Puntuale, Ogni Anno Ritorna. The Duke Robillard Band – Low Down And Tore Up

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 The Duke Robillard Band – Low Down And Tore Up – Stony Plain/Dixiefrog

Ormai ogni anno puntuale mi presento all’appuntamento con il Duke Robillard, più o meno cosa aspettarmi lo so, per iniziare un grande chitarrista, uno dei migliori nell’ambito Blues e dintorni, un classico nel genere, le sue tre stellette se le merita sempre. Ma, come Evaristo scusate se insisto, il nostro amico ha anche sempre questa passionaccia per jazz, swing, boogie wogie ed in generale per la musica degli anni ’50. E quando questo tipo di repertorio prevale nei suoi dischi si perde un po’ di quella “cattiveria” tipica del guitar slinger a favore dello stilista. Dopo il Passport To the Blues dello scorso anno che era un disco carnale, chitarristico pur con le dovute concessioni ai suoi altri “piaceri” e che si meritava quella mezza stelletta in più, in questo Low Down And Tore Down (notare la doppia copertina) Duke Robillard si rivolge al vecchio repertorio del blues, quel lowdown style sentito quando era un giovane 17enne apprendista della musica del diavolo, brani spesso oscuri estratti dall’enorme serbatoio della memoria e della conoscenza e che però perdono un po’ dell’immediatezza e del vigore della sua musica migliore.

Niente di negativo ma ci situiamo in quella terra di mezzo tra lo stile del suo primo gruppo, i Roomful of Blues, quindi con più spazio ai fiati, in questo caso “un fiato”, il sassofono tenore e baritono di Sax Gordon, presente in tutti i brani meno tre, e spazio anche al pianino acustico di Bruce Bears (e Matt McCabe) e quello più turgido e tirato della Duke Robillard Band di altri dischi. Anche il fatto che ci sia un bassista acustico, peraltro molto bravo come Brad Hallen, fa propendere il sound del gruppo per un suono più contenuto con il giusto spazio per la chitarra che ha una sonorità più vintage del solito. Come dice lo stesso Robillard nelle note del disco in molti brani ha usato una Epiphone Broadway acustica del 1938 con un vecchio amplificatore degli anni ’50 che sicuramente preserva il “sapore antico” di molti di questi brani ma aggiunge anche una patina da Back to the future che lascia per strada quell’immediatezza tipica del miglior Duke, si perde insomma il piacere di ascoltare quegli assoli torrenziali che caratterizzano i suoi migliori momenti a favore di una maggiore “classicità”, questo a parere del sottoscritto, ovviamente.

Sicuramente contribuisce anche la scelta dei brani, Robillard che oltre ad essere un grande musicista è anche uno storico del Blues è andato a scegliere canzoni di autori famosi (e parecchio) ma tra le meno conosciute e quindi troviamo due brani a testa di Guitar Slim, Tampa Red, Pee Wee Crayton, Elmore James, Sugar Boy Crawford (famoso? Questo non so se lo conosce nemmeno Clapton che in quanto a conoscenza non è da meno) e uno di Eddie Taylor, John Lee Hooker, Jimmy McCracklin e Bobby “Blues” Merrill, Ain’t mad at you di cui francamente ignoravo l’esistenza. Tool Bag Boogie è uno strumentale di Elmore James ma avrebbe potuto essere un brano dal repertorio del primo Chuck Berry, anche se, come in molti brani del CD, Robillard lascia troppo spazio al sax a scapito della sua chitarra.

Se l’attacco di chitarra di Do Unto Others, firmata da Dave Bartholomew (il musicista di New Orleans che ha scritto o arrangiato tantissimi dei successi di Fats Domino), vi ricorda qualcosa non state sognando: evidentemente anche John Lennon che era un appassionato del genere doveva conoscerla, non è che gli somiglia vagamente è proprio identico al riff iniziale di Revolution dei Beatles.

Momenti come quello appena ricordato, “ma questa la conosco!” (magari non così evidenti), ricorrono spesso nell’ascolto di questo disco e anche se non è vero (che li conoscete) rendono l’ascolto piacevole e divertente. Preferisco “l’altro Robillard” ma anche quello dell’album in questione è sempre una garanzia.

Bruno Conti