Una Colonna Sonora “Strana”, Ma Qualcuno Si Aspettava Il Contrario? Neil Young & Promise Of The Real – Paradox

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Neil Young & Promise Of The Real – Paradox – Reprise/Warner CD – 2LP

Quello tra Neil Young e le colonne sonore non è mai stato un rapporto normale, se escludiamo i film-concerto come Rust Never Sleeps e Year Of The Horse: il musicista canadese ha spesso scelto la strada più tortuosa anche per i suoi album “regolari”, figuriamoci per quelli di commento alle immagini. A partire dal “mitico” Journey Through The Past, passando per il quasi dimenticato Where The Buffalo Roam (nel cui soundtrack album erano però presenti diversi classici della musica americana), per finire con Dead Man di Jim Jarmush (per chi scrive il lavoro più pesante e noioso in assoluto di Neil), il Bisonte ha sempre seguito il credo del “famolo strano”: forse l’unico caso di disco fruibile separatamente dalla pellicola è quello di Greendale, album del 2003 con i Crazy Horse. Ed anche la colonna sonora di Paradox, film girato per Netflix dall’attrice Daryl Hannah (fidanzata di Young), non sfugge alla regola; non ho visto il film, che dovrebbe essere un bizzarro western futuristico/ambientalista interpretato dallo stesso Neil con i Promise Of The Real (cioè i figli di Willie Nelson, Lukas e Micah…e nel film c’è pure Willie), ma il disco con i brani tratti dal lungometraggio non è privo di stranezze, anche se tutto sommato non è indispensabile vedere il film per ascoltarlo. Neil è accompagnato da una versione un po’ spuria dei POTR (che con questo giungono quindi al quarto album con il Bisonte, dopo The Monsanto Years, The Visitor ed il live Earth), in quanto tra i musicisti presenti figurano anche il bassista Paul Bushnell ed il grande batterista Jim Keltner.

Paradox è quindi un disco strano, forse non indispensabile se non siete dei fan sfegatati di Neil, ma che contiene diverso materiale interessante ed almeno un capolavoro, oltre però a diverse bizzarrie (e vere e proprie canzoni nuove non ce ne sono). L’album si può dividere in tre sezioni: i pezzi incisi in studio, quelli dal vivo e le stranezze vere e proprie. I primi iniziano con Show Me, breve ripresa acustica (ma con la sezione ritmica) di un brano presente su Peace Trail, album del 2016 di Young, direi discreta ma nulla più; dallo stesso album è presente anche un rifacimento della title track, un brano tipico del nostro, dalla melodia scorrevole ed un buon ritornello, forse meglio dell’originale. Poi troviamo Hey, uno strano strumentale tra il distorto e l’allucinato, non particolarmente accattivante, una country song eseguita come se fossero tutti riuniti attorno ad un falò (Diggin’ In The Dirt), un altro strumentale, stavolta interessante, tra rock e blues (Running To The Silver Eagle), che sembra Bo Diddley sotto l’effetto di qualche sostanza proibita, ed una riuscita ripresa per voce, ukulele ed un accenno di orchestra di Tumbleweed (era su Storytone). Oltre a sei diversi brani strumentali intitolati Paradox Passage, quasi esclusivamente per chitarra elettrica solista (o, come nel caso del # 3, acustica), di difficile ascolto se separati dalle immagini. Il capitolo “stranezze” inizia con la breve introduzione parlata Many Moons Ago In The Future, con la voce narrante di Willie Nelson, il quale è solista anche nella sua Angels Flying Too Close To The Ground, uno dei suoi pezzi più noti, che però qui è eseguita in maniera fin troppo informale ed eccessivamente rilassata.

Lo stesso trattamento low-fi viene riservato al classico di Jimmy Reed Baby What You Want Me To Do?, cantata quasi sottovoce, ed a Happy Together dei Turtles, appena accennata e poi tutti giù a cazzeggiare. Offerings sembrava l’inizio di una bella folk song, ma si interrompe dopo appena cinquanta secondi, mentre il blues acustico How Long? è più un esercizio fine a sé stesso che una vera canzone. E veniamo ai brani dal vivo, che sono solo due ma fanno la differenza (registrati entrambi al Desert Trip di due anni fa): una suggestiva Pocahontas per voce ed organo a pompa, sempre bellissima anche in questa veste insolita, e soprattutto una strepitosa Cowgirl Jam, che altro non è che una rilettura solo strumentale di Cowgirl In The Sand, dieci minuti di puro rock infuocato alla maniera del nostro, con i POTR che sembrano i migliori Crazy Horse (ma con più tecnica), assoli a ripetizione ed un feeling mostruoso, il classico pezzo che da solo varrebbe l’acquisto https://www.youtube.com/watch?v=vQxfoRpbijM .(*NDB Anche se la canzone completa al Desert Trip era durata più di 21 minuti!) La versione in doppio vinile di Paradox è appena uscita, ma solo in America: nel nostro continente arriverà il 13 Aprile in LP ed una settimana dopo in CD: non è un disco indispensabile, ma la bellezza dei due brani dal vivo (soprattutto Cowgirl Jam) è tale che un pensierino ce lo potreste anche fare.

