Il Nebraska Di Michael C. Taylor? Hiss Golden Messenger – Bad Debt

hiss golden messenger bad debt

Hiss Golden Messenger – Bad Debt – Paradise Of Bachelors (Deluxe edition) 2014

Il primo (?) disco uscito con la sigla Hiss Golden Messenger, Poor Moon del 2012 (anche in questo caso la data è abbastanza aleatoria, perché come in quasi tutte le pubblicazioni con questa sigla, ne era uscita, sul finire del 2011, una versione limitata a 500 copie in vinile), era rientrato in ogni caso tra i miei preferiti di fine anno http://discoclub.myblog.it/2012/05/17/piccoli-dischi-di-culto-hiss-golden-messenger-poor-moon/  e anche il successivo Haw, per quanto un filo inferiore, si era posizionato tra gli outsiders più interessanti del 2013. Come si sarà intuito, Michael C.Taylor, che usa da alcuni anni la sigla Hiss Golden Messenger per le sue uscite discografiche, è un tipo prolifico, forse anche un tantino pignolo, e ogni disco prima di vedere la luce ha una serie di “predecessori”, chiamiamoli così.

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La genesi di Poor Moon, e alcune delle prima stesure acustiche di molti brani poi arrangiati e rivisti in modo più complesso in quel disco (e anche in Haw), origina proprio dalle versioni lo-fi realizzate per Bad Debt, un album di registrazioni effettuate su cassetta, nella sua cucina, nell’inverno del 2009, nella freddissima Carolina del Nord, mentre il figlio appena nato di Michael dormiva nella stanza accanto, brani quasi sussurrati per non disturbare il pargolo, ma proprio per questo affascinanti per la spiritualità semplice e gentile che li caratterizza. Come tutti gli album di “culto” che si rispettano anche questo ha una storia particolare: pubblicato nel 2010, in una edizione limitata in CD e poi vinile (nel 2011 tre tirature da 100 copie ciascuna, è nromale?), le copie circolanti vennero distrutte in un incendio nel magazzino della casa discografica dove erano stoccate, durante un incendio per i disordini di Londra di quell’anno. Sei dei nove brani compresi in quella prima edizione sono poi stati registrati nuovamente per i due album successivi, ma evidentemente queste versioni bucoliche e spartane, à la Springsteen di Nebraska per intenderci, anche come qualità sonora, secondo il loro autore meritavano di essere conosciute dal pubblico che aveva apprezzato le sue opere successive, così complesse e cangianti, nel loro “country got soul”, per dargli una etichetta, assai personalizzato.

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La nuova versione, con autoironia definita “Deluxe”, aggiunge altre tre tracce alle nove originali, ma non cambia il mood sonoro, molto raccolto ed affascinante, dell’intera operazione. Se devo essere sincero, preferisco il suono più “espansivo” dei dischi successivi, e quindi non condivido del tutto l’entusiasmo, persino eccessivo, soprattutto della stampa inglese, per questa operazione minimale, ma non posso neppure negare il fascino che emana da queste registrazioni, solo voce e chitarra, l’ambiente della stanza, una piccola eco di tanto in tanto, il soffio (Hiss) del nastro, la voce calda e partecipe di M.C., le belle melodie dei brani, che già si apprezzano anche in queste prime stesure. La voce mi ricorda sempre un incrocio tra il Johnny Rivers “morrisoniano” dei primi ’70, Jim Croce e un James Taylor dalle tonalità più basse: Balthazar’s Song è bella quasi come la sua controparte elettrica http://www.youtube.com/watch?v=91Vm2239uao , No Lord Is Free con la sua lunga introduzione a base di vocalizzi, ha qualche lontana parentela con le litanie acustiche di un Crosby o di un Nick Drake meno rassegnato e malinconico, con alcuni tocchi blues, Bad Debt, la title-track http://www.youtube.com/watch?v=NNNNPGCAT_Y , nella costruzione sonora, anche grazie all’eco naturale dell’ambiente in cui è stata creata, può ricordare i suoni dei cantautori west-coastiani, di cui Taylor è diretto discendente, vista la sua provenienza dalla Southern California, e il fatto che il primo gruppo con l’amico Scott Hirsch si chiamasse The Court And The Spark.

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Anche la “spirituale” O Little light (pure lei presente in versione rivisitata su Poor Moon), con un lavoro leggermente più intricato della chitarra acustica, ricorda le sonorità più scarne dei primi Bonnie Prince Billy e Bill Callahan o del Neil Young in veste acustica. Insomma, per dirla francamente, non è poi che succeda molto in questi brani, buoni sentimenti, religiosità, ecologia e amore per la famiglia, vanno di pari passo con un suono che prende spunto tanto dal folk quanto dai cantautori seventies, quando in Straw Men Red Sun River Gold l’eco nella voce di Michael Taylor si fa più marcata è quasi un piccolo evento. L’amara The Serpent Is Kind (Compared To Man) http://www.youtube.com/watch?v=mMRPzZQhtNo , ripresa poi su Haw, ha una andatura “leggermente” più mossa. Senza stare a citarle tutte, Call Him Daylight ha un suono country-blues più sospeso e minaccioso rispetto agli altri brani, mentre le “nuove” Far Bright Star, mai apparsa prima, la biblica Roll River Roll e la già citata Call Him Daylight, si inseriscono senza problemi nel tessuto sonoro dell’album. Soprattutto ideale per giornate uggiose e “scure” come quella in cui lo sto recensendo, ma comunque affascinante nello svelare il percorso iniziale di un musicista che potrebbe riservarci altre soddisfazioni in futuro: l’essenza della musica folk in attesa di ulteriori sviluppi.

Bruno Conti  

Cofanetti Pre (Quasi Tutti) E Post Natalizi III Parte. Fleetwood Mac, Leo Sayer, Yes, Nick Drake, Creedence Clearwater Revival

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Proseguiamo  la disamina dei cofanetti già usciti o di prossima pubblicazione in questa fine anno 2013, vi annuncio fin d’ora che ci sarà una quarta parte, visto che il materiale è molto!

Questo box dei Creedence Clearwater Revival senza nome, in 6 CD, non è altro che la ristampa, pari pari, a parte la veste grafica di quest’altro cofanetto:

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uscito nel 2001 quando la Fantasy records era distribuito dal gruppo Warner, ora fa parte della Concord e quindi della Universal, quale occasione migliore del periodo natalizio per rendere nuovamente disponibile questo, peraltro bellissimo, cofanetto? Magari dicendo agli aquirenti che si stanno ricomprando non una versione riveduta e corretta dello stesso (visto che nel frattempo tutti i singoli album sono usciti rimasterizzati e potenziati da varie bonus tracks) ma lo stesso identico pubblicato nella prima parte degli anni 2000. Ripeto, ottimo, in 6 CD praticamente contiene tutta la discografia completa dei Creedence in ordine cronologico, a partire dai singoli incisi come Tommy Fogerty & The Blue Velvets e dai brani èubblicati come Golliwogs e poi a seguire tutta la discografia:

Creedence Clearwater Revival, Bayou Country, Green River, Willy & The Poor Boys, Cosmo’s Factory, Pendulum, Mardi Gras, The Concert e Live In Concert, ovviamente, come detto, senza tutte le bonus inserite nei vari album ufficiali. Ma a poco più di 50 euro mi sento comunque di consigliarlo a tutti, se già non lo avete, assolutamente indispensabile (meno Mardi Gras, forse, se volete acquistarli sciolti)! Esce il 3 dicembre.

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Anche questo è la ristampa di un cofanetto già uscito in precedenza (si trovavano anche i tre CD divisi), la copertina originale era questa:

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il titolo da The Boston Box è diventato semplicemente Boston, ma sempre lui è, uno splendido triplo album che raccoglie i concerti tenuti dai Fleetwood Mac di Peter Green (e Danny Kirwan, Jeremy Spencer, John McVie, Mick Fleetwood) al Boston Tea Party il 5, 6 e 7 luglio del 1970. E come ho detto più volte in passato (questo pubblicato in occasione della ristampa di Then Play On lo trovate qui http://discoclub.myblog.it/2013/08/10/torna-uno-dei-dischi-storici-del-rock-anni-70-fleetwood-mac/. Se ve lo siete lasciato sfuggire al primo giro non commettete di nuovo questo errore, il gruppo in quell’anno non aveva nulla da invidiare agli Allman Brothers o a Jimi Hendrix o a Derek The Dominos o a chiunque vi venga in mente, una formazione formidabile e un album dal vivo incredibile.E’ già disponibile su etichetta Madfish dal 29 ottobre, ad un prezzo tra i 25 e i 30 euro. Provare per credere!

