Il “Solito” Ringo, Piacevole E Disimpegnato. Ringo Starr – Give More Love

ringo starr give me more love

Ringo Starr – Give More Love – Universal CD

Personalmente non sono mai stato d’accordo con le critiche più frequenti mosse negli anni verso Ringo Starr, e cioè che fosse un batterista piuttosto scarso e che dovesse la sua fama semplicemente all’allontanamento di Pete Best dal posto dietro ai tamburi dei Beatles. Certo, quello può essere stato un colpo di fortuna, ma il piccolo e nasuto Richard Starkey i galloni se li è guadagnati sul campo, migliorandosi negli anni e mettendo a punto uno stile riconoscibilissimo, pulito ed essenziale: non credo infatti che la miriade di musicisti che, dal 1970 in poi, hanno richiesto i servigi di Ringo sui propri album fossero tutti degli autolesionisti che volevano un batterista poco capace solo perché “faceva figo” avere il nome di un Beatle sul disco. Diverso è il discorso quando si parla di Ringo come musicista in proprio, dato che nella sua ormai ampia discografia (19 album di studio compreso l’ultimo) e volendo stare larghi, di dischi indispensabili ne citerei tre: l’ottimo esercizio di puro country Beaucoups Of Blues del 1970, lo splendido Ringo del 1973 ed il riuscito comeback album del 1992 Time Takes Time. Nel corso degli ultimi vent’anni Ringo ha continuato ad incidere con regolarità (e ad esibirsi con la sua All-Starr Band, ma questa è un’altra storia), sfornando una serie di album tanto piacevoli quanto tutto sommato superflui, con alcuni meglio di altri (Vertical Man, Ringo Rama, Liverpool 8) ed altri apprezzabili ma decisamente meno riusciti, tra i quali metterei senz’altro i tre usciti nella presente decade, Y Not http://discoclub.myblog.it/2009/12/30/ringo-starr-y-not/ , Ringo 2012 e Postcard From Paradise.

Give More Love, uscito il 15 Settembre scorso, è un buon disco, con alcune canzoni ottime ed altre più nella norma, un lavoro che non si aggiunge certo ai tre “imperdibili” citati all’inizio ma si colloca altrettanto certamente tra i più positivi delle ultime due decadi. Inizialmente Give More Love doveva essere un album country da realizzare in collaborazione con l’ex Eurythmics Dave Stewart, ma poi Ringo ha scritto canzoni con uno spirito diverso, più rock, e le ha incise e prodotte in proprio nel suo studio casalingo. E l’esito finale è molto piacevole, forse più del solito: Ringo non sarà mai un fuoriclasse, ma in tutti questi anni ha imparato anche a scrivere canzoni migliori, e se messo nelle giuste condizioni, cioè con in brani adatti a lui e con l’aiuto di qualche amico, è ancora in grado di divertire. Dicevo degli amici, ed in questo disco c’è una lista di nomi impressionanti, che solo ad elencarli tutti ci vuole un post a parte (anche se ognuno di loro, devo dirlo, si mette al servizio del nostro senza rubargli mai la scena): Steve Lukather, Peter Frampton, Joe Walsh, Greg Leisz, Dave Stewart, Gary Nicholson, Benmont Tench, Edgar Winter, Don Was, Greg e Matt Bissonette, Timothy B. Schmit, Nathan East e, l’ho lasciato volutamente per ultimo, l’ex compare Paul McCartney al basso in due pezzi. Un gradevole disco di pop-rock quindi, senza troppe problematiche, di classe e suonato benissimo. Si inizia con la potente We’re On The Road Again, un rock’n’roll trascinante con Lukather alla solista e McCartney al basso che “pompano” che è un piacere e Ringo che canta in maniera sicura (e Paul alla fine piazza un paio di controcanti riconoscibilissimi): ottimo avvio. Laughable, cadenzata ed insinuante, è piacevole ed immediata, grazie ad un bel refrain, e mostra che il nostro ha scelto una produzione più rock che pop, con grande spazio per le chitarre (qui l’axeman è Frampton).

Show Me The Way è uno slow piuttosto asciutto nell’arrangiamento (organo, chitarra e sezione ritmica), ma io Ringo lo preferisco nei brani più mossi, come Speed Of Sound, altro rock’n’roll deciso, ben eseguito e sufficientemente coinvolgente, con Frampton che per l’occasione rispolvera il suo talkbox. Molto carina Standing Still, un rock-country-blues con un bravissimo Leisz al dobro e Ringo che intona una melodia che piace all’istante; King Of The Kingdom (scritta con Van Dyke Parks) ha un tempo reggae, un motivo orecchiabile e solare ed un bell’intervento di Winter al sax, mentre Electricity, nonostante la presenza di Walsh e Tench ed un testo autobiografico, non è una gran canzone. Molto meglio So Wrong For So Long, una languida country ballad con la splendida steel di Leisz, unico residuo del progetto iniziale con Stewart (che infatti è co-autore), un peccato comunque che non si sia andati fino in fondo. La parte “nuova” del CD (dopo vedremo perché nuova) si chiude con la swingata Shake It Up, un boogie dal gran ritmo, una delle più immediate del lavoro, e con la squisita title track, la più pop del disco, ma con il sapore nostalgico dei brani dell’amico George Harrison. A questo punto il dischetto presenta quattro bonus tracks, quattro brani che Ringo ha preso dal suo passato reincidendoli ex novo (e va detto, senza mai superare gli originali), a partire da una versione molto particolare di Back Off Boogaloo, che parte dal demo originale del 1971 al quale sono stati aggiunti gli strumenti odierni, e c’è anche Jeff Lynne alla chitarra (e per una volta non alla produzione). Poi abbiamo la beatlesiana Don’t Pass Me By, suonata insieme alla band indie americana Vandaveer (ed accenno finale ad Octopus’s Garden), una tonica You Can’t Fight Lightning con il gruppo anglo-svedese Alberta Cross e, sempre con i Vandaveer, la sempre bellissima Photograph.

Un disco, ripeto, molto piacevole e senza troppe elucubrazioni mentali, forse non imperdibile, ma comunque se lo comprate non sono soldi buttati.

Marco Verdi

It Was (Really) Fifty Years Ago Today, Ovvero, Erano Giusto 50 Anni Fa, Oggi! The Beatles – Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band

 

beatles sgt, pepper

The Beatles – Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band – Parlophone/EMI CD – Deluxe 2CD – 2 LP – Super Deluxe 4CD/DVD/BluRay

I Beatles, forse il gruppo più popolare di tutti i tempi, sono sempre stati decisamente avari nell’aprire i loro archivi dopo la separazione avvenuta nel 1970: a parte il Live At The Hollywood Bowl uscito negli anni settanta e ristampato lo scorso anno, e soprattutto i tre volumi dell’Anthology pubblicati a metà anni novanta, ai fans è sempre stata offerta la solita, peraltro ottima, sbobba, comprese le tanto strombazzate ristampe rimasterizzate del 2009 di tutta la discografia degli Scarafaggi, che non aggiungevano neppure trenta secondi di musica inedita. Quest’anno la svolta: per il cinquantenario dell’album più famoso dei Fab Four (uscito proprio il primo Giugno del 1967, cinquant’anni precisi precisi, ma il disco è nei negozi dal 26 maggio), cioè il leggendario Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (per molti è anche il loro migliore, io preferisco il White Album ma comunque sempre di dischi da cinque stelle stiamo parlando), i superstiti Paul McCartney e Ringo Starr, insieme agli eredi degli scomparsi John Lennon e George Harrison, hanno acconsentito ad aprire il magico scrigno delle sessions di quell’album epocale, affidandone la cura a Giles Martin, figlio di George, il celebre produttore dei quattro ragazzi di Liverpool: il risultato è la solita pletora di edizioni diverse, a partire da quella singola e fondamentalmente inutile se lo possedete già (anche se le tracce sono state remixate, ma non rimasterizzate, per quello andava già benissimo il lavoro fatto nel 2009), una doppia interessante con un secondo CD di versioni alternate, e soprattutto un imperdibile cofanetto con quattro CD, un DVD, un Blu*Ray (con lo stesso contenuto del DVD) ed uno splendido libro.

Data l’importanza sia musicale che culturale del disco, questo sarà il primo post “condiviso” della storia del blog: io introdurrò brevemente il disco originale e la sua storia, mentre Bruno vi parlerà nel dettaglio del contenuto del cofanetto quadruplo. L’idea dell’album del 1967 venne a McCartney (che peraltro vuole la leggenda fosse già “morto” il 9 novembre del 1966, sostituito da Billy Shears!!), che voleva una sorta di concept basato sui ricordi adolescenziali di Liverpool dei quattro, ma ben presto il soggetto si tramutò in quello di una serie di canzoni suonate da una band fittizia dell’epoca vittoriana, appunto la Band Dei Cuori Solitari Del Sergente Pepper, legate solo apparentemente da un filo conduttore: il disco è considerato l’apice creativo dei Fab Four, in quanto contiene una serie di gioiellini pop che rasentano la perfezione, con un accenno appena sfiorato di psichedelia (ma proprio all’acqua di rose), e con la figura di George Martin sempre più fondamentale nell’economia del gruppo, da grande arrangiatore quale era, ma anche abile “traduttore” in pratica delle folli idee dei quattro, una caratteristica che era già risaltata l’anno prima nell’altrettanto geniale (e splendido) Revolver. Il disco fu anche il primo dei Beatles senza un singolo portante: nelle stesse sessions, quasi su imposizione della casa discografica, furono incise anche diverse takes sia di Strawberry Field Forever (forse il miglior brano di Lennon all’interno del gruppo) che di Penny Lane, sessions incluse tra l’altro nel cofanetto: i quattro giudicarono però i due brani un po’ fuori contesto rispetto al resto dell’album e quindi li pubblicarono a parte, con il risultato di avere forse il miglior singolo della loro carriera.

