Dopo Quasi 40 Anni Ancora In Gran Forma. The Blues Band – The Rooster Crowed

blues band the rooster crowed

The Blues Band – The Rooster Crowed – Repertoire Records (UK)

Nella storia del cosiddetto British Blues ci sono state diverse “ondate”:  la prima fu quella che includeva John Mayall’s Bluesbreakers, Fleetwood Mac, Savoy Brown, i primi Ten Years After e Free, i Taste in e così via, secondo altri prima ce ne furono altre due, quella con Rolling Stones, Animals, Yardbirds, e prima ancora Chris Barber, Alexis Korner, Cyril Davies. Quindi quella che arrivò sul finire degli anni ’70, con la Blues Band, la De Luxe Blues Band di Danny Adler, ma prima c’era stato il pub-rock devastante, con il blues come primaria fonte di ispirazione, dei Dr. Feelgood. Comunque in quasi tutti questi gruppi militavano musicisti che erano stati veterani della scena musicale inglese: nella Blues Band, Paul Jones prima era stato il cantante dei Manfred Mann, Dave Kelly veniva dalla John Dummer Blues Band, e con la sorella Jo-Ann era stato una delle colonne del blues britannico, Tom McGuinnes, anche lui nei Manfred Mann, ma prima ancora nei Roosters, proprio con Paul Jones, Eric Clapton e Brian Jones.  

Quindi probabilmente in questo The Rooster Crowed, oltre alle connotazioni storico-biblico-religiose del “gallo cantò” , quando Pietro rinnegò Gesù tre volte sulla Via Crucis, c’è altro, per esempio leggendo i titoli delle canzoni c’è una The Rooster Crowed In Memphis che ci riporta più a visioni blues o R&B: in ogni caso la Blues Band approda al loro probabile 21° album complessivo, mentre si avvicina il 40° anno di attività, tra pause e riprese, dal 1979 dell’esordio Official Blues Band Bootleg Album, che come per molti altri gruppi  forse rimane il migliore. La formazione, a parte Rob Townshend  che ha sostituito Hughie Flint alla batteria nel lontano 1982, è sempre la solita, con Gary Fletcher al basso, che completa la sezione ritmica: nella band cantano tutti, a parte Townshend, alternandosi come voce solista, e anche come autori; solo due le cover, più due brani tradizionali arrangiati da Dave Kelly. Che apre le danze proprio con New Skin Game Blues, dove si apprezza il suo lavoro alla slide e una voce ancora forte e sicura, in uno stile tra blues e rock, con in evidenza pure l’armonica ficcante di Paul Jones, l’altra chitarra di McGuinnes e il piano incisivo dell’ospite Paddy Milner a dargli man forte, per un classico Chicago Blues; Peace-Don’t You Worry, un brano a firma Paul Jones, è uno dei migliori dell’album, la voce è ancora tra le più brillanti in circolazione nel Regno Unito, notevole l’interscambio chitarristico tra Kelly e McGuinness, il groove ritmico è gagliardo, piacevoli gli inserti gospel e il piglio quasi marziale della canzone.

Tom McGuinness è  quello che ha le maggiori influenze americane, come dimostra in una pimpante The Rooster Crowed In Memphis, con qualche spunto swamp aggiunto alle 12 battute classiche, con la slide sia acustica che elettrica di Kelly a duettare con l’armonica; Too Much Competition cantata da Jones ha anche gli elementi R&B e soul da sempre presenti nella sua musica, con Gary Fletcher che nella propria I Am The Doctor suona anche la slide (oltre al basso), che è lo strumento più in evidenza in tutto l’album. Voce non memorabile, ma belle atmosfere, anche per l’uso di un wah-wah guizzante, che poi ritorna nella cover del brano di Muddy Waters, una quasi hendrixiana e tiratissima Still A Fool, cantata alla grande da Kelly, forse il brano migliore di tutto il CD. un “lentone” di quelli tosti. Piacevole l’honky-tonk leggero di Say You Will di Fletcher e il R&R ondeggiante della scattante Hot Dog di Paul Kelly, con il blues acustico della cover di Weeping Willow di Blind Boy Fuller ad ampliare lo spettro sonoro dell’album, che poi vira di nuovo verso il blues elettrico dalle atmosfere sospese di Brother Blues, e il gospel-soul della festosa Get Right Church, un traditional cantato da Kelly, che poi lascia la conclusione dell’album all’amico Paul Jones  con il potente slow blues di Even Better dove spicca anche l’organo di Milner, a fianco delle due soliste. Una (Blues) Band ancora in gran forma.

