: la trascinante Right Place, Wrong Time, con l’assolo di Spinozza https://www.youtube.com/watch?v=fvxJxLwGOMI , Same Old Same Old, e ancora Life, firmata da Toussaint, Such A Night (che nella versione del grande fan italiano di Dr. John, Renzo Arbore, diventerà Smorza ‘è Lights), ma pure la ballata Just The Same, la super funky I’ve Been Hoodood (su cui Willy De Ville ha costruito mezza carriera, l’altra metà è grande rock), e che dire del R&B di Qualified, insomma non c’è un brano scarso, neppure a cercarlo con il lanternino.

Conclude il periodo Atco Desitively Bonnaroo il disco del 1974, che è non è affatto un brutto album, anzi, ma confrontato con i due precedenti non può reggere il paragone: Allen Toussaint e i Meters sono ancora in pista, le registrazioni avvengono sempre tra i Criteria Studios di Miami e i Sea-Saint Recording di New Orleans, l’atmosfera trasuda come al solito Funky e il tipico Gumbo sound di Dr. John, non ci sono “classici”, però i buoni brani non mancano: Quitters Never Win, una sorta di James Brown perduto, Stealin’ e What Comes Around (Goes Around) due discrete funky tunes, la ballata pianstica Me –You – Loneliness, sulla stessa lunghezza d’onda del cittadino onorario di NOLA Randy Newman o l’incalzante Mos’Scocious, che diventerà il titolo di una sua antologia del 1993 e ancora le deliziose e contagiose Let’s Make A Better World e Sing Along Song, come pure la ballata gospel-country Go Tell The People e altri brani del CD.

Insomma, per cinque euro scarsi a CD direi che questo cofanetto s’ha da avere, sia se non possedete nulla di Dr. John, ma anche se ve ne manca solo qualcuno di quelli contenuti in questo Box. Ed avrete un souvenir sonoro indelebile di uno dei più grandi musicisti della scena di New Orleans. Riposa in pace Mac!

Bruno Conti

Rock, Blues E Tanta Chitarra Slide, Da New Orleans Alla Toscana Con Molta Classe! Luke Winslow-King – Blue Mesa

luke winslow-king blue mesa

Luke Winslow-King – Blue Mesa – Bloodshot Records

Lo avevamo lasciato un paio di anni fa, prostrato dagli effetti della sua separazione con la ex moglie Esther Rose King (un matrimonio durato peraltro solo due anni, non per minimizzare) che aveva però prodotto  I’m Glad Trouble Don’t Last Always, il suo quinto album, e terzo per la Bloodshot, nonché il suo migliore in assoluto, proprio incentrato quasi completamente “sulle pene dell’amor perduto”, almeno a livello testuale, mentre a livello musicale lo spettro si era ulteriormente ampliato da quella sorta di vintage blues-folk-jazz-ragtime delle prime prove, ad una roots music di eccellente fattura, con ballate cantautorali sopraffine che si alternavano a blues-rock anche feroci e ferali, grazie al fondamentale apporto della chitarra solista, quasi sempre in modalità slide, del prodigioso strumentista italiano Roberto Luti https://discoclub.myblog.it/2016/10/06/sempre-debbono-soffrire-le-pene-damor-perduto-se-il-risultato-luke-winslow-king-im-glad-trouble-dont-last-always/ . Entrambi cittadini onorari di New Orleans, la città della Louisiana dove Winslow-King si era trasferito nel 2002, all’età di 19 anni, per passare un semestre all’università, e poi lì è rimasto per 15 anni, fino a poco tempo fa, quando ha deciso di tornare nella natia Cadillac, nel Michigan. Ma la musica di New Orleans ovviamente continua  a scorrere nelle vene di Luke, innervata da moltissimi rivoli di altri stili musicali che fanno di Winslow-King uno dei migliori eredi, per esprimere un parere personale, già esplicitato nella precedente recensione, del Ry Cooder degli anni ’70, che comunque è tornato in quella forma sonora, con il nuovo album intitolato, non a caso, The Prodigal Son, e che esce negli stessi giorni di questo Blue Mesa.

