Per Gli Amanti Del Folk Di “Classe”! June Tabor & Oysterband – Fire & Fleet

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June Tabor & Oysterband – Fire & Fleet – Running Man Records – CD – Download

A distanza di 30 anni dalla loro prima collaborazione con l’album Freedom And Rain (90), e verso i dieci dal meraviglioso Ragged Kingdom (11) https://discoclub.myblog.it/2011/09/30/che-disco-june-tabor-oyster-band-ragged-kingdom/ , ritornano a sorpresa due “icone” del folk britannico, e precisamente la brava June Tabor, una delle voci più belle e raffinate (in circolazione dalla metà degli anni settanta), accompagnata dalla Oysterband capofila insieme ad altri attuali gruppi importanti quali Men They Couldn’t Hang, Wolfstone, Four Men & A Dog, Saw Doctors, Goats Don’t Shave, e altri, di una musica popolare viva e impegnata, che all’occorrenza sa tingersi anche di “roots”, che sono ritornati in studio per assemblare questo Fire & Fleet, con una formula molto simile a quella della fortunata esperienza precedente, composta in buona parte da brani dal vivo eseguiti nel Fire And Fleet Tour dello scorso anno, sei canzoni un mix di brani tradizionali e quattro “covers”, registrate nei Rockfield Studios vicino a Monmouth nel Galles, con la supervisione del loro produttore storico Al Scott.

Oltre a June Tabor alla voce, la “line-up” della Oysterband presenta John Jones alla fisarmonica e voce, Alan Prosser alle chitarre, Dil Davies alla batteria, Ian Telfer alle tastiere e violino, Adrian Oxaal al cello, e il citato Al Scott al basso e mandolino, per un lavoro di una quarantina di minuti che non delude le aspettative, specie per tutti quelli che avevano apprezzato i due CD precedenti.

Si parte con la rivisitazione di alcuni brani “traditional”, a partire dalla ballata “Appalachi” False True Love del gruppo The Furrow Collective, ma portata al successo da Shirley Collins, dove la calda e bella voce della Tabor incontra la delicata ritmica della Oysterband, passando per la melodia d’antan di I’ll Show You Wonders, e recuperare da una serie drammatica della BBC The Living & The Dead, un vecchio brano tradizionale inglese Lyke Wake Dirge (nel repertorio fra i tanti degli Steeleye Span e Pentangle), cantata quasi a “cappella” da June. Con On One April Morning (recuperato da Aleyn) inizia il set “live”, una dolcissima fiaba musicale con la fisarmonica di Jones e il violino di Telfer ad assecondare il canto di June, per poi omaggiare il grande Dan Penn con una straordinaria rilettura dello standard-soul The Dark End Of The Street (reso immortale da James Carr, ma ricordo versioni in ambito folk anche dei Moving Hearts e di Linda & Richard Thompson, oltre a quella spendida di Ry Cooder).

A seguire una sentita ed appassionata interpretazione di Roseville Fair di Les Barker (ne esiste anche una ottima versione country di Nanci Griffith), per poi arrivare finalmente alla reinterpretazione della celebre Love Will Tear Us Apart dei Joy Division (un classico del post-punk), dove la tristezza dell’originale viene trasformata in una struggente ballata, accompagnata da violino e chitarra acustica. Ci si avvia alla parte finale del lavoro, andando a pescare una ballata scozzese dimenticata (del 18° secolo) (When I Was No But) Sweet Sixteen, rivoltare come un calzino una straordinaria White Rabbit dal repertorio dei mai dimenticati Jefferson Airplane di Grace Slick, con la Oysterband sugli scudi, e concludere al meglio recuperando meritoriamente dalla band di Canterbury un brano dimenticato come Molly Bond (lo trovate su Step Outside(86), una ballata che nell’occasione viene riletta con un folk-rock più grintoso, che chiude nel modo migliore questo inaspettato loro terzo lavoro Fire & Fleet.

In un mio ipotetico podio musicale dei gruppi folk-rock della scena britannica, dopo gli inarrivabili Fairport Convention e gli Steeleye Span, un posticino lo troverei per questa collaborazione tra June Tabor e la Oysterband (occasionale ma meravigliosa nell’arco dei 3 CD), in quanto tutte le tre formazioni fondono perfettamente la tradizione acustica tradizionale, con le ampie possibilità di un “folk-rock” più moderno, con la similitudine (non di poco conto) che sia i Fairport come gli Span avevano nelle cantanti (Sandy Denny e Maddy Prior) uno dei punti di forza della formazione, cosa che si ripete con June Tabor e la Oysterband. Imperdibile per gli amanti del “folk” e del bel canto!

