Recuperi Di Fine Anno Parte 5 : Orgogliosamente Rock D’Autore Italiano! – Massimo Priviero – Ali di Libertà

massimo priviero ali di libertà

Massimo Priviero – Ali di Libertà – MPC Records/Self

Su Massimo Priviero, dopo 25 anni di carriera (è in pista dal 1988), e quindici dischi (con questo ultimo lavoro Ali di Libertà http://www.youtube.com/watch?v=o1g7VM5sPdQ ), per quanto mi riguarda, trovo ancora pertinente la famosa frase di Jon Landau (riferita a Bruce Springsteen) usata per lanciare il rocker del New Jersey ( voi trasportate a Jesolo!): ho visto il futuro del rock italiano, e il suo nome è Massimo Priviero. Una definizione impegnativa, alla quale Priviero non è riuscito, se non in piccola parte, a mantenere fede, ma che se non altro ha il merito di collocarlo all’interno di una tradizione sonora ben precisa (quella del più classico rock metropolitano a stelle e strisce), sviluppata sempre con estrema coerenza. Dopo una gavetta svoltasi in ambito locale, con formazioni rock e blues, e un breve periodo trascorso a suonare nelle stazioni delle metropolitane di alcune capitali europee, Massimo firma un contratto con la Wea, e il frutto del sodalizio è l’esordio con San Valentino(88) registrato a Londra (un buon esempio di cantautorato elettrico).

massimo priviero 1

Spinto dal relativo successo della canzone che dava il titolo all’album, per il lavoro successivo, Nessuna Resa Mai (90, viene chiamato Little Steven (allora ex colonna portante della E Street Band di Springsteen) nella doppia veste di ospite e produttore, mentre il seguente Rock in Italia (92) è realizzato in collaborazione con Massimo Bubola. Dopo due lavori interlocutori Non Mollare (94) e l’omonimo Priviero (98), seguono ancora delle buone produzioni, a partire da Poetika (01), Testimone (03) con cui si rinnova la collaborazione con Bubola, per poi passare all’Universal con cui incide Dolce Resistenza (06,) indi Rock & Poems (07), una colonna sonora Unbroken Ghost (08), Sulla Strada (09), lo splendido Rolling Live (10) e il recente Folkrock (12) condiviso con il bravissimo violinista Michele Gazich (un disco di cover, un atto d’amore verso la musica americana).

Lo accompagnano in questo nuovo viaggio musicale i fidati musicisti di sempre (tra cui il figlio Tommy), con ospiti importanti come il bravo Alex Cambise alle chitarre e mandolino, Paolo Bonfanti alla chitarra slide, il fisarmonicista Riccardo Maccabruni e il “pard” Michele Gazich al violino, per undici canzoni di spessore, che convivono fra rock e poesia. Il disco inizia con la potente  e coinvolgente title track Ali di Libertà, con l’armonica a segnare il percorso musicale, mentre il pianoforte di Onofrio Laviola accompagna la struggente Il Mare, seguita da un rock “stradaiolo” come Apri le Braccia. La chitarra slide di Paolo Bonfanti ruba la scena nel brano In Verità (con un riff che ricorda Thunder Road del Bosshttp://www.youtube.com/watch?v=BhGAEsSCEOI , mentre nella seguente Madre Proteggi, ritorna a proporsi la spiritualità di Priviero (dedicata alla Madonna di diverse categorie), per poi continuare con Occhi da Bambino con il figlio Tommy alla chitarra acustica e gli assoli di chitarra di Cambise e il violino straordinario di Gazich, un brano stupendo dove sgorga tutta l’anima di Massimo.

massimo priviero alzati

Si riparte con Alzati un potente e trascinante rock (perfetto per le esibizioni live) da suonare a tutto volume http://www.youtube.com/watch?v=M16t_LjdAnU , La Casa di mio Padre, una struggente ballata autobiografica, dove hanno un ruolo importante anche le voci di Lisa Petty e Deborah Bosio, mentre Io Sono Là è un brano cantato con forza e vigore, un grido di protesta in stile marcia militare, con chitarre, tastiere e fisarmonica che sviluppano un suono vibrante. L’album (purtroppo) si avvicina alla conclusione con le atmosfere irlandesi (la cornamusa e il tin whistle di Keith Eisdale) di Libera Terra, canzone epica divisa in due parti, La Forza e Il Sogno, una “sarabanda” musicale dove all’unisono si mescolano le anime rock di Springsteen e folk di Woody Guthrie, per poi terminare con una bonus track Bacio D’Addio,degna chiusura di questo manifesto artistico.

Con Ali di Libertà Priviero arriva alla perfetta quadratura del cerchio, in quanto ancora una volta si dimostra un bravo interprete, sia nelle ballate lente, sia nel rock più energico, e con il suo staff  e la presenza di ospiti eccellenti e perfettamente integrati, dà vita a dodici canzoni dove convivono (oltre al mestiere) rock e poesia. Massimo Priviero è un rocker (di quelli veri), uno che non molla, e anche se non ha mai venduto tonnellate di dischi, si è conquistato e mantenuto una sua “nicchia” e per quanto mi riguarda, ritornando alla famosa frase iniziale, Massimo è certamente il passato, il presente e ancora il futuro del rock italiano.

NDT: Questo CD può essere un regalo intelligente per le prossime festività natalizie, in alternativa a tanti stagionati e osannati cantanti dell’asfittica discografia italica.