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Anche per gli Yes trattamento opera omnia, almeno per gli album di studio del periodo Atlantic/Warner. Il cofanetto si chiama The Studio Albums 1969-1987 ed in 12 CD raccoglie il meglio della formazione di Jon Anderson, Steve Howe, Chris Squire, Rick Wakeman, Bill Bruford, Alan White, Tony Kaye, Peter Banks (recentemente scomparso) e tutti gli altri che hanno fatto parte del gruppo in questo periodo. Il sottoscritto li ha visti dal vivo all’epoca d’oro http://www.youtube.com/watch?v=Vd4jeeu90Rk e vi posso assicurare che erano un grandissimo gruppo. Comunque soprattutto la prima parte della discografia contiene alcuni albums di grande spessore che smentiscono tutte le critiche che sono state fatte al loro progressive rock nel corso degli anni: Yes Album, Fragile e Close To The Edge non possono mancare in nessuna discoteca che si rispetti, checché vi possano dire critici puristi e nemici delle lunghe improvvisazioni (ogni tanto prolisse, ma tanto piacevoli, lo ammetto, e poi suonavano! Ve lo dice uno che ama Van Morrison, Springsteen, Hendrix, Beatles, Stones e Co., ma non solo!). Il Box che costerà pochissimo come tutti gli altri di questa serie uscirà il 3 dicembre per la Rhino/Warner e conterrà questi dischi: ‘Yes’, ‘Time and a Word’, ‘The Yes Album’, ‘Fragile’, ‘Close to the Edge’, ‘Tale from Topographic Oceans’, ‘Relayer’, ‘Going for the One’, ‘Tormato’, ‘Drama’, ‘90125’ and ‘Big Generator’.Tutti nelle versoni rimasterizzate e con 66 bonus tracks rispetto agli albums originali, take a look  http://www.youtube.com/watch?v=Xql99I1VSdI:

YES
1. Beyond And Before
2. I See You
3. Yesterday And Today
4. Looking Around
5. Harold Land
6. Every Little Thing
7. Sweetness
8. Survival

BONUS TRACKS
9. Everydays (Single version)
10. Dear Father (Early version #2)
11. Something’s Coming
12. Everydays (Early version)
13. Dear Father (Early version #1)
14. Something’s Coming (Early version)

TIME AND A WORD
1. No Opportunity Necessary, No Experience Needed
2. Then
3. Everydays
4. Sweet Dreams
5. The Prophet
6. Clear Days
7. Astral Traveller
8. Time And A Word

BONUS TRACKS
9. Dear Father
10. No Opportunity Necessary, No Experience Needed (Original mix)
11. Sweet Dreams (Original mix)
12. The Prophet (Single version)

THE YES ALBUM
1. Yours Is No Disgrace
2. Clap
3. Starship Trooper
4. I’ve Seen All Good People
5. A Venture
6. Perpetual Change

BONUS TRACKS
7. I’ve Seen All Good People: Your Move (Single Version)
8. Starship Trooper: Life Seeker (Single Version)
9. Clap (Studio Version)

FRAGILE
1. Roundabout
2. Cans And Brahms
3. We Have Heaven
4. South Side Of The Sky
5. Five Per Cent For Nothing
6. Long Distance Runaround
7. The Fish(Schindleria Praematurus)
8. Mood For A Day
9. Heart Of The Sunrise

BONUS TRACKS
10. America
11. Roundabout (Early rough mix)
yes close to the edge cd-dvda

Questo è uscito anche nella version CD+DVDA curata da Steven Wilson dei Porcupine Tree, senza tutte le bonus, a parte un paio, ma con un suono stratosferico per gli amanti dell’hi-tech!

CLOSE TO THE EDGE
1. Close To The Edge
i. The Solid Time Of Change
ii. Total Mass Retain
iii. I Get Up I Get Down
iv. Seasons Of Man
2. And You And I
i. Cord Of Life
ii. Eclipse
iii. The Preacher The Teacher
iv. Apocalypse
3. Siberian Khatru

BONUS TRACKS
4. America (single version)
5. Total Mass Retain (single version)
6. And You and I (alternate version)
7. Siberia (studio run-through of “Siberian Khatru”)

TALES FROM TOPOGRAPHIC OCEANS
1. The Revealing Science Of God / Dance Of The Dawn
2. The Remembering / High The Memory
3. The Ancient / Giants Under The Sun
4. Ritual / Nous Sommes Du Soleil

BONUS TRACKS
5. The Revealing Science of God (Dance of the Dawn) (With original introduction restored)
6. The Remembering (High the Memory)
7. The Ancient (Giants Under the Sun)
8. Ritual (Nous sommes du soleil)
9. Dance of the Dawn (Studio run-through)
10. Giants Under the Sun (Studio run-through)

RELAYER
1. The Gates Of Delirium
2. Sound Chaser
3. To Be Over

BONUS TRACKS
4. Soon (Single edit)
5. Sound Chaser (Single edit)
6. The Gates of Delirium (Studio run-through)

GOING FOR THE ONE
1. Going For The One
2. Turn Of The Century
3. Parallels
4. Wonderous Stories
5. Awaken

BONUS TRACKS
6. Montreux’s Theme
7. Vevey (Revisited)
8. Amazing Grace
9. Going for the One (Rehearsal)
10. Parallels (Rehearsal)
11. Turn of the Century (Rehearsal)
12. Eastern Number (Early version of Awaken)

TORMATO
1. Future Times / Rejoice
2. Don’t Kill The Whale
3. Madrigal
4. Release, Release
5. Arriving UFO
6. Circus Of Heaven
7. Onward
8. On The Silent Wings Of Freedom

BONUS TRACKS
9. Abilene (B-side to “Don’t Kill the Whale”)
10. Money
11. Picasso
12. Some Are Born
13. You Can Be Saved
14. High
15. Days
16. Countryside
17. Everybody’s Song
18. Onward (Orchestral version)

DRAMA
1. Machine Messiah
2. White Car
3. Does It Really Happen?
4. Into The Lens
5. Run Through The Light
6. Tempus Fugit

BONUS TRACKS
7. Into the Lens (Single release)
8. Run Through the Light (Single release)
9. Have We Really Got to Go Through This
10. Song No. 4 (Satellite)
11. Tempus Fugit (Tracking session)
12. White Car (Tracking session)
13. Dancing Through the Light (Paris Sessions)
14. Golden Age” (Paris Sessions)
15. In the Tower (Paris Sessions)
16. Friend of a Friend

90125
1. Owner Of A Lonely Heart
2. Hold On
3. It Can Happen
4. Changes
5. Cinema
6. Leave It
7. Our Song
8. City Of Love
9. Hearts

BONUS TRACKS
10. Leave It (Single Remix Version)
11. Make It Easy
12. It Can Happen (Cinema Version)
13. It’s Over (Previously Unissued)
14. Owner Of A Lonely Heart (Extended Remix)
15. Leave It (A Capella Version)

BIG GENERATOR
1. Rhythm Of Love
2. Big Generator
3. Shoot High Aim Low
4. Almost Like Love
5. Love Will Find A Way
6. Final Eyes
7. I’m Running
8. Holy Lamb (Song for Harmonic Convergence)

BONUS TRACKS
9. Love Will Find a Way (Edited Version)
10. Love Will Find a Way (Extended Version)
11. Rhythm of Love (Dance to the Rhythm Mix)
12. Rhythm of Love (Move to the Rhythm Mix)
13. Rhythm of Love (The Rhythm of Dub)

leo sayer complete

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Vedo già dei sorrisini e delle risatine di scherno. Leo Sayer? Ma per favore, e invece, per il sottoscritto, almeno una parte dei suoi album, i primi, e poi molte canzoni qui e là evidenziano la presenza di un notevole talento sia a livello vocale che compositivo, nonchè visivo. Non per nulla, Roger Daltrey (proprio quello!), quando ha iniziato la sua carriera solista, per il primo album, l’eccellente ed omonimo Daltrey del 1973 si è affidato alla coppia Sayer-Courtney che gli ha scritto tutti i brani per quel disco, tra cui le bellissime One man band e Giving It All away http://www.youtube.com/watch?v=bhhOmFwp7tc. Ma questa è una storia collaterale, ora la Edsel racconta la vera storia con questo box da 12 CD, pubblicato il 29 ottobre, Just A Box, raccoglie gli album originali di Sayer, con due dischetti di rarità e demos posti in conclusione del box, che, nei suoi contenuti, è questo:

