Una Piccola Preziosa “Appendice” Di Un Album Comunque Bello. Blackberry Smoke – The Southern Ground Sessions

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Blackberry Smoke – The Southern Ground Sessions – 3 Legged Records/Thirty Tigers/Earache Records

I Southern Ground Studios sono a Nashville, una ex chiesa trasformata nel 1968 in studio di registrazione da Fred Foster, il fondatore della Monument Records, e acquistati poi da Zac Brown nel 2012 per farne il proprio quartier generale, oltre che una bellissima location dove incidere della musica “diversa” da quella dei soliti noti della Nashville più commerciale. Tra coloro che vi hanno registrato in tempi recenti le Pistol Annies, ma anche i Blackberry Smoke hanno deciso di farci una capatina per realizzare un mini album, propedeutico all‘ultimo disco della band Find A Light, uscito la scorsa primavera https://discoclub.myblog.it/2018/05/27/il-nuovo-southern-rock-colpisce-ancora-anche-da-nashville-tennessee-blackberry-smoke-find-a-light/ , di cui Charlie Starr e compagni hanno deciso di rivisitare in chiave elettroacustica cinque brani, oltre ad una cover molto sentita, e con l’aiuto di alcuni ospiti scelti con cura. In aggiunta all’amico ed abituale compagno di avventura, il chitarrista e tecnico del suono Benji Shanks, troviamo Amanda Shires, al violino e voce e Oliver Wood dei Wood Brothers, voce e chitarra.

Questa dimensione sonora meno rock e più intima e raccolta, ma non per questo meno coinvolgente, rende ancora più giustizia alle canzoni del gruppo, già di per sé molto valide anche in versione elettrica: sono solo venticinque minuti ma non sempre la maggiore durata corrisponde ad una migliore qualità, come si percepisce sin dall’iniziale Run Away From It All, uno dei brani firmati da Starr con Keith Nelson, un pezzo che cresce in questa dimensione dove le chitarre acustiche e l’organo sono assoluti protagonisti, insieme alle voci dei protagonisti, di questa versione più agreste e bucolica della loro musica, che rimane sudista ma acquisisce un piglio quasi di maggiore bellezza e serenità. Eccellente in questo senso anche Medicate My MInd, dove l’aria da pigra e ciondolante jam session fra amici viene ancor più arricchita dal lavoro delicato delle tastiere di Brandon Still che sottolineano la bella voce di Starr, del tutto a suo agio anche questo ambito più folkeggiante. Quindi arriva Amanda Shires per duettare con Charlie in una deliziosa Let Me Down Easy, dai contorni decisamente tra country e bluegrass, grazie anche ad una resonator malandrina che impreziosisce insieme al violino della Shires quella che di per sé era comunque una bella canzone.

Best Seat In The House è più mossa e conferma questa diversa prospettiva rispetto al suono elettrico di Find A Light, con un gusto maggiore per i particolari e il solito interscambio vincente tra piano, organo e chitarre acustiche; la perla di questo dischetto è comunque una versione molto partecipe e ricca di spunti emozionali di You Got Lucky di Tom Petty, dove il classico riff iniziale di questa bellissima canzone, rallentata ad arte per trasformarla quasi in una ballata dolente e che ne accarezza la melodia, viene ripreso dal violino guizzante di Amanda Shires che si intreccia con il piano elettrico e l’organo di Still e con le chitarre acustiche arpeggiate, oltre ad un mandolino, nella intensa parte finale strumentale, per una rilettura “magica” di questa canzone magnifica che riluce anche negli intrecci vocali tra Starr e Amanda, con il commento finale “that was beautiful”, che non si può non condividere. La chiusura è affidata a Mother Mountain, che in questa diversa veste sonora sembra quasi una perduta traccia della epopea West Coast di CSNY con gli intrecci vocali di Starr e Oliver Wood, ancora una volta raffinati e di grande fascino, sopra il tappeto sonoro delle consuete vibranti chitarre acustiche, in questa canzone ancora più affascinanti che nel resto del disco.

CD breve ma veramente intenso e bellissimo.

Bruno Conti

La Più “Bianca” Delle Cantanti Nere Recenti? Shemekia Copeland – Outskirts Of Love

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Shemekia Copeland – Outskirts Of Love – Alligator

Il titolo del Post forse non è accurato al 100%, ma quello giusto lo avevo già utilizzato per il recente album di Amy Helm, “degna figlia di tanto padre”, e quindi ho dovuto ripiegare su quello che leggete, con punto di domanda, che comunque fotografa efficacemente, per quanto parzialmente, i contenuti di questo album, il nono (compresa una antologia) di Shemekia Copeland, che vede il suo ritorno in casa Alligator, dopo due dischi pubblicati per la Telarc, peraltro molto buoni, in particolare l’ultimo 33 1/3, uscito nel 2012, che vedeva anche la partecipazione di Buddy Guy JJ Grey e la produzione di Oliver Wood (dei Wood Brothers, di cui vi segnalo in uscita il 2 ottobre il nuovo album Paradise) che produce anche questo nuovo Outskirts Of Love, che “risponde” al precedente con la presenza come ospiti di Billy Gibbons, Alvin Youngbood Hart Robert Randolph, e tra i musicisti impiegati vede anche Will Kimbrough, Arthur Neilson, Guthrie Trapp Pete Finney a vari tipi di chitarra. Come ricorda il titolo di cui sopra il nuovo CD ha un suono più “bianco”, più rock del penultimo, con la scelta di brani come Jesus Just Left Chicago degli ZZ Top dove Billy Gibbons inchioda un paio di solo che ne testimoniamo la buona forma, in attesa del suo album solista previsto per novembre https://www.youtube.com/watch?v=wc1j5Z7L0bU .