Tutto in Sgt. Pepper è perfetto, dall’iconica ed imitatissima copertina ad opera di Peter Blake (e nella quale verranno trovati oscuri messaggi riguardanti la citata e presunta morte di Paul), alle variopinte giacche utilizzate dai Fab Four, ma soprattutto le tredici tracce del disco, capolavori assoluti di pop e con i tipici nonsense lirici dei quattro. Tutto è imperdibile, dall’introduzione finto-live della title track, poi ripresa nel finale, all’irresistibile singalong affidato a Ringo With A Little Help From My Friends, alla psichedelia leggera di Lucy In The Sky With Diamonds, ai bozzetti molto British e tipicamente McCartney di Fixing A Hole, Getting Better, She’s Leaving Home e Lovely Rita (ai quali partecipa anche Lennon con la bucolica e festosa Godd Morning, Good Morning), mentre ho sempre considerato lo spazio affidato a Harrison, Within You Without You, influenzata pesantemente dalla musica indiana ed a mio parere un po’ soporifera e fuori contesto, come il punto debole del disco. I brani che non ho ancora citato sono quelli che da sempre preferisco (ma non è che gli altri non mi piacciono, diciamo che questi sono da dieci e lode), cioè la squisita When I’m Sixty-Four, dal delizioso sapore vaudeville, la divertente ma geniale Being For The Benefit Of Mr. Kite!, ispirata a Lennon da un vero numero da circo di più di un secolo prima, e soprattutto la monumentale A Day In The Life, una eccezionale sinfonia pop di cinque minuti, risultato della fusione di due diverse canzoni di John e Paul, con un grande contributo di Martin ed un finale orchestrale in crescendo che ancora oggi fa venire i brividi. Dopo Sgt. Pepper i Beatles faranno altri grandi dischi (basti pensare all’Album Bianco e ad Abbey Road), ma qualcosa nel rapporto fra i quattro comincerà ad incrinarsi, complice anche la morte improvvisa del loro manager Brian Epstein che li priverà di una guida fino a quel momento indispensabile: ma questa è un’altra storia.

Ed ora, come già detto, la parola passa a Bruno.

Marco Verdi

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Il 1° Giugno del 1967 era un giovedì, come pure quest’anno, ed Inghilterra usciva Sgt. Pepper’s  nei negozi. Due o tre giorni dopo, un ragazzino che ancora oggi vedo tutte le mattine davanti allo specchio (celebrato già all’epoca, a futura memoria, nel titolo di una canzone, When I’m Sixty Four, contenuta nell’album), la domenica mattina (poiché gli altri giorni si andava a scuola si ascoltava nei giorni festivi) si sintonizza su Radio Uno della RAI, credo allora ci fosse solo quella, dove viene tramesso in anteprima, tutto completo, il suddetto Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, ebbene sì, in una trasmissione condotta, mi pare da Adriano Mazzoletti, ma erano altri tempi, in cui le radio trasmettevano gli album interi: poi lunedì mi recai, perché ovviamente ero io, in un negozio per acquistarlo, mentre il mondo dei Beatles, che già frequentavo (ma anche quello degli Stones, di Dylan, di Hendrix e di  mille altri, ero un ascoltatore precoce), si allargò a dismisura per assumere contorni quasi “epocali”. Cinquanta anni dopo, anzi qualche giorno meno, visto che la nuova edizione è uscita il 26 maggio, finalmente un album del gruppo riceve il trattamento Deluxe, che ora andiamo ad esaminare nel dettaglio.

Intanto la confezione del box sestuplo è molto bella; formato tunnel (in termine tecnico discografico), vuol dire che si sfila la copertina del cofanetto, all’interno troviamo quello che a prima vista appare il vecchio LP, ma in effetti è il contenitore che riporta, allocati in apposite tasche, i quattro CD, il DVD e il Blu-ray. Poi il manifesto del disco, quello del Pablo Fanque’s Circus Royal con l’ultima serata dedicata a Mr. Kite, il cartoncino ritagliabile del Sergente Pepper e un bel librettone ricco anche di immagini rare ed inedite. Il tutto esce su etichetta Apple/Universal ma i dischi (rimixati non rimasterizzati) riportano rigorosamente l’etichetta Parlophone/EMI e nella confezione sul retro del “disco” sono riportati, come in origine, i testi (che ai tempi, nel nostro stentato inglese, ci permisero di sapere che i turnstiles, erano i “tornichetti” della metropolitana e che l’handkerchief era il “fazzoletto”). Detto che il disco, descritto sopra, ha un suono splendido: il dancing bass di Paul, la batteria di Ringo, le chitarre di George, John (e Paul), la produzione magnifica di George Martin e tutto il resto, oltre alle voci, sembrano balzare fuori dagli speakers, veniamo ai contenuti extra. Prima i due CD delle “Sgt. Pepper, Session”.

Disc 2

Strawberry Fields Forever – Take 1

Strawberry Fields Forever – Take 4

Strawberry Fields Forever – Take 7

Strawberry Fields Forever – Take 26

Strawberry Fields Forever – Stereo/Giles Martin Mix

When I’m Sixty-Four

Penny Lane – Take 6

Penny Lane – Vocal Overdubs and Speech

Penny Lane – Stereo / Giles Martin Mix 2017

A Day In The Life – Take 1

A Day In The Life – Take 2

A Day In The Life – Orchestra Overdub

A Day In The Life – Hummed Last Chord

A Day In The Life – The Last Chord

Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band – Take 1

Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band – Take 9

Good Morning Good Morning – Take 1

Good Morning Good Morning – Take 8

Si parte con ben quattro diverse takes di Strawberry Fields Forever che tracciano la storia di una delle canzoni più belle di sempre dei Beatles, e che inserita nell’album (con Penny Lane) lo avrebbe reso ancora più epocale di quanto è stato nella storia della musica moderna. La prima take arriva alla fine di novembre 1966 (pochi giorni dopo la morte di Paul, scusate se insisto), solo i quattro Beatles, basso, batteria, la voce solista di John e la sua chitarra ritmica, la chitarra slide di George e quelle armonie celestiali. La Take 4 introduce il sound del mellotron, la voce filtrata e sognante di Lennon, il grande lavoro di Ringo alla batteria e di Paul al basso, mentre la take 7 si avvicina molto a quella che sarà la versione pubblicata della canzone, con la take 26 che invece ci regala una versione completamente diversa, nettamente più veloce, con una intro assai diversa, la batteria impazzita e gli effetti sonori che si impadroniscono del tessuto sonoro della seconda parte del brano, tra fiati, chitarre e tastiere “trattate”. Tutta roba già sentita sugli innumerevoli bootlegs dedicati negli anni ai Beatles, ma mai così bene. Infine per concludere la sequenza il nuovo mix stereo di Giles Martin del 2015, una vera meraviglia sonora della prima psichedelia. A seguire la Take 2 di When I’m Sixty Four (il pezzo dedicato al sottoscritto), abbastanza diversa dall’originale, senza fiati e con un basso super funky di Paul, e con il piano che è l’altro protagonista principale del pezzo, mentre non ci sono ancora i coretti degli altri Beatles.

Poi tocca a Penny Lane, take 6 strumentale, affascinante, dove mi sembra di cogliere brillanti accenni musicali che poi verranno sviluppati in Magical Mystery Tour e più in là ancora nel tempo in Abbey Road, e che danno un’idea di come dovesse essere in quella fucina di idee che erano gli studi di Abbey Road ai tempi dei Beatles. Più per “anally retentive”, come dicono gli inglesi, la parte dedicata solo a sovraincisioni vocali e discorsi in studio, ma poi la versione Stereo Mix del 2017 è veramente superba. A questo punto parte la sequenza dedicata alla più bella canzone mai scritta dai Beatles, A Day In The Life, uno dei loro splendidi esempi di una canzone formata da più canzoni, uno strato dopo l’altro, con Lennon e McCartney che si completano a vicenda (al sottoscritto un altro brano che piace da impazzire, costruito con questo approccio, è Happinees Is A Warm Gun). Si capisce subito che il brano è un capolavoro sin dalla take 1, solo la voce con eco di John, il piano e una chitarra acustica, ma c’è già lo spazio per inserire la parte scritta da Paul, e pure la take 2 è splendida, acustica ed intima, ma con le stimmate del brano complesso che diverrà, per esempio la melodia complessa e ritmica del piano, il suono delle sveglie che i loro vicino di studio a Abbey Road sublimeranno qualche anno dopo in Dark Side Of The Moon. Gli overdub dell’orchestra, l’accordo finale vocale canticchiato, che sentito da solo sembra un mantra tibetano, e i presenti che si divertono a chiamare takes a capocchia e anche l’ultimo accordo provato svariate volte al piano, fanno parte del fascino di questo ”dietro le quinte”. La prima versione strumentale di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band la canzone, sembra quasi un pezzo a tutto riff dei Kinks, perché i gruppi dell’epoca ascoltavano quello che facevano i loro colleghi, mentre la take 9, cantata, è un gran bel pezzo rock, e si capisce perché Jimi Hendrix, quando la sentì, come tutti gli altri, al 1° giugno, decise di rifarla dal vivo, a modo suo, cioè splendido, solo tre giorni dopo al Saville Theatre, di fronte a degli sbalorditi George Harrison e Paul McCartney. Beatles rockers anche nelle due takes presenti di Good Morning Good Morning, la prima solo un frammento per inquadrare il groove della batteria, la seconda “cruda”, senza tutti gli effetti sonori e gli assolo che saranno aggiunti alla versione definitiva.

Disc 3:

Fixing A Hole – Take 1

Fixing A Hole – Speech And Take 3

Being For The Benefit Of Mr. Kite!