Tino Montanari

Il Commiato Di Una Piccola Grande Band Folk-Rock Sconosciuta Ai Più. McDermott’s 2 Hours – Besieged

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McDermott’s 2 Hours Vs Levellers & Oysterband – Besieged – On The Fiddle Recordings

Premetto che questo CD non è recentissimo, in effetti è uscito nel Febbraio di quest’anno, ma solo in questi ultimi giorni ne sono venuto in possesso, e dato che quasi certamente sarà l’ultimo di una carriera passata ai margini della scena musicale britannica, mi dà l’occasione finalmente per parlarvi di questa piccola grande band. I McDermott’s 2 Hours si sono formati a Brighton nel lontano ’86 dalle ceneri di altri due gruppi, e precisamente degli sconosciuti The Bliffs e The Crack, e sotto la guida del fondatore, compositore, cantante e drammaturgo Nick Burbridge, sono stati tra i primi a pensare di unire il folk irlandese con un tocco di “punk” (con Shane MacGovan come punto riferimento), e in seguito sono quindi diventati una folk-rock band. La formazione originale comprendeva oltre al citato Burbridge, Martin Pannett, Marcus Laffan, e Tim O’Leary, e suonando nei “pub” e nei “club” di Brighton e Londra si sono costruiti una solida reputazione per le loro esibizioni dal vivo “torrenziali” che sono diventate leggenda. Il loro esordio discografico avvenne con il baldanzoso Enemy Within (89), a cui fecero seguito tre album in collaborazione con i più famosi Levellers, e precisamente Wold Turned Upside Down (2000), Claws & Wings (03), e Disorder (04), per poi incidere da soli Goodbye To The Madhouse (07), le cui recensioni all’epoca sono state uniformemente positive; seguì una lunga pausa discografica (in cui si esibivano solo dal vivo), interrotta con la raccolta Anticlockwise (13) un The Best Of McDermott’s 2 Hours (venduto solo ai concerti), fino ad arrivare a questo conclusivo lavoro Besieged, registrato con alcuni amici e componenti sia dei Levellers che della Oysterband (abituali ospiti di queste pagine virtuali).

In quello che sembra l’ultimo capitolo della carriera musicale di Burbridge, il nostro si porta in studio l’ultima line-up della formazione composta dai violinisti Ben Paley e Tim Cottarel, Matt Goorney e Philippe Barnes alle chitarre, con il contributo della parte più “soul” dei Levellers, con Jeremy Cunningham  al basso e Simon Friend alle chitarre, e la sezione ritmica degli ultimi Oysterband con Dil Davies alla batteria, e Al Scott alle percussioni, tastiere, basso, mandolino e bouzouki, con un contributo familiare in veste di “vocalist” della figlia Molly Burbridge, sotto la produzione dello stesso Scott (che ricordiamo ha curato gli ultimi lavori degli stessi Levellers). Questo CD degli “assediati” parte con il potente brano d’apertura Firebird, dove sfacciatamente sembra di sentire il marchio di fabbrica del sound Levellers, seguito da una canzone popolare come Erin Farewell, dove si racconta una meravigliosa storia di lotta e fede, brano che vede protagonisti i tanti irlandesi che sono all’estero, come anche in This Child, altro brano di forte impatto emotivo che narra le sorti di bambini uccisi senza alcuna colpa, con l’accompagnamento dei violini “strazianti” di Ben e Tim.