CD1 – SILVERBIRD

CD2 – JUST A BOY

CD3 – ANOTHER YEAR

  • Bedsitter Land 4.05
  • Unlucky In Love 3.25
  • The Last Gig of Johnny B. Goode 3.47
  • On The Old Dirt Road 4.00
  • I Will Not Stop Fighting 4.57
  • Moonlighting 4.11
  • Streets Of Your Town 2.58
  • The Kid’s Grown Up 2.48
  • Only Dreaming 5.14
  • Another Year 3.09

CD4 – ENDLESS FLIGHT

  • Hold On To My Love 3.09
  • You Make Me Feel Like Dancing 3.41
  • Reflections 3.08
  • When I Need You 4.12
  • No Business Like Love Business 3.51
  • I Hear The Laughter 3.13
  • Magdalena 4.20
  • How Much Love 3.35
  • I Think We Fell In Love Too Fast 3.05
  • Endless Flight 4.38

CD5 – THUNDER IN MY HEART

  • Thunder In My Heart 3.38
  • Easy To Love 3.44
  • Leave Well Enough Alone 3.16
  • I Want You Back 4.29
  • It’s Over 3.49
  • Fool For Your Love 3.27
  • World Keeps On Turning 3.25
  • There Isn’t Anything I Wouldn’t Do 3.14
  • Everything I’ve Got 2.40
  • We Can Start All Over Again 3.38

CD6 – LEO SAYER

  • Stormy Weather 4.14
  • Dancing The Night Away 4.20
  • I Can’t Stop Loving You (Though I Try) 3.32
  • La Booga Rooga 3.40
  • Raining In My Heart 3.16
  • Something Fine 3.53
  • Running To My Freedom 3.20
  • Frankie Lee 4.07
  • Don’t Look Away 3.31
  • No Looking Back 2.58

CD7 – HERE

  • The World Has Changed 3.54
  • When The Money Runs Out 4.02
  • The End 3.52
  • Lost Control 4.30
  • An Englishman In The USA 4.40
  • Who Will The Next Fool Be 4.15
  • Work 3.31
  • Oh Girl 3.48
  • Ghosts 4.30
  • Takin’ The Easy Way Out 4.48

CD8 – LIVING IN A FANTASY

  • Time Ran Out On You 3.50
  • Where Did We Go Wrong 3.55
  • You Win, I Lose 3.43
  • More Than I Can Say 3.42
  • Millionaire 4.22
  • Once In A While 3.30
  • Living In A Fantasy 4.25
  • She’s Not Coming Back 3.50
  • Let Me Know 4.25
  • Only Foolin’ 3.40

CD9 – WORLD RADIO

  • Heart (Stop Beating in Time) 4.35
  • Paris Dies In The Morning 3.54
  • Have You Ever Been In Love 3.48
  • Rumours 3.57
  • Heroes 4.21
  • ’Til You Let Your Heart Win 4.40
  • The End of the Game 3.28
  • Wondering Where The Lions Are 3.28
  • We’ve Got Ourselves In Love 3.54
  • World Radio 5.27

CD10 – HAVE YOU EVER BEEN IN LOVE

  • ’Til You Come Back To Me 4.09
  • Sea Of Heartbreak 3.48
  • More Than I Can Say 3.42
  • Darlin’ 5.02
  • Don’t Wait Until Tomorrow 3.49
  • How Beautiful You Are 3.58
  • Orchard Road 4.30
  • Aviation 4.20
  • Heart (Stop Beating in Time) 4.35
  • Your Love Still Brings Me To My Knees 3.18
  • Have You Ever Been In Love 3.48
  • Wounded Heart 4.15
  • Love Games 3.53
  • Never Had A Dream Come True 4.48

CD11 – COOL TOUCH

  • Cool Touch 4:18
  • Rely On Me 3:53
  • Young And In Love 3:33
  • Paper Back Town 4:24
  • Going Home 4:28
  • My Favourite 3:21
  • I Can’t Stop 4:17
  • Heaven Knows 4:12
  • Agents Of The Heart 3:09
  • Suki’s Missing 3:49

CD12 – VOICE IN MY HEAD

  • Everyone 4:53
  • Pop Life 3:57
  • Saturday Girl 4:28
  • You Thrill Me 4:14
  • We Got Away With It 4:30
  • I Never Knew 2:57
  • Please Don`t Walk Away 4:05
  • Don`t Look Back 4:47
  • Voice In My Head 4:31
  • Candygram 5:36
  • Almost Blue 3:15
  • Running Man 4:42
  • There And Back Again 4:45
  • Becalmed 4:00
  • Maybe 4:30

CD13 – BONUS TRACKS 1

  • 1. Living In America (1972) 2.57
  • 2. Praise The Land (1971 session recording) 3.45
  • 3. Reasons (1971 session outtake) 4.32
  • 4. Quicksand 2.52
  • 5. The Show Must Go On (7″ Single) 2.54
  • 6. Let It Be 3.46
  • 7. Standing In The Rain (1975 session recording) 2.37
  • 8. Tears Of A Clown (session recording) 3.33
  • 9. Milky White Way (session recording) 3.26
  • 10. King’s Avenue (1977 studio out-take) 3.26
  • 11. Tell Me Just One More Time (session recording) 2.41
  • 12. Thunder In My Heart (Disco version) 6.24
  • 13. I’ve Been Lonely For So Long (1978 session recording) 3.43
  • 14. New Orleans (1978 session recording) 3.21
  • 15. When The Money Runs Out (1979 demo) 4.04
  • 16. Work Work Work (1979 demo) 3.03
  • 17. Train 3.44
  • 18. I Don’t Need Dreaming Anymore 3.36

CD14 – BONUS TRACKS 2

  • 1. Bye Bye Now My Sweet Love 3.20
  • 2. Unchained Melody (1982 demo) 5.22
  • 3. Gone Solo 3.56
  • 4. The Girl Is With Me 4.10
  • 5. Easy To Love (1984 recording) 3.50
  • 6. Passion 4.38
  • 7. Real Life 3.53
  • 8. Solo 3.40
  • 9. Unchained Melody 4.32
  • 10. Love Hurts 3.46
  • 11. Heart For Sale 4.01
  • 12. Haunting Me 4.49
  • 13. The Moth And The Flame 4.39
  • 14. The Only One 4.39
  • 15. Too Many Hearts 3.40
  • 16. Blame It On The Night 4.07
  • 17. Gun 4.45
  • 18. The Loading Zone 5.19

In un mondo ideale quelli da avere sarebbero i primi 4 album, ma visto che il tutto dovrebbe costare una cinquantina di euro fateci un pensierino, nei primi dischi alla batteria c’era Mike Giles (King Crimson), James Litherland (Colosseum) e Russ Ballard (Argent) alla chitarra, Dave Markee (Centipede, Alan Price, poi con Joan Armatrading) al basso, tanto per citare alcuni musicisti che suonavano nei primi dischi. Di fianco ad alcuni brani, tra i migliori e più noti trovate il link del video, dateci un ascolto, potreste rimanere sorpresi in modo piacevole, non aspettatevi Tim Buckley o Van Morrison, ovviamente!

nick drake tuck box

Per concludere il post di oggi, un altro bel cofanetto dedicato a Nick Drake, Tuckbox, 5 CD, esce il 10 dicembre per la Island/Universal e comprende tutti i dischi di Drake (quello “giusto”, speriamo che non leggano i fans di quello canadese, se no mi martellano subito): i 3 ufficiali e i due postumi in mini replica Lp sleeves. Se non li avessi già comprati 18 volte ci farei un pensierino. Comunque per i poliglotti lettori di questo Blog (non scherzo, ho visto nelle statistiche che arrivano visitatori anche da Stati Uniti, Inghilterra, Canada, Giappone e all over the world), questi i contenuti:

  • • Five Leaves Left: Nick’s debut album of 1969
  • • Bryter Layter: the second album released in 1970
  • • Pink Moon: Nick’s final release from 1972
  • • Made To Love Magic: the collection of Island-period recordings, out-takes, off cuts, cast-offs, orphans and the last 5 songs Nick recorded for his proposed 4th album. Originally released in 2004 to add to and replace the ‘Time Of No Reply’ compilation
  • • Family Tree: A collection of recordings made before the Island Records period, from a 9 year old Nick playing Mozart through to spoken word pieces, early songs, cover versions and demos recorded to secure his contract, as well as two recordings by his mother Molly Drake perhaps written in response to her son (Originally released in 2007).