Being For The Benefit Of Mr. Kite! – Take 7

Lovely Rita – Speech and Take 9

Lucy In The Sky With Diamonds – Take 1 And Speech

Lucy In The Sky With Diamonds – Speech

Getting Better – Take 1

Getting Better – Take 12

Within You Without You – Take 1

Within You Without You – George Coaching The Musicians

She’s Leaving Home – Take 1

She’s Leaving Home – Take 6

With A Little Help From My Friends – Take 1

Sgt. Peppers Lonely Hearts Club Band (Reprise) Speech and Take 8

Il disco tre, solo nel cofanetto, contiene altre versioni alternative e prove di studio. Si parte con la Take 1 di Fixing A Hole, che, a differenza del resto dell’album, fu registrata ai Regent Sound Studios di Londra il 9 Febbraio del 1967, perché in quella occasione gli studi di Abbey Road non erano disponibili: un pezzo di Paul McCartney, con la voce double-tracked, e la presenza di George Martin al clavicembalo, il classico walking bass di Paul, mentre in questa versione mancano i coretti degli altri Beatles, assenti anche nella Take 3, preceduta da un breve dialogo, come manca anche il tagliente solo di chitarra di Harrison, presente nella versione pubblicata. Martin passa a harmonium, glockenspiel e organo per Being For The Benefit Of Mr.Kite, il brano circense a tempo di valzer scritto da John Lennon, anche in questo caso, nella Take 1, mancano tutti gli elementi aggiuntivi, i florilegi di armoniche a bocca e la chitarra backwards di George, di nuovo assenti anche nella versione n.7. Diciamo che fino ad ora il disco 3 è quello meno interessante come materiale contenuto. Più compiuta, forse perché è già la take 9, la versione di Lovely Rita, con le chitarre acustiche e il piano in evidenza, ma non il basso di Paul, anche qui mancano tutti gli elementi “decorativi” tipici, fondamentali nelle canzoni dei quattro di Liverpool. Lucy In The Sky With Diamonds, ispirata da un disegno di Julian, il figlio di John, nella take 1, non è ancora quel piccolo gioiellino della psichedelia che sarebbe diventata, ma gli elementi sognanti e i cambi di tempo sono già presenti, mentre la Take 5, con tanto di falsa partenza e John sull’orlo di una crisi di ridarella, come spesso succedeva ai tempi felici, poi nella versione definitiva diventerà uno dei migliori contributi di John Lennon all’album.

Getting Better, fin dal titolo, è uno dei classici pezzi ottimistici di McCartney, che suona il piano elettrico, e si esibisce in uno dei suoi classici esempi di fusione tra rock e errebì “bianco”, la prima take è strumentale, mentre la numero 12 è molto simile all’originale, sempre strumentale, ma con il tampura, l’altro strumento suonato da Harrison in evidenza, e la sezione ritmica di Paul e Ringo molto indaffarata. A proposito di strumenti indiani, l’unico contributo di George Harrison all’album è Within You Without You, posta nel long playing originale all’inizio della seconda facciata, per non spezzare la soluzione quasi da concept album del resto del disco. Anche in questo caso troviamo la Take 1 solo strumentale, con George al sitar, accompagnato da musicisti indiani non accreditati, mentre a seguire troviamo Harrison che insegna ai musicisti stessi le loro parti su una traccia vocale; diciamo non indispensabile, per essere magnanini, o una mezza palla, per essere onesti. Anche She’s Leaving Home appare in due diverse versioni strumentali, ed è un peccato, perché la parte cantata con la storia di Melanie Coe, era uno degli highlight dell’album, comunque la melodia è deliziosa, Sheila Bromberg all’arpa, è la prima donna a venire impiegata in un brano dei Beatles, e l’arrangiamento degli archi è raffinatissimo. With A Liitle Help From My Friends è il contributo di Ringo Starr al LP, ma anche in questo caso non si nota, perché si tratta dell’ennesima versione strumentale, e comunque la canzone diventerà uno degli inni della musica rock nella versione fantastica che ne farà Joe Cocker l’anno successivo, tutta un’altra canzone. Il CD finisce con la take 8 di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club (Reprise), la ripresa in chiave più rock del brano di apertura con McCartney alla chitarra solista.

Il disco 4 del cofanetto contiene l’album completo in versione Mono, come dovrebbe essere ascoltato secondo i puristi (ma io lo preferisco in stereo) e come bonus alcuni differenti mono mix di Strawberry Fields Forever, Penny Lane, A Day In The Life, il primo mixaggio mono, inedito, come pure quello di Lucy In The Sky With Diamonds e She’s Leaving Home, mentre in coda di tutto troviamo la versione mono pubblicata su un Promo americano di Penny Lane. Tutte leggermente differenti dagli originali. Come ricorda il titolo del Post, in questi giorni è uscito, prima al cinema, e poi in doppio DVD, un documentario di Alan G. Parker, intitolato It Was Fifty Years Ago Today, che traccia in modo approfondito, e anche interessante, la storia dell’album, ma, perché c’è un ma, e pure grosso, non c’è neppure un secondo di musica dei Beatles nel film (e neppure nella quattro ore e mezza di extra nella versione DVD, che peraltro comprende interviste con Lennon, materiale dagli archivi di Ringo e altre chicche assortite), a causa del veto della casa discografica che non ha concesso i diritti per la musica. A questo punto viene molto utile il DVD ( e il Blu-Ray, ma perché ormai vanno sempre in coppia in queste versioni Super Deluxe, visto che il materiale è lo stesso?): si tratta di un documentario realizzato nel 1992 per la Apple, The Making Of Sgt. Pepper, circa 50 minuti molto interessanti con interviste a George Martin che è “l’host” del film, ma anche con Paul McCartney, George Harrison, Ringo Starr e materiale d’archivio di John Lennon. Più i video promozionali, girati nel 1967, di A Day In The Life, Strawberry Fields Forever e Penny Lane, e, dedicate agli audiofili, versioni Hi-Res 5.1 Remix e Hi-Res Stereo Remix dell’album. Ci sarà pure un motivo se Sgt. Pepper è ancora al n.°1 nella lista dei 500 album più grandi della storia della rivista Rolling Stone, e Pet Sounds dei Beach Boys, il disco che lo ha “ispirato”, è al n° 2. Ok, se prendete la lista del NME del 2013, è al n° 87 (?!?), ma quella è una lista per “super giovani”, dove vince The Queen Is The Dead degli Smiths, al 4° ci sono gli Strokes, ma per favore, e nella classifica altre “schiccherie” orride ed incomprensibili, della serie lasciateci perdere siamo inglesi! Comunque visto che anche i Beatles sono inglesi, se non al primo posto, nei primi dieci dischi di sempre questo album ci sta di sicuro. Sono sicuro che Bob Dylan, in alto a destra, e Sonny Liston, in basso a sinistra, ma anche tutti gli altri sulla copertina, avrebbero approvato. Forse Revolver, Rubber Soul, il White Album Abbey Road, scegliete il vostro preferito, sono superiori come album, ma Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band ha segnato un’era e questo cofanetto ne è il degno testimone!

Bruno Conti

Recensione Pasquale! Paul McCartney – Flowers In The Dirt Super Deluxe. Parte 2: Il Cofanetto.

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Paul McCartney – Flowers In The Dirt – Capitol/Universal 3 CD + DVD – 2 CD – 2 LP

Alla fine degli anni ottanta Paul McCartney stava cercando un rilancio di vendite e popolarità dopo un periodo complicato dal punto di vista artistico (problema comune in quel periodo per molti musicisti della golden age): l’inizio della decade non era stato neanche male, con due album di buon successo, Tug Of War e Pipes Of Peace, ed il primo dei due tra i migliori mai pubblicati dall’ex Beatle; nel 1984 ci fu però il fallimentare progetto Give My Regards To Broad Street, disco e film, che se da un lato sul supporto audio, pur proponendo poche novità (ma rileggendo alcune pagine del songbook dei Beatles), riuscì a portare a casa il risultato, dal punto di vista del lungometraggio fu un flop totale. Ed anche il successivo album Press To Play (1986) fu un insuccesso, un lavoro poco ispirato, involuto, con canzoni non “alla McCartney” e dal suono troppo anni ottanta (forse il più grande passo falso della carriera di Macca). Una parziale risalita si ebbe un anno dopo con la doppia antologia All The Best, trainata dall’ottimo singolo Once Upon A Long Ago, ma il nostro già in quel periodo stava pensando a come rilanciare la carriera, e la soluzione più giusta gli sembrò quella di cercare nuovamente un partner per la scrittura delle canzoni come ai tempi dei Fab Four: il prescelto fu Elvis Costello, con il quale già dal 1987 Paul iniziò a scrivere ed incidere a livello di demo una lunga serie di brani che avrebbero dovuto costituire l’ossatura del nuovo album (un primo assaggio della collaborazione, Back On My Feet, era andata sul lato B di Once Upon A Long Ago).

La storia andrà poi diversamente, in quanto Paul in seguito avrà dei dubbi se quella della partnership con Costello fosse la strada giusta (nonostante i media stessero pompando la cosa aldilà della sua reale importanza, arrivando persino a definire Elvis il “nuovo Lennon”) e si metterà a scrivere altri brani per conto suo: Flowers In The Dirt (che uscirà nel Giugno del 1989), pur rivelandosi uno dei migliori album di McCartney, diventa dunque un ibrido, con soltanto quattro pezzi nati dalla collaborazione con l’occhialuto songwriter londinese (altri usciranno sul successivo album di Paul, Off The Ground, e sui due dischi del periodo di Costello, Spike e Mighty Like A Rose, mentre molti resteranno inediti). Anche la scelta di rivolgersi a ben sette produttori diversi (Trevor Horn, Chris Hughes, Mitchell Froom, Neil Dorfsman, David Foster, Steve Lipson e Ross Cullum, oltre a Paul stesso e Costello nei quattro pezzi scritti insieme) solitamente è sintomo di grande confusione, ma c’è da dire che se il nostro è riuscito a confezionare un lavoro con un suono unitario e compatto,  è merito anche del fatto che in tutti i pezzi vi è la medesima house band, che accompagnerà il nostro anche nel trionfale tour che seguirà (Hamish Stuart e Robbie McIntosh alle chitarre, Chris Whitten alla batteria, Paul Wickens alle tastiere, oltre alla solita presenza più che altro simbolica della moglie Linda) ed alcuni preziosi interventi di ospiti del calibro di David Gilmour, Nicky Hopkins e Dave Mattacks.