Bruno Conti          

Il Blues Secondo Van Morrison, Classico E Raffinato. Roll With The Punches E’ Il Nuovo Album

van morrison roll with the punches

Van Morrison – Roll With The Punches – Exile/Caroline/Universal

Per il mese di settembre, in un primo tempo, era stata annunciata la ristampa potenziata, in versione triplo CD, di The Healing Game, l’album di Van Morrison che quest’anno avrebbe festeggiato il 20° Anniversario dall’uscita: il disco ora ha una nuova data di uscita prevista per il 15 febbraio 2018, quindi il ventennale va a farsi benedire, ma si sa che queste date sono spesso solo degli optional per le case discografiche, specie se l’artista, come il rosso irlandese, ha due contratti con diverse etichette, la Caroline, e quindi il gruppo Universal, per i dischi nuovi (ed è già il secondo di seguito che esce con loro, un record per il Van degli ultimi anni, che sarà ribadito a breve), e la Sony Legacy per le ristampe del vecchio catalogo. Comunque verso l’inizio dell’estate è stata annunciata l’uscita di un nuovo album, Roll With The Punches, a cui, nel corso delle procedure, è stata anche cambiata la foto di copertina, in quanto nella prima versione era obiettivamente piuttosto pacchiana. Cosa che invece non è il contenuto del disco, classico e raffinato come dico nel titolo, dedicato al Blues, inteso nel senso più ampio del termine, quindi anche R&B, soul, R&R e un filo di gospel, il tutto attraverso l’ottica unica di Morrison, che per l’occasione scrive anche cinque nuovi brani, sintonizzati su questa lunghezza di onda sonora, con un chiaro omaggio ai suoi ascolti giovanili, agli artisti e alle canzoni che lo hanno influenzato nella parte iniziale della sua carriera, e che ancora oggi spesso sono l’oggetto delle sue ricerche sonore. Come è abbastanza noto i dischi del nostro amico, per definizione, appartengono al “genere Van Morrison”, o se proprio vogliamo affibbiargli una etichetta, diciamo celtic soul:music, quindi, secondo i detrattori, “purtroppo” tutti uguali tra loro, e per gli ammiratori, “per fortuna” tutti uguali tra loro. Ovviamente sto estremizzando parecchio, ma il succo è un po’ quello, infatti parlando dei suoi CD, non si parla di un album bello, ma di un Van Morrison bello, e quello dello scorso anno http://discoclub.myblog.it/2016/10/02/male-esordiente-irlandese-van-morrison-keep-me-singing/, era molto bello, uno dei suoi migliori da parecchio tempo a questa parte, forse proprio dai tempi di The Healing Game.

Come sapete il sottoscritto è un grande estimatore dell’opera di Van The Man, ma credo anche di essere obiettivo, e quindi direi che questo Roll With The Punches è “solo” un bel disco, non un grande disco, con alcune canzoni decisamente sopra la media, e cantato come sempre da una delle più belle voci dell’orbe terracqueo, a 72 anni ancora limpida e potente come se il tempo per lui non passasse (anche se come sapete, secondo una mia teoria già esposta in passato, da bambino Van Morrison ha ingoiato un microfono, e quindi è avvantaggiato rispetto ai suoi concorrenti). Facezie a parte, il disco è anche suonato in modo impeccabile, e questa volta il nostro amico utilizza, oltre alla sua band attuale, anche parecchi ospiti (in modo in parte diverso rispetto all’album dei duetti http://discoclub.myblog.it/2015/03/21/vivo-van-morrison-duets-re-working-the-catalogue-la-recensione/ , dove ogni tanto i partner scelti non erano alla sua altezza). Il nome più importante è sicuramente quello di Jeff Beck, un vecchio amico con cui ha suonato in parecchie jam, e componente della “santa trinità” dei chitarristi rock inglesi, con Clapton e Page, che appare in cinque brani. Nel disco, come ospiti ci sono altre tre “vecchie glorie” del british blues, Chris Farlowe, Georgie Fame Paul Jones, oltre al più giovane (nasceva più o meno quando l’irlandese iniziava la sua attività musicale) Jason Rebello, pianista di impronta jazz, sempre inglese. Mentre nella band abituale di Van Morrison troviamo Paul Moran all’organo, Stuart McIlroy al piano, Dave Keary alla chitarra, Laurence Cottie al basso, Mez Clough alla batteria, oltre alle due eccellenti coriste Dana Masters Sumudu Jayatilaka, e qualche altro strumentista che appare saltuariamente, ma questa volta, salvo due o tre eccezioni, niente fiati. Dieci cover e cinque brani nuovi di impronta prevalentemente blues, ma grazie alla verve vocale di questo signore comunque nettamente superiori alla produzione media nell’ambito delle 12 battute.