Le storie proseguono con il grido di protesta di The Last Mile, canzone che pesca dalle influenze musicali dei mai dimenticati Pogues dello sdentato Shane MacGowan, con la band che poi si scatena nell’andamento baldanzoso di Forlon Hope, dove è proprio impossibile non muovere i piedini, mentre la dolce ballata All That Fall si avvale nel finale della voce suadente della brava Molly. Con The Warrior Monk, un’altra storia di guerra, sofferenza, sacrificio e tragedia, ci trasferiamo nel Medio Oriente, con un tessuto musicale di grande aggressività, cantato con rabbia, mentre la deliziosa  Crossed Lines è un’altra dolce ballata cantata da Burbridge in duetto con la figlia, brano che precede gli svolazzi violinistici della title track Besieged, un brano perfettamente in linea con il folk-rock style dei Waterboys. Le storie raccontate da Burbridge purtroppo volgono al termine con una The Damned Man’s Polka, dove tutti sono invitati a ballare sulla pista da ballo, con un crescendo di musica anglo-irlandese dove gli strumenti tradizionali sono in gran spolvero, le danze che proseguono con la tambureggiante All In Your Name, per andare infine a chiudere un lavoro splendido con la commovente e quasi recitativa The Ring, dove come sempre il violino e il cantato di Nick vi accompagnano con la mente e con il cuore attraverso i meravigliosi paesaggi della verde Irlanda.

I Levellers hanno sempre riconosciuto nella formazione dei McDermott’s 2 Hours “una grande influenza formativa”, e ora quindici anni dopo i due gruppi, come ricordato all’inizio, si sono ritrovati in studio  anche con membri della Oysterband, per questo Besieged, che non sembra un commiato finale, ma un lavoro che ha tutto ciò che serve per un album folk, un racconto magistrale di storie, del passato e del presente, con brani incisivi e pimpanti, fortemente radicati nella tradizione, suonati come Dio comanda (violini, percussioni, strumenti tradizionali, cori), e in cui Nick Burbridge non solo dà il meglio come musicista, ma pure come poeta e romanziere, un personaggio che è stato e continua a essere uno dei migliori cantautori di coloro che fanno parte della grande tradizione anglo-irlandese, e se questo veramente fosse il “canto del cigno” sarebbe (per chi scrive) un vero peccato, in quanto ogni ascolto di questo CD è davvero tempo ben speso, se mate il genere, ed è l’occasione di fare conoscenza con una delle folk band più sottovalutate del pianeta, che per motivi che sfuggono agli amanti della buona musica non ha avuto il successo che meritava, e forse neanche lo ha cercato!

*NDT Per chi fosse interessato ad avvicinarsi alla musica della band, ricordo che esiste anche una versione limited in 2 CD dell’album, con allegato proprio il dischetto antologico citato prima, Anticlockwise, il Best Of riepilogativo con altre 14 tracce.

Tino Montanari

Una “Storia Gloriosa” Nell’Ambito Folk-Rock Lunga 40 Anni. Oysterband –This House Will Stand

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Oysterband – This House Will Stand The Best Of Oysterband 1998-2015  – Navigator Records 2 CD

Fin dalle loro origini nei lontani anni ’70, gli Oysterband (di cui ho recensito sul Blog il loro ultimo lavoro di studio Diamonds On The Water http://discoclub.myblog.it/2014/03/08/i-veterani-del-folk-rock-britannico-oysterband-diamonds-on-the-water/ ) hanno attraversato, con una lunga serie di formazioni e stili musicali, una duratura e meritata stagione nell’ambito del folk-rock britannico (dando spesso il meglio nei loro sempre acclamati spettacoli dal vivo). Per un gruppo che ha attraversato con successo una carriera così lunga e importante è quasi sorprendente che questo This House Will Stand (sottotitolato the Best Of Oysterband 1998-2015), sia solo la seconda retrospettiva estratta dal loro sterminato “songbook” dopo Granite Years uscito nel 2000, e non considerando pienamente tali Trawler (95) e Pearls From The Oysters (98). Questa raccolta, composta da 29 brani, fornisce una panoramica completa del periodo citato nella vita della band,  soprattutto materiale dagli ultimi cinque album in studio (a partire da Here I Stand (99), e una ricca selezione di brani inediti, b-sides, demo e versioni alternative che compongono il secondo CD.

Nel primo disco l’album più saccheggiato (un po’ a sorpresa) è Rise Above (02): a partire dal brano iniziale, il folk armonioso di The Soul’s Electric e poi Uncommercial Song, la limpida bellezza della musica irlandese, ma non solo, nei tradizionali Blackwaterside e Bright Morning Star (uno spiritual dei monti Appalachi), e la title track Rise Above, mentre da Meet You There (07) vengono riproposte le “danzerecce” Where The World Divides e Walking Down The Road With You, una ballata calda, avvolgente e ricca di atmosfera come Dancing As Fast As I Can, e il folk-agreste di Here Comes The Flood. Da Here I Stand (99) la Oysterband pesca due brani tra i più armoniosi e ballabili come Street Of Dreams e On The Edge (dove è impossibile non muovere il piedino), mentre selezionate dal recente Diamonds On The Water (14), appaiono il folk arioso di Spirit Of Dust, A Clown’s Heart e A River Runs, infine, colpevolmente, dal bellissimo e pluripremiato Ragged Kingdom, registrato con June Tabor, la seconda collaborazione dopo il noto Freedom And Rain (90), viene estratta solo la bellissima rielaborazione di Love Will Tear Us Apart, il brano dei Joy Division, un classico senza tempo valorizzato dalla magnifica voce della Tabor.

