Ebbene Sì, Eccolo Di Nuovo! Anteprima Joe Bonamassa – Different Shades Of Blue

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Joe Bonamassa – Different Shades Of Blue – Mascot/Provogue 23-09-2014

Un altro!?! Già immagino che questa sarà stata la prima reazione a caldo di molti di voi all’annuncio di questo nuovo, ennesimo, disco di Joe Bonamassa. E’ stata anche la mia. Poi ragionandoci sopra a mente fredda, uno fa due calcoli: in effetti l’ultimo album di studio, Driving Towards The Daylight, è uscito nel maggio del 2012. Oddio, è vero che nel frattempo sono usciti due album in collaborazione con Beth Hart, uno in studio e uno doppio dal vivo http://discoclub.myblog.it/2014/04/11/potrebbe-il-miglior-live-del-2014-beth-hart-joe-bonamassa-live-amsterdam/ , il Beacon Theatre – Live From New York https://www.youtube.com/watch?v=duBkUREYP-o , il terzo e ultimo capitolo con i Black Country Communion, Afterglow, considerato cosa vecchia, ma uscito “solo” nell’ottobre, sempre del 2012. Le due collaborazioni con i Rock Candy Funk Party, compreso l’eccellente Live At Iridium http://discoclub.myblog.it/2014/04/08/supergruppo-famosi-tranne-mr-bonamassa-rock-candy-funk-party-takes-new-york-live-at-the-iridium/ . Vogliamo aggiungere i quattro capitoli concertistici della serie Tour De Force, preceduti dal fantastico An Acoustic Evening At The Vienna Opera House.

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Bisogna ammettere che non sono pochi, medie che non si vedevano dai tempi aurei del rock, quelli a cavallo tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 quando la prolificità non dico fosse considerata un punto di merito, ma non era neppure merce così rara. Come recita il comunicato stampa che annuncia l’uscita di Different Shades Of Blue, prevista per il 23 settembre, stiamo parlando del primo album di materiale originale di Joe Bonamassa da due anni a questa parte, scritto tutto a Nashville, nell’arco del 2013, anno in cui si era astenuto dal pubblicare nuovi dischi di studio, una rarità, aggiunge l’estensore di quelle note, nella frenetica attività del nostro. Brani scritti  anche con Jonathan Cain, James House e Jerry Flowers, oltre al suo collaboratore abituale, il produttore Kevin Shirley, che ancora una volta siede dietro la consolle. Non saprei dirvi quali e con chi, perché nelle informazioni che ho al momento non è riportato. Posso aggiungere che il disco, nelle intenzioni di Bonamassa, è una sorta di ritorno alle matrici blues della sua musica, ma cercando al contempo di aggiungere al lavoro un lato maggiormente “sperimentale” rispetto ai progetti precedenti https://www.youtube.com/watch?v=Ev0oreq0LIo .

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Il disco, concepito a Nashville, è stato poi registrato in quel di Las Vegas, allo Studio At The Palms, con la consueta abbondante pattuglia di collaboratori: non c’è più Arlan Schierbaum alle tastiere, sostituito dal “mitico” Reese Wynans, coronando il sogno di Joe di suonare con un componente dei Double Trouble di uno dei suoi miti di gioventù, Stevie Ray Vaughan. Solita sezione ritmica con Anton Fig alla batteria e Carmine Rojas al basso, che viene affiancato da Michael Rhodes, che lo suona in alcuni brani. La novità sostanziale è la piccola sezione di fiati, retaggio delle collaborazioni con Beth Hart, che aumenta ulteriormente la quota blues & soul, Lee Thornburg, a tromba e trombone e Ron Dziubla ai sassofoni, oltre all’immancabile Lenny Castro alle percussioni, i backing vocalists, Doug Henthorn e Michelle Williams e una sezione archi, la Bovaland Orchestra, usata con parsimonia, a occhio, anzi a orecchio, direi in un brano. In totale undici  brani, di cui uno, è un breve frammento strumentale di un minuto e venti https://www.youtube.com/watch?v=ctMIr_bNb80 .