La prima parte del disco è quasi perfetta, a partire dall’apertura di My Brave Face, delizioso ed orecchiabile pop-rock dal ritornello coinvolgente, che è anche il primo singolo e la migliore delle quattro canzoni con Costello (e la sua mano si sente, specie nel bridge); con Elvis, Paul scrive anche la ballad You Want Her Too, unico duetto tra i due, un brano intenso e con un bel botta e risposta tra la voce melodica di Macca e quella ruvida di Mr. McManus, mentre anche due brani considerati minori come la funkeggiante Rough Ride e la jazzata e raffinatissima Distractions fanno la loro bella figura. Ma le due canzoni migliori del disco sono certamente la bellissima We Got Married, un gran bel pezzo che parte come un folk-rock ed assume tonalità quasi prog (all’acqua di rose, stiamo sempre parlando di McCartney), con due splendidi assoli floydiani di Gilmour  , e la cristallina Put It There, eccellente ballata acustica che, grazie anche all’arrangiamento ad opera di George Martin, rimanda direttamente al suono del White Album. La seconda parte (il vecchio lato B) parte benissimo con la roccata Figure Of Eight e la squisita pop song This One (altro singolo di successo), ma cala un po’ alla distanza: le altre due canzoni scritte con Costello, Don’t Be Careless Love e That Day Is Done, sono due ballate abbastanza normali per Paul, ed il pur gradevole reggae ecologista-pacifista How Many People, dedicato al sindacalista brasiliano Chico Mendes, ha un testo da terza elementare. Pollice verso invece per i due brani finali, la pesantissima Motor Of Love, lunga e noiosa ballata in più gravata da un arrangiamento gonfio, e la danzereccia Ou Est le Soleil, una mezza porcheria elettronica senza senso.

Oggi gli archivi di Paul si occupano proprio di questo disco, e l’edizione Super Deluxe è come al solito splendida dal punto di vista visivo, con ben quattro libri inclusi, pieni di testi, note, foto e curiosità varie, un DVD con i videoclip dei singoli estratti dall’album, un documentario inedito ed un altro, Put It There, uscito all’epoca e tre CD (dei quali il primo è il disco originale rimasterizzato) decisamente interessanti, anche se pure questa volta non sono mancate le polemiche. Intanto è strano che, dato che all’epoca Paul aveva deciso di fare una parziale retromarcia per quanto riguardava i pezzi con Costello, tutti e due i bonus CD sono incentrati sui demo incisi con lui, che se da un lato offrono una visione diversa (ed alcuni brani totalmente inediti), dall’altro mancano di documentare le versioni alternative dei pezzi scritti dal solo Paul (e lo spazio ci sarebbe stato, dato che i due dischetti durano mezz’oretta l’uno). La tracklist tra l’altro, nove brani a disco, è la stessa (e nello stesso ordine), con i soli Paul ed Elvis alle prese con i demo del 1987 sul secondo CD (dove si accompagnano con chitarre acustiche e pianoforte) e le versioni iniziali full band del 1988 sul terzo (ma sempre con Elvis in session), con anche diversi pezzi che poi non avrebbero trovato spazio sull’album. Se The Lovers That Never Were in versione duo ha chiaramente bisogno di essere rifinita (ed infatti sul dischetto “elettrico” risulta molto meglio), Tommy’s Coming Home è bellissima così com’è, due voci, due chitarre e melodia fresca e beatlesiana; Twenty Fine Fingers è un gradevole rockabilly alla Buddy Holly (irresistibile la versione full band) che poteva stare tranquillamente sul disco originale, mentre la deliziosa So Like Candy è davvero figlia dei Fab Four (ma la mano di Costello è evidente, tanto che la inciderà da solo e la metterà su Mighty Like A Rose).

I due CD proseguono con le quattro canzoni poi finite sull’album (e My Brave Face si conferma la migliore del lotto) e si concludono con la frenetica Playboy To A Man, meglio nella versione elettrica. La cosa che però ha mandato più in bestia i fans è la decisione, pare di Paul stesso, di includere altri brani, tra cui tre demo aggiuntivi e tutti i lati B dei singoli dell’epoca, soltanto come download digitale, scelta assurda considerando il fatto che lo spazio sui bonus CD non mancava e, soprattutto, che è senza senso spendere una cifra vicina ai 150 Euro per poi doversi anche scaricare dei pezzi. In ogni caso, anche il contenuto della parte download è interessante, con alcune B-sides accattivanti come la già citata Back On My Feet, l’incalzante e vigorosa Flying To My Home (che avrebbe dovuto assolutamente finire sul disco) e la vibrante ballata pianistica Loveliest Thing. Vi risparmio i vari remix della già brutta Ou Est Le Soleil, ed anche il raro singolo per i DJ Party Party, ma vorrei citare i tre pezzi finali, tratti da una cassetta demo ancora di McCartney e Costello, con le discrete I Don’t Want To Confess e Mistress And Maid e la splendida Shallow Grave, un vero peccato che sia rimasta nei cassetti. (*NDB Che uscirà il 21 aprile per il Record Store Day, proprio in formato musicassetta)!  A monte di tutti i possibili difetti (e quello del “download only content” è a mio parere imperdonabile), una delle migliori ristampe della serie, che avrà il merito di fare felici non solo i fans di Macca ma anche quelli di Elvis Costello.

Marco Verdi

Paul McCartney – Flowers In The Dirt Super Deluxe. Parte 1: Riassunto Delle Puntate Precedenti.

paul mccartney flowers in the dirt super deluxe

E’ da poco uscito l’ultimo volume degli archivi di Paul McCartney, l’attesa reissue del suo ottimo album del 1989 Flowers In The Dirt (rimandata di diversi mesi a causa del nuovo contratto firmato da Paul con la Capitol): siccome in passato il blog non si era mai occupato delle uscite di questa serie, ne approfitto per fare un piccolo punto della situazione riepilogando, spero brevemente, i volumi precedenti. La serie, iniziata nel 2010 come Paul McCartney Archive Collection, si pone come obiettivo la pubblicazione (in ordine non cronologico) di tutta la discografia dell’ex Beatle in versioni rimasterizzate singole, doppie e sotto forma di cofanetti che sono tra i migliori in circolazione in fatto di qualità e contenuti fotografici e testuali, ma con qualche riserva dal punto di vista musicale (ed è di queste edizioni Super Deluxe che vado a parlare). Infatti, se dal punto di vista dei manufatti non si può dire nulla (ogni cofanetto è corredato da diversi libri ricchissimi di testi, interviste, curiosità, foto inedite e note d’archivio), da quello dei contenuti musicali c’è sempre stata qualche perplessità, più o meno leggera a seconda del disco in questione, come se Macca abbia soltanto socchiuso la porta dei suoi archivi, tenendosi diverse altre cose per eventuali utilizzi futuri (anche se mi sento di promuovere l’operazione, seppur con alti e bassi, a differenza di quella dei Led Zeppelin che nelle edizioni di lusso offriva libri splendidi ma neppure una nota musicale in più rispetto alle versioni doppie, già di loro abbastanza avare di chicche). Ma ecco una disamina veloce delle uscite precedenti, per la quale ho seguito l’ordine cronologico dei dischi originali e non quello delle ristampe.

mc cartney mccartney 1970

McCartney (1970) – 2CD/DVD – il primo album di Paul è una serie di canzoni brevi, bozzetti cantati e strumentali ed idee inespresse che all’epoca suscitò diverse critiche per la sua eccessiva semplicità, ma che contiene alcune ottime cose come Every Night, Junk e Man We Was Lonely ed un classico assoluto nella strepitosa Maybe I’m Amazed, ancora oggi una delle prestazioni vocali migliori del nostro. Il secondo CD offre alcune outtakes, la più interessante delle quali è l’inedita Suicide (offerta all’epoca da Paul a Frank Sinatra ma rifiutata, pare con sdegno, da The Voice), una Maybe I’m Amazed dal vivo nel 1974 ed altri tre brani del disco in versione live coi Wings nel 1979. Il DVD contiene un documentario, due pezzi dal vivo sempre nel 1979 (per il famoso Concert For Kampuchea) ed altri due tratti dall’Unplugged del 1991.

paul mccartney ram deluxe

Ram (1971) – 4CD/DVD – edizione sontuosa, una delle migliori della serie, per un album all’epoca criticatissimo ma col tempo rivalutato come un gioiellino pop, tra canzoni leggerine ma divertenti (Uncle Albert/Admiral Halsey), delizie acustiche (Heart Of The Country), travolgenti rock’n’roll (Smile Away e Monkbery Moon Delight) ed un autentico capolavoro minore come The Back Seat Of My Car. Il secondo CD propone outtakes interessanti ma non indispensabili, oltre al singolo dell’epoca Another Day, il terzo la versione mono dell’album, mentre nel quarto troviamo la rarissima rilettura orchestrale pubblicata da Paul nel 1977 con lo pseudonimo di Percy “Thrills” Thrillington (non disprezzabile). Nel DVD qualche filmato d’epoca ed un paio di videoclips.

