Per La Serie: Nomen Omen. No Justice – America’s Son

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No Justice – America’s Son – Smith Entertainment CD

I No Justice non possono che essere associati al movimento Red Dirt, in quanto provengono dal centro propulsore di questa corrente musicale, cioè Stillwater, Oklahoma, anche se la loro musica è leggermente diversa.

Partito nel 2001 con uno stile tipicamente country-rock, il quintetto (capitanato dal lead singer Steve Rice, coadiuvato a sua volta dal chitarrista Cody Patton, dal bassista Justin Morris e da Armando Lopez e Bryce Conway, rispettivamente alla batteria ed alle tastiere ed organo) ha via via allargato i propri orizzonti musicali, spostandosi verso lidi sempre più rock: America’s Son è il loro quarto disco di studio (esiste anche un live, facente parte della lunga serie registrata al Billy Bob’s Texas), ed è assolutamente da considerarsi il più completo.

Pura American Music, belle canzoni, un suono decisamente rock, con una struttura molto classica (chitarre-basso-batteria-organo), melodie corali ed un grande amore per il rock’n’roll più diretto. Niente di originale quindi, ma dieci canzoni di buon livello, in qualche caso anche di ottimo livello, una band che meriterebbe senz’altro di più del semplice culto al quale è sicuramente destinata. Non ci vuole molto per fare un bel disco: buone canzoni, feeling, una certa perizia strumentale, la conoscenza dei classici ed una produzione attenta, ed in America’s Son questi elementi ci sono tutti.

Never Gonna Be Enough apre il disco con il piede giusto, anzi giustissimo: una rock song pulsante ed ariosa, dalla melodia fluida e ritornello di impatto immediato. In un mondo perfetto la passerebbero in rotazione alle radio, ed avrebbe pure successo (ma in un mondo perfetto gli One Direction cucinerebbero hamburger in qualche fast food…). Life’s Too Short è più elettrica e decisamente rock, il ritmo sempre sostenuto, le chitarre non si risparmiano ed anche l’organo inizia a farsi sentire; Songs On The Radio ha qualche elemento country in più, una melodia evocativa ed un arrangiamento elettroacustico molto gradevole. Tre brani, tre diversi modi di essere.

Red Dress inizia lenta ed acustica, poi entrano con discrezione, quasi in punta di piedi, gli altri strumenti, ed il brano diventa una rock ballad coi fiocchi, con una di quelle melodie circolari tipiche dei Counting Crows. Shot In The Dark è un’esplosione elettrica, con un bel riff ed un refrain gioioso: una delle più immediate e dirette (i cinque sono certamente andati a lezione anche da Tom Petty); Run Away With Me ha un inizio attendista che però dura poco: altro gran bel ritornello corale e strumentazione usata in maniera molto classica (chitarre ed organo, stile anni settanta).

La title track, fresca e limpida, prelude allo slow elettrificato di Give You A Ring, che dimostra che Rice e soci si muovono con la stessa disinvoltura sia nei brani lenti che in quelli più rock’n’roll. A proposito di rock’n’roll, Let’s Not Say Goodbye Again è un altra canzone dal tiro non indifferente, appena sfiorata dal country, mentre Don’t Walk Away chiude l’album in chiave intima, con una toccante ballata pianistica. No Justice è il nome giusto per questa band: è infatti un’ingiustizia che non abbiano il successo che meriterebbero. Siamo lontani dal capolavoro, ma se gli darete fiducia America’s Son vi farà trascorrere quaranta minuti davvero piacevoli.

Marco Verdi