E questa è una delle dieci mie canzoni preferite di tutti i tempi http://www.youtube.com/watch?v=S3jCFeCtSjk. John Cale: celeste, piano e organo, Dave Pegg: basso, Mike Kowalski: batteria, Nick Drake: voce e chitarra. Perfetto!

Mi sono dilungato anche oggi e non c’è stato tutto quello che era previsto per oggi. Pazienza! Alla prossima.

Bruno Conti

 

Le Raffinate Evoluzioni Di Un “Nuovo” Menestrello Scozzese. James Yorkston – I Was A Cat From A Book

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James Yorkston – I Was a Cat from a Book – Domino Recording 2012

Confesso di avere un debole per James Yorkston, cantautore scozzese di talento, dal curioso curriculum musicale. Trasferitosi adolescente ad Edimburgo (nativo di Kingsbarns, contea di Fife), James comincia come bassista per gli Huckleberry, una band di garage rock e punk, ma si stanca presto del genere e cambia rotta dedicandosi anima e corpo al folk, sua grande passione. Dopo l’uscita del primo singolo nel gennaio del 2001 per la Bad Jazz Records, Yorkston inizia un lungo cammino che culmina con la pubblicazione del suo primo album Moving Up Country (2002), che diviene addirittura disco dell’anno per la catena Rough Trade: il cast che condivide con James lo sviluppo del disco sono gli Athletes, musicisti originari di Edimburgo, ai quali viene affidata sia la sezione ritmica (basso e percussioni soft), che un grande dispiego di violino, tastiere, fisarmonica, flauto e armonica. Gli stessi Athletes lo accompagneranno anche nello splendido Just Beyond To River (2004), poi, rotto il sodalizio, seguiranno negli anni piccoli capolavori come Hoopoe (2005) un EP con sei “gioielli” inediti, The Year Of The Leopard (2006), Roaring The Gospel (2007) una raccolta di b-sides e singoli (editi solo in vinile) e il capolavoro When The Haar Rolls In (2008) (nel 2009 è uscito anche un disco di cover, Folk Songs).

Questo nuovo lavoro I Was a Cat from a Book, arriva dopo una pausa dovuta a gravi problemi personali (una rara malattia della figlia), e Yorkston si presenta con una nuova line-up di musicisti che comprende membri dei Lamb (Jon Thorne al basso), The Cinematic Orchestra (Luke Flowers alla batteria), Emma Smith al violino e vibrafono, John Ellis al pianoforte, e da illustri ospiti come Kathryn Williams e Jill O’ Sullivan, la bravissima cantante della band Sparrow & The Workshop.

Si parte con una ballata di disarmante bellezza come la dolce Catch, sfumata da un soffuso suono del pianoforte e dal leggero mormorio del violino, e a seguire Kath With Rhodes, splendido brano cantato in duetto con la cantautrice Kathryn Williams. Border Song, a mia memoria penso sia la cosa più “frenetica” che Yorkston abbia mai registrato, per tornare però subito alle sue atmosfere con This Line Says, una love-song minimale. Arriva, con Just As Scared il secondo duetto del lavoro, con la brava Jill O’Sullivan, un perfetto brano in area “swing-jazz”, dove primeggiano il piano di Ellis e il clarinetto di Sarah Scutt, mentre la melodiosa Sometimes The Act Of Giving Love si colora di tenui sfumature vocali e strumentali.

The Fire & The Flames è il brano più toccante del disco, una ballata straziante e intima, dove James racconta la malattia della figlia, un lamento con pizzicate di chitarra che ricordano il compianto collega scozzese Bert Jansch, le stesse coordinate che si riscontrano con la pastorale A Short Blues (la morte di un vecchio amico). Dopo queste meraviglie, il ritmo torna ad alzarsi con Spanish Ants, una filastrocca in crescendo suonata con la concertina da James, e punteggiata dal violino di Emma Smith, per poi chiudere con la placida Two e una sorprendente I Can Take All This, una sorta di folk-punk dove gli strumenti girano a mille e i musicisti danno sfogo alla loro versatilità (per rimanere in tema, la seconda cosa più frenetica che Yorkston abbia mai registrato!).

Quella di James Yorkston è una musica introspettiva che accompagna la voce malinconica ed intensa dell’autore, scivola lenta e meditativa su un soffice e meraviglioso tappeto acustico: ballate di una bellezza da togliere il fiato seguono le cadenze del canto di James, accompagnato da nitidi accordi di chitarra, da soavi fraseggi di violino, dal dolce fruscio delle spazzole della batteria, e dal morbido tocco di un pianoforte. Nell’intensità dei brani che compongono I Was A Cat From A Book, sembra di scorgere la magia del primo John Martyn o le trame strumentali e vocali del Nick Drake di Bryter Layter, soprattutto nell’esposizione sofferta delle liriche o nel trasporto emotivo del canto, che James riesce sempre e comunque ad emozionare in maniera profonda. Non è certamente musica per ascolti superficiali quella di questo artista schivo e dalla vita appartata (vive, beato lui, nelle highlands scozzesi), ma sarebbe un delitto che questo gioiello di cantautorato folk e un personaggio dalla classe davvero unica, passino inosservati.

Tino Montanari

Il Ritorno di Un “Genio”? Bill Fay – Life Is People

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Bill Fay – Life Is People – Dead Oceans 21.08.2012

 

La settimana prossima esce il primo album di materiale “nuovo” inciso da Bill Fay, un geniale musicista inglese che ha operato (e pubblicato i suoi due dischi) tra il 1970 e il 1971. Poi è scomparso, i dischi sono diventati oggetti di culto come quelli di Nick Drake, ma lui non era morto, ovviamente. Con cadenza periodica delle coraggiose etichette indipendenti facevano uscire del materiale inedito d’archivio o delle ristampe dei suoi album, l’omonimo Bill Fay del 1970 (più orchestrale) e Time Of The Last Persecution (con una strumentazione più rock), entrambi editi, con bonus tracks, dalla Esoteric Records nel 2008, e in origine pubblicati dalla Deram, ma ora esce un album nuovo che, peraltro, non ho ancora avuto modo di sentire.

 

Per ora i “riscontri”, in ogni caso, sono i seguenti:

Mojo Album Del Mese 5 stellette – “Il primo Album di Bill Fay in 41 anni è sbalorditivo!”

Uncut 9/10 – “Meravigliosamente misurato ritorno per questo modesto maestro della canzone inglese”

Q 4 stellette – “Il sorprendente ritorno di un grande “perduto” artista di culto…una esperienza che incute timore.”

 

E si sprecano i paragoni (oltre che con Drake) con Ray Davies, John Lennon, il primo David Bowie e Gary Brooker. Per il momento mi limito a proporvi alcuni video con brani del suo repertorio e consigliarvi vivamente l’acquisto dei due album degli anni ’70, che direi è quasi d’obbligo, se già non ne siete felici possessori. Jeff Tweedy e Nick Cave sono grandi fans e i Wilco hanno eseguito un paio di volte dal vivo Be Not So Fearful, anche con la presenza sul palco dell’autore. Sul disco nuovo mi esprimerò non appena avrò occasione di ascoltarlo, ma con queste premesse dovrebbe essere un “trionfo”, sia pure per “Carbonari” veri. Il termine “genio” nel titolo del Post è volutamente provocatorio e anche tutte le virgolettature!

Uscita il 21 agosto.

Bruno Conti

Tutti A Bordo Del Jeb Loy Nichols Special!

