Tante Vite Vissute In 50 Anni Di Carriera! Marianne Faithfull – Give My Love To London

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Marianne Faitfull – Give My Love To London – Naive/Self Records

Figlia di una baronessa austriaca, discendente dei Von Sacher-Masoch, proprio quelli, la signorina Marianne Faithfull (narrano le cronache) vede cambiare improvvisamente la propria esistenza, quando nel lontano ’64 partecipa ad una festa londinese in compagnia  di John Dunbar (che diventerà in seguito suo marito), dove tra i tanti “imbucati” spiccavano i Rolling Stones e il loro produttore Andrew Loog Oldham, che trova il viso della Faithfull perfetto per lanciare l’ultima composizione di Jagger e Richards As Tears Go By (e anche la voce si rivela adatta) https://www.youtube.com/watch?v=rHUQuD7ZzYg , proiettando quindi la canzone nei Top 10 di quell’anno. Il personaggio Faithfull funziona perfettamente, al punto che i primi due album (stranamente pubblicati nello stesso giorno) Come My Way e l’omonimo Marianne Faithfull (65) entrano simultaneamente in classifica. Nel ’66, all’apice della popolarità, si separa da Dunbar per dedicarsi ai Rolling Stones e ad una burrascosa relazione con Mick Jagger, durata, tra alti e bassi fino a maggio del ’70, e poi gli anni settanta, vissuti tra tentativi di suicidio, dipendenza da eroina, un paio di anni da “homeless” per le strade di Soho, varie malattie che la porteranno a cambiare completamente il tipo di voce.

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La seconda vita di Marianne arriva con il successo di Broken English (79), un disco di platino che riporta l’artista in prima fila, come i successivi Dangerous Acquaintances (81), Child’s Adventure (83), Strange Weather (87) raggiungendo la perfezione con il celebrato live Blazing Away (90) con l’accompagnamento di famosi musicisti tra cui Garth Hudson (The Band), Marc Ribot, Dr.John e Fernando Saunders, con un repertorio che va dal Tom Waits di Strange Weather al John Lennon di Working Class Hero https://www.youtube.com/watch?v=3N_rNz2oAGA , fino ai vecchi amici Rolling Stones con una commovente Sister Morphine che non poteva mancare https://www.youtube.com/watch?v=rdtM2YGaJ4k , anche se fu frutto di una lunga battaglia legale per vedere il proprio nome riconosciuto tra gli autori del brano e As Tears Go By. La terza vita artistica della Faithfull inizia con il primo lavoro con la Virgin RecordsVagabond Ways (99,) affiancata in alcuni brani da Daniel Lanois, con cover di Elton John (For Waiting You) e Leonard Cohen (Tower Of Song), a cui fanno seguito album meno convincenti come Kissin’ Time (02) e Before The Poison (04), per poi tornare su livelli di eccellenza con i recenti Easy Come, Easy Go (08) e Horses And High Heels (11).

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Per questo Give My Love To London (20° album in una carriera quasi cinquantennale) https://www.youtube.com/watch?v=Cjel_2KRF6s , Marianne ha il privilegio di farsi scrivere le musiche da un pool di autori che rispondono al nome di Nick Cave, Roger Waters, Tom McRae, Steve Earle, Anna Calvi, Patrick Leonard (Leonard Cohen), e di poter disporre di una band di supporto composta da musicisti eccellenti come Adrian Utley dei noti Portishead, Warren Ellis e Jim Sclavunos dei Bad Seeds (gruppo storico di Nick Cave), Dimitri Tikovoi , Ed Harcourt (eccellente pianista e cantautore), sotto la produzione di Rob Ellis (noto per i lavori con P.J. Harvey) e dello stesso Tikovoi, insomma “la crema” del rock inglese. Il brano iniziale, la title track Give My Love To London è opera di Steve Earle, e si respira subito un suono country-folk con un arrangiamento brioso, seguita da una Sparrows Will Sing omaggiatale da Roger Waters, con certe sonorità tipiche “velvettiane” cantate da Marianne alla Nico https://www.youtube.com/watch?v=jE9I4lVpE64 , dalle belle aperture ariose di True Lies, un brano del sottovalutato Ed Harcourt, mentre Love More Or Less è una arpeggiata ballata acustica uscita dalla penna di Tom McRae https://www.youtube.com/watch?v=dFRbn5jVPlE .