Ma anche una versione molto rootsy, pigra e ciondolante di Long As I Can See Light dei Creedence, e pure una escursione nel puro country, Drivin’ Out Of Nashville, con tanto di pedal steel affidata a Pete Finney, dove Shemekia ci ricorda che il country in fondo è solo il blues con un twang aggiunto, e le chitarre di Will Kimbrough e Guthrie Trapp lo confermano. E pure il poderoso rock-blues ad alto tasso chitarristico che apre l’album, una Outskirts Of Love veramente sontuosa, magnetica e tirata che conferma questo spirito battagliero del disco, come pure la cover di una vecchia canzone di Jesse Winchester Isn’t That So che diventa quasi un brano tra New Orleans sound e i Little Feat più laid-back. E anche l’ottima Crossbone Beach, uno dei tre brani firmati da John Hahn con il produttore Oliver Wood, ha questo drive funky-rock e chitarristico con la steel guitar di Robert Randolph a disegnare le consuete ma sempre impossibili traiettorie sonore https://www.youtube.com/watch?v=5VI6-DAwZUo . Naturalmente sul tutto si erge la magnifica voce di Shemekia Copeland, che la rivista inglese Mojo ha recentemente definito come un incrocio tra Mavis Staples Koko Taylor, e sentendola come non si può non essere d’accordo. Però il soul, il R&B, il gospel e ovviamente il blues non possono mancare: per esempio nel sentito omaggio al babbo Johnny Copeland in una gagliarda cover di un pezzo anni ’80, tratto dai dischi Rounder del genitore (di cui vi consiglio assolutamente il superbo Showdown, il disco registrato con Robert Cray Albert Collins), Devil’s Hand è un pezzo blues sanguigno, con una piccola sezione fiati (in realtà costituita dal solo Matt Glassmeyer), dove Jano Nix oltre che confermarsi eccellente batterista si esibisce con grande perizia anche all’organo Hammond https://www.youtube.com/watch?v=xKQwwQSVetM . The Battle Is Over (But The War Goes On) è un vecchio pezzo di Sonny Terry & Brownie McGhee che riceve un altro trattamento ad alta densità elettrica, con una chitarra che taglia in due la canzone e Shemekia che canta con impeto e passione.

Ottimo anche il duetto con Alvin Youngblood Hart, impegnato sia come seconda voce che come chitarrista in Cardboard Box, un pezzo a firma John Hahn Ian Siegal che è uno di quelli dal suono più autenticamente blues con un flavor sonoro quasi simile ai dischi di Ry Cooder degli anni ’70. I Feel A Sin Coming On ha lo stesso titolo di uno dei recenti brani delle Pistol Annies, ma in effetti è una cover di un magnifico brano deep soul degli anni ’60 di Solomon Burke, di cui mi sono andato a risentire l’originale, e secondo me questa versione di Shemekia è addirittura più bella, con fiati, organo, chitarre e voci di supporto a seguire la Copeland che ci regala una interpretazione vocale di grande intensità. Di Isn’t That So, Long As I Can See Light e di una “minacciosa” Jesus Just Left Chicago abbiamo già detto e non posso che confermare, con una nota di merito per il lavoro quasi certosino della band coordinata da Oliver Wood. A completare l’album rimangono il blues elettrico urbano di Wrapped Up In Love Again, un pezzo di Albert King dove brilla la chitarra dell’ospite Arthur Neilson Lord, Help The Poor And Needy, un gospel-blues semiacustico di Jessie Mae Hemphill, una delle tante blueswomen originarie della zona del Mississippi arrivata alle registrazioni discografiche in età matura, di cui Shemekia Copeland rende con grande partecipazione questo brano dai connotati senza tempo.

Potrei aggiungere “gran bel disco” e consigliarvelo caldamente, cosa che faccio.