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Jeb Loy Nichols – The Jeb Loy Nichols Special – City Country City/Universal

Ci sono, di tanto in tanto, quei dischi che pigramente si insinuano nel tuo inconscio di ascoltatore e lo catturano, questo The Jeb Loy Nichols Special fa parte della categoria. Si tratta del nono album di questo signore americano del Missouri, ma che da undici anni vive in una piccola città del Galles, che lui stesso definisce molto simile come attitudine, panorama e modo di vivere alla provincia americana da cui proviene.

Quando la Decca attraverso la City Country City gli ha fatto questa “proposta che non si poteva rifiutare” (suona un po’ mafioso ma ovviamente non lo è), Jeb Loy Nichols aveva già tentato la strada della fortuna con una major, la Capitol, nel 1997, con un album Lovers Knot che era quietamente scivolato nell’oblio: ma già prima, con la moglie, in un gruppo chiamato Fellow Travellers ad inzio anni ’90 e poi in seguito con un consistente numero di altri dischetti pubblicati per etichette come la Rough Trade, la Rykodisc e ultimamente la Tuition, Nichols aveva imperterrito continuato a pubblicare buona musica senza mai creare quel piccolo capolavoro che è questo …Special. (c’è anche un suo brano nella colonna sonora di Good Will Hunting).

Si tratta del classico album che gli americani (e JJ Cale) definirebbero laid-back, ovvero leggendo la traduzione: calmo, rilassato, tranquillo, tutti aggettivi che si adattano a meraviglia a questo CD. In effetti il genere a cui lo si puo accostare è quel famoso Country Got Soul di cui tra l’altro proprio Jeb Loy Nichols è uno degli “inventori”. Se leggete i credits delle due compilation con lo stesso nome pubblicate dalla Normal Records nella scorsa decade, noterete che il nome del curatore di quelle due antologie prodotte da Dan Penn era proprio Nichols.

Ma i 37 minuti di questo disco, strutturato attraverso 12 brani e una breve intro nella quale Jeb Loy vi invita a bordo per questo viaggio musicale, toccano un po’ tutti i generi. Accompagnato dai Nostalgia ’77, un gruppo di musicisti jazz assolutamente sconosciuti ma bravissimi e con la produzione di tale Benedic Lamdin, alttrettanto ignoto a chi scrive, l’album è stato registrato negli studi analogici di Dollis Hill come se fossimo in pieni anni ’70, gli anni in cui si potevano fondere country, soul, jazz, perfino la disco senza preoccuparsi delle conseguenze sulla critica perché il mercato discografico era nei suoi anni più “gloriosi”. Ora che la crisi si è fatta nera le etichette discografiche sono alla disperata ricerca di musica buona e quindi accettano, anzi cercano, dischi come questo, difficilmente catalogabili.

Nichols è uno che si guarda anche intorno, su quello che succede nel mondo che lo circonda e i testi dei suoi brani sono sintomatici di questo suo sguardo verso una società che non gli piace:

“I Wanna talk less, drive less / spend less and waste less /Go to town less, hang around less / I wanna watch less TV /Say yes less, wanna eat less / want less and use less / Consume less, throw away less / buy less and own less” . Così recita Different Ways For Different Days la prima canzone di questo viaggio, il tutto con una musica che potrebbe provenire da un disco registrato ai Muscle Shoals da Bill Withers o da un, appunto, laidback Marvin Gaye, accompagnati dall’organo sibilante di Spooner Oldham e dal piano jazzy di Ben Sidran con una sezione ritmica raffinata e operosa e impegnata a far finta di nulla nello stesso tempo. Something about the rain è una ballata costruita su pochi elementi, un loop di batteria, un piano in sottofondo, un contrabbasso e la voce sorniona di Nichols che più che alle atmosfere del Tennessee ti fa pensare alle giornate piovose in Galles. Nothing and no-one, solo voce e chitarra acustica, oltre che Nichols avrebbero potuto scriverla solo Nick Drake o John Martyn, due minuti di malinconia perfetta.

Going Where The Lonely Go è il primo piccolo capolavoro di questo album (non che quelle che la precedono e la seguono, siano brutte, tutt’altro): scritta da Merle Haggard e arrangiata in pefetto stile country got soul con organo, piano e una chitarrina insinuante che si dividono la scena con una piccola sezione fiati idealmente arrangiata come un ideale crocevia tra Willie Mitchell e Burt Bacharach. Ain’t It Funny scritta da George Jackson, che non è il Black Panther cantato da Dylan ma un sublime autore “minore” americano, per noi “rockers” nostalgici basterebbe ricordare che è quello che ha scritto Old Time Rock And Roll e Tryin’ To Live My Life Without per Bob Seger, è un altro brano di quelli magici, con i musicisti impegnati a creare atmosfere deliziose su cui Jeb Loy Nichols deposita la sua voce nasale e vagamente Tayloriana (proprio nel senso di James), un altro che conosce bene l’articolo trattato, senza dimenticare le atmosfere del grande Van Morrison dei primi anni ’70, un’altra influenza neppure troppo nascosta o gente come Johnny Rivers e Tony Joe White.

Countrymusicdisco45, tutto attaccato, è proprio la perfetta realizzazione di quello che il titolo recita: prendete un “grasso” giro di basso, tipo quello di Lowdown di Boz Scaggs – un signore che negli anni ’70 si è trasformato in un rappresentante del blue eyed soul più funky-pre disco, partendo dall’essere cantante nella Steve Miller Band e poi autore di un disco omonimo che conteneva Loan Me A Dime, un brano blues dove Duane Allman ha realizzato forse l’assolo più bello della sua pur luminosa carriera, fine della digressione – per i “puristi” del rock era difficile accettare questi “piaceri proibiti”, disco music, orrore! Ma Nichols rende perfetta questa fusione tra i generi, con tanto di sezione archi, piano fender rhodes, chitarra con wah-wah, armonica e la recitazione dei nomi dei grandi del country in una sorta di litania ipnotica, il groove è veramente irresistibile. People Like Me è un bellissimo valzerone country che tanto mi ha ricordato ancora quel James Taylor ricordato prima magari con un pizzico dell’Elton John del periodo americano, il suono della doppia tastiera piano-organo è sempre perfetto e fa tanto Band e l’effetto country got soul non manca mai.

Hard Times all’origine era un brano reggae di un artista inglese, tale Pablo Gad, ma diventa una ballata acustica di stampo soul à la Bill Withers oppure il Bob Marley delle origini acustiche, una vera delizia sonora. Disappointment è un fantastico brano di taglio jazz che potrebbe provenire indifferentemente dal repertorio del Marvin Gaye più raffinato oppure dai suoi figliocci inglesi dei primi anni ’80 come i Working Week o dai brani meno commerciali di Sade con un fluido piano che guida i ritmi alla Dave Brubeck della sezione ritmica. Larry Jon Wilson è un “piccolo grande” cantautore americano degli anni ’70 (e poi tornato per un ultimo album del 2008) che è il perfetto prototipo dell’artista di culto, la sua Things Ain’t What They Used To be si inserisce perfettamente nella filosofia di questo album come pure la bellissima Waiting Round To Die scritta da Townes Van Zandt l’esemplificazione perfetta del Beautiful Loser e pure un grande autore di canzoni, ancora una volta interpretato e arrangiato con un “meno e meglio”, scarno ed accorato. Si chiude con The Quiet Life, il manifesto di vita e musica di questo signore, che si chiama Jeb Loy Nichols e ha realizzato un disco degno di tutti questi altri “signori Cantanti” (maiuscolo) che sono stati nominati nel corso della recensione. Una vera sorpresa e se vi riconoscete in quanto detto potreste ricevere una delle più belle sorprese positive dell’anno, in ambito musicale, naturalmente. Per la serie i piccoli piaceri della vita!

