Un Bellissimo Tributo Ad Uno Dei Più Grandi Chitarristi Del Blues-Rock Britannico. Mick Fleetwood & Friends Celebrate The Music Of Peter Green And The Early Years Of Fleetwood Mac

Mick Fleetwood & Friends Celebrate The Music Of Peter Green And The Early Years Of Fleetwood Mac

Mick Fleetwood & Friends Celebrate The Music Of Peter Green And The Early Years Of Fleetwood Mac – BMG Rights Management 2CD + Blu-ray

Chi mi legge abitualmente sul Blog (e sul Buscadero) sa della mia predilezione assoluta per Peter Green, che considero uno dei dieci più grandi e geniali chitarristi della storia del rock e del blues (anzi forse, ma è un parere personale, nella Top 5, subito dopo Jimi Hendrix e la triade Clapton-Beck-Page, e nel 1970, il suo anno migliore, come mi è capitato di scrivere più volte, di nuovo, forse era stato il migliore in assoluto): se volete verificare usate la funzione “Cerca” nel Blog e troverete parecchi Post dedicati ai Fleetwood Mac e a Peter Green, l’ultimo scritto alla sua morte il 25 luglio del 2020 https://discoclub.myblog.it/2020/07/25/se-ne-e-andato-silenziosamente-nella-notte-peter-green-uno-dei-piu-grandi-chitarristi-del-rock-fondatore-dei-fleetwood-mac/ , e lì troverete ovviamente anche la sua storia, che non ripeto qui per brevità.

Ma nel febbraio del 2020, il giorno 25, proprio pochi giorni prima dello scoppio della pandemia, si è tenuto al Palladium di Londra un concerto celebrativo della sua musica, organizzato dal suo grande amico e compagno di avventura Mick Fleetwood, con la partecipazione di una sorta di parterre de roi (e qualche carneade) di amici ed ammiratori del grande musicista londinese, riuniti per celebrarne l’arte e la musica: il concerto, come poi è stato, dopo vari annunci e rinvii, doveva diventare anche un progetto discografico. All’inizio solo un costoso cofanetto con vinili, CD e Blu-ray, poi per fortuna anche un doppio CD con annesso Blu-ray, che è quello di cui andiamo ad occuparci.

La house band sul palco è eccellente, oltre a Fleetwood alla batteria, ci sono Dave Bronze al basso, Andy Fairweather-Low alla chitarra, un habitué di questi tributi, e Ricky Peterson alle tastiere, aumentati da Zak Starkey (il figlio di Ringo), sempre alla batteria, Rick Vito e Jonny Lang alle chitarre e voci aggiunte. Ma non mancano chitarristi, cantanti e musicisti vari tra gli ospiti chiamati per la serata: diciamo che il cast non è perfetto, ci sono alcuni musicisti poco pertinenti alla sua musica, ma presenti in quanto ammiratori e qualcuno forse un po’ bollito o fuori ruolo, ma il tutto si ascolta con grande piacere e ci sono vari momenti di grande fascino e pathos. Dopo l’introduzione di Fleetwood si parte con una solida Rolling Man affidata al bravo Rick Vito, che ha fatto parte anche lui in passato dei Fleetwood Mac, ben spalleggiato da Jonny Lang, per il classico sound a doppia solista tipico della band, poi tocca a Lang, per una eccellente e tirata Homework. In Doctor Brown sale sul palco Billy Gibbons, che poi rimarrà per tre brani complessivi, con il suono che si fa più sanguigno, anche se la voce è quella che è, seguita dal super classico All Your Love, uno dei classici del Bluesbreakers, e quindi è quasi inevitabile la presenza di John Mayall, ancora in buona voce, mentre le chitarre lavorano di fino.

Dopo l’inizio molto blues si passa alla selvaggia Rattlenake Shake, con Steven Tyler degli Aerosmith, anche alla armonica, e il chitarristi che cominciano a darci dentro di gusto, ma anche Mick Fleetwood rolla alla grande, peccato che il brano duri solo cinque minuti scarsi, di fronte ai tour de force di venti minuti e oltre dell’epoca d’oro di Greeny. A questo punto arriva sul palco un’altra componente storica dei Mac, ovvero Christine McVie, tuttora nella line-up della band, che canta con gran classe Stop Messin’ Around con Tyler ancora all’armonica e una felpata e sentita Looking For Somebody. Di Nuovo Lang per Sandy Mary e Rick Vito, anche alla slide, per una bellissima Love That Burns, mentre il prossimo ospite, forse un po’ imbucato, è Noel Gallagher degli Oasis, che rimane per ben tre brani, e alla fine se la cava in questa parte acustica del concerto, con The World Keep On Turning e Like Crying, poi affiancato da Vito, di nuovo alla slide in No Place To Go.

Il secondo CD si apre con Pete Townshend sul palco che racconta la genesi del brano Station Man scritto da Danny Kirwan per Kiln House, quando Green non era più presente in formazione, ma con un riff che ha chiaramente influenzato quello di Won’t Get Fooled Again degli Who, grande versione tra l’altro. E per uno degli altri classici di PG, ovvero l’elegante Man On The World, ecco arrivare sul palco Neil Finn dei Crowded House (ma di recente anche lui nei Fleetwood Mac).

Tornano poi sul palco Gibbons e Tyler per una poderosa ripresa di Oh Well Part 1, un brano, un riff, un classico, e a seguire nella sognante Part 2 