paul mccartney band on the run

Band On The Run (1973) – 3CD/DVD – il miglior album di sempre di Paul è anche stata la prima uscita di questa serie di ristampe. Registrato nonostante varie peripezie e con una formazione dei Wings ridotta a tre elementi (Paul, Denny Laine e Linda), l’album contiene una serie di classici assoluti da parte di un Paul ispirato come poche altre volte (la spettacolare title track, la lennoniana Let Me Roll It, Jet, la trascinante 1985, Mrs. Vanderbilt), per un album che anche chi non ha mai amato alla follia il nostro dovrebbe avere: il secondo CD contiene il singolo Helen Wheels (all’epoca incluso nella versione americana del disco) e diverse interessanti riprese dal vivo di brani dell’album (ma anche qualche inedito) per lo special televisivo del 1974 One Hand Clapping, mentre il terzo dischetto, meno interessante, presenta un documentario audio. Molto bello invece il DVD, che contiene quasi la performance completa di One Hand Clapping, con riletture anche di classici all’epoca recenti come My Love e Live And Let Die.

paul mccartney venus and mars

Venus And Mars (1975) – 2CD/DVD – un disco volutamente radiofonico, creato per lanciare il tour mondiale degli Wings, ma anche uno dei lavori più piacevoli di McCartney, dall’intro Venus And Mars/Rock Show, perfetto per aprire i futuri concerti, all’ottima rock song Letting Go, al divertissement anni trenta You Gave Me The Answer, fino al singolo Listen To What The Man Said, una deliziosa pop song che profuma di New Orleans (mentre gli spazi lasciati agli altri membri del gruppo sono nettamente inferiori, a conferma che nelle rock band con un leader la democrazia raramente porta risultati validi). Il secondo CD include diverse canzoni uscite all’epoca solo su singolo, tra cui le belle Junior’s Farm e Sally G, ed alcuni home demos, mentre nel DVD troviamo i soliti filmati non indispensabili.

wings at the speed of sound

At The Speed Of Sound (1976) – 2CD/DVD – album messo sul mercato per capitalizzare al massimo il grande successo della tournée in corso, si tratta di un disco piuttosto debole e con troppo spazio lasciato agli altri membri degli Wings (compresa Linda, che partecipa con una risibile Cook Of The House). Paul contribuisce con due singoli di grande successo (Silly Love Songs e Let ‘em In), che però il sottoscritto non ha mai digerito molto: meglio la roccata Beware My Love, che è anche l’unico episodio interessante dell’esageratamente corto bonus CD (21 minuti!), in quanto in una versione alternata con John Bonham alla batteria. Fino ad oggi la più deludente delle Deluxe Editions.

wings over america

Wings Over America (1976) – 3CD/DVD – splendida versione dal punto di vista dei libri inclusi nel cofanetto, ma meno interessante per la parte audio: i primi due CD ripropongono l’album originale, un live potente anche se un po’ tronfio (nel quale comunque Paul inizia a sdoganare qualche pezzo dei Beatles), mentre il terzo contiene soltanto otto canzoni tratte dal concerto al Cow Palace di San Francisco, un po’ poco. Bello invece il documentario sul DVD, Wings Over The World, di 75 minuti, però si poteva anche includere il famoso film Rock Show uscito all’epoca (pubblicato invece a parte).

McCartney II (1980) – 3CD/DVD – sciolti gli Wings, Paul torna alla dimensione casalinga come nell’esordio solista di dieci anni prima, ma stavolta sperimentando soluzioni elettroniche di vario tipo: se la danzereccia Coming Up e la bizzarra Temporary Secretary si possono anche salvare, altri episodi come Frozen Jap e Bogey Music suonano pretenziosi e datati. Il meglio Paul lo dà con le rare ballate acustiche, Waterfalls e One Of These Days. L’unica parte interessante dei due bonus CD è la versione dal vivo di Coming Up (che negli USA uscì come singolo al posto di quella in studio), mentre per il resto troviamo altri esperimenti fini a loro stessi, le full length versions dei brani dell’album (inutili), e l’irritante singolo stagionale Wonderful Christmastime. In definitiva, un disco con il quale il tempo non è stato generoso.

paul mccartney tug of war

Tug Of War (1982) – 2CD/DVD – per chi scrive, il miglior disco di Paul dopo Band On The Run, un album ispirato, potente, creativo, con un McCartney in forma smagliante e splendide canzoni come l’emozionante title track, l’irresistibile Take It Away, la toccante Here Today (dedicata a John Lennon), la bellissima Wanderlust ed il trascinante rock’n’roll Ballroom Dancing (mentre il singolo Ebony And Ivory, in duetto con Stevie Wonder, risulta piuttosto stucchevole). Il secondo CD è interessante anche se piuttosto corto (come tutti quelli della serie peraltro), con all’interno due b-sides, qualche demo ed una versione di Ebony And Ivory con il solo Paul. Nel DVD, i vari vidoclips ed alcuni filmati sparsi.

paul mccartney pipes of peace

Pipes Of Peace (1983) – 2CD/DVD – seguito del disco precedente (anch’esso prodotto da George Martin) ed inciso nelle stesse sessions, soffre però di una netta inferiorità rispetto al predecessore, come se tutto il meglio fosse stato messo su Tug Of War. Si salvano la discreta title track, la melodica The Other Me ed il raffinato pop-errebi So Bad, mentre il duetto con Michael Jackson Say Say Say è buono solo per le classifiche. Nel secondo CD, oltre a qualche non indispensabile demo ed al remix 2015 del brano con Jackson, troviamo la rara e non disprezzabile Twice In A Lifetime, tratta dalla colonna sonora di un film del 1985 con lo stesso titolo.

Marco Verdi

Ripartono Le Uscite Nel 2017, Parte I! Novità: Dropkick Murphys E Ristampe: Ron Wood, Michael McGear

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Finiamo l’anno con un Post dedicato alle prime uscite discografiche del 2017. Si parte subito, già il 6 gennaio esce la prima novità “importante”: il nuovo album dei Dropkick Murphys, la band celtic punk di Boston che arriva al nono album di studio con questo 11 Short Stories of Pain & Glory, pubblicato per la propria etichetta, la Born & Bred, e come di consueto prodotto dall’ottimo Ted Hutt. Sono dieci brani firmati dalla band e una cover del famoso brano tratto dal Musical Carousel, You’ll Never Walk Alone, un brano cantato in mille occasioni e che è anche uno degli inni del Liverpool. Per i più “temerari” fans uscirà anche una versione limitata dell’album con libretto da 26 pagine e due tracce aggiunte, disponibile per la modica cifra di circa 40 euro in una tiratura di 5.000 copie.

Questi i titoli dei brani:

1. The Lonesome Boatman
2. Rebels With A Cause
3. Blood
4. Sandlot
5. First Class Loser
6. Paying My Way
7. I Had A Hat
8. Kicked To The Curb
9. You’ll Never Walk Alone
10. 4-15-13
11. Until The Next Time

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I’ve Got My Own Album To Do è il primo album solista di Ron Wood, uscito nel 1974 quando il chitarrista inglese era ancora nei Faces, un disco poi uscito in CD in varie versioni, la prima negli anni ’90, poi diverse edizionin, sempre per il gruppo Warner, l’ultima per la Warner Japan nel 2012, ma anche per la Rhino nel 2009 e, solo in vinile, per la Music On Vinyl nel 2015. Il disco regge bene il passare del tempo, un classico album di R&R, con molti brani a firma Wood, ma ci sono anche un paio di tracce Jagger/Richards, una del bassista Willie Weeks, un paio di cover e una canzone composta da Wood con George Harrison, che poi sarebbe uscita, in un’altra versione, nel disco Dark Horse dell’ex Beatle. Nell’album di Ron Wood ci sono una valanga di ospiti: oltre all’eccellente sezione ritmica, Willie Weeks/Andy Newmark, ma anche Pete Sears Micky Waller, nel disco appaiono, in ordine sparso, Keith Richards, Ian McLagan, Mick Jagger, David Bowie, George Harrison, Mick Taylor Rod Stewart, per la serie scusate se è poco.

La nuova versione, in uscita sempre il 6 gennaio per la Friday Music, sarà doppia, ma non perché potenziata da una mirabolante serie di bonus,bensì perché i tipi dell’etichetta americana, senza peraltro indicarlo in copertina, hanno inserito nella confezione anche il secondo album solista di Ron Wood, l’ottimo Now Look, uscito nel 1975, sempre in origine per la Warner, con la produzione di Wood, Bobby Womack Ian McLagan, e con gran parte degli stessi musicisti usati nel disco precedente, nello specifico, Richards, Taylor, McLagan, Weeks, Newmark, oltre a Womack e Kenney Jones e la presenza di alcune cover, brani a firma Wood/Womack e il classico sound rock dei dischi di metà anni ’70., il punto debole ovviamente, purtroppo, è la voce, diciamo non memorabile di Ronnie. Insomma, se vi manca(no) potreste farci un pensierino.

michael-mcgear-woman

Dopo le due uscite previste per il 6 gennaio, cominciamo a vederne una di quelle annunciate per il 13 gennaio, mentre le altre ve le presenterò nel Post di domani, per centellinare queste prime ristampe targate 2017. Innanzi tutto chi è Michael McGear? Se aggiungiamo il vero cognome McCartney, il nostro amico Mike è in effetti il fratello minore di Paul, l’altro figlio di Mother Mary, nato in quel di Liverpool due anni dopo il più celebre fratello. Anche lui con una carriera nella musica, prima come membro degli Scaffold, quelli di Lily The Pink, n° 1 nelle classifiche inglesi nel periodo natalizio del 1968 (una band tra music hall e comedy rock, per intenderci la versione italiana del brano venne fatta dai Gufi nel 1969, e come La Sbornia, entrerà anche nelle hits italiane, “Trinca, trinca, trinca, buttalo giù con una spinta…!”