Bruno Conti

Giovani Talenti Si Confermano! Laura Marling – A Creature I Don’t Know

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Laura Marling – A Creature I Don’t Know – V2/Coop

Per completare la trilogia dedicata alle “ventunenni” che recentemente hanno pubblicato un nuovo disco arriviamo a Laura Marling e a questo A Creature I Don’t Know, suo terzo album e quello della consacrazione definitiva di un talento sicuramente superiore alla media dei cantautori (e cantautrici) in circolazione, giovani ed affermati indifferentemente. Per intenderci (esagerando un po’!) non so se Joni Mitchell  a 21 anni fosse così brava, non credo, anche se per essere onesti il primo disco della Mitchell uscì nel 1968 quando di anni ne aveva già 25 e quindi era molto più matura della nostra amica Laura che di album ne ha pubblicati tre. Non voglio fare paragoni perchè Joni Mitchell sia a livello vocale che compositivo è stata unica ma la Marling mi sembra sulla buona strada, un’ottima discepola, almeno nelle intenzioni.

Intanto facendo una musica “non facile” i suoi dischi vendono, e parecchio. Questo in particolare ha esordito in settimana direttamente al 4° posto delle classifiche inglesi, sicuramente aiutato da questo florilegio del fenomeno “neo-folk” inglese guidato dai Mumford and Sons dell (ex?) fidanzato Michael Mumford, che di dischi ne vendono a pacchi in giro per il mondo e sono presenti anche in questo A Creature I Don’t Know anche se in misura meno massiccia che nel precedente I Speak Because I Can. La produzione del nuovo album è affidata a Ethan Johns, degno figlio di tanto padre, e ai controlli in molti dei migliori dischi di Ryan Adams e Ray Lamontagne (per citare un paio dei suoi “clienti”), che ha mediato lo stile folk inglese della Marling aggiungendo “tocchi americani” ma senza snaturare troppo il sound.

E quindi i primi due brani The Muse e I Was Just A Card hanno quel piglio swing tra jazz, blues e folk con improvvise aperture di mandolino, banjo e gli occasionali fiati che uniscono il suono alla Mumford con quello di Joni Mitchell o Suzanne Vega con le quali la Marling condivide una impronta vocale, soprattutto nelle note medio-basse, perchè quando cerca di aprire la voce verso le tonalità più alte affiora ancora una certa acerbità, oppure semplicemente il suo range è quello. Comunque averne di musiciste così brave come è dimostrato dalla parte centrale dell’album che è veramente fantastica.

La sequenza di brani che si apre con Don’t Ask Me Why, piccola meraviglia di lirismo folk-rock a tempo di un valzer dolce e anche orecchiabile, che ricorda il meglio della California anni ’70, prosegue con la stupenda Salinas che nella costruzione sonora, ricorda la miglior Mitchell del periodo di mezzo in modo impressionante, e lo considero un grande complimento perchè anche quella della Marling è grande musica, cantata con passione e ricca di continue variazioni anche nelle sezioni strumentali. Se possibile The Beast è anche meglio, un brano che si apre su un arpeggio di chitarra acustica che ricorda la Suzanne Vega del primo album e poi in un crescendo inarrestabile si trasforma in un brano elettrico e vibrante, dove le pennate violente di una chitarra elettrica e le atmosfere torbide si possono accostare a quelle di PJ Harvey o Patti Smith, mantenendo comunque una loro unicità. Sapete che il “gioco” dei rimandi a questo e a quello è uno dei preferiti dei critici, ma serve per inquadrare la materia.

Molto bella anche Night After Night con quella vena acustica malinconica che ricorda Nick Drake o Sandy Denny dei tempi d’oro, con una semplicità e una intensità vincenti. Con My Friends, dall’arrangiamento più complesso si ritorna a quel folk “arricchito” di effetti vocali dei primi brani, con il banjo in primo piano e quei crescendi improvvisi tipici delle canzoni più intriganti di Mumford and Sons. Anche Rest In My Bed ha quell’aria malinconica che non è tristezza dei brani di Nick Drake mentre Sophia è un’altra piccola gemma di british folk dei tempi che furono con un testo che racconta di un amore finito con un lirismo inconsueto per una ragazza di 21 anni. E pensate che questa piccola meraviglia è il nuovo singolo dell’album, a dimostrazione che si può tentare il successo anche facendo buona musica. Si conclude con All My rage altro brano dalle sonorità transatlantiche che si ricollega ai “cugini” Mumford in un tripudio di mandolini, chitarre acustiche, percussioni, violini e dulcimer(o autoharp?) che virano anche verso sonorità orientali e regala una dalle interpretazioni vocali più convincenti di Laura Marling che si “arrampica” verso tonalità più alte.

Sarà anche nata nel 1990 ma dischi così belli li facevano soprattutto a cavallo tra la fine degli anni ’60 e la prima metà degli anni ’70 nel periodo d’oro della musica dei cantautori folk-rock. Molto molto bello, che altro dire?

Bruno Conti

L’Ultimo Saluto Di Un “Vecchio Amico”. John Martyn – Heaven and Earth

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John Martyn – Heaven And Earth – Hole In The Rain Ltd

Iain David McGeachy, per tutti semplicemente John Martyn ha lasciato questa terra il 29 gennaio del 2009 in seguito ad una doppia polmonite. Questo Heaven and Earth, il suo testamento sonoro, esce a più di due anni dalla sua morte ed aveva comunque avuto una lunga gestazione. Secondo uno dei produttori Gary Pollitt questo disco esce esattemente come era stato concepito eccettuate delle piccole aggiunte effettuate dopo la scomparsa di Martyn.

Ad esempio l’aggiunta della seconda voce del suo grandissimo amico Phil Collins nell’iniziale Heel Of The Hunt un bel pezzo funky-jazz nello stile inconfondibile della seconda parte della carriera di John Martyn, quel Grace and Danger che narrava la fine della sua storia d’amore con la moglie Beverley, uscito nel 1980 e che vedeva appunto la partecipazione di Phil Collins alla batteria e alle armonie vocali, forse il disco che più di tutti seppe fondere la sua voglia di grande sperimentatore in ambito folk e rock con un suono più “facile” e comprensibile per tutti.

Ovviamente sia in quel disco (che peraltro Martyn considerava il suo migliore) che in questo siamo lontani dalla grandezza dei suoi dischi migliori, tipo Solid Air, Inside Out o One World, dove la sua voce e la sua chitarra spesso filtrata dalla pedaliera dell’Echoplex raggiungevano livelli di raffinatezza e ricerca sonora fantastici.

Il sottoscritto ha avuto un “incontro ravvicinato” con John Martyn nel maggio del 1979 in occasione del suo concerto italiano al Teatro di Porta Romana di Milano. Era un tour in solitaria ma con la sua chitarra e i pedali dell’Echoplex era in grado di creare sonorità ai limiti dell’incredibile. Personaggio “strano” e particolare, in bilico tra la poesia della sua canzoni e la brusca carnalità del suo essere scozzese, ricordo che entrando a metà pomeriggio nella sala deserta del teatro (davo una mano come collaboratore della radio che organizzava il concerto) per uno spuntino con un panino al salame seduto su una poltrona mi sentivo osservato e girandomi vidi un giovane uomo sulla trentina, riccioluto, i cui lineamenti mi dicevano qualcosa ma non sapevo chi era. Dopo avere guardato a lungo il mio panino mi si è avvicinato e mi ha borbottato qualcosa su dove poteva prendere il suddetto e dopo pochi minuti è rientrato con aria soddisfatta con spuntino al seguito e una quantità impressionante di lattine di birra che avrebbe consumato poi durante il concerto iniziando anche una gara di rutti con il pubblico e questo era nel suo personaggio. Naturalmente l’esibizione è stata stupenda!

La sua carriera da allora è stata ancora lunga e gloriosa con alti e bassi (soprattutto negli anni ’90) fino alla malattia del 2003 che lo ho portato all’amputazione della gamba, probabilmente generata dai lunghi anni di eccessi sul suo corpo. Lo spirito era ancora vivo e il suo ultimo album On The Cobbles uscito nel 2004 è stato quello che più di altri lo ha riavvicinato allo spirito dei primi dischi più “acustici” ottenendo anche ottimi riscontri dalla critica.

La sua voce in quel disco, e anche in questo, non era più (o non completamente) quel meraviglioso strumento in grado di spazialità e di “slurring” (ovvero la capacità di scivolare da una nota all’altra senza soluzione di continuità nella stessa emissione vocale che è diverso dal melisma): in questo disco, echi del vecchio splendore (sia pure su note più basse) si riscontrano nella bellissima ballata notturna che dà il titolo a questo CD Heaven and Earth, dove la voce di John Martyn improvvisa quasi fosse un jazzista sul tappeto del basso di Alan Thompson e la batteria di Arran Ahmun, con gli interventi del sax di Martin Winning e delle tastiere di Spencer Cozens quasi come ai vecchi tempi, sette minuti di pura magia che rendono ancora più triste la sua dipartita.

