Recuperi Di Inizio Anno 5: Il Disco Peggiore del 2015? Country A Cappella? Ma Fatemi Il Piacere! Home Free – Country Evolution

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Home Free – Country Evolution – Columbia/Sony CD

Gli Home Free sono un quintetto vocale del Minnesota che, anche se è in giro da una decina d’anni, ha iniziato ad incidere professionalmente e con una distribuzione capillare dal 2014, quando ha pubblicato ben due album (Crazy Life e Full Of Cheer), ma in tutto sono otto i dischi: formato da Austin Brown (voce tenorile), Rob Lundquist e Chris Rupp (armonie), Tim Foust (voce bassa) e Adam Rupp (voce e percussioni), il gruppo si propone come una “originale” miscela di country e musica a cappella (anche se l’accompagnamento strumentale è presente), ma, aldilà delle indubbie capacità canore dei ragazzi, Country Evolution mi lascia perplesso per vari motivi. Intanto non è country, ma pop da classifica mascherato: non basta infatti proporre cover di brani famosi a tema country (ma ci sono anche diversi pezzi originali) per essere definiti tali, e poi anche gli arrangiamenti delle voci sono pop in tutto e per tutto, ed inoltre sono piatti, mancano completamente di mordente e di spessore.

A tutto aggiungiamo l’accompagnamento strumentale plastificato, dove mancano quasi completamente sia le chitarre che gli altri strumenti che troviamo di solito sui dischi di country music (violini, steel, banjo, dove siete?), un suono finto che dà un’idea di musica fatta per ragazzini imbelli o per gente che pensa che basti saper armonizzare su una serie più o meno eterogenea di canzoni per essere definiti dei talenti. Eppure la classifica sembra dar ragione ai cinque, in quanto, al momento di scrivere queste righe, Country Evolution è quarto nella Country Hot 100 di Billboard, il che mi fa riflettere sulla reale competenza del pubblico americano. Anche la stampa USA li porta in palmo di mano, e quasi mi viene da pensare che sono io quello che non capisce più niente: eppure ad un certo punto del mio ascolto ho perfino pensato che si trattasse di un disco-scherzo, quasi una parodia (poco riuscita tra l’altro).

Il CD parte già zoppicando con la corale Summer In The Country, dominata dalle armonie vocali, ma per me è pop, non country, qualcosa che assomiglia agli Alabama o a Ronnie Milsap. Good Ol’ Country Harmony può anche risultare divertente, con elementi quasi doo-wop, anche se l’accompagnamento strumentale non è proprio il massimo, diciamo non al livello delle voci; 9 To 5 non mi faceva impazzire neanche nella versione originale di Dolly Parton, e questa mi piace anche meno, i suoni fanno parte del più becero pop da classifica (country? Ma per favore!), Elvira, di e con gli Oak Ridge Boys, sembra nelle mani dei Neri Per Caso che cantano in inglese (giuro), non ce la faccio a prenderli sul serio. Don’t Feel Good dà grande spazio alle voci e poco agli strumenti, è quasi un vero brano a cappella, e quindi risulta abbastanza gradevole, ma Honey, I’m Good sembra quasi una canzone parodistica dei Rednex (vi ricordate quel gruppo svedese di dance-country-pop responsabile della versione da ballo di Cotton Eyed Joe?), e non è un gran complimento. Qualcuno sentiva il bisogno di una cover di Garth Brooks? Io no, anche se Friends In Low Places è uno dei brani migliori di Garth, ma in questa versione alla Bobby McFerrin fa solo ridere; Fishin’ In The Dark/Down In The Boondocks mette insieme Nitty Gritty Dirt Band con Joe South, e gli originali erano ben altro, qui c’è solo da rabbrividire.

Spiace che uno come Charlie Daniels si sia lasciato coinvolgere in questa pagliacciata, e per di più con il suo superclassico The Devil Went Down To Georgia: altro che cantare e portare il mio violino, io li avrei querelati; la tragica House Party, al limite degli One Direction, e California Country chiudono un disco che per fortuna dura poco. Anche la musica just for fun è roba seria, specie con quello che costano oggi i CD: gli Home Free sono ridicoli e basta.

Marco Verdi

*NDB Perché due copertine vi chiederete voi? Per la serie non c’è fine al peggio, il disco viene ristampato il 15 gennaio anche in edizione Deluxe. Quindi due ragioni per starne alla larga!