Marco Verdi

Nuovo Supplemento Della Domenica: Un Disco “Normale” Di Neil… Forse Anche Troppo! Neil Young – Peace Trail

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Neil Young – Peace Trail – Reprise/Warner CD

Nonostante sia risaputo che Neil Young è uno che non sta fermo un attimo, non mi aspettavo che, ad appena un anno e mezzo dal discusso (ma musicalmente riuscito) The Monsanto Years ed a pochi mesi dallo strano live “per band e animali” Earth http://discoclub.myblog.it/2016/06/26/nuovo-tipo-musica-ambient-neil-young-promise-of-the-real-earth/ , il nostro canadese preferito (ancora di più dopo la triste scomparsa di Leonard Cohen) potesse chiudere idealmente il 2016 con un altro disco nuovo di zecca. Eppure è successo proprio questo: Peace Trail, 38° disco di studio, racchiude dieci nuove canzoni, ed è stato inciso in fretta e furia con una formazione ridotta all’osso, e con un approccio quasi completamente acustico. Essenziale è infatti il primo aggettivo che mi viene in mente, dalla copertina alla band presente in studio (solo Neil all’acustica, armonica ed occasionalmente anche alla chitarra elettrica ed organo a pompa, Paul Bushnell al basso ed il grande Jim Keltner alla batteria), fino al modo in cui è stato inciso l’album, senza pensare troppo al suono ed agli arrangiamenti, buona la prima e via andare. Quando avevo letto che Peace Trail sarebbe stato un album elettroacustico mi erano venuti in mente lavori come Harvest (ed il suo “seguito” Harvest Moon), Comes A Time, Silver And Gold, Prairie Wind, anche se in quei dischi il suono era molto più rifinito e spesso sfiorava il country, mentre qui, pur essendoci pochi strumenti, le sonorità risultano a tratti spigolose e poco accattivanti, somigliando forse di più al primo lato di Hawks & Doves del 1980.

Ma questo con il “Bisonte” non è mai stato un problema, ben poche volte nella sua carriera si è fatto aiutare da un produttore esterno (anche se quando lo ha fatto, vedi Daniel Lanois con Le Noise, gli esiti sono stati eccellenti): il problema principale di Peace Trail è la penuria di canzoni, in quanto, a parte due-tre casi, il disco suona piuttosto monocorde e ripetitivo, con diversi momenti in cui Neil sembra far fatica a trovare il bandolo e finisce per parlare più che cantare, anche se i testi sono sempre basati sull’attualità, pur meno arrabbiati e più ironici che in The Monsanto Years. Non è un brutto disco, a quella categoria appartengono altri lavori passati di Young (so che pensate tutti a Trans, ma per me quell’album aveva delle potenzialità: io mi riferisco soprattutto a Landing On Water, Fork In The Road ed all’inqualificabile disco di cover A Letter Home), ma sicuramente rimane un disco irrisolto, che avrebbe potuto venire fuori molto meglio se solo Neil ci avesse lavorato un paio di mesi in più, magari sostituendo i brani più deboli con altri di maggior impatto.

L’album inizia anche bene con l’epica title track, un tipico brano del nostro, con il caratteristico timbro elettrico della sua “Old Black” che contrasta con la voce quasi fragile, accompagnamento un po’ sbilenco ma di indubbio fascino, e poi la canzone è fluida, profonda ed intensa. Can’t Stop Workin’ (titolo perfetto per lui) è più interiore, con la base musicale ridotta all’osso ed un’armonica dal suono distorto, e con una melodia che fatica ad uscire; anche Indian Givers, nonostante l’ottima prova di Keltner, risulta ripetitiva e poco graffiante, oltre che eccessivamente allungata, mentre Show Me, con la sua andatura cadenzata ed il suo motivo insinuante, è nettamente meglio, pur non essendo di certo paragonabile ai capolavori younghiani. E poi va bene la spontaneità, ma un po’ più di tempo a rifinire un minimo il suono lo avrei dedicato. Texas Rangers è sconclusionata, priva di una melodia vera e propria e con un arrangiamento discutibile, forse se restava inedita era meglio https://www.youtube.com/watch?v=2ImCoRutaEM ; molto più riuscita invece Terrorist Suicide Hang-Gliders, finalmente con un motivo degno di Neil, un brano folkeggiante e fortemente caratterizzato dalla sezione ritmica, con un testo duro e cupo https://www.youtube.com/watch?v=rkhyw3SJdFs , ed anche la lunga John Oaks, pur essendo più parlata che cantata, è una delle più positive, avendo dalla sua forza ed intensità. L’incalzante My Pledge vede Neil doppiare sé stesso usando l’auto-tune, ma nonostante ciò il brano funziona, grazie anche al suo sviluppo regolare, ed ancora meglio è Glass Accident, forse la migliore insieme a Peace Trail, una tipica Neil Young song di quelle belle, con una melodia tra country e folk ed una chitarra ruspante sullo sfondo. Ma poi, siccome Neil è un tipo strano, chiude l’album in maniera spiazzante con la bizzarra My New Robot, che inizia come una normale ballata delle sue, neanche male, ma poi termina in un caos totale, con una voce meccanica e, appunto, robotica e si interrompe bruscamente (per fortuna, aggiungerei).

Un mezzo passo falso si perdona a tutti, figuriamoci a Neil Young che, nel corso della sua carriera, ha guadagnato diversi bonus: ora però (ma so che forse chiedo troppo) vorrei un 2017 senza dischi nuovi e con finalmente la pubblicazione del secondo volume dei suoi archivi.

Marco Verdi

*NDB Voi che ne pensate! Il sito Metacritic che raccoglie recensioni da tutto il mondo, prese da riviste cartaceee e online gli regala una media di 56 (cioé 5.6, inferiore alla suffiecienza) http://www.metacritic.com/music/peace-trail/neil-young, in Italia le recensioni sono state più positive.