Una Nuova Country Rocker Di Pregio Dalla Voce Intrigante: Parliamone Invece. Ruby Boots – Don’t Talk About It

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Ruby Boots – Don’t Talk About It – Bloodshot Records/ir

Avevo letto anticipazioni molto interessanti di questo album, il secondo di Ruby Boots (nom de plum di  Bex Chilcott, cantante australiana trapiantata a Nashville) https://www.youtube.com/watch?v=wD5o40BPS6Y : Rolling Stone l’aveva inserita nella sua lista dei dischi più attesi del 2018, ma visti gli attuali livelli di attendibilità della rivista americana non sempre questo endorsement è sinonimo di certezza, anzi. Però anche il sito American Songwriter (più sulla nostra lunghezza d’onda) e altri ne parlavano bene, per cui ero interessato ad ascoltare, sempre con la formula San Tommaso, ovvero verifica e fatti un parere! La cantante australiana, che peraltro a 36 anni non è più giovanissima, era rimasta ferma alcuni anni per problemi di noduli vocali, ma ora ritorna con questo disco registrato in quel di Nashville, con la produzione di Beau Bedford, alla console con Paul Cauthen, ma soprattutto i Texas Gentlemen (di cui è anche il tastierista del gruppo), di passaggio nella capitale del Tennessee, backing band per Ruby in tutto l’album, e a loro volta autori di un interessante album per la New West, uscito pochi mesi fa http://discoclub.myblog.it/2017/11/27/un-bellesempio-di-follia-musicale-con-metodo-the-texas-gentlemen-tx-jelly/ .

La nostra amica fa parte di quel filone che, a grandi linee, annovera anche Nikki Lane http://discoclub.myblog.it/2017/03/15/oltre-ad-aver-grinta-da-vendere-e-pure-brava-nikki-lane-highway-queen/ , Margo Price, Jaime Wyatt http://discoclub.myblog.it/2017/06/06/una-nuova-tosta-country-girl-jaime-wyatt-felony-blues/ , quello stile che sta (vagamente) tra una sorta di outlaw country rivisitato, Americana “alternativa” e cantautrice rock classica, insomma un po’ trasgressiva ma non troppo. Giustamente vi chiederete perché sto ciurlando nel manico, quindi la domanda è, ma è bello questo Don’t Talk About It? Bella domanda: non lo so, o meglio non sono sicuro, esprimo ovviamente, come sempre, un parere personale, e il verdetto lo leggete nel finale. Ad un primo ascolto ero rimasto un po’ perplesso, country, ma dove? Il primo pezzo It’s So Cruel, dove qualcuno ha visto degli elementi stonesiani (?!?) è una canzone decisamente rock, i Texas Gentlemen suonano con vigore e spavalderia, le chitarre sono vibranti e distorte, ma la voce leggermente “filtrata” e non particolarmente potente della Chilcott forse fatica ad emergere, anche se la grinta c’è. Il sound è un po’ quello tipico della Bloodshot, etichetta anticonformista per antonomasia, “moderno” e alternativo al rock classico, ma con molti legami con il passato: come dicono gli americani lei è “sass & savvy”, insolente e sfrontata vogliamo tradurre? Believe In Heaven ha un sapore sixties grazie anche alle sue armonie vocali retrò e qualche reminiscenza di Maria McKee e altre chanteuses similari, ma il “riffaggio” chitarristico è da boogie-rock. Don’t Talk About è un delizioso mid-tempo pop-rock, scritto con Nikki Lane, anche seconda voce nel brano https://www.youtube.com/watch?v=55_jC3bkwBw ,  che potrebbe ricordare le cose più orecchiabili dei primi 10.000 Maniacs di Natalie Merchant, con un chitarrone twangy in evidenza e organetto vintage, Easy Way Out, molto bella, sembra un pezzo di Tom Petty, o i vecchi brani rock di Carlene Carter quando era accompagnata dai Rockpile, con i Texas Gentlemen che si confermano gruppo molto eclettico.

Break My Heart Twice è una delle rare ballate romantiche, bella melodia con un’aura country conferitale dal chitarrone twangy che torna a farsi sentire, la voce squillante in primo piano e il solito organo, ma anche il piano, a conferire profondità al suono. I’ll Make It Through, chitarra super riverberata, andatura  ondeggiante pop-rock, è un altro piccolo gioiellino dove le armonie vocali della collega Nikki Lane sono un ulteriore sostegno alla struttura decisa del brano, mentre gli arrangiamenti sono super raffinati; con Somebody Else si torna ad un rock più deciso e vibrante, con chitarre fuzzate e ritmi scanditi con decisione, con la chitarra di Ryan Eke che inchioda un assolo da urlo. I Am A Woman, un’altra ballata intimista, quasi solo la voce a cappella con eco di Ruby e piccoli tocchi di tastiera sullo sfondo, ha quell’allure country-pop raffinata di certe canzoni dei primi anni ’70, con Infatuation che rialza i ritmi, grazie ad una melodia vincente e alla carica vocale della cantante australiana, ancora quella sorta di power pop raffinato e chitarristico per gli anni 2000 con i Texas Gentlemen assai indaffarati dal lato strumentale. Chiude l’eccellente Don’t Give A Damn, quasi un country got soul come usavano fare nei vecchi Muscle Shoas Studios gli antenati dei Texas Gentlemen, piano, chitarre e sezione ritmica sugli scudi per una canzone che conferma la bravura di Ruby Boots, che la canta a voce spiegata, e soci.