Il disco di Luke Winslow-King è stato registrato a Lari, una piccola frazione di Casciana Terme in Toscana, dove Luti ha il suo studio di registrazione: visto che la recensione viene scritta in anticipo sull’uscita del disco, le informazioni sono frammentarie e quindi cerco di integrarle con pareri personali (come andrebbe sempre fatto), perché ognuno nei dischi che ascolta ci sente cose e sensazioni diverse. E quindi se nell’iniziale, bellissima, You Got Mine, scritta con la recentemente scomparsa “Washboard” Lissa Driscoll (una musicista locale che era una sorta di piccola leggenda a New Orleans, amica di Luke e compagna di vita in passato di Luti, e a cui è dedicato l’album) https://www.youtube.com/watch?v=Hwv-jzT_BYU , qualcuno ci ha visto tocchi di Paul Simon e Robert Cray, per il sottoscritto il brano è una suadente ballata deep soul/blues targata Memphis/Muscle Shoals (e quindi Cray ci può stare), attraversata dalle pennellate dell’organo di Mike Lynch (all’opera con Bob Seger, Whitey Morgan e già presente nell’ultimo CD), con l’ottimo Chris Davis alla batteria (che suonava con King James And The Special Men, una delle migliori band di NOLA), da deliziosi interventi vocali e dalle chitarre splendide di Luti e Winslow-King, che pure lui non scherza alla slide, quindi tutti ottimi musicisti, come usava anche Ryland ai tempi d’oro. Se vogliamo cercare il pelo nell’uovo, forse il nostro Luke non ha una voce memorabile, ma comunque molto espressiva e porta con garbo e ricca di una profonda frequentazione con la musica del Sud, sia essa blues, soul o roots-rock.

Come nella vigorosa Leghorn Women, uno swamp-boogie-rock che rimanda ad un’altra band che faceva una sapiente miscela del meglio del rock americano come i Little Feat, oppure di nuovo le derive Stax soul della title-track che narra di una relazione che finisce (forse non ha superato del tutto i suoi dolori amorosi), con una musica malinconica ed evocativa che ricorda proprio il miglior Cooder anni ’70, impegnato con la musica nera vista da un’ottica da “bianco”, di nuovo con magica slide in azione. O ancora nella vibrante Born To Roam, un bel rock and roll dalle melodie ariose, dove si intravede un Tom Petty in trasferta in Louisiana, e pure Better For Knowing You continua il filotto di ottime canzoni, questa volta uno slow malinconico e dalle atmosfere carezzevoli, sempre suonato con sapienza dal gruppo che accompagna il nostro amico. Thought I Heard You, con il suo riff sincopato e la slide tangenziale, è un altro blues-rock di ottimo valore, che ricorda il Sonny Landreth più energico, notevole anche la delicata ballata Break Down The Walls, che mischia con maestrai soul, gospel e stile cantautorale, con una slide sempre evocativa ad elevarne ulteriormente il valore.

Chicken Dinner aggiunge anche dei fiati sincopati al già ampio menu sonoro, per un brano laidback e profondamente sudista nel suo andamento volutamente pigro e vintage nell’atteggiamento, ma mosso e vivace nella realizzazione, con intrecci di chitarre da antologia. After The Rain è un altro brano che poteva venire solo dal melting pot di suoni della Crescent City, tra voci suadenti, chitarre accarezzate, come anche l’organo e la sezione ritmica discreta, per una canzone che, questa volta sì, mi ha ricordato il Paul Simon più ispirato. Per chiudere, giustamente, troviamo Farewell Blues, dove un violino malandrino aggiunge un ulteriore tocco raffinato alle 12 battute classiche ma non convenzionali di questo ottimo musicista che risponde al nome di Luke Winslow-King, uno dei talenti più interessanti del sottobosco musicale americano. Da scoprire, se non l’avete già fatto.

Bruno Conti

Dagli Archivi Inesauribili Di Johnny Winter, Una Serata Con Dr. John. Live In Sweden 1987