Tino Montanari

Italiani Per Caso. Da Genova, Paolo Bonfanti Exile On Backstreets – Non Solo Blues.

paolo bonfanti exile.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Paolo Bonfanti – Exile On Backstreets – Club De Musique Records

E’ Rock, è blues, è musica di/da (canta)autore? Ardua questione, direi un po’ di tutto, ma soprattutto è un gran bel disco! Da solista dovrebbe essere l’11° disco di Paolo Bonfanti, ma se aggiungiamo Big Fat Mama (chi se li ricorda?) e collaborazioni varie, si superano abbondantemente le quindici uscite. Non male per un cinquantenne genovese che ha studiato alla Berklee School of Music e si è laureato al D.A.M.S. di Bologna con una tesi sul Blues, poi ci ha costruito una vita di musica intorno. Non sarà un disco di “vero” blues, perché sapete che c’è quella famosa teoria (smentita da decenni) che i bianchi, specie se europei (inglesi inclusi), non possono suonare la musica del diavolo, se poi sono italiani, mandolini e O’ Sole Mio, al massimo “Volare! Per fortuna, da un po’ di anni a questa parte, molti solisti e gruppi del Bel Paese se ne sbattono le balle di questo teorema e ci regalano fior di dischi, che, spesso e volentieri, sono meglio di quelli delle loro controparti americane, bianche o nere che siano.

E pensate che in America, ai Grammy, la categoria Blues è stata eliminata, conglobata nel settore “Americana” e Bonfanti, che se non lo sapeva forse se lo “sentiva, ha fatto un disco che rientra in questa fattispecie. Father’s Things, il brano che apre l’album, potrebbe essere una canzone di quando Springsteen usava la sezione fiati degli Asbury Jukes per unire il calore del soul al furore dei suoi pezzi rock (e dal vivo lo fa anche oggi, ogni tanto anche nei dischi), ma la slide che taglia in due il brano è tipicamente di Bonfanti e quindi blues. Break’em Chains sempre con una slide minacciosa e liquida, un tempo nereggiante e sincopato, ricorda molto il Cooder più rock-blues, quello di Bop Til You Drop, Borderline e Slide Area, miracolosamente tornato con l’ultimo Live In San Francisco. E non sono complimenti che faccio a casaccio. My baby can con il pianino saltellante di Henry Carpaneto e la chitarra “flat” ma sempre indaffaratissima di Bonfanti, è un blues più tradizionale con qualche reminiscenza del british blues frequentato anni fa.

Mentre Cards è un blues canonico, direi “ufficiale”, anche per la presenza di Fabio Treves all’armonica e di Marco Fecchio alla slide elettrica. Se chiudete gli occhi non vi trovate più nel New Mill Old Studio, che nonostante il nome è nei pressi di Genova o alla Libreria Labirinto di Casale Monferrato, dove è stato registrato il disco, ma in qualche fumoso locale di Chicago o Memphis. Black Glove è una sorta di political funky-rap-blues, con un florilegio di chitarre che spezzano la negritudine del brano e gli conferiscono un’aura più rock e leggermente sperimentale (e industriale)! Oh perbacco, cosa leggo, che sia per questo che me lo hanno dato da recensire, e che sarà mai questo Slow Blues For Bruno? Elementare Watson, un lungo strumentale dove la chitarra si divide la scena con uno strumento che non appare spesso in questo tipo di brani, la fisarmonica di Roberto Bongianino, bella idea ed ottima esecuzione di entrambi, a noi ci piace “O’ Blues”. Up To My Neck In You, dalle firme degli autori, A.Young, M.Young e B.Scott, non sembrerebbe un brano blues, sarà mica proprio quella? Ma sì che sono loro, gli AC/DC di Powerage, e quel B. sta per Bon (Scott), Bon(fanti) e soci, con “Rigo” Righetti che pompa il suo basso, lo trasformano in bel rock-blues duro e puro.

I’ll Never Get Out Of This World Alive profuma di  country, per via della pedal steel di John Egenes, ma anche perché l’ha scritta Hank Williams, però ci sono elementi cajun per via della fisarmonica e se devo dirla tutta mi ricorda anche il country’n’roll del vecchio Commander Cody. A questo punto un bel brano Claptoniano, di quelli vintage di Manolenta, ci sta proprio bene, l’occasione per affilare di nuovo la chitarra in una sapida Take Me Out che rispolvera anche un bel trio di voci femminili di supporto, come nei dischi belli degli anni ’70 del vecchio Enrico. E per la bellissima rock ballad che dà il titolo alla raccolta, tutti insieme appassionatamente, fiati, voci femminili, un bell’organo d’ordinanza, un sax à la Clarence e una voce più Bruce di Bruce, d’altronde se il brano si intitola Exile On Backstreets ci sarà un motivo, o no? Bello anche il testo della canzone. Poi, già che si è incazzato di gusto, per concludere il tutto, una I Hate The Capitalist System, un brano che viene dalla “Depressione”, anni ’30, una folk tune di quelle che si definiscono politiche, acustica nell’esecuzione, chitarra e fisa, ma durissima nei contenuti, forse in memoria delle lezioni ricevute una trentina di anni fa da Beppe Gambetta. Come già detto in apertura, semplicemente un bel disco, come si usa dire, caldamente consigliato!

Bruno Conti  

P.s E poi chi suona Little Wing avrà sempre il mio imperituro sostegno!