Con il secondo bonus CD l’ascolto si fa più interessante: dall’iniziale ballata folk I Built This House, che con la tambureggiante Scattergun e il tradizionale Bold Riley sono le canzoni inedite del lavoro, a cui fanno seguito due tracce dal vivo come Ways Of Holding On in duetto con Emma Hardelin, e la vivace Jail Song Two; vengono poi recuperate, in versione alternativa, la bellissima Never Left (la trovate su Deserters (92), la dolente And As For You, la straziante melodia di una suadente Mississippi Summer (cercatela sul magnifico Freedom And Rain (90), e la nota Long Dark Street. I due lati B inseriti nel dischetto sono la danzante Hangman Cry, e il brano strumentale The Sailor’s Bonnet, che con il tradizionale I Once Loved A Lass, e le versioni demo di She’s Moved On e della conclusiva corale The Cornish Farewell Shanty, chiudono una collezione volutamente intrigante.

Per chi scrive, la Oysterband è stata (ed è tuttora), senza ombra di dubbio, nelle quasi quattro decadi di carriera, una delle più popolari e creative band folk-rock del panorama anglosassone, e questo nuovo lavoro antologico This House Will Stand rischia di diventare indispensabile sia per i “neofiti” del genere, quanto obbligatorio per chi già li conosce (in particolare per il secondo CD), e se posso permettermi un consiglio da amico, investite senza esitazione i vostri “svalutati” euro, credetemi ne vale la pena.

Tino Montanari

I “Veterani” Del Folk Rock Britannico! Oysterband – Diamonds On The Water

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Oysterband – Diamonds On The Water – Navigator Records/IRD

Tra I tanti gruppi che hanno provato a mischiare le sonorità moderne con elementi della tradizione la Oysterband è quella che ha avuto un percorso artistico piuttosto lineare, con un’evoluzione lenta ma pressoché costante. La loro storia inizia con il nome di Fiddler’s Dram, e il primo cambio di nome porta alla Oyster Ceilidh Band e poi alla Oyster Band, che esordisce con English Rock ‘n’ Roll. The Early Years 1800-1850 nel lontano ’82. A questo punto la cantante Kathy LeSurf lascia per unirsi alla Albion Band e la tradizione nel gruppo è rappresentata dal melodeon di John Jones, mentre Ian Telfer non disdegna l’elettrificazione del suo violino.

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Con l’ingresso in pianta stabile del batterista Russell Lax a partire da Step Outside (86) il suono diventa più rock ed elettrico di prima, e tutti i lavori successivi sono legati a cadenze grintose e appassionate (nonostante il grande successo commerciale non arrivi). Nel corso degli anni ’90 pubblicano notevoli album come Holy Bandits (93), The Shouting End Of Life (95) Deep Dark Ocean (97) Here I Stand (99), fino ad arrivare all’ultima decade con Eise Above (02), Meet You There (07), The Oxford Girl And Other Stories (08), senza dimenticare le due  collaborazioni con la leggendaria June Tabor Freedom And Rain (90) e il pluripremiato Ragged Kingdom (11), recensito puntualmente su queste pagine virtuali dall’amico Bruno http://discoclub.myblog.it/2011/09/30/che-disco-june-tabor-oyster-band-ragged-kingdom/ .

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La base da cui parte la Oysterband è un suono pop-rock a volte energico, altre volte più morbido ed orecchiabile su cui si intreccia la contaminazione folk sempre presente fin dagli esordi http://www.youtube.com/watch?v=-U4_iQKKRNc . La musica del gruppo è dunque diretta, senza inutili fronzoli, ben interpretata dalla voce del leader John Jones e colpisce immediatamente, coinvolgendo sin dal primo ascolto. I brani sono tutti composti dalla band, e come sempre un po’ tutti i componenti partecipano alla stesura dei testi e delle musiche, a dimostrazione che il gruppo e molto affiatato, omogeneo, senza diversità di ruoli (e cosa molto importante) senza che nessuno si senta un semplice comprimario.