Prendiamo la prima canzone, la title track Roll With The Punches, uno dei brani nuovi, una vibrante blues song, un Chicago Blues potente e sanguigno, con Keary molto efficace alla slide e  il duo McIlroy e Moran alla tastiere che sottolinea il cantato intenso di Morrison: Transformation all’inizio mi pareva identica a People Get Ready di Curtis Mayfield (orrore, un quasi plagio), ma è un attimo e poi diventa un’altra classica soul ballad tipica dell’irlandese, serena e fluida, con le due voci femminili e Chris Farlowe che danno una mano nell’arrangiamento, mentre un misuratissimo Jeff Beck, lavora di finezza per l’occasione, trattenendo i suoi istinti più “esagerati”. Un bel uno-due di apertura, seguìto dalla prima cover dell’album, I Can Tell, un pezzo dal repertorio di Bo Diddley, ma che nella scansione sonora ricorda pure lo stile di un altro dei “maestri” di Van Morrison, il grande John Lee Hooker, con il suo riff insistito e ripetuto, che sta a mezza strada tra R&R e R&B anni ’50, sempre con piano e organo che si dividono con le chitarre gli spazi, fino a che arriva Jeff Beck e mette d’accordo tutti, mentre Farlowe e le coriste sono sempre in moto sullo sfondo in modalità call and response e anche Morrison mette in azione la sua armonica. Due canzoni celeberrime sono poi proposte in un medley di grande intensità, Stormy Monday di T-Bone Walker, con la voce duettante di Chris Farlowe, questa volta alla pari con Van, e Lonely Avenue, un pezzo di Doc Pomus, che cantava Ray Charles, una delle grandi passioni di Morrison, ancora con un Jeff Beck in grande spolvero, nell’inconsueta veste più misurata utilizzata in questo album (ma se suona sempre), e anche il nostro amico si scatena nuovamente all’armonica. Goin’ To Chicago, scritta da Count Basie & Jimmy Rushing è più jazzata, eseguita in quartetto, con Georgie Fame, seconda voce e organo hammond, lo stesso Van armonica e chitarra elettrica, Chris Hill al contrabbasso e James Powell alla batteria, per un brano più notturno e felpato, che potrebbe essere il preludio del nuovo disco di Van. Un altro direte voi? Ebbene sì, a dicembre dovrebbe uscire un altro disco nuovo di Morrison, dedicato agli standards jazz, che dovrebbe chiamarsi Versatileve lo anticipo qui, poi ve lo confermerò più avanti, ma dovrebbe essere quasi certo.