Verdetto finale: promossa con lode!

Bruno Conti

La Musica E’ Ottima, Ma Per I Testi Tappatevi Le Orecchie! Wheeler Walker Jr. – Ol’ Wheeler

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Wheeler Walker Jr. – Ol’ Wheeler – Pepper Hill/Thirty Tigers CD

Torna ad un anno di distanza da Redneck Shit Wheeler Walker Jr., countryman del Kentucky tanto bravo musicalmente quanto sboccato nei testi http://discoclub.myblog.it/2016/04/25/testi-film-porno-musica-bellissima-wheeler-walker-jr-redneck-shit/ ; in realtà Walker non esiste, in quanto è l’alter ego del comico americano Ben Hoffman (un po’ quello che Tony Clifton era per Andy Kaufman), ma il suo talento come musicista è tale che potrebbe tranquillamente proseguire la carriera esclusivamente facendo dischi. Redneck Shit aveva molto fatto parlare si sé, sia per la musica, un outlaw country robusto, elettrico e pieno di ritmo, ma anche per i testi, esageratamente volgari al limite dell’imbarazzo, roba che avrebbe fatto arrossire uno scaricatore di porto, al punto che il disco aveva avuto un’anteprima in streaming sulla piattaforma hardcore Pornhub (e, credo, passaggi radiofonici vicini allo zero). Ol’ Wheeler è il secondo volume delle avventure musicali di Walker/Hoffman, e si conferma molto valido sia dal punto di vista musicale, sia scurrile da quello delle liriche, al punto tale che in America viene considerato quasi una parodia e venduto sia come “country album” che come “comedy album” (ed in copertina uno sticker rivendica quasi con orgoglio il fatto di essere bandito sia da Walmart che da Target che da Best Buy, ovvero le tre catene di vendita più importanti degli States).

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https://www.youtube.com/watch?v=rCC6Etx93-U

Sarà anche un comedy album, ma la musica in Ol’ Wheeler è terribilmente seria: il disco è prodotto, come il precedente, da Dave Cobb, uno che ultimamente lavora come un matto ma sempre in progetti di qualità, ed in studio troviamo gente tosta come Leroy Powell alla chitarra e steel, Brian Allen al basso e Chris Powell alla batteria. Niente violini, mandolini e banjo, solo sano country elettrico e robusto, ad un livello che tanti musicisti professionisti non riescono a raggiungere, mentre per quanto riguarda i testi…beh su quelli stenderei un velo, e badate bene che non mi considero affatto un bacchettone (a proposito, mi scuso in anticipo per i titoli delle canzoni che mi accingo a scrivere, ma come si dice, ambasciator non porta pena). L’iniziale Pussy King è più rock che country, il ritmo è spezzato e le chitarre dure e tignose, ma il brano non è il massimo ed un po’ troppo di grana grossa, senza particolari guizzi. Decisamente meglio Fuckin’ Around, un puro country alla Waylon Jennings, con la doppia voce femminile di Kacey Walker che rende ancora più sconcia l’atmosfera (ma in realtà è la nota country-rocker Nikki Lane nella parte dell’ex moglie di Walker), mentre Puss In Boots è ancora migliore, gran ritmo, refrain godibilissimo, chitarre e piano in grande spolvero e Wheeler che canta con piglio da veterano (testo osceno a parte); la breve Finger Up My Butt velocizza ancora di più il ritmo, un quasi bluegrass elettrico e divertentissimo, che non fa star fermo il piede neanche per un attimo: l’inizio incerto è già dimenticato.