Non tutti i brani sono a questo livello: nove in tutto e abbastanza lunghi, ogni tanto il suono si perde in coordinate più banali, come in Stand Amazed dove la fisarmonica dell’amico Garth Hudson, l’elettrica di John Martyn e sax e piano elettrico non riescono a mascherare una certa ripetitività anche nell’uso di voci femminili di supporto non brillantissime, tra funk morbido quasi soul e voglia di improvvisare quasi a tempo di tango, il tutto un po’ irrisolto e tirato per le lunghe, “rimprovero” finale al cane Gizmo lasciato a testimoniare l’aria “familiare” di queste registrazioni avvenute nella sua casa di Woolengrance Thomastown in Irlanda.

Detto dell’ottima title-track, l’intro pianistico di Bad Company e alcuni interventi pungenti della elettrica di Martyn non sempre salvano il brano dalla “invadenza” delle voci femminili e il suo falsetto non è più vellutato come un tempo. I tempi più mossi di Could’ve Told You Before I Met You ci regalano la voce “legata” (sarebbe la traduzione ma slur rende meglio l’idea)  del nostro amico che si avvicina allo splendore dei tempi andati salendo e scendendo con grande vigore. In Gambler fa capolino anche una chitarra acustica, il basso fretless è in primo piano e i suoni più sommessi e raccolti ricordano il sound anni ’80, non il migliore ma sempre rispettabile nella sua discografia. 

Can’t Turn Back The Years è una cover di un brano di Phil Collins e la voce grave e profonda di John sovrasta dall’alto della sua classe quella di Collins per una ballata che riafferma la malinconia insita nella sua musica, tratto che aveva in comune con il vecchio “amico” Nick Drake con il quale condivideva questa passione per i sentimenti umani più autunnali e tristi. Bella canzone, anche se i coretti del buon Filippo non mi convincono a fondo, ma il brano è suo e quindi…

Un synth ci introduce ad un’altra bella ballata, Colour, ancora con echi del vecchio splendore nelle improvvisazioni vocali di Martyn ma senza raggiungere i vertici della sua produzione migliore, comunque anche nel suo “crepuscolo” si mangiava il 90% dei suoi concorrenti (forse solo con l’eccezione di Van Morrison e pochi altri).

L’ultimo brano, Willing To Work, è forse il migliore del lotto, con derive jazz vocali quasi al limite dello scat con una chitarra elettrica che riprende sonorità care al Martyn di One World o Inside Out. Anche se l’effetto jam ogni tanto prende il sopravvento sulla forma canzone in questo brano la sua capacità improvvisativa e vocale ricorda le sue migliori e uniche qualità.

Non un capolavoro ma un “saluto” a chi ha amato e seguito la sua musica lungo tutti questi anni da uno dei musicisti più “originali” degli ultimi 40 anni. Sarà quello finale?

Bruno Conti

Hanno Detto di…Josh T. Pearson – Last Of The Country Gentlemen

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Josh T. Pearson – Last Of The Country Gentlemen – Mute/Self Dist. 15-03-2011

Come chi frequenta questo Blog (anche saltuariamente, vi perdono!) avrà notato, al sottoscritto piace scrivere di musica ma anche ascoltarla, gustarla, scoprirla. Quando posso cerco di essere tra i primi a parlarne (vedi Otis Gibbs e Sean Rowe) ma non mi formalizzo se altri mi indirizzano verso artisti che mi sembrano meritevoli di essere approfonditi.

Questo Josh T. Pearson (e già le immagini sono indicative del personaggio) mi sembra un talento totale: già leader dei Lift To Experience autori di un unico album, The Texas-Jerusalem Crossroads, ad inizio millennio, circondato da un ondata di critiche entusiaste e poi scomparso nell’anonimato per un’intera decade di “lavoro e vita comune” nel nativo Texas, tenta la strada del Second Coming con questo Last Of The Country Gentlemen e a giudicare dal putiferio critico che ha scatenato mi sembra ci stia riuscendo perfettamente. Il disco esce il 15 marzo ma essendo affetto dalla sindrome del San Tommaso, ovvero “Provare per credere”, che più prosaicamente era anche il motto del mobilificio Aiazzone (pubblicità gratuita), dicevo che essendo affetto da quella curiosità insanabile mi sono procurato una copia del disco e non posso che confermare tutto quello di bello che è stato detto su questo disco. Già, ma giustamente vi chiederete cosa diavolo hanno detto di questo disco?

Partiamo da Uncut, 5 stellette e Disco del mese che chiosa: Uomo dei Lift To Experience diventa solista. Desolantemente brillante. Più “nudo e crudo” del compagno di etichetta Nick Cave (di cui utilizza in un paio di brani il violinista Warren Ellis con effetti devastanti, aggiungo io) la sua musica raggiunge livelli di intimità e auto-rivelazione quasi dolorosi con una semplice chitarra accarezzata e dei testi intensissimi quasi borbottati.

Aggiunge il Buscadero (“solo” 3 stellette e mezzo): “Solo sette canzoni, quattro di esse superiori ai dieci minuti di durata, per un disco, lo diciamo subito, di una bellezza e di un’intensità strazianti”. E aggiunge “Immaginatevi lo Springsteen verboso degli esordi e sovrapponetelo a quello dimesso e melanconico di The Ghost Of Tom Joad e potrete iniziare a farvi un’idea.”

Altri (Onda Rock) ribadiscono: “Una confessione solitaria, forse inaudita dai capolavori di Cohen,Songs Of Love And Hate” in particolare, o da “Pink Moon“, smussata solo dal violino di Warren Ellis, unico orpello che Pearson si concede, venendo a patti col proprio ascetismo in nome di un’amicizia cresciuta sul palco, avendo Josh accompagnato i Dirty Three nei loro ultimi tour”.

Mojo, 4 stellette, rincara la dose “Ascoltare e assorbire Last Of The Country Gentlemen è come leggere le note sfrenate di un diario o ascoltare una confessione sul letto di morte tale è il crudo, combattuto sentimento palbabile in ogni sommessa singola nota e in ogni morbido accordo di chitarra.” Mi sentirei di aggiungere che ogni brano è come un lungo flusso di coscienza (stream of consciousness) che mi ricorda la musica dei due Buckley, padre e figlio, Tim e Jeff.

Q, 4 stellette o 8 se preferite, dice che la Musa di Pearsons ha preso fuoco nuovamente mentre l’Evening Standard (sempre 10) così parlò:”Josh T. Pearson è il John Grant di questo anno: un americano barbuto di ritorno dai “margini” della vita con un malinconico capolavoro!”. Drowned in Sound concisamente dichiara, “Veramente un disco magnifico!”, sempre 10 o 5 stellette il voto.

Tenete conto che il voto medio è 8.5 e l’unico che gli ha dato solo 3 stellette ( o 6) è stato il Guardian, con un giudizio comunque positivo che ricorda il già citato comun sentire vocale del Jeff Buckley meno pirotecnico.

Senza andare alla ricerca di tutte le recensioni (anche perché non avrei il tempo di leggerle tutte) mi pare che il consiglio che mi sento di darvi è di presentarvi martedì nel vostro negozio preferito (anche virtuale) e procedere all’acquisto. Le tre canzoni dei Video potrebbero essere le più rappresentative ma in fondo sono tutte e sette molto belle.

Bruno Conti

Un Segreto Ben Custodito! Darden Smith – Marathon

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Darden Smith – Marathon – Darden Smith records

Questo signore è un altro dei segreti meglio custoditi del cantautorato (l’ho detto di nuovo!) di qualità. Texano, residente a Austin, con una discografia nutrita che parte dal lontano 1986 con lo stupendo Native Soil e passando per l’omonimo esordio per la CBS/Epic del 1988 e il disco in coppia con l’inglese Boo Hewerdine, Evidence del 1989 arriva ai giorni nostri. Se volete farvi un’idea dei suoi dischi, questa è una discografia molto dettagliata che ho trovato in rete compilata da un “benefattore” darden.html.