Nel 1968 McGear aveva iniziato anche una carriera solista, il primo album McGough e McGear, in coppia con il suo socio negli Scaffold, ma nell’aprile 1972 pubblica il suo primo album solo “serio”, questo Woman che sta per essere ristampato il 13 gennaio p.v. dalla Esoteric, il disco uscì in origine per la Island e nell’album, oltre a Roger McGough alle chitarre, apparivano anche Andy Roberts, di Liverpool Scene Plainsong, Zoot Money, Brian Auger, Gerry Conway dei Fairport Convention, Tony Coe ai fiati, da lì a poco in Solid Air di John Martyn, e ancora il futuro Average White Band, Alan Gorrie, insomma fior di musicisti. Il soggetto della foto di copertina era proprio Mary McCartney, la mamma di Paul e Mike.

Nella nuova versione Esoteric, rimasterizzata per l’occasione, è stato aggiunto anche un libretto ricco di note e una intervista realizzata per l’occasione con Michael McGear McCartney. Una certa aria di famiglia si respira tra i solchi dell’album, per nulla disprezzabile, sound tipico dell’epoca, molto piacevole.

Ci risentiamo domani con la seconda parte, dedicata alle altre ristampe in uscita il 13 gennaio. Nuovo anno, vecchio Blog.

Bruno Conti

 

50 Anni E 3 Giorni Fa Usciva Uno Dei Più Grandi Dischi Della Storia Del Rock: Revolver Dei Beatles! 5 Canzoni Per Ricordarlo.

beatles revolver

Il 5 Agosto del 1966 (ma l’8 agosto, quindi oggi, negli Stati Uniti) su etichetta Parlophone usciva Revolver dei Beatles, uno dei dischi più belli della storia del rock, per la precisione al 3° posto nella classifica all-time della rivista Rolling Stone tra i più grandi album di tutti i tempi ( i primi due sono Sgt, Pepper’s Lonelly Hearts Club Band, sempre dei Beatles Pet Sounds dei Beach Boys). Queste classifiche forse (ma forse) lasciano un po’ il tempo che trovano e sono indubbiamente soggettive, ma nessuno può sottostimare l’importanza di questo album, a partire dalla splendida copertina disegnata da Klaus Voorman. Vediamo e ascoltiamo cinque delle canzoni fondamentali del disco, scelte insindacabilmente da chi scrive anche con quello che passa il convento, perché molte versioni originali delle canzoni come sapete sono sparite dalla rete:

Here, There And Everywhere, la canzone preferita in assoluto da Paul McCartney tra quelle scritte per i Beatles (e una delle cinque che preferisco anch’io, le altre, se volete saperlo, se no lo scrivo lo stesso, sono A Day In The Life, Hey Jude, Happiness Is A Warm Gun Strawberry Fields Forever, oltre al cosiddetto Long Medley della seconda facciata di Abbey Road e a In My Life, oggi, domani chissà)!

Tomorrow Never Knows, un colpo di genio della coppia Lennon-McCartney.

Eleanor Rigby, un altro bellissimo pezzo di McCartney, l’unico dove non suona nessuno dei Beatles.

I’m Only Sleeping, uno dei contributi di John Lennon

For No One, altra splendida canzone tratta da Revolver.

 Come dite? Mancano And Your Bird Can Sing, Taxman e She Said She Said. Vero, ma i video sono spariti, quindi chi si accontenta gode! Il disco rimane splendido tutto.

Bruno Conti

Henry McCullough – Hell Of A Record: Un “Ultimo” Ricordo, A Seguito Della Sua Recente Scomparsa!

henry mccullough

Henry McCullough  – Hell Of A Record – Silverwolf Music         

Henry McCullough è stato uno dei nomi storici del pop e del rock britannico, nato nell’Irlanda del Nord nel 1943: prima negli anni ’60 con gli Eire Apparent, una band di buono spessore che aveva lo stesso management di Jimi Hendrix, con il quale furono spesso in tour https://www.youtube.com/watch?v=338eGI8y2pc . Ma poi si è ritagliato uno spazio nella musica che conta come membro della Grease Band, il gruppo che accompagnò Joe Cocker nei suoi anni migliori (esibizione di Woodstock inclusa) e di cui fu la chitarra solista anche nell’omonimo album del 1971 https://www.youtube.com/watch?v=7WMLRuSyWBg . Nel 1972 entrò a far parte dei Wings di Paul McCartney, con cui aveva già collaborato all’album Ram, e rimase solo per Red Rose Speedway (suo l’assolo di My Love), il disco del 1973 https://www.youtube.com/watch?v=InoG6rhZZRE .

Poi negli anni ’70 una onesta carriera da sessionmen, con la punta della partecipazione all’album The Rock di Frankie Miller (una occasione per ricordare anche questo grande e sfortunato cantante, da tempo malato, https://www.youtube.com/watch?v=GpRg88VUbE8 e nello stesso anno, il 1975, il suo primo album solista, Mind Your Own Business, bissato nel 1984 da questo Hell Of A Record, distribuito brevemente anche in CD dalla etichetta Line, e in seguito alcuni altri album a nome proprio, fino al 2012, quando è stato colpito da un infarto che lo ha lasciato da allora incapace di lavorare, e anche dato per morto dalla televisione irlandese. Purtroppo il 14 giugno scorso ci ha lasciato anche lui.

Ammetto di non conoscere molto della Silverwolf Music che ha ristampato questo CD, con delle note assai scarne che riportano solo i nomi dei musicisti e i titoli dei brani e relativi autori: comunque il disco è piacevole ma nulla più, una serie di brani firmati dallo stesso Henry McCullough, che suona la chitarra, il mandolino e canta, più alcune cover, un paio di brani country, uno di Hank Williams e uno degli Shelton Brothers, oltre ad una versione reggae/country (giuro) di Can’t Help Falling In Love che non entrerà negli annali della musica che conta, con una pedal steel (Troy Klontz) molto in evidenza https://www.youtube.com/watch?v=iq3HkJlqdAc . Diciamo che il genere, a grandi linee è country, forse potrebbe rientrare nel pub-rock (ma Brinsley Schwarz e soci sono stati su ben altri livelli).

Per quanto un brano come Shining Star, con il violino di Shelby Eicher in primo piano assieme all’organo di Dick Simms e all’acustica di Henry, ha un suo fascino di country “straccione” e minimale, anche se i coretti femminili te li raccomando. Per il resto Here We Go Again sembra un pezzo di Albert Lee, Tears On Your Face ha qualche eco della vecchia Grease Band, misto a JJ Cale, e sempre quel tocco country, ma la voce, per usare un eufemismo, non è particolarmente memorabile, Whispering Love e Down In The Amusements profumano appena di pub-rock, mentre Foolish Heart, fosse stata cantata dal suo vecchio datore di Joe Cocker forse avrebbe fatto un altro effetto. Too Upset To Say Goodbye è un valzerone country di nuovo con uso di pedal steel e fiddle e in Just Because con McCullough al mandolino si cerca di ricreare, senza troppo successo, il sound dei vecchi Heads, Hands & Feet. In definitiva sarebbe un CD da due stellette ma per rispetto di una onorata carriera ne andrebbe aggiunta una di stima, ma il disco non è memorabile comunque, ha fatto di meglio nella sua carriera.

Bruno Conti

Supplemento Della Domenica: E Anche Macca Dimostra Di Avere Il Braccino Corto! Paul McCartney – Pure McCartney

paul mccartney pure mccartney cover

Paul McCartney – Pure McCartney – Hear Music 2CD – 4CD Box Set – 4LP

Ed ecco che anche Paul McCartney, una delle figure cardine della musica mondiale, in concomitanza con uno dei suoi ormai tanti tour, esce con una nuova e sontuosa retrospettiva sulla carriera, anche se in un periodo strano per questo tipo di operazioni (a meno che in Gran Bretagna non abbiano anticipato il Natale a Giugno senza dirlo a nessuno).

*NDB L’estate, per il mercato discografico (come pure per i film) nel Regno Unito e negli USA, è uno dei periodi migliori dell’anno a livello di vendite, non è come in Italia, dove tutto cessa!

*NDB 2. Il video qui sopra è anche un tributo a Henry MCullough, il chitarrista nord-irlandese autore dell’assolo nel brano, anche lui scomparso in questi giorni, il 14 giugno. Prossimamente recensione della ristampa in CD del suo album del 1984 Hell Of A Record

Non è la prima volta che l’ex Beatles dà alle stampe un greatest hits, era già successo negli anni ’70 con Wings Greatest, poi nel 1987 con il doppio All The Best! e nel 2001 con l’intrigante doppio CD Wingspan, ma stavolta Macca ha fatto le cose in grande, almeno a livello di numero di canzoni selezionate. Pure McCartney (con una bellissima copertina raffigurante un barbuto Paul in chiaroscuro, direi primi anni settanta) è una collezione di canzoni scelte dal nostro in persona, con la scusa di avere qualcosa di piacevole da ascoltare in macchina o in casa come sottofondo (parole sue), che esce in grande tiratura in versione doppio CD con 39 pezzi, ed in edizione limitata di quattro dischetti (e 67 canzoni), in un pratico ed elegante boxettino fatto a libro (per i maniaci del vinile, esiste anche una costosa edizione in quadruplo LP con 41 canzoni ed una tracklist simile a quella del doppio CD).