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Vediamoli. Hey Baby (New Rising Sun), il brano appena citato, suona (e lo è) come un breve omaggio a Jimi Hendrix, un altro degli eroi del pantheon musicale del nostro. Oh Beautiful! Solo voce, con molto eco, poi parte un riff, direi circa Led Zeppelin II, un pezzo rock con l’organo di Reese Wynans che incombe sulla chitarra di Bonamassa che oscilla tra Kashmir e derive simil psichedeliche, prima di esplodere in uno dei suoi classici assoli, un misto di classe e di potenza (credo che ormai siamo tutti d’accordo che il buon Joe non sia solo un volgare picchiatore, ma uno dei migliori chitarristi dell’attuale epoca della musica rock). E qui lo dimostra, Page rimasterizza i suoi vecchi dischi, Bonamassa “rimasterizza” il passato. Love Ain’t A Love Song ricorda le collaborazioni con Beth Hart, che hanno riportato a galla il mai sopito amore di Joe per il blues e il soul, e in genere con quei tipi di musica che prevedono l’uso dei fiati, Thornburg e Dziubla, ben spalleggiati da Henthorn e Williams, rispolverano questo stile funky-blues non solo nei classici del passato, ma pure in queste nuove composizioni “ispirate” a queste coordinate. La produzione di Shirley porta tutto alla luce con un nitore sonoro che ci permette di apprezzare anche le evoluzioni sonore della solista. Living On The Moon è il primo blues puro, fiatistico, ma con un drive boogie shuffle che si apre alle continue invenzioni della solista, sempre in grande spolvero, ma utilizzata con gusto e misura. Heartache Follow Wherever I Go è una ulteriore variazione su questo canovaccio Blues fiatistico, un pezzo cadenzato, con le percussioni di Lenny Castro che aggiungono un piccolo tocco di esotismo, mentre l’organo di Wynans è sempre ben presente, fino a un ricchissimo assolo di Bonamassa, prima con il wah-wah, poi esplorando quasi con libidine trattenuta il manico della sua chitarra https://www.youtube.com/watch?v=n9V8f9fRuIw .

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Never Give All Your Heart torna alle tessiture rock più classiche del musicista newyorkese, piano acustico e chitarra lancinante a cavalcare un brano che ondeggia tra momenti riflessivi e atmosfere più rarefatte, fino all’ingresso dell’organo di Wynans e da lì va nella stratosfera del rock, con un assolo di quelli che sprizzano potenza pura e reiterata. Torna il blues, in una versione ancora più canonica, con uno shuffle ad altra gradazione fiatistica. I Gave Everything for you (‘Cept The Blues), con la solista a duettare con il piano su sonorità care ai maestri del passato. La title track, nonché singolo portante del disco, Different shades of blue, è una di quelle hard ballads malinconiche e melodiche che sono nelle corde del Bonamassa più mainstream, chitarre acustiche ed elettriche che si intrecciano con naturalezza, in un brano che piace fin dal primo ascolto, glorificato dal “solito” fluentissimo” e conciso assolo nel finale https://www.youtube.com/watch?v=Z3_GOk36JD0 . Get Back My Tomorrow è uno dei brani che cerca di sperimentare con diverse soluzioni sonore, tra strumenti elettrici ed acustici che cercano di allontanare il mood dalle classiche 12 battute, ma è anche uno di quelli che al momento mi convince meno. Trouble Town, viceversa, è un super funky fiatistico che tiene conto anche delle recenti avventure collaterali con i Rock Candy Funk Party, meno jazz e più sanguigno blues, con una bella slide. Conclude So What Would I Do, un bellissimo lento che non poteva mancare in un disco di Joe Bonamassa che si rispetti, Reese Wynans a piano ed organo, tira la volata al suo titolare che ben si comporta con una interpretazione vocale che ha quasi dei richiami allo stile di Ray Charles, anche nell’uso degli archi, nobilitata da un misurato assolo, più di finezza che di forza, a conferma della bravura di questo signore https://www.youtube.com/watch?v=BEQUo_QHqSQ . Non ancora un capolavoro ma un ennesimo lavoro solido e convincente. Esce il 23 settembre, edizione con libretto Deluxe di 64 pagine, ma senza brani extra, ovviamente più costosa, negli Stati Uniti e poi in Europa uscirà anche la versione “normale” senza libretto, più risparmiosa!

Bruno Conti       

Questo E’ Vero Southern Rock! Whiskey Myers – Early Morning Shakes

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Whiskey Myers – Early Morning Shakes – Wiggy Thump Records ***1/2

Come forse alcuni di voi ricorderanno (per chi vuole approfondire eccolo http://discoclub.myblog.it/2011/05/15/sudisti-veri-e-di-quelli-ma-molto-bravi-whiskey-myers-firew/ ), in occasione dell’uscita del precedente album Firewater, mi ero lanciato, nell’incipit della recensione, a definire quali erano la provenienza e il genere di musica che fanno i Whiskey Myers, con queste parole, che ricordo per i più distratti: “Vengono da Elkhart, una piccola cittadina dell’East Texas e, per una volta, non ci sono dubbi su che genere di musica facciano: Southern Rock. E di quello duro e puro!” https://www.youtube.com/watch?v=HZku85Lk7FA  Ebbene mi sbagliavo! Ogni tanto, per documentarmi, come fanno molti, sono andato a fare un giretto in rete e controllando alla voce Whiskey Myers su Wikipedia e Allmusic ho scoperto che fanno country!