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https://www.youtube.com/watch?v=Mx4IjDVLE2o

Ma il nostro sa destreggiarsi anche nelle ballate, e Summers In Kentucky è una di quelle: motivo fluido e disteso, grande feeling, e se non ascoltate le parole vi sembrerà di avere di fronte qualche oscura outtake degli anni settanta (e nei brani lenti il contrasto tra la musica ed il testo è ancora più stridente); con Drunk Sluts andiamo addirittura nei sixties, un country alla Flying Burrito Brothers di grande impatto, con quell’aria cosmica tipica di Gram Parsons (che però mai si sarebbe sognato di cantare parole del genere): una delle migliori del CD. Ain’t Got Enough Dick To Go Around è un gustoso honky tonk perfetto per i camionisti texani, If My Dick Is Up, Why Am I Down? (davvero, provo quasi imbarazzo a scrivere frasi simili, seppur in inglese) riporta il disco in area Sweetheart Of The Rodeo, dimostrando che dal punto di vista musicale il nostro conosce i classici alla perfezione. Il disco si chiude con Small Town Saturday Night, tra country e rockabilly, gran ritmo e chitarre al vento (uno come Dale Watson ne andrebbe orgoglioso), l’intenso slow Pictures On My Phone, una ballata decisamente bella nonostante il testo da censura, e con Poon (che sarebbe un modo non troppo gentile di chiamare l’organo femminile di una teenager), un brano dal delizioso sapore western morriconiano. Se Wheeler Walker Jr. si mettesse in testa di scrivere canzoni “normali”, potrebbe tranquillamente diventare uno dei leader del nuovo movimento Outlaw Country insieme a Chris Stapleton, Jamey Johnson e compagnia bella (è molto più bravo di Shooter Jennings, tanto per fare un esempio), ma così, pur essendo musicalmente ai confini dell’eccellenza, rischia di essere classificato per sempre come una macchietta.

Marco Verdi

Oltre Ad Aver Grinta Da Vendere E’ Pure Brava! Nikki Lane – Highway Queen

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Nikki Lane – Highway Queen – New West CD

Terzo lavoro per Nikki Lane, country-rocker dal pelo duro proveniente dal South Carolina, e nuova convincente prova per un’artista spesso paragonata a Wanda Jackson, ma che io trovo decisamente più grintosa (e con la voce meno da cartone animato rispetto all’anziana rock’n’roller, anche se le due si vestono in maniera molto simile), al punto da reputarla più vicina al movimento outlaw country degli anni settanta. I due precedenti album, Walk Of Shame e soprattutto All Or Nothin’ (prodotto da Dan Auerbach) avevano rivelato una musicista travolgente, con una grinta fuori dal comune ed una propensione al rock molto accentuata, tutte caratteristiche confermate, e se possibile aumentate, con questo nuovissimo Highway Queen, prodotto da Nikki stessa insieme a Jonathan Tyler. Dieci canzoni di puro rockin’ country, chitarre e ritmo spesso a palla, oltre a dosi massicce di feeling: un disco godibilissimo e diretto dalla prima all’ultima canzone ( i nomi dei musicisti non sono celeberrimi, a parte Russ Pahl alla pedal steel e Kenny Vaughan alle chitarre, ma numerosi ed assai efficaci), probabilmente il lavoro più riuscito da parte di un’artista a cui non fa certo difetto la personalità, oltre che un’indubbia bravura.

Nikki ha poco, anzi nulla, da spartire con Nashville, la sua musica è vera, spontanea e piena di energia, e se ci fosse giustizia musicale in vetta alle classifiche ci sarebbero dischi come questo, e non le porcherie synth-pop spacciate per country. Si parte alla grande con la trascinante 700.000 Rednecks, uno swamp-rock ricco di ritmo, molto influenzato da John Fogerty, con la voce piena di carattere della Lane in primo piano ed un ottimo impianto chitarristico (altro che country). La title track è anche il primo singolo, ed è un brano rock a tutto tondo, decisamente elettrico e dalla strumentazione ricca, ma non sovrarrangiato: drumming potente, melodia discorsiva e sviluppo fluido, un altro brano vincente; anche Lay You Down ha una ritmica accesa ed un impasto chitarristico di prim’ordine, oltre ad un’atmosfera leggermente vintage, quasi una versione femminile (ma con più grinta) di Chris Isaak, mentre Jackpot è un country’n’roll diretto e travolgente, che rende arduo stare fermi durante l’ascolto.

L’intensa Companion dovrebbe essere un honky-tonk anni sessanta (con tanto di coretti doo-wop), ma Nikki porta tutto ai giorni nostri con la consueta dose di elettricità e potenza, Big Mouth sembra un rockabilly texano, forse meno originale ma sempre trascinante, Foolish Heart non è quella dei Grateful Dead, ed è finora il brano più vicino ad una country ballad, anche se il suono è sempre molto sostenuto e la performance ricca di energia. La limpida e tersa Send The Sun ha una delle migliori strutture melodiche del CD, ed il modo di cantare di Nikki è sempre il tocco in più; Muddy Waters non è un blues ma una scintillante ballata elettrica, anch’essa tra le più riuscite; il disco si chiude con la fulgida Forever Lasts Forever, un lento molto intenso e punteggiato da una bella steel in sottofondo, la più country del lavoro e con una prestazione vocale superlativa (e, con i suoi cinque minuti abbondanti, è anche il pezzo più lungo del CD). Ci vorrebbero più album come Highway Queen: sono corroboranti e fanno bene alla salute.

Marco Verdi