Gli Amici “Leggendari”, Lui Meno! T.G. Sheppard – Legendary Friends & Country Duets

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T.G. Sheppard – Legendary Friends & Country Duets – Cleopatra Records 

Quando leggo Cleopatra Records vedo subito rosso, ma non per la rabbia, come i tori, è piuttosto un effetto simile a quello di trovarsi di fronte ad un semaforo: ti fermi e guardi bene, a destra e sinistra, per capire cosa succede e dove dirigerti, perché la “fregatura” spesso è lì, vicino all’incrocio. Cosa ti hanno combinato questa volta? E soprattutto chi è questo T.G. Sheppard che ha “Leggendari Amici”? In effetti già quando avevo visto nella lista delle uscite questo Legendary Friends & Country Duets, senza sapere che era su etichetta Cleopatra, mi aveva incuriosito per lo schieramento di cantanti celebri che Sheppard era riuscito a riunire per questo album: un onesto, ma non celeberrimo cantante country, in azione già dagli inizi anni ’70, sia come cantante che come discografico, senza mai raggiungere vette qualitative particolarmente significative e operando in quel di Nashville in un ambito country-pop, ben rappresentato sia dai suoi successi come “A.R. Man” per Elvis, Perry Como e John Denver e poi con una serie di dischi a nome proprio che non hanno mai infiammato noi appassionati di un country più illuminato e meno legato all’industria.

Già leggendo la lista, peraltro importante, dei partecipanti ai duetti, si intuisce il solito “progetto” Cleopatra dalla temporalità dubbia: cioè, quando è stato inciso il disco? Conway Twitty è morto dal 1993, George Jones da un paio di anni, Jerry Lee Lewis non incide più molto spesso. Ma proprio il brano scritto da Sheppard con la moglie Kelly Lang (non è quella di Beautiful) e lo stesso Lewis, The Killer, prende bene, oltre che per il suo spirito autobiografico, anche per l’andamento country-soul, tra chitarre, fiati, il piano inconfondibile e le belle voci di T.G. e Jerry Lee, niente di imprescindibile, ma una bella canzone, come quella posta in apertura, Down In My Knees, un gradevole country-gospel cantato in coppia con gli Oak Ridge Boys https://www.youtube.com/watch?v=FjlCSdxSCHs , e niente male, anche se i primi segnali zuccherosi si fanno strada, la versione di Why Me Lord un brano di Kris Kristofferson sotto forma di tipica ballata country, cantata proprio con Conway Twitty. Pure Song Man, un brano di Merle Haggard cantato in coppia con l’autore, non dispiace, con una pedal steel ed una acustica che convivono con una marimba (??) che fa molto Nashville pop, ma non riesce a rovinare del tutto la canzone. Piacevolissimo viceversa l’arrangiamento, in puro stile country-Tex Mex Mariachi, di una divertente Fifteen Rounds Of Jose Cuervo, cantata con Delbert McClinton https://www.youtube.com/watch?v=HSgC-Sv6dTA .

E fin qui tutto bene, diciamo che l’album si è guadagnato la sufficienza risicata, ma da qui in avanti l’effetto Cleopatra si fa sentire: già il duetto con Lorrie Morgan, in una The Next One orchestrale, molto crooner after hours, che c’entra come i cavoli a merenda con il resto del disco, potrebbe essere piacevole in un tributo a Sinatra, ma in un disco country? 100% Chance Of Pain, cantata con BJ Thomas e Jimmy Fortune degli Statler Brothers (che a dispetto del nome non erano neppure parenti), è quanto di più pacchiano ci si potrebbe aspettare e anche It’s A Man Thing, il duetto con uno sfiatatissimo George Jones a fine carriera, rischia di rovinare la reputazione del grande “Possum” e sarebbe stato meglio lasciarlo negli archivi https://www.youtube.com/watch?v=rPndtDldf14 . Wine To Remember And Whiskey To Forget, il duetto con Mickey Gilley, l’urban cowboy più famoso per essere stato il cugino di Jerry Lee Lewis che per la sua carriera e Dead Girk Walking, in coppia con la moglie Kelly Lang (che ha scritto anche la gran parte dei brani), sono senza infamia e senza lode, belle voci tutti, anche lo stess T.G. Sheppard, ma suscitano poche emozioni. Quelle che crea Willie Nelson anche quando è alle prese con l’elenco telefonico, ma che nel caso è ben servito da una ottima In Texas, un brano di Dennis Linde che risolleva in parte le sorti di questo album, anche se l’arrangiamento sfiora sempre il pacchiano https://www.youtube.com/watch?v=QRnZN0Rn620 . Ma il duetto con Engelbert Humperdinck sembra un pezzo di Iglesias (il babbo) in versione country e anche nell’accoppiata con Crystal Gaylein I’m Not Going Anywhere, si rischia un attacco di diabete. If You Knew, una ballata malinconica con Ricky Skaggs e le Whites, non sarebbe neppure male, ma l’arrangiamento è da denuncia penale!

Bruno Conti