Tornando al disco, Fame (omaggio a Georgie?), è un altro pezzo originale, per l’occasione in duetto con Paul Jones (Manfred Mann Blues Band), all’armonica, oltre che voce duettante, un altro blues duro e puro molto classico; e pure Too Much Trouble, ancora proveniente dalla penna dell’irlandese, e che lo vede impiegato anche al sax, è Morrison tipico, con Moran alla tromba e Cottie al trombone, nell’unico brano fiatistico che si inserisce nel filone swingante à la Moondance. con un ottimo Rebello al piano. Uno dei pezzi forti dell’album è sicuramente la rilettura intensa e sentita del capolavoro di Sam Cooke, Bring It On Home To Me, una delle più belle canzoni della storia della musica nera (e non solo), veicolo ideale per la magnifica voce senza tempo di Van, che già ne aveva incisa una versione splendida nell’indimenticabile doppio dal vivo del 1974 It’s Too Late To Stop Now, superiore a quella attuale per me, che però si avvale di uno strepitoso Jeff Beck alla solista che quasi pareggia quella dell’epoca, grande musica in entrambi i casi (quindi doppio video). Ordinary People è l’ultimo degli originali firmato da Van, un altro buon blues, se mi passate il termine, molto hookeriano, dall’andatura falsamente pigra ed ondeggiante, con Keary Beck che si stuzzicano alle chitarre, mentre Farlowe fa lo stesso con il “capo”, e McIlroy fa scorrere le dita veloci sulla tastiera e alla fine chi gode è l’ascoltatore, come dice il famoso detto adattato per l’occasione “sarà solo blues ma ci piace”! How Far From The God di Sister Rosetta Tharpe, con il piano barrelhouse di Mcilroy in evidenza, ha un empito quasi R&R, con piccoli sussulti gospeli, nel suo dipanarsi e Morrison scurisce la sua voce ulteriormente, per Teardrops From My Eyes, un brano che facevano Louis Jordan, Louis Prima e Ray Charles, molto più felpata e dal sound errebì vecchia scuola, con Georgie Fame di nuovo all’organo e il buon Van che sfodera un ficcante assolo di sax, mentre le coriste si agitano sempre sullo sfondo. Automobile di Sam “Lightnin’ Hopkins è un intenso blues lento elettrico, con armonica, chitarra (lo stesso Morrison) e piano, a guidare le danze. Benediction è uno dei classici brani di Mose Allison, altro grande pallino ed amico dell’irlandese, con Rebello eccellente al piano e Moran all’organo e ancora il sax del nostro, che impiega Keary e Clough come voci “basse” di supporto, insieme alle due ragazze, per un brano dalla struttura squisita. Mean Old World era un celebre brano dell’armonicista Little Walter, un altro slow blues in cui Morrison non può esimersi dal soffiare nello strumento. e in chiusura rimane la divertente e mossa Ride On Josephine, l’altro pezzo dal repertorio di Bo Diddley, con drive e riff che erano quelli tipici di Ellas McDaniel.

Una ennesima buona prova quindi di Van Morrison, che ne conferma la ritrovata vena, insieme alla sua immancabile e proverbiale verve vocale. E’ uscito oggi, venerdì 22 settembre.

Bruno Conti  

Sempre A Proposito Di “Giovani Promesse”! Paul Jones – Suddenly I Like It

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Paul Jones – Suddenly I Like It – Airline Records/Continental Blue Heaven/Ird

Paul Jones non ha fatto molti album solisti, cinque o sei tra il 1966 e il 1972, poi circa 35 anni di silenzio quando è riapparso con un nuovo album Starting All Over Again (che mi sembra di avere recensito, ma non avendo sempre tenuto un archivio preciso, ogni tanto ho dei dubbi, forse la recensione era della reunion della Blues Band?), pubblicato nel 2009 e prodotto da Carla Olson, e con la partecipazione di Eric Clapton, di cui tra un attimo. Ora esce questo nuovo Suddenly I Like It, sempre prodotto dalla Olson, che da qualche anno è diventata anche una apprezzata produttrice, arricchito dalla partecipazione di alcuni nomi di pregio della scena rock internazionale. Come molti sapranno il 73enne (portati benissimo) Jones non è un certo un novellino, tuttora tra i più rinomati esperti di Blues, collaboratore della BBC e ideatore di varie manifestazioni dedicate alla musica del diavolo, il nostro Paul era già in pista nel 1962 in un duo con tale Elmo Lewis, che poi altri non era che Brian Jones che insieme al socio Keith Richards gli propose di entrare in un “nuovo gruppo” che stavano formando. Paul Jones rifiutò e dopo essere transitato dai Blues Incorporated di Alexis Korner, dove c’erano anche Long John Baldry e Mick Jagger,  entrò, come cantante ed armonicista (strumento di cui era ed è grande virtuoso) nei Manfred Mann, rimanendo con loro fino al 1966, prima di iniziare una carriera solista e diventare anche un apprezzato attore teatrale e cinematografico (per esempio in Privilege) e cantante in musical e opere rock, Evita su tutti.