Per chi già lo conosce e ammira la sua musica, per cominciare dirò che questo Marathon è uno dei dischi più belli di Darden Smith, forse il più bello in assoluto e guardate che molti erano veramente belli. Per chi vuole farsi un’idea, un paio di anni fa è uscita l’antologia AFter All This Time The Best Of Darden Smith: per entrambi il problema è la reperibilità, Www.Darden Smith Records non è viatico di facile ricerca ma ne vale assolutamente la pena.

Intanto facciamo un po’ di nomi per inquadrarlo: è stato paragonato a Nick Drake (per la malinconia di fondo), Leonard Cohen (non per la voce, ma per la profondità dei temi e le atmosfere musicali assai raffinate), John Hiatt (e qui, a parte il fatto che sono entrambi bravissimi non ho notato molte analogie), Elvis Costello (non so, non mi pare!). Io aggiungerei il Bruce Cockburn infallibile degli anni ’70 (nel senso che non faceva un disco brutto e le due voci hanno molte cose in comune), il Jackson Browne balladeer romantico della prima parte della carriera. Come vedete non sparo basso ma l’amico merita. Tra i “contemporanei” quello con cui vedo più analogie ed unità di intenti musicali è Joe Henry, sarà l’uso della tromba, saranno certe atmosfere vagamente jazzate ma secondo me Darden Smith è anche più bravo dell’ottimo Henry che mi piace moltissimo sia come cantante che come produttore e al quale non saprei trovare difetti, beh forse uno, aver sposato la sorella di Madonna, ma nessuno è perfetto e poi se a lui piace saranno affari suoi.

Tornando a questo disco, narra la storia di Marathon una piccola cittadina texana che è però un pretesto per quello che lui racconta come “Un luogo della mente, qualche parte dove volevo andare e un luogo che non potevo raggiungere. Il deserto mi ricorda tutto ciò: è arido e duro. Sei da solo là fuori. E’ scoraggiante ma ne sono attratto!”

Quello che sembra il rumore di un treno e una sirena (ma forse è un pick-up o un camion) apre il disco e lo chiude come fosse un viaggio. Il primo brano Sierra Diablo è una meraviglia della Canzone, il piano e l’organo di Michael Ramos (che è texano pure lui e ha suonato con Mellencamp e BoDeans ma da anni è compagno di avventura di Smith e che cura anche la produzione dell’album) costruiscono una struttura sonora densa e raffinata, con l’ottimo bassista Roscoe Beck (vi cito solo tre con cui ha suonato e ho detto tutto, Robben Ford, Eric Johnson e Leonard Cohen, perché i nomi sono importanti, non è solo noziosismo) e il batterista J.J.Johnson (anche lui di Austin, suona nella band di John Mayer). A questo punto basta parentesi, se no ne devo aprire una quadra, gigantesca per contenerle tutte. Torniamo al brano: si diceva di questa atmosfera musicale raffinata e assai ricercata che avvolge la voce calda e partecipata di Smith nella sua descrizione di questa Sierra Diablo, luogo vero o della mente che sia la musica ti affascina.

Michael Ramos è anche un ottimo virtuoso dell’accordion e lo dimostra nella successiva Bull by the horns, dove ritmiche rock più energiche si uniscono al suono della fisarmonica. Gli undici brani principali sono uniti fra loro da alcuni intermezzi strumentali come l’affascinante Vertigo ancora per piano e fisarmonica.

Delle vigorose pennate di una chitarra acustica suonata dallo stesso Darden Smith (che suona anche il piano) ci introducono ad un altro brano magnifico Don’t It Go To Show dove l’eclettico Ramos aggiunge ai suoi strumenti anche una evocativa tromba che va ad affiancare l’accordion già citato e l’agile sezione ritmica per un brano che non ha nulla da invidiare ad alcuni momenti tra i più gloriosi dei citati Cockburn  e dell’ultimo Joe Henry (sarà la tromba?). Made It back to you è una bellissima ballata che ci spedisce dritti filati nella California degli anni ’70 e del Jackson Browne più malinconico ma anche sulle coordinate sonore di altri cantautori texani, non dimentichiamo che nel suo album d’esordio partecipavano Nancy Griffith e Lyle Lovett che di talenti e talento se ne intendono.

Ultimamente sto recensendo molti album dove la pedal steel fa la sua bella figura: anche in questo disco e in particolare nel brano Mortal Coil appare questo strumento affidato all’ottimo Mike Hardwick, tra l’altro utilizzato non nella sua forma più vicina al country ma come strumento di coloritura del suono per aggiungere spessore sonoro alle percussioni, alla chitarra acustica e al contrabbasso in un brano prettamente acustico ma sempre avvolgente nei suoi risultati finali.

Dopo un altro breve intermezzo strumentale ci tuffiamo di nuovo nella raffinata Truth Of The Rooster caratterizzata ancora dal suono della tromba e del piano e della voce più sussurrata di Darden Smith che ha delle improvvise aperture ma rimane molto cockburniana in questo brano e quindi a maggior ragione affascinante, i deserti texani e le vaste distese nevose del Canada evidentemente hanno dei punti in comune (a proposito di canadesi, il buon Darden ha imparato a suonare la chitarra studiando ogni singolo brano di Harvest e After The Gold Rush di Neil Young).

That water esce pari pari dal songbook di Leonard Cohen: Smith per l’occasione, nella parte iniziale, canta con una tonalità bassa e profonda, quasi recitata che ricorda moltissimo quella del citato Cohen.

Over my beating heart con una bella chitarra elettrica con il vibrato a dividersi con il piano le trame sonore è un brano più aperto, allegro mi pare troppo, diciamo più movimentato. breve ma intenso come sempre.

Escalator con il suo inizio di chitarra acustica pizzicata potrebbe ricordare certe atmosfere malinconiche del citato Nick Drake, magari quello di Bryter Layter anche se la tromba non era tra gli strumenti utlizzati e il brano nel prosieguo assume calde tonalità quasi messicane, in ogni caso un bellissimo brano. 75 Miles of Nothing, già dal titolo è una canzone “desertica”, giocata sui vibrati di chitarre e steel che circondano la voce misteriosa di Smith.

Ci avviciniamo alla conclusione del viaggio, l’ultimo intermezzo, preceduto e percorso da treno e sirena si chiama Tinaja, mentre la conclusiva, maestosa No One Gets Out Of here è un altro fulgido esempio delle capacità compositive di questo magnifico compositore, serena e malinconica conclude alla grande un disco che mi sento di consigliarvi quasi accoratamente. Uno dei casi in cui la ricerca vale la pena di essere fatta! Quello che trovate di Darden Smith vale comunque la pena di essere ascoltato, questo è uno dei suoi brani più famosi, suonato ad un tavolo da picnic!! Per la serie ottimizzare i costi.

Rispetto alla richiesta nei Commenti su dove trovare il box di Emerson, Lake & Palmer, io, purtroppo, non ho più il negozio il cui logo campeggia nell’intestazione del Blog e quindi non vi posso aiutare direttamente ma so che il cofanetto è stato importato regolarmente anche in Italia per cui si dovrebbe trovare abbastanza facilmente anche a un prezzo piuttosto contenuto (occhio se vi chiedono cifre elevate perché vi stanno turlupinando!).

Bruno Conti

Un Nuovo Dylan? Un Altro! Jack Savoretti

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Jack Savoretti – Harder Than Easy – De Angelis Records

Nuovo Dylan forse no, Simon & Garfunkel miscelati in un’unica persona neppure, perché non il nuovo Steve Forbert. Scherzi a parte, è proprio bravo, un anglo-italiano di talento, principalmente acustico ma brani ben arrangiati e poi fa una bella cover di Northern Sky di Nick Drake, uno dei miei 10 brani preferiti all-time, quindi sono parziale.

Questo è il video della title-track, il cd disponibile solo per il dowload negli States, sarà pubblicato in Inghilterra ai primi di febbraio. Vale le pena investigare ( è il suo secondo album, il primo Between The Minds è arrivato fino al 70° posto delle classifiche inglesi). Fra i due album ha partecipato alla colonna sonora del film Post Grad con il brano One Day.

C’è sempre buona musica “là fuori”, basta cercare (magari con un aiutino).

Bruno Conti