Johnny Winter Dr. John Live in Sweden

Johnny Winter with Dr. John – Live In Sweden 1987 – MVD Entertainment Audio

Non è per le Bootleg Series, che pure dopo la scomparsa di Johnny Winter continuano imperterrite ad uscire, e sono giunte al capitolo 12, sempre prive di qualsivoglia informazione, e neppure proviene dalla benemerita serie di concerti del Rockpalast, il cui archivio nel caso dell’albino texano era già stato intaccato più di una volta. Ma con i Live tedeschi condivide la provenienza televisiva: e nonostante l’ennesima etichetta che pubblica questo Live In Sweden 1987, tale MVD Audio, come dice il titolo dell’album, si sa dove è stato registrato, e almeno l’anno in cui è stato inciso (anche se in rete si ricava che siamo in gennaio, ai Sonet Studios di Stoccolma, davanti ad un non numeroso, ma entusiasta, pubblico ad inviti). Non solo, il CD (o il DVD, perché esiste anche in quella versione, con un pezzo in più, registrato nel 1972 e di qualità pessima) ci informa anche sul nome dei musicisti; oltre al solito John Paris, al basso ed armonica e Tom Compton alla batteria, abbiamo il co-protagonista della serata, Dr. John, piano e voce, che porta una ventata di New Orleans sound al classico rock-blues del grande chitarrista americano. E il tutto, e non guasta, con una qualità sonora eccellente (quella video un po’ meno, diciamo televisiva, ma comunque decisamente buona), oltre al fatto che il repertorio è abbastanza inconsueto rispetto ad altri concerti dal vivo usciti nelle serie citate e nella sterminata quantità di album Live ufficiali pubblicati durante, e dopo, la lunghissima carriera di Winter.

https://www.youtube.com/watch?v=Jsg2P3kLUpc

A volere essere proprio pignoli (ma è giusto informare) il materiale era già uscito in un DVD del 2010 intitolato Live Through The 80’s, dove erano riportati tutti questi brani e altri pezzi registrati appunto negli anni ’80. Appurato tutto ciò, comunque il concerto è notevole, Winter è ancora in gran forma, suona sempre la chitarra come posseduto dal Dio del Blues ( e del rock), canta benissimo e nei sette brani (tutti piuttosto lunghi, un paio oltre i 10 minuti) che compongono il dischetto ci dimostra ancora una volta perché nel genere è stato uno dei più grandi di sempre: dall’iniziale Sound The Bell, che era sul disco della Alligator del 1985 Serious Business, un poderoso rock-blues dove il sinuoso basso di Paris e l’agile drumming di Compton sostengono abilmente il solismo vorticoso di un Johnny Winter in grande spolvero, si capisce subito che siamo capitati in una serata di grazia, il nostro non sembra in preda ai fiumi dell’alcol e o di altre sostanze, come è capitato in precedenti occasioni, e lascia fluire le note dalla sua chitarra con una classe ed una scioltezza sempre invidiabili. A seguire una lunghissima Don’t Take Advantage Of Me, tratta da Guitar Slinger, un pezzo dalle sonorità quasi hendrixiane o alla Cream, citazioni di Sunshine Of Your Love incluse, con Winter che estrae dalla solista un fiume inarrestabile di note. A conferma che il concerto era incentrato sul materiale dell’epoca, anche il terzo brano, Mojo Boogie, un pezzo di JB Lenoir, viene da Third Degree, il CD Alligator del 1986 che vedeva presente proprio Dr. John come ospite.

Mac Rebennack che peraltro fino a questo punto non si è visto né sentito, ma in Mojo Boogie Johnny estrae il suo bottleneck per una dimostrazione della sua quasi indiscussa supremazia nell’arte della slide guitar, e anche Paris alla armonica dà una mano allo spirito blues del pezzo. Finalmente per You Lie Too Much, che è proprio un brano a firma Rebennack, Winter introduce sul palco “Dr. John The Night Tripper” e l’alchimia tra i due funziona subito alla grande, con il piano assoluto protagonista della canzone e anche la voce dell’artista di New Orleans non è ancora quella di oggi, rotta da mille battaglie, ma appare viva e pimpante (la traccia uscirà poi sul disco di Winter Let Me In del 1991). Notevole anche Sugar Sweet un vecchio brano di Muddy Waters, cantato a due voci, e con le mani di Dr. John che volano sulla tastiera. Di nuovo il Dottore grande protagonista in una strepitosa Love Life And Money, sempre da Third Degree, ma tutti e due si scambiano energia in questo gagliardo slow blues, prima di lanciarsi in una vorticosa Jumpin’ Jack Flash, il pezzo degli Stones, oltre dieci minuti di puro e libidinoso rock’n’roll a denominazione di origine controllata, che conclude alla grande questa ottima serata. Gran bel concerto.

Bruno Conti