Californiani Di Edimburgo! The Wynntown Marshals – The Long Haul

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The Wynntown Marshals – The Long Haul – Blue Rose CD

Se fate ascoltare a qualcuno questo disco e poi gli dite che chi canta e suona non è americano, questo qualcuno penserà che lo stiate prendendo in giro.

I Wynntown Marshals sono infatti un quartetto proveniente dalla Scozia (da Edimburgo per la precisione), ma che suona americano al 100%, al punto che l’autorevole magazine No Depression aveva messo il loro album di esordio The Westerner tra i candidati al titolo di miglior debutto del 2010 nel genere Americana.

Il leader della band è Keith Benzie, voce solista e chitarra acustica, coadiuvato da Iain Sloan alla solista e steel, Murdoch MacLeod al basso e chitarra e Kenny McCabe alla batteria, con il supporto di pochi amici, tra cui spicca Andrew Taylor, che produce il disco e suona vari strumenti, tra cui organo, banjo e mandolino.

The Long Haul prosegue il discorso cominciato con The Westerner, migliorandolo ulteriormente: i Marshals sono bravi, e molto, sembrano come già detto americani purosangue, californiani per l’esattezza, e hanno nel loro dna influenze molto chiare, come Byrds, Neil Young e Tom Petty. Ma non sono per nulla derivativi, anche se alcune armonie vocali o stacchi chitarristici si ispirano chiaramente ai modelli citati poc’anzi: Benzie e soci sanno scrivere canzoni che stanno in piedi da sole, suonano con una fluidità invidiabile e ci consegnano un secondo album che si rivela come uno dei migliori dischi di Americana usciti ultimamente.

Ho iniziato l’ascolto di questo CD con curiosità ma senza aspettarmi più di tanto, ma al terzo brano mi avevano già catturato. Driveaway è un bell’inizio, un brano chitarristico pieno di stacchi e riff, con un organo insinuante ed un bell’assolo chitarristico, chiaramente younghiano. Canada è splendida, con il suo jingle-jangle byrdsiano e la melodia solare e distesa (qui mi ricordano anche i migliori Blue Rodeo); Low Country Comedown è una classica rock song, molto anni settanta, con una melodia profonda ed una spruzzatina di country.

A questo punto ditemi voi se sembrano scozzesi.

Whatever It Takes ha un mood più raccolto, ma i ragazzi dimostrano ancora una volta di saper scrivere brani classici senza risultare risaputi: molto bello il lavoro di Taylor all’organo e l’accompagnamento in punta di dita.

La fluida Tide è ancora influenzata dal Bisonte canadese, con un grande lavoro alla chitarra, decisamente evocativo: le due soliste di Sloan e MacLeod quasi duellano in un crescendo tutto da godere.

La spedita The Submariner ha un’atmosfera da country song malinconica (chi ha detto Gram Parsons?) ed un cantato molto alla McGuinn, mentre Crashing (Like The Reds) vede ancora la dodici corde di Sloan protagonista, un ritmo sostenuto ed un motivo molto immediato. Curtain Call è un toccante intermezzo acustico, con violino, cello e pianoforte a fornire la cornice all’esibizione di Benzie in perfetta solitudine; North Atlantic Soul è invece ancora un rock chitarristico in puro stile californiano, melodia liquida e belle armonie.

Chiude l’album la lenta Change Of Heart, dallo sviluppo emozionante e con la band che suona come al solito in maniera impeccabile.

Un dischetto delizioso, un gruppo da tenere assolutamente in considerazione per il futuro.

Marco Verdi

Altri “Muli” Di Valore Dalla Virginia. Wrinkle Neck Mules – Apprentice To Ghosts

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Wrinkle Neck Mules – Apprentice To Ghosts – Blue Rose 2012

I Wrinkle Neck Mules, quintetto originario di Richmond (Virginia), sono una delle band “minori” più interessanti del rock provinciale americano. Il gruppo capitanato dal chitarrista di origine armena Andy Stepanian, e coadiuvato da Mason Brent  alla pedal-steel e mandolino, Brian Gregory al basso, Stuart Gunter alla batteria e percussioni e Chase Heard al banjo e chitarre, esordisce con Minor Enough (2004), a cui faranno seguito Pull The Brake (2006), The Wicks Have Met (2007) e Let The Lead Fly (2009), il disco che indubbiamente li ha fatti conoscere ad un pubblico più vasto. Con questo nuovo lavoro, Apprentice To Ghost i Mules ampliano il loro suono, con una sezione ritmica più potente, da vera rock band, usando ogni tipo di strumento a corda, ma, nel parere di chi vi scrive,  principalmente continuando a scrivere canzoni valide, nella tradizione dell’alternative country più “roots”.

Basta ascoltare l’iniziale When The Wheels Touch Down, una ballata d’altri tempi, molto rock, voce grintosa e la batteria ben presente dentro il brano, mentre Stone Above Your Head è pura “Americana” (ricorda i primi Jayhawks). On Wounded Knee è un brano dal suono tosto, seguito dalla title-track, lenta e rilassata e con un delizioso intervento alla pedal-steel di Brent. Patience In The Shadows e Double Blade sono due composizioni classiche, con voci all’unisono, un suono leggermente garage e “feeling” da vendere. Un intrigante mandolino accompagna Parting Of The Clouds, mentre Leaving Chattanooga viaggia in territori cari a gruppi come la Nitty Gritty Dirt Band. Si torna alla country-song con Liberty Bell e Banks Of The James (con il banjo che domina) con un “sound” elettroacustico e crepuscolare, tipico del movimento “no depression”. La vivace e quasi galoppante Central Daylight Time (è come se i Beat Farmers si fossero riuniti (di questi tempi può succedere di tutto), precede la conclusiva Dry Your Eyes splendida ballata che inizia a lievitare sulle note del banjo di Chase Heard, che ci trasporta tutti nelle ampie distese tra Texas e Messico.

Tutte le canzoni sono accreditate all’intera band, quasi a rivendicare che nessun componente abbia un ruolo da leader fisso, la stessa filosofia che animava gruppi come gli Uncle Tupelo, Son Volt, Jayhawks di ieri, e i Reckless Kelly, Bottle Rockets, Blue Mountain di oggi. Nulla di nuovo sotto il sole, ma una maturità e una perfezione nel delineare melodie e impasti vocali, che portano questi ragazzotti della Virginia a diversificarsi dalla massa di proposte roots e americana che inondano il mercato, in definitiva uno dei migliori CD degli ultimi mesi. Se amate il genere, non dimenticatevi dei Wrinkle Neck Mules, una band da tenere d’occhio, sapranno accontentarvi senza chiedere troppo in cambio, giusto quei 15-20 euro del CD.

Tino Montanari