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Mi scuso dell’errore e vado a parlarvi di questo nuovo Early Morning Shakes https://www.youtube.com/watch?v=LpsxU_6Sb6I . Scherzi a parte (ma non troppo), il quintetto texano, ostinatamente, ha dato alle stampe, a tre anni di distanza dal precedente, un nuovo album dove “sembra” che facciano ancora quel tipo di musica che negli anni ’70 ha fatto la fortuna di formazioni tipo gli Allman Brothers, i Lynyrd Snynyrd, la Marshall Tucker Band e ai giorni nostri viene frequentato da formazioni come Blackberry Smoke, Skinny Molly e altri, il country! Come ha giustamente ricordato il leader della band Cody Cannon, non è che lui e i due chitarristi Cody Tate e John Jeffers, e la sezione ritmica di Gary Brown e Jeff Hogg, si chiudano scientemente in uno studio di registrazione (in questo caso con Dave Cobb, già produttore di Jason Isbell e molti altri) per creare un disco di southern rock! Però poi, senza volere, e per fortuna, gli viene https://www.youtube.com/watch?v=oPOWJu-URdU .

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Nell’apertura, affidata alla title-track, Early Morning Shakes, un brano che profuma di blues anche per la presenza dell’armonica di Chris Hennessee, la quota country e rock è meno pervasiva, anche se Tate e Jeffers cominciano a scaldare gli attrezzi e Cannon l’ugola, ben coadiuvato dalla voce di supporto di Kristen Rogers (molto brava). Un inizio più in sordina del solito (ma giusto quel poco), perché già da Hard Row To Hoe, la ritmica trova un groove quasi zeppeliniano, dove i tre solisti, possono far rivivere la leggenda dei Lynyrd Snynyrd, Cody Cannon è un cantante che  non ha nulla da invidiare al vecchio Ronnie Van Zant e come ricordavo già per il precedente album, Tate e Jeffers sono degni epigoni di Rossington e Collins, in questo brano entrambi al wah-wah, per un sound che si rifà alle migliori cavalcate della band di Jacksonville, Florida. Quando si aggiunge anche la pedal steel dell’ospite Robby Turner, come nella eccellente Dogwood, dove salgono al proscenio pure le tastiere di Michael Webb, peraltro presente in tutto il disco, la quota country ovviamente sale, ma è quello energico che ci piace, ottima ancora una volta la presenza della voce femminile di Kristen Rogers. Steel che rimane anche per Shelter From The Rain, una gentile ballata mid-tempo degna dei migliori del genere, Gregg Allman e Ronnie Van Zant sarebbero fieri del loro degno erede Cannon, ma tutta la band suona alla grande.

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Home ha un sound non dissimile da quello dei Black Crowes, rock potente e chitarristico https://www.youtube.com/watch?v=kLz-C8R3uNA , che deriva sicuramente dal classico hard rock degli anni ’70, ma suonato come Dio comanda, con la slide di Jeffers che taglia a fettine il tessuto del brano. Lo so, tutta roba sentita migliaia di volte, e per la milionesima volta mi ripeto, chi se ne frega! Se la fanno così bene, noi siamo contenti, la critica più esigente se ne farà una ragione e lascerà ai vecchi rockers (ma anche a quelli giovani, se vogliono) il piacere di ascoltare una musica che non profuma di plastica e campionamenti, ma di sudore del palcoscenico e che si replica all’infinito, come nel riff alla Zeppelin di Headstone, roccioso come si conviene e con l’assolo di Tate (o è Jeffers? O tutti e due?) che rende omaggio al maestro Page.

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Where The Sun Don’t Shine, sempre ricca di armonie sudiste ha una andatura più cadenzata e precede la atmosfere acustiche di Reckoning, con il piano che delinea la melodia di questa bella ballata, con il classico costrutto in crescendo dei classici del genere, ma senza il finale chitarristico che ci si potrebbe aspettare. Wild Baby Shake Me, bluesata e sudista quanto basta, è un altro ottimo esempio della classe di questa band che da Austin e dintorni porta il proprio genere per gli States e per il mondo, e in questo caso le chitarre non mancano, doppia slide addirittura. Anche Lightning si lascia ascoltare con piacere https://www.youtube.com/watch?v=-MdLuXBdOlY  e Need A Little Time Off For Bad Behavior, ancora con pedal steel e armonica aggiunte, è l’unica cover presente, un brano di David Allan Coe, country, ma da “fuorilegge cattivo”, come il proprio autore https://www.youtube.com/watch?v=nI_ZBa9xK1I . Colloquy se la sono tenuta per ultima ed è un’altra fantastica ballata che nei suoi oltre sei minuti ripercorre il meglio del loro repertorio. I Whiskey Myers non deludono, ottimo disco!                