Chiaramente, è sulla versione in quattro CD che vorrei spendere due parole, innanzitutto per constatare (e così riprendo il titolo del post) che non c’è nulla di inedito fra i brani selezionati, ed anche i brani usciti solo su 45 giri si trovano comodamente su precedenti antologie del musicista, con l’unica eccezione della discreta Hope For The Future, un singolo dello scorso anno uscito solo come download e quindi inedito su CD: devo dire che la cosa non mi sorprende più di tanto, in quanto ultimamente le antologie, anche quando multiple, servono più che altro ad introdurre un personaggio alle nuove leve piuttosto che a deliziare i fans di lungo corso, e di inediti non se ne trovano quasi mai (basti pensare a Grrrr! dei Rolling Stones o a Forever Man di Eric Clapton, tanto per citarne due recenti); detto ciò, non penso che il buon Macca avrebbe fatto un grosso sforzo a buttare dentro almeno una canzone nuova, o magari un paio di inediti dal vivo presi magari dal repertorio dei Fab Four. A parte questa considerazione, devo dire che il box è interessante per diversi motivi: oltre alla già citata presenza di Hope For The Future, è la prima antologia del nostro che comprende materiale uscito dopo il 1987 (e comunque i brani soprattutto degli ultimi quattro-cinque album, pur gradevoli, non passeranno alla storia, anche se Only Mama Knows e See The Changes sono due gran belle canzoni), ma Paul ha fatto scelte anche meno scontate, dato che oltre ai classici, che ci sono più o meno tutti, ha infilato diversi brani minori (i cosiddetti deep cuts) ma non per questo meno piacevoli, dato che stiamo pur sempre parlando di uno dei più grandi musicisti pop-rock di tutti i tempi. Per esempio, alzi la mano chi si ricorda di Warm And Beautiful, Big Barn Bed, Arrow Through Me, Bip Bop, Girlfriend, il medley Good Times Coming/Feel The Sun, Don’t Let It Bring You Down; e poi aver mescolato le date di pubblicazione, e non aver rispettato l’ordine cronologico, ha dato più vivacità al tutto.

Quindi niente magagne? Sì, e anche abbastanza grandi: a parte la già citata assenza di inediti, mancano anche alcuni singoli rari o mai pubblicati su CD (penso a Give Ireland Back To The Irish, Spies Like Us, Tropic Island Hum o le b-sides Sally G e Girls’ School), la bellissima Once Upon A Long Ago, presente solo su All The Best! e che poteva prendere il posto dell’insulso singolo per bambini We All Stand Together ma, soprattutto, l’assenza completa di canzoni da ben due album interi, cosa incomprensibile data l’intenzione originaria di prendere almeno un pezzo per disco. Ma se la cosa si può capire per quanto riguarda Driving Rain, che oltre a non essere un grande album probabilmente a Paul ricorda troppo il periodo con la seconda moglie Heather Mills (matrimonio finito malissimo), risulta imperdonabile la totale assenza di canzoni da Flowers In The Dirt, uno dei migliori album in assoluto di Paul, con almeno una mezza dozzina di pezzi che avrebbero meritato di entrare. Ma se si pensa che proprio la versione ampliata di quell’album del 1989 sarà la prossima uscita, quest’autunno, degli archivi di Paul, allora il tutto assume i contorni di un’operazione di (basso) marketing, da censurare a mio parere, dato che chi comprerà questa antologia fra qualche anno non sarà a conoscenza della cosa e sarà privato dell’ascolto di canzoni bellissime come My Brave Face, We Got Married, Figure Of Eight, Put It There e This One.

Questa comunque la tracklist completa prima del doppio e poi del box quadruplo, a voi la scelta:

paul mccartney pure mccartney 2 cd

CD 1

  • 1. Maybe I’m Amazed (McCartney)
  • 2. Heart of the Country (Ram)
  • 3. Jet (Band on the Run)
  • 4. Warm and Beautiful (Wings at the Speed of Sound)
  • 5. Listen to What The Man Said (Venus and Mars)
  • 6. Dear Boy (Ram)
  • 7. Silly Love Songs (Wings at the Speed of Sound)
  • 8. The Song We Were Singing (Flaming Pie)
  • 9. Uncle Albert/Admiral Halsey (Ram)
  • 10. Another Day (non-album single)
  • 11. Sing The Changes (The Fireman – Electric Arguments)
  • 12. Jenny Wren (Chaos and Creation in the Back Yard)
  • 13. Save Us (New)
  • 14. Mrs Vandebilt (Band on the Run)
  • 15. Mull of Kintyre (non album single)
  • 16. Let ‘Em In (Wings at the Speed of Sound)
  • 17. Let Me Roll It (Band on the Run)
  • 18. Nineteen Hundred and Eighty Five (Band on the Run)
  • 19. Ebony and Ivory (Tug of War)

CD2 (20 tracks)

  • 20. Band on the Run (Band on the Run)
  • 21. Arrow Through Me (Back To The Egg)
  • 22. My Love (Red Rose Speedway)
  • 23. Live and Let Die (non-album single)
  • 24. Too Much Rain (Chaos and Creation in the Back Yard)
  • 25. Goodnight Tonight (non-album single)
  • 26. Say Say Say (2015 remix) (Pipes of Peace)
  • 27. My Valentine (Kisses on the Bottom)
  • 28. The World Tonight (Flaming Pie)
  • 29. Pipes of Peace (Pipes of Peace)
  • 40. Dance Tonight (Memory Almost Full)
  • 31. Here Today (Tug of War)
  • 32. Wanderlust (Tug of War)
  • 33. Great Day (Flaming Pie)
  • 34. Coming Up (McCartney II)
  • 35. No More Lonely Nights (Give My Regards to Broad Street)
  • 36. Only Mama Knows (Memory Almost Full)
  • 37. With A Little Luck (London Town)
  • 38. Hope For The Future (non-album single)
  • 39. Junk (McCartney

paul mccartney pure mccartney

 

CD 1

1 Maybe I’m Amazed (Remastered 2011)
by Paul McCartney

2 Heart Of The Country (Remastered 2012)
by Linda McCartney and Paul McCartney

3 Jet (Remastered 2010)
by Paul McCartney And Wings

4 Warm And Beautiful (Remastered 2014)
by Wings

5 Listen To What The Man Said (Remastered 2014)
by Wings

6 Dear Boy (Remastered 2012)
by Linda McCartney and Paul McCartney

7 Silly Love Songs (Remastered 2014)
by Wings

8 The Song We Were Singing (Remastered 2016)
by Paul McCartney

9 Uncle Albert / Admiral Halsey (Medley / Remastered 2012)
by Linda McCartney and Paul McCartney

10 Early Days
by Paul McCartney

11 Big Barn Bed (Remastered 2016)
by Paul McCartney And Wings

12 Another Day (Remastered 2012)
by Linda McCartney and Paul McCartney

13 Flaming Pie (Remastered 2016)
by Paul McCartney

14 Jenny Wren
by Paul McCartney

15 Too Many People (Remastered 2012)
by Linda McCartney and Paul McCartney

16 Let Me Roll It (Remastered 2010)
by Paul McCartney And Wings

17 New
by Paul McCartney

CD2

18 Live And Let Die (Remastered 2016)
by Paul McCartney And Wings

19 English Tea
by Paul McCartney

20 Mull Of Kintyre (Remastered 2016)
by Wings

21 Save Us
by Paul McCartney

22 My Love (Remastered 2016)
by Wings

23 Bip Bop (Remastered 2016)
by Wings

24 Let ‘Em In (Remastered 2014)
by Wings

25 Nineteen Hundred And Eighty Five (Remastered 2010)
by Paul McCartney And Wings

26 Calico Skies (Remastered 2016)
by Paul McCartney

27 Hi, Hi, Hi (Remastered 2016)
by Wings

28 Waterfalls (Remastered 2011)
by Paul McCartney

29 Band On The Run (Remastered 2010)
by Paul McCartney And Wings

30 Appreciate
by Paul McCartney

31 Sing The Changes
by The Fireman

32 Arrow Through Me (Remastered 2016)
by Wings

33 Every Night (Remastered 2011)
by Paul McCartney

34 Junior’s Farm (Remastered 2014)
by Wings

35 Mrs Vandebilt (Remastered 2010)
by Paul McCartney And Wings

CD 3

36 Say Say Say (Radio Edit / 2015 Remix)
by Michael Jackson and Paul McCartney

37 My Valentine
by Paul McCartney

38 Pipes Of Peace (Remastered 2015)
by Paul McCartney

39 The World Tonight (Remastered 2016)
by Paul McCartney

40 Souvenir (Remastered 2016)
by Paul McCartney

41 Dance Tonight
by Paul McCartney

42 Ebony And Ivory (Remixed 2015)
by Paul McCartney

43 Fine Line
by Paul McCartney

44 Here Today (Remixed 2015)
by Paul McCartney

45 Press (Remastered 2016)
by Paul McCartney

46 Wanderlust (Remixed 2015)
by Paul McCartney

47 Winedark Open Sea (Remastered 2016)
by Paul McCartney

48 Beautiful Night (Remastered 2016)
by Paul McCartney

49 Girlfriend (Remastered 2016)
by Wings

50 Queenie Eye
by Paul McCartney

51 We All Stand Together (Remastered 2016)
by Paul McCartney

CD 4

52 Coming Up (Remastered 2011)
by Paul McCartney

53 Too Much Rain
by Paul McCartney

54 Good Times Coming / Feel The Sun (Medley / Remastered 2016)
by Paul McCartney

55 Goodnight Tonight (Remastered 2016)
by Wings

56 Baby’s Request (Remastered 2016)
by Wings

57 With A Little Luck (DJ Edit / Remastered 2016)
by Wings

58 Little Willow (Remastered 2016)
by Paul McCartney

59 Only Mama Knows
by Paul McCartney

60 Don’t Let It Bring You Down (Remastered 2016)
by Wings

61 The Back Seat Of My Car (Remastered 2012)
by Linda McCartney and Paul McCartney

62 No More Lonely Nights (7″ Single Version / Remastered 2016)
by Paul McCartney

63 Great Day (Remastered 2016)
by Paul McCartney

64 Venus And Mars / Rock Show (Medley / Remastered 2016)
by Wings

65 Temporary Secretary (Remastered 2011)
by Paul McCartney

66 Hope For The Future
by Paul McCartney

67 Junk (Remastered 2011)
by Paul McCartney

 

Per Il Momento Può Ricominciare Con Lennon E Harrison In Paradiso: E’ Morto George Martin!

george-martin_81_140634c 50th Annual Grammy Awards - Press Room

Il 2016 si dimostra sempre più nefasto: è di questa mattina la notizia della scomparsa a Londra di Sir George Martin (però alla bella età di 90 anni), musicista, compositore, arrangiatore e produttore britannico il cui nome sarà per sempre legato a doppio-triplo filo a quello dei Beatles. Di formazione classica, Martin iniziò negli anni cinquanta come produttore ed arrangiatore per la Parlophone, collaborando più che altro ai cosiddetti comedy albums e a romanzi di narrativa in versione audio con sottofondo musicale: la svolta della sua carriera avvenne nel 1962, quando fu incaricato di produrre Love Me Do, il primo singolo dei Fab Four e il suo autentico battesimo nel mondo del rock’n’roll (anche se in realtà la prima session da lui patrocinata partorì How Do You Do It?, che poi però venne scartata).