Bruno Conti

Rock, Blues E Soul, Una Miscela Perfetta! Seth Walker – Sky Still Blue

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Seth Walker – Sky Still Blue – Royal Potato Family

Quando ascolti un album come questo Sky Still Blue ti verrebbe da dire “non solo Blues”, ma poi riflettendo, in effetti è blues, o quantomeno una musica chiaramente influenzata dalle classiche 12 battute https://www.youtube.com/watch?v=P9eZLvPNJaU . Anche se risulta mediata dalle esperienze musicali e di vita di Seth Walker, uno che in una carriera che ormai si estende su quasi due decadi e otto album (con questo) pubblicati, ha portato la sua musica dalla natia North Carolina al Texas, Austin, dove è vissuto per oltre dieci anni, poi a Nashville e infine a New Orleans, dove vive da un paio di anni e questo disco è stato registrato. Walker ha uno stile, sia vocale che chitarristico, molto laconico, mi verrebbe da dire una sorta di JJ Cale in trasferta in Louisiana, con questa resa sonora molto laidback, però ricca di nuances jazzate, à la Mosè Allison, se fosse stato un chitarrista, ma anche Charles Brown e Ray Charles, per volare alti e visto che siamo da quelle parti.

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La classe ovviamente non è quella ma Walker si difende alla grande, aggiungendo una quota funky della Crescent City, un pizzico di soul e gospel, grazie alla presenza delle McCrary Sisters, e, con l’aiuto di Oliver Wood, dei Wood Brothers, che produce, suona la seconda chitarra e si è portato il fratello Chris (Medeski, Martin & Wood) con il suo contrabbasso, oltre a una cinquina di canzoni, firma questo disco, molto raffinato e da centellinare negli ascolti, Sicuramente contribuiscono alla riuscita di questo bel dischetto anche Gary Nicholson, presente come autore in un paio di brani e che aveva prodotto il precedente Time Can’ t Change, oltre a partecipare anche a Leap Of Faith, entrambi gli album registrati in quel di Nashville https://www.youtube.com/watch?v=e3VYeq2czK8 , e che meritano, se volete approfondire, la vostra attenzione. Delbert McClinton, che ha partecipato all’ultimo album citato, quello del 2009, è un fan e ne ha cantato le lodi, le riviste americane, di settore e non, giustamente lo portano in palmo di mano, e Seth Walker in questo disco fa di tutto per meritarsi tutti i complimenti ricevuti.

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Lo fa senza sforzo apparente, con un lavoro che mette a frutto tanti anni di carriera e dove confluiscono le influenze citate prima, a cui si aggiungono le sue passioni per T-Bone Walker e Stevie Ray Vaughan, due musicisti che stanno agli antipodi.  Walker non è un cantante formidabile, ma assai interessante, la chitarra viaggia sempre su traiettorie inconsuete, tra jazz, blues e certo blue-eyed soul dalle fragranze delicate, anche gli altri musicisti utilizzati sono perfetti nei loro compiti, dalla sua road band, Steve McKey, basso e Derrick Phillips alla batteria, oltre a Jano Ritz che nei Wood Brothers suona la batteria, ma qui si inventa tastierista deluxe, a organo, piano e piano elettrico. E poi le undici canzoni sono veramente belle: che siano lo swampy blues, molto New Orleans, della deliziosa Easy Come, Easy Go, con la voce di supporto di Brigitte De Meyer, il titillante pianino di Ritz e la chitarra insinuante e magica dello stesso Walker, oppure il blues sanguigno (che non manca nell’album e nella precedente produzione del nostro amico) della potente Trouble (Don’t Want No), che ci fa capire perché il primo brano nel repertorio di inizio carriera di Seth era Cold Shot di SRV https://www.youtube.com/watch?v=XlMoAZ7mczE .

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Nel disco troviamo anche lo slow blues, virato gospel, quasi una magica ballata, di Grab Ahold, con le armonie vocali delle sorelle McCrary e un breve inserto di scat voce-chitarra https://www.youtube.com/watch?v=ihLg49jPdkY . Per non parlare (ma invece parliamone, perché no?) di una Another Way, tra funky moderato, quasi blue-eyed soul, alla Steely Dan, con un bel pianino elettrico a duettare con la chitarra  e lo strano R&B “valzerato” (ma esiste?) e acustico di Tomorrow, sempre raffinatissimo. All That I’m Askin’ alza la quota funky, aggiunge la tromba di Ephraim Owens, mette in evidenza il contrabbasso di Wood e ci aiuta a tuffarci nei meandri di New Orleans, con un sound comunque decisamente jazzato.

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High Wire, che cita il titolo dell’album nel testo, è una ballata da after hours che scorre sulle note dell’organo e della voce più laidback che mai di Walker, che si cimenta anche in un breve solo all’acustica. Ancora una meravigliosa e vellutata ballata, For A Moment There,  questa volta ricca di soul e con il contrappunto ancora delle bravissime McCrary Sisters, seguita dall’unica cover del disco, un Van McCoy di epoca pre-disco, Either Way I Lose, che diventa blues notturno, quasi minaccioso, con un notevole lavoro alla solista di Seth Walker. Chitarra ancora molto presente nel blues-gospel dell’intensa Jesus (Make My Bed), cantata benissimo e con grande partecipazione https://www.youtube.com/watch?v=YKG_-hnuo5w , come pure la dolcissima Way Too Far, che conclude in gloria questo piccolo gioiellino: veramente bravo!

Bruno Conti