Bruno Conti

Piovono Chitarristi, Il Ritorno! Jason Elmore & Hoodoo Witch – Tell You What

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Jason Elmore & Hoodoo Witch – Tell You What – Underworld Records

Non posso che confermare quanto detto di buono in relazione alla precedente uscita di Jason Elmore, Upside Your Head (forse ai tempi sul Busca avevo anche “ciccato” il titolo), dischetto del 2010 che ci aveva presentato questa nuova realtà del rock, intriso di blues, texano. Anzi, se possibile, questo nuovo Tell You What è ancora più soddisfacente, nella sua corposa e sanguigna varietà che ruota intorno a questo sound molto anni ’70 (anche più indietro) ma che tiene conto dei vari chitarristi che si sono susseguiti nelle decadi successive, Stevie Ray Vaughan e Joe Bonamassa i primi che mi vengono in mente, ma ce ne sono molti altri.

Quindi, come al solito, niente di nuovo, ma per chi ama il genere rock, nelle sue varie declinazioni e i chitarristi in particolare, qui c’è di che gioire: le influenze vanno dagli Zeppelin di Page, sentire per credere la potente Botton Feeder al Rory Gallagher degli inizi, citato in prima persona con una grandiosa cover di Country Mile che ha stampato nel proprio DNA l’indimenticabile forsennato drive dei migliori brani dell’irlandese, e per riprodurlo al meglio si sono dovuti mettere in due, con l’amico e consulente (?!?) Jim Suhler che aggiunge la sua slide alla feroce solista di Jason Elmore (sembra uno pseudonimo ma è più un caso di “nomen omen”, un destino), per una cavalcata selvaggia e senza freni nel miglior rock-blues d’annata. Ma anche il southern-rock blues “cattivo” di Southbound, che non è quella degli Allman ma ha quei profumi e ritmi boogie, addizionati con la verve di certe jam band anni ’90 come i Blues Traveler o i Gov’t Mule, chitarre fumanti e voci distorte ma anche assolo di assoluta precisione chirurgica e tecnica sopraffina. O ancora lo slow blues Cold Lonely Dawn, con l’organo B3 di Tommy Young e la screziatura di fiati di Ron Jones (una novità di questo album) che aggiungono una patina di deep soul al suono vibrante del pezzo e la chitarra disegna linee soliste assolutamente degne di nota, fluide e ricche di inventiva, insomma in soldoni, questo è uno buono, forse i suoi sono avanzi della cucina del giorno prima, ma presa da un ristorante a cinque stelle, si chiama arte del riciclo!

C’è anche quell’aria country got soul, passavo per caso da Memphis, di When The Sun Goes Down o le brillanti evoluzioni strumentali dell’iniziale, frenetica Sharecropper Shuffle che qualche grado di parentela con la musica di SRV sicuramente le ha, ma cita pure la Hideaway di Freddie King e il blues tutto nel suo crescendo, breve ma inarrestabile. Dirt Ain’t Enough è un altro slow blues atmosferico, questa volta tra Jimi e Stevie Ray, d’altronde quelli sono alcuni dei punti di riferimento di Elmore, poi lui ci mette del suo con una cascata di note, nell’assolo nella parte centrale e finale del brano, che ha quell’effetto devastante sul gatto nero disegnato in copertina. Buckaroo è un breve omaggio all’inventore del Bakersfield Sound, Buck Owens, puro country picking strumentale, mentre Don’t Pass Me By vuole ricordare un altro giovane talento, scomparso troppo presto, come Sean Costello, un ulteriore pezzo bluesato ma marinato nel soul, come usava fare il chitarrista, anche lui “sudista” come il nostro Jason.

Non male anche la quasi jazzata, ma a tempo di boogie rallentato, Good Foot (non ci sono brani scarsi e anche questo è un merito) e, l’unica non memorabile, a onore del vero, la swingata She Fine, che ha qualche attinenza con lo stile di Robillard e si riscatta per il lavoro di fino alla solista di Elmore. Si conclude in gloria con una sontuosa You Don’t Miss Your Water, scritta e cantata da William Bell, ma che molti ricordano perché concludeva quell’indimenticato capolavoro che è Otis Blue: Otis Redding Sings Soul. Non potendo competere nel campo vocale, anche se la parte cantata è più che rispettabile, Elmore James si affida alla sua solista per un lirico contributo alla soul music più “profonda”, ben coadiuvato dal solito organo Hammond di Young e alla lap steel, aggiunta per l’occasione, di Kirby Kelley. Bella musica, questo brano, ma il disco tutto, come si suole dire in questi casi, caldamente consigliato!

Bruno Conti