Inizialmente il rapporto tra Martin e gli “Scarafaggi” era quasi di diffidenza, talmente lontani erano i mondi da cui provenivano: aristocratico e snob il produttore, proletari e ribelli i quattro ragazzi (addirittura George Martin all’inizio aveva giudicato Ringo Starr musicalmente inadeguato, rimpiazzandolo con Andy White); con il passare degli anni il reciproco rispetto aumentò, fino a non poter fare a meno l’uno degli altri.

Martin ebbe il merito di incoraggiare sempre lo spirito di sperimentazione dei Beatles, senza porre limiti ed interagendo con loro in tutti i modi possibili; di solito non viene considerato un genio della produzione (a differenza per esempio del contemporaneo Phil Spector, che aveva comunque inventato un suono), ma il suo contributo all’opera dei quattro boys di Liverpool è senza dubbio stato determinante: fu lui infatti a convincerli a registrare Please Please Me in versione più veloce (inizialmente era uno slow alla Roy Orbison), ma potrei fare decine di esempi (le sperimentazioni di Tomorrow Never Comes, il nastro al contrario di Rain, la parte orchestrale di Strawberry Fields Forever, fino all’apoteosi dell’album Sgt. Pepper, nel quale il suo contributo può essere quasi equiparato a quello dei quattro ragazzi).

Dopo la separazione dei Beatles nel 1970 (e con la delusione di non essere stato coinvolto in Let It Be, a favore proprio di Spector), George si dedicò alla produzione di una miriade di altri artisti, tra cui gli America, Jeff Beck, Kenny Rogers, Cheap Trick, Celine Dion, Pete Townshend (la trasposizione teatrale di Tommy) ed Elton John (il singolo Candle In The Wind reinciso in memoria di Lady Diana), oltre a comporre colonne sonore e realizzare album di musica classica dedicata a versioni orchestrali dei Beatles e non.

L’unico Scarafaggio con il quale ha collaborato negli anni è stato Paul McCartney, producendogli singoli come Live And Let Die o interi album come Tug Of War o Pipes Of Peace (ristampati di recente nella collana di riedizioni deluxe di Macca).

Come anche in altri recenti necrologi a mia firma, vorrei ricordare Martin con un brano a mia scelta, ed opto per In My Life, il cui assolo di piano, suonato proprio da George, è uno dei miei preferiti di sempre (con il suo “effetto clavicembalo” ottenuto accelerando il nastro, con la performance eseguita a velocità normale).

RIP Sir George.

Marco Verdi

*NDB. Naturalmente molti degli “espertoni” che affollano Twitter lo hanno confuso con George R.R. Martin, lo scrittore americano, autore del ciclo delle Cronache Del Ghiaccio e Del Fuoco e della serie televisiva Games Of Thrones, ma sono gli inconvenienti dell’era tecnologica e digitale, se vuole gli è consentito toccarsi, dicono che porti bene. Spero nel frattempo che il mio omonimo calciatore goda a lungo di buona salute!

E Ora A Quando Il Prossimo ? Emitt Rhodes – Rainbow Ends

emitt rhodes rainbow ends

Emitt Rhodes – Rainbow Ends – Omninvore Recordings/Warner

Quando usciva l’ultimo album di questo signore, Farewell Paradise, era il 1973, il presidente degli Stati Uniti d’America era ancora Richard Nixon, “Tricky Dicky” per chi non lo amava, e Emitt Rhodes aveva 23 anni, di cui 7 già passati nell’ambito musicale, prima con i Merry-Go-Round e poi come solista, forse, anticipando i tempi, volle evitare, a breve, di entrare anche a lui a far parte di quel club dei 27 che in quegli anni stava mietendo molte vittime? Chi può dirlo, lui forse? Comunque se volete leggere in breve la storia della sua discografia, la trovate in questo Post pubblicato nel lontano 2009, ai primi tempi del Blog http://discoclub.myblog.it/2009/11/03/one-man-beatles-emitt-rhodes/The One Man Beatles era anche il titolo di un documentario uscito nel 2010, a cura di un regista italiano, Cosimo Messeri, che raccontava la storia di questo enigmatico personaggio.

Da allora sono passati altri sei anni, ma alla fine il nostro ce l’ha fatta, autofinanziatosi con il crowdfunding di Pledge Music e questo Rainbow Ends è il suo nuovo album: i capelli e la barba sono diventati bianchi, non suona più tutti gli strumenti come un tempo, ma la classe, pur invecchiando, è rimasta quella. Dalla freschezza che traspare dai “solchi digitali” (se mi passate l’ardita metafora) di questo nuovo album non pare siano passati 43 anni dall’ultima volta, subito, fin dall’iniziale Dog On A Chain, il “singolo” che ha preceduto l’uscita del CD, non sembra assolutamente di sentire un signore di 66 anni che non pubblica dischi da una vita, il sound è sempre quello della Sunny California o della West Coast più gloriosa, se preferite, con un tocco (anche molto di più) del classico british pop sound dei tempi che furono, tutto molto bello, sin dal primo assolo di chitarra, suonata dal bravissimo Jon Brion, intervento breve ma incisivo, la voce non è più quella di un giovane McCartney, ma ha la freschezza di un James Taylor o di un singer-songwriter di quelli bravi. If I Knew Then dice il secondo titolo, che potrebbe riferirsi tanto a vecchi amori passati quanto a dolci rimpianti per un tempo che passa e scorre inesorabile, ma il tutto ha una invidiabile freschezza, una andatura più mossa, tra florilegi di chitarre elettriche, un pianino intrigante e un walking bass che guida il ritmo brillante e con tocchi beatlesiani di questo brano, un tempo c’era un termine per descrivere questa musica, soft rock, una parola ora desueta ma che non si può evitare di usare accostata a tutto questo Rainbow Ends. Isn’t It So sembra un pezzo del McCartney solista dei primi anni ’70, cantato da James Taylor e con i 10cc come band di supporto, archi e cori celestiali sullo sfondo. The Wall Between Us, introduce anche dei fiati accanto agli archi, ma il risultato è sempre questo pop-rock, morbido ma intrigante nelle sue strutture eleganti e ricche di particolari sonori, un organo qui, una chitarra là e ovunque questo armonie vocali fantastiche.

Chris Price, il produttore, ha catturato alla perfezione lo spirito di queste sessions, e dopo aver guidato il ritorno di Linda Perhacs un paio di anni fa, ora è al timone di comando anche per l’album di Emitt Rhodes, che come ho ricordato poc’anzi non suona tutti gli strumenti come un tempo, ma si affida a molti musicisti di pregio, oltre al citato Brion, anche l’altro chitarrista Jason Falkner, come pure l’attuale Wilco Nels Cline e quello passato Pat Sansone, nonché l’ottimo bassista Fernando Perdomo, spesso utilizzato nei dischi di Price, e anche le avvolgenti tastiere affidate a Roger Joseph Manning, altro musicista di grande esperienza. Se aggiungiamo le armonie vocali fantastiche fornite da Aimee Mann, Susanna Hoffs, Taylor Locke dei Rooney, anche alla chitarra e di alcuni componenti della band di Brian Wilson, tutto l’assieme rende, per esempio, un brano come Someone Else una mini sinfonia di perfetto pop-rock, in bilico tra West Coast e Beatles lato McCartney, ma anche influenze Beach Boys. Non mancano ballate pianistiche malinconiche come la struggente I Can’t Tell My Heart, dove la voce vissuta ma ancora giovanile di Emitt Rhodes ci guida nel suo “perfect pop” che non tramonta mai, anche questa ballad è comunque impreziosita da ricami chitarristici che sono la costante di tutto l’album.

Poi il nostro si incoraggia da solo con una vivace Put Some Rhythm To It, un’altra bella costruzione di pop McCartneyano, che rimane comunque un punto di riferimento anche se la voce è cambiata e non è più simile come un tempo, le “buone abitudini” non si perdono mai!. It’s All Behind Us Now è un altro titolo che guarda al passato. con la musica qui più bluesata e meno scanzonata, sempre deliziosamente retrò nei suoi arrangiamenti molto seventies che però non hanno perso il loro fascino intramontabile, la musica buona non passa mai di moda. What’s A Man To Do è un altro esempio di questo pop in excelsis deo, di nuovo con quel suono che fa tanto California anni ’70, il lato più solare e disimpegnato, ma sempre godibilissimo anche dalle nostre latitudini. E pure Friday’s Love con quel suo piano elettrico che scivola su un tessuto morbido che ricorda molto anche il blue eyed soul, secondo me piacerebbe molto al mio amico Max Meazza appassionato di quei cantautori californiani di quell’era gloriosa, tipo Ned Doheny, JD Souther, Stephen Bishop e molti altri, tutta quella generazione. La fine dell’arcobaleno, anche Rainbow Ends la canzone conclusiva, magari non ci riserva il magico calderone pieno di monete d’oro, ma solo un disco pieno di belle melodie, suonato in modo perfetto e cantato con gran classe, e non è poco. Speriamo di non aver aspettare altri 43 anni per il prossimo capitolo, perché dubito che saremo ancora qui, anche se lo auguro a tutti!

Bruno Conti