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Verso la fine degli anni 70, in piena era punk e new Wave, fu uno dei fautori della “seconda ondata” del british blues, con la sua Blues Band, insieme a Dr. Feelgood, Nine Below Zero e altri gruppi minori, alternando poi la sua attività musicale con varie trasmissioni radio e televisive per la BBC sul blues e “prestando” la sua armonica in varie produzioni anche di pop e rock. Continua a collaborare con gli ex Manfred Mann, ribattezzati Manfreds e la Blues Band è ancora in attività, con dischi e concerti https://www.youtube.com/watch?v=HtVmNcNKj-4 . Diciamo subito che il nuovo album, a dispetto dell’età del protagonista, è sempre fresco e pimpante, Paul Jones non ha perso una virgola della sua eccellente impostazione vocale, i brani sono piccoli classici del blues, del rock e anche del jazz, sempre ben miscelati nell’attitudine musicale del nostro, ci sono pure alcune canzoni scritte per l’occasione e il tutto si ascolta con gran piacere https://www.youtube.com/watch?v=_EF6oBpSYEA . Aggiungiamo, per i fans di Clapton, che i due brani con “Manolenta”, aggiunti in coda al CD nella versione Airline, Choose Or Cop Out  https://www.youtube.com/watch?v=9H4M-8dD1nw e Starting All Over Again, sono in effetti gli stessi già presenti nel disco del 2009 e non inseriti nella versione europea dell’album della Continental Blue Heaven, quindi non è una fregatura qualsiasi edizione troviate, vanno bene entrambe. La formazione è la stessa del 2009, Jake Andrews, giovane chitarrista texano di buon spessore,Tony Marsico, vecchio bassista dei Cruzados, Mike Thompson, tastiere e Alvino Bennett, batterista di lunga militanza.

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Si parte con Are You Lonely For Me Baby, un super classico scritto da Bert Berns, cantata da tutti, Al Green, Otis Redding, Gregg Allman, Buddy Guy, Buster Poindexter, Steve Marriott e mille altri, veicolo ideale per la voce ancora potente e di grande intensità di Paul Jones, suono classico con tastiere, chitarre e armonica che sottolineano il cantato di Jones, Lonely Nights è un bluesone di quelli classici ma poco noti, scelto da Paul, grande conoscitore di un repertorio sterminato, Sit Back Down l’ha scritta lui e la voce e l’armonica viaggiano sempre spedite e sicure https://www.youtube.com/watch?v=y3gzHta30WU . Come Jagger, Jones ha sempre una gran voce, naturale e mai forzata, e lo dimostra anche in Beggar For The Blues, dove la solista, per l’occasione, è quella di un ispirato e pimpante Joe Bonamassa https://www.youtube.com/watch?v=-TCqcwEwU5Y . Oh Brother Where Are You è una raffinata ballata soul jazz, con il sax di Tom Jr. Morgan e la voce di supporto di Little Willie G a dividersi la scena con la voce matura di Paul Jones, che è ancora in grado di scatenarsi all’armonica, nel duetto strumentale con il piano di Jools Holland in Mountain Boogie e cantare con forza il blues in Suddenly I Like It https://www.youtube.com/watch?v=pGf8LvhcdZE  o essere suadente e classico, da pefetto crooner, in una torch ballad come Don’t Go To Strangers, degna del miglior Nat King Cole. In Remember Me Jools Holland passa all’organo e Todd Wolfe aggiunge la sua resonator guitar con eccellenti risultati, tra blues e gospel, e anche l’apparizione di un vecchio amico come Vince Melouney, il primo chitarrista dei Bee Gees (parliamo di quasi 50 anni fa), non puzza solo di malinconia, ma la fiatistica Soul To Soul ha “anima” e dignità. Senza stare a ricordare tutti i brani, il disco, pur non essendo certo un capolavoro, è onesto e ben suonato, anche in questo caso  può bastare!

Bruno Conti

Sembra Uno Bravo. Ben Poole – Live At The Royal Albert Hall A BBC Recording

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Ben Poole – Live At The Royal Hall – Manhaton Records

Non è parente di Brian Poole, la famosa pop star inglese, leader dei Tremeloes, conosciuti per la loro cover di Twist And Shout, e per una lunga e consistente carriera nelle classifiche pop inglesi: si tratta solo di un caso di omonimia. Ben Poole è un ennesimo giovane cantante e chitarrista di orientamento blues che si affaccia sulla scena inglese. Avevo letto e ascoltato qualcosa su questo 25enne, autore fino ad ora di un EP nel 2010 e di un album d’esordio nel 2013, Let’s Go Upstairs, ben considerati entrambi dalla critica musicale..