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Questo ultimo lavoro Diamonds On The Water, è il primo dopo l’uscita dalla line-up dello storico componente Ray “Chopper” Cooper, sostituito da Al Scott al basso, e la conferma del cantante John Jones anche all’organetto, Alan Prosser alle chitarre e viola, Dil Davies alla batteria, Ian Telfer al violino e la partecipazione come ospiti di Adrian Oxaal  al cello, Peter Davison alla tromba, Eira Owen al corno francese e come vocalist Rowan Godel e Lee Partis.

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A partire dalla bellissima copertina del disco, i diamanti cominciano a spuntare dall’acqua con l’iniziale A Clown’s Heart, un brano ritmato con un accattivante uso delle armonie vocali, a cui fa seguito uno dei punti di forza dell’album A River Runs,  aperta dal violino, una perfetta canzone folk-pop con la seconda voce della Godel, mentre Spirit Of Dust è una semplice melodia celtica suonata con gli strumenti tradizionali http://www.youtube.com/watch?v=YanRxqW0neg . Altri diamanti galleggiano sull’acqua a partire dalla dolce e sognante Lay Your Dreams Down Gently, accompagnata nuovamente dal violino e dalle ricche armonie vocali, proseguendo con la title track Diamonds On The Water, altro brano vivace ed incisivo, sottolineato dalla fisarmonica, per poi pescare un diamante grezzo ma stupendo come The Wilderness, che unisce la dolcezza e la melodia di violino e fisarmonica, ad accompagnare il cantato di Jones http://www.youtube.com/watch?v=4ZAlVzcJwRI .

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Il viaggio riparte con una ballata di ampio respiro come Palace Of Memory, preludio all’unico brano tradizionale dell’album Once I Had A Sweetheart (mi ricordo una bella versione dei Pentangle), qui rifatta in una versione “neo-psichedelica”, mentre con No Ordinary Girl il piedino non riesce a stare fermo. La pesca si avvia alla conclusione con il folk accelerato di Call You Friend, un’altra magnifica ballata di altri tempi come Steal Away (marchio di fabbrica del gruppo), e una bella nuotata nell’oceano Like A Swimmer In The Ocean , una perfetta canzone folk acustica, è il modo migliore per terminare la raccolta di “diamanti che spuntano sull’acqua”.

Diamonds On The Water è un disco valido, senz’altro una delle pagine più belle di questo inizio di stagione, se vi piace il genere non sono certo soldi buttati via, per tutti gli altri un’occasione d’oro, per chi non ha niente di loro (con rima finale).

Tino Montanari   

Che Disco! June Tabor & Oysterband – Ragged Kingdom

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June Tabor & Oysterband – Ragged Kingdom – Topic Records

Maestoso, magnifico, meraviglioso, un disco stupendo e mi fermo perché non vorrei esagerare. Dischi così belli nell’ambito folk-rock si facevano solo negli anni ’70 (ma anche in qualsiasi altro tipo di musica è difficile trovare album così completi). Nel 1990 June Tabor e la Oysterband avevano già fatto un altro disco in coppia, Freeedom and rain, che era bello, persino molto bello ma questo nuovo Ragged Kingdom supera ogni aspettativa, un album che compete con classici come Liege and Lief dei Fairport o Below The Salt degli Steeleye Span o Sweet Child dei Pentangle per la profondità dei contenuti, la scelta del materiale, la qualità delle esecuzioni, la strepitosa bravura di June Tabor che è una cantante incredibile (sto iniziando a essere in difficoltà negli aggettivi). La Tabor che quest’anno ha già pubblicato un disco Ashore, bellissimo, che si candidava autorevolmente a disco Folk dell’anno ma questo Ragged Kingdom lo supera.