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Nick Cave compone invece per la Faithfull la sofferta, pianistica Late Victorian Holocaust (con il violino “lamentoso” di Warren Ellis) https://www.youtube.com/watch?v=wirrsgsfNqQ , e l’eterea melodia di Deep Water (brani che Nick stranamente non riesce più a scrivere per sè stesso) https://www.youtube.com/watch?v=0TEVMqX9dNE , passando poi ad una veloce e turbinosa Falling Back della brava emergente Anna Calvi e ai suoni rock di Mother Wolf, musicati da Pat Leonard, il compositore attualmente preferito dal grande Leonard Cohen. Completano un disco meraviglioso alcune cover d’autore, su tutte una The Price Of Love degli Everly Brothers, rifatta con la stessa energia, una strepitosa rilettura pianoforte e voce (alla Marlene Dietrich)  del brano di Cohen Going Home (tratto da Old Ideas) e chiudere con la notevole lettura “spettrale” di un grande autore come Hoagy Carmichael in I Get Along Without You Very Well (eseguita in passato da grandi cantanti come Billie Holiday, Nina Simone, Petula Clark, Frank Sinatra, e in tempi recenti Diana Krall).

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Per questo Give My Love To London, il termine “capolavoro” non pare fuori luogo, per un lavoro dove Marianne oltre che il suo “status” di icona musicale (esemplificato anche dalla copertina dove appare circondata da una nuvola di fumo emessa dalla “ennesima sigaretta”, come quelle di Yanez) ci mette pathos, lacrime, dolcezza e una voce che rimane sempre particolare ed unica, se non bellissima (però segnata dal tanto vissuto) e che festeggia degnamente il mezzo secolo di carriera, iniziata nel lontano ’64 quando appunto la Faithfull, allora appena diciassettenne, debuttò con quella che pareva una canzoncina come As Tears Go By, proponendosi ancora oggi come una “madame” aristocratica e tenebrosa, dotata di una classe immensa, impossibilitata nel tempo a sfiorire.

NDT: Per gli amanti della signora, la Faithfull nell’ambito del tour europeo farà tappa dalle nostre parti, il 27/10/14 a Milano all’Auditorium e il giorno successivo a Lucca al Teatro del Giglio, con un prezzo del biglietto abbastanza accessibile.

Tino Montanari

Di Padre In Figlio. Parte Prima! Leonard Cohen – Popular Problems

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Leonard Cohen – Popular Problems – Columbia Records 23-09-2014

 Il titolo del “post” odierno non è, come può sembrare, il titolo di un film, ma serve a segnalare l’uscita, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, dei nuovi lavori musicali del padre, Leonard Cohen, con Popular Problems, e del figlio, Adam Cohen, con We Go Home (di cui parleremo nei prossimi giorni, mentre per lo Spirito Santo dovrete aspettare). Il tredicesimo album di studio di Cohen, Popular Problems è in uscita in tutto il mondo il 23 Settembre, due giorni dopo il suo ottantesimo compleanno (domenica 21), per espressa volontà dell’artista, e presenta nove nuove canzoni per trentasei minuti di “grande musica”: come per il precedente Old Ideas (12) prosegue la collaborazione con Patrick Leonard (Roger Waters, Bryan Ferry, Elton John, Rod Stewart, e purtroppo anche Madonna e la nostra Pausini) nelle vesti di co-autore e produttore, con il curato mixaggio di Jesse E.String e Bill Bottrell. Come sempre Cohen si affida a meravigliosi musicisti, a partire dallo stesso Leonard alle tastiere, il bravissimo violinista Alkexandru Bublitchi, James Hurrah alle chitarre, Joe Ayoub al basso, Brian Macleod alla batteria e percussioni, e l’apporto fondamentale, in queste sue ultime stagioni artistiche, delle coriste Charlean Carmon, Donna De Lory e Dana Glover, che danno il cambio alle “storiche” Webb Sisters.

leonard-cohen-e1407790222383 Leonard Cohen

Ai “problemi popolari” di Leonard, data la ricorrenza anagrafica e la bellezza del lavoro, mi sembra giusto dedicare un commento “track by track”…

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Slow – Un giro di basso introduce la voce baritonale di Cohen, in stile narratore, con un ritornello accattivante e con l’impronta delle coriste che accompagna la canzone nello svolgimento. Suadente.