ben poole let's go

Alla luce di questo Live At The Royal Albert devo dire che la fiducia mi sembra ben spesa: non siamo di fronte ad un nuovo “salvatore” del Blues, ma il giovane ha talento (eccellente chitarrista con una notevole tecnica di base, applicata con profitto alla sua Les Paul), cantante con una voce accattivante e melodica, anche se non graffiante, e buona presenza scenica https://www.youtube.com/watch?v=6jlyffWLjYQ . Tutti elementi che confluiscono in questa registrazione dal vivo, realizzata nel corso della BluesFest tenuta nell’ottobre del 2013 (e replicata quest’anno – 2014) alla mitica Royal Albert Hall. Ovviamente non è che gli artisti emergenti approdino subito in uno dei templi della musica londinese (o almeno una volta era così), infatti gli headliners dell’edizione dello scorso anno erano Robert Plant, Chris Rea e Van Morrison (ma che fine ha fatto?), presenti anche la Tedeschi Trucks Band, Bobby Womack, in una delle sue ultime apparizioni, e Mavis Staples, per citarne alcuni.

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Però devo dire che questo “giovanotto” fa la sua porca figura: se dovessi definire il suo genere, per aiutare chi spesso deve orientarsi tra gli sproloqui di vanitosi recensori (mi ci metto anch’io), direi che possiamo parlare di una sorta di easy blues rock and soul! Please? Avete presente uno dei dischi di maggior successo degli anni ’70, quel Frampton Comes Alive che fece la fortuna del biondo chitarrista e cantante inglese? Siamo da quelle parti,la voce non è fantastica, ma molto piacevole, il repertorio oscilla tra rock classico di buona qualità, con robusti innesti di soul, R&B, ma anche pop, il tutto innervato da una cospicua dose di Blues  e rock, anche derive hendrixiane https://www.youtube.com/watch?v=FXjFzWS3i2M. Accompagnato da un eccellente quartetto, dove spiccano le tastiere di Sam Mason, Ben Poole si districa in uno stile che potrebbe ricordare quello degli esordi di Jonny Lang (o anche, ma meno, di Kenny Wayne Shepherd, di cui sarà l’opening act nel prossimo tour 2015); prendete l’iniziale Let’s Go Upstairs, un funky-rock che ha qualche parentela con la musica dei primi Doobie Brothers, con riff e soli di chitarra fluidi e ben realizzati https://www.youtube.com/watch?v=mSuRIAYw3KI , o la ballad mid-tempo soul, assai gradevole Love Nobody No More, illuminata dagli sprazzi chitarristici di Poole, che è un solista in grado di regalare alla platea interventi del suo strumento che si trasformano in crescendo irresistibili https://www.youtube.com/watch?v=tKBs9gmpfm4 , come quello presente in questo brano, o di perdersi in una lunghissima rivisitazione di uno dei classici della Tamla-Motown, quella (I Know) I’m Losing You, che oltre che dei Temptations, ha fatto la fortuna di molti artisti del blues-rock inglese, che si sono spesso cimentati con questa canzone https://www.youtube.com/watch?v=S7l3O0hFe2Q .

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Proprio questo brano, anche con chiari inserti più hendrixiani e rock, è uno di quelli che lo potrebbero avvicinare, come tipo di approccio, al famoso Frampton Comes Alive appena citato, con tastiere, basso e batteria che macinano ritmo, mentre il nostro Brian ci dà dentro di gusto alla chitarra, con un lungo tour de force strumentale. Non male anche la cover di Mr. Pitiful di Otis Redding, a conferma dei buoni ascolti del giovane inglese, che poi li mette in pratica, con il giusto rispetto per i classici, ma anche con un fare sbarazzino, a conferma dell’amore per la musica “giusta”. Non male pure It Doesn’t Have To Be That Way e Leave It On, tratte dai suoi dischi, soprattutto per le parti chitarristiche, sempre mozzafiato e, a coronamento di un buon concerto, una lunga versione del super classico di Freddie King, Have You Ever Loved A Man, cavallo di battaglia live di Clapton, dove Brian Poole può finalmente dare libero sfogo alla sua passione per il Blues, con una serie torrenziale di assolo di grande potenza e tecnica che ne illustrano le qualità.

Il tutto registrato e riproposto nel Paul Jones Show della BBC: in conclusione del CD una bonus track in studio, Starting All Over Again, piacevole ballata tra pop e soul. Sembra uno bravo, vedremo in futuro!

Bruno Conti