 

Una delle più riuscite fusioni tra la voce emozionante della Tabor e il sound elettrico ed elettrizzante della Oysterband, tra le migliori band di folk-rock della scena britannica in attività dalla seconda metà degli anni ’70 quando i Fiddler’s Dram che avevano come vocalist Kathy Lesurf si fusero con la Oyster Ceilidh Band che all’inizio era una dance band (nell’ambito folk ovviamente). Più o meno nello stesso periodo June Tabor esordiva con un disco Silly Sisters registrato in coppia con Maddy Prior degli Steeleye Span. Se volete investigare sulle loro carriere separate potete provare uno qualsiasi dei dischi solisti della Tabor (sono quasi tutti belli) oppure il cofanetto quadruplo pubblicato dalla Topic nel 2005, Always. Per la Oyster Band (staccato), potete provare Liberty Hall del 1985 e per la Oysterband (attaccato, ma sono sempre loro) Deserters, oltre che, per entrambi Fredom and Rain.

 

La cosa migliore, per questa unica occasione e se già non frequentate il genere e i personaggi in questione, sarebbe quella di partire dal fondo con questo Ragged Kingdom: sono dodici brani, uno più bello dell’altro, ma con delle punte di qualità che si stagliano su uno standard elevatissimo che gli ha fruttato giudizi da 5 stellette da parte di Mojo, Guardian, BBC e altri e che sono inconsueti abitualmente. 4 stellette vengono date con noncuranza e spesso a sproposito ma cinque sono l’eccellenza assoluta (e in questo caso meritata).

A partire da una rilettura gagliarda dello standard Bonny Bunch Of Roses dove l’andatura incalzante della costruzione musicale della Oysterband stimola la Tabor in una interpretazione profonda e ricca di significati di questo celebre brano che rinasce a nuova vita per l’ennesima volta. E che dire della rilettura di un brano che difficilmente si accosterebbe alla musica popolare inglese (o forse sì?)? That Was My Veil di PJ Harvey si riveste di nuovi sapori con la voce profonda ed evocativa della Tabor che è una delle migliori cantanti della musica inglese, in assoluto, generi a parte. Il primo duetto con la voce storica degli Oysterband, John Jones è un delizioso traditional chiamato Son Of David e le due voci si intrecciano e si completano in un modo quasi magico, con il violino di Ian Telfer che aggiunge ulteriore spessore all’esecuzione.

 

Che si ripete e si amplifica in una rilettura semplicemente “definitiva” di Love Will Tear Us Apart dei Joy Division (un classico dei loro concerti), che diventa un brano acustico, dove la chitarra di Alan Prosser e il cello di Ray Cooper (Chopper per gli amici) accompagnano le voci sublimi di Jones e June Tabor verso vette quasi ineguagliabili. Voci che sono nuovamente protagoniste nella versione accapella di (When I Was no but) Sweet Sixteen, anche questa superba.

Judas (Was a Red-headed Man) dall’andatura decisamente folk-rock classica e If My Love Loves Me, entrambe con il melodeon di John Jones in evidenza, sono “solamente” belle. Un brano di Shel Silverstein The Hills Of Shiloh, che è un piccolo classico delle canzoni americane dedicate alla guerra civile e contro la guerra stessa è noto, tra le tante, per la versione di Judy Collins, ma questa cantata da June Tabor accompagnata solo da una chitarra in pura tradizione folk è veramente emozionante. Fountains Flowing è un’altra canzone tradizionale che si immerge profondamente nella tradizione del miglior folk-rock inglese, sembra una di quelle magnifiche accoppiate di Sandy Denny e Richard Thompson dei tempi d’oro. E anche The Leaves of Life due o tre frecce al suo arco le ha.

Ma sono i due brani conclusivi che ritornano a livelli incredibili, prima una versione particolarissima e superba di Seven Curses di Bob Dylan con il cello di Ray Cooper che si disputa la scena con le voci duettanti di June Tabor e John Jones. E per finire un altro brano tra i più belli della storia della musica americana, The Dark End Of The Street che dalla versione originale (e inarrivabile) di uno dei maestri della musica soul, lo sfortunatissimo James Carr è passata nei decenni attraverso Aretha Franklin, Ry Cooder, Eva Cassidy, i Moving Hearts, lo stesso Springsteen per approdare alla versione di questo disco dove le voci di Jones e Tabor si intrecciano ancora una volta accompagnate da un violino e da una fisarmonica (pardon, English Concertina) che la rendono ancora una volta un classico della tradizione folk.

 

Credo che difficilmente quest’anno si siano fatti o si faranno dischi più belli, alla pari forse ma non superiori. Altamente, caldamente e “disperatamente” consigliato. Se vi piace il folk, come dicevo nel Post precedente, qui siamo su livelli stratosferici!

Bruno Conti