Almost Like The Blues – Sulle note di un accenno di rumba e delicati tocchi di pianoforte, la voce di Cohen dà vita ad una canzone perfetta da suonare in un fumoso bar di Casablanca. Nostalgica. https://www.youtube.com/watch?v=9VYXECtjOos

Samson In New Orleans – Con questo brano Leonard rende omaggio alla rabbia e al dolore che hanno accompagnato l’uragano Katrina, sulle note dolenti del violino di Bublitchi e i sussurri delle brave vocalist per una splendida elegia. Struggente.

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A Street – Anjani Thomas (musa ispiratrice e compagna del “maestro”) firma questo brano scritto dopo l’11 Settembre, con declamati echi della tragedia su un tessuto di tastiere. Commovente. https://www.youtube.com/watch?v=7gPTwrFYzxY

Did I Ever Love You – L’intro di un pianoforte e la voce alla Tom Waits di Cohen accompagnano un brano che nel ritornello si sviluppa in una deliziosa marcetta, sorretto dai cori e dal violino. Geniale. https://www.youtube.com/watch?v=Wo0C1_wb8yA

 My Oh My – Questa è un’altra grande ballata, lenta, parlata, con una tromba importante che detta il tempo negli spazi non cantati, una canzone che si fa fatica a togliere dal lettore. Coinvolgente. https://www.youtube.com/watch?v=dkJVHmjw6Pc

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Nevermind – La splendida voce di Donna De Lory (la si può ascoltare nei dischi di Carly Simon, Kim Carnes, Santana, Bette Midler, Barry Manilow e purtroppo ancora Madonna, e molti altri) in duetto con Leonard, evoca atmosfere arabe su un tessuto musicale “funky”. Fascinosa. https://www.youtube.com/watch?v=AD16dKpi8uQ

Born In Chains – La gestione di questo brano è durata la bellezza di quarant’anni, un “gospel” sui testi sacri della narrazione dell’Esodo ( e che riflette anche la sua formazione Zen). Religiosa.

You Got Me Singing – Accompagnato da una chitarra acustica, da un violino malinconico e dalle “solite” voci femminili, Mr. Cohen declama una canzone dove torna a pronunciare Hallelujah, una parola che rappresenta molto nella carriera di questo splendido ottantenne ringiovanito. Crepuscolare. https://www.youtube.com/watch?v=uVnxP6e9i-0

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Sulla soglia degli ottanta Leonard Cohen, poeta, romanziere, cantautore e impertinente donnaiolo, è sempre un’artista complesso e affascinante, tuttora con la voglia di scrivere canzoni e fare musica, e lo fa come nei suoi anni d’oro (anche se in maniera diversa), un signore dotato di una voce ancora splendida, profonda, roca e coinvolgente, un “bohémien” ebreo nativo di Montreal che, come in tutta la sua discografia, anche in questo nuovo Popular Problems (per chi scrive migliore del precedente Old Ideas), ha esplorato nuovi confini musicali, regalandoci l’ennesimo capolavoro, nove canzoni creative e innovative che creano uno spazio di riflessione ad ogni ascolto.

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Dopo la nuova proficua collaborazione con Patrick Leonard, al momento non è dato a sapere se l’arzillo canadese promuoverà in tour il nuovo disco, speriamo che nei prossimi mesi decida ancora di omaggiare i suoi numerosi “fans”  con una bella scaletta dal vivo, in tal caso come sempre sarete i primi ad essere informati. Nel frattempo buon compleanno e lunga vita Mr. Cohen!

NDT: Una riflessione, è difficile suscitare benevolenza per qualcuno che ha sottratto circa 10 milioni di dollari ad un pensionato, ma forse chi ama la musica di Cohen deve alla sua ex-manager Kelley Lynch un sentito ringraziamento!

Tino Montanari

L’ultimo Capolavoro? Leonard Cohen – Old Ideas

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Old Ideas – Leonard Cohen – Columbia/Sony Music 31-01-2012

Ritorno in grande stile, a quasi otto anni di distanza dal precedente disco registrato in studio Dear Heather, questo Old Ideas, dodicesimo in totale sempre per la Columbia, del grande poeta-cantautore canadese Leonard Cohen. Confesso che, personalmente, l’attesa per queste dieci canzoni era spasmodica, in quanto consapevole dei tempi abituali dell’autore mi sono chiesto se questo poteva essere l’ultimo lavoro di una carriera leggendaria, consacrata di decennio in decennio da capolavori immortali, capaci di insediarsi ai vertici della musica mondiale. A quarantacinque anni dal suo esordio Songs of Leonard Cohen (1967) il grande canadese si conferma come una delle figure più vere, durature ed intriganti della nostra musica.

Nato da una famiglia ebrea della “middle class” di Montreal nel 1934, Leonard  ha iniziato prima come scrittore pubblicando due novelle che gli hanno dato fama mondiale: The Favorite Game e Beautiful Losers, ma intanto scriveva anche canzoni, e la cantautrice Judy Collins incise una versione di Suzanne, che divenne un brano di culto. Dopo aver debuttato come cantante al Festival Folk di Newport (1967), e con la citata Suzanne che entrò nelle classifiche pop americane nella versione di Noel Harrison, figlio dell’attore Sir Rex Harrison, la sua popolarità ed il suo culto sono cresciuti, anno dopo anno, sino a raggiungere vette incredibili.

Il nuovo disco è stato prodotto oltre che dall’autore, anche da Ed Sanders (che come vedete nella foto sopra, non è quello dei Fugs), Patrick Leonard, Dino Soldo (anche al sax), e la storica collaboratrice Anjani Thomas , e lo stile vocale non varia dalle opere precedenti, Leonard declama con la sua voce bassa e calda, non avulsa da un certo fascino, le sue lenti ballate. Tra i musicisti che accompagnano il “maestro” ci sono quelli abituali della sua ultima “touring band”, con uno stuolo di “vocalists” come Dana Glover, Sharon Robison, le Webb Sisters (Hattie e Charley Webb), e una delle sue “muse” preferite Jennifer Warnes ospite in Show Me the Place.

L’iniziale Going Home è lenta quasi parlata, con le coriste che tolgono un po’ di tensione alla composizione, un brano classico che conferma la straordinaria voce dell’autore, capace di tenere viva l’attenzione dell’ascoltatore quasi senza cantare. Amen è il brano più lungo del lavoro (più di sette minuti), brano dall’incedere lento, caldo e sensuale. Show Me the Place è una ballata pianistica di struggente bellezza, dove oltre alla voce della già citata Warnes dà un notevole contributo il violino “delicato” di Bela Santelli, per un brano da brividi, perfetto per le lunghe serate invernali che ancora ci attendono. Un giro di basso introduce The Darkness, altro brano quasi parlato, con le coriste in sottofondo che danno profondità alla canzone. Con Anyhow salgono in cattedra le sorelle Webb con le loro voci, sostenute da un pianoforte che ricorda le atmosfere di Casablanca.

Crazy To Love You è una grande canzone d’amore, declamata con la consueta maestria da Cohen, e i brevi contrappunti di piano e chitarra creano il giusto equilibrio di fondo, e il brano cresce in modo perfetto. Ancora le voci  delle Webb Sisters (inconfondibili), introducono una Come Healing, dove la melodia è maestosa e prende sin dalle prime note, con un crescendo lento, quasi ciclico, in cui la voce dell’autore sembra recitare un monologo. Banjo è fresca, leggiadra, spiritosa, una canzone semplice che sembra uscita da un disco degli anni sessanta, arrangiata in modo leggero. Lullaby (già conosciuta dai fans, in quanto eseguita nell’ultimo Tour), una storia profondamente romantica, una melodia intensa, resa tale anche dall’interpretazione vocale, molto sentita del grande cantautore, e al controcanto da una grandissima Sharon Robinson. Il disco si chiude gloriosamente con la dolce Different Sides, un brano che sviluppa un suono tenue ed un bel motivo di fondo lasciando fluire in modo elegante, con vari strumenti, la melodia.

Avviso per i giovani naviganti: non giudicatelo troppo in fretta, Leonard Cohen ha 77 anni, ma è ancora in grado di emozionare nel profondo, di parlare con una voce in grado di toccare qualunque generazione, con le sue ballate poetiche e senza tempo, di straordinario impatto emotivo, con canzoni intense, letterarie, che richiedono tempo ed attenzione, come quando si legge un bel libro, canzoni che danno (a chi scrive) una soddisfazione ed una sensazione di piacere profondo, come ben poche altre. Lunga vita Leonard.

P.S.: Ringrazio Bruno, che conoscendo il mio “innamoramento” musicale per questo artista, mi ha concesso il privilegio di scrivere queste righe. Quando scende a Pavia, cena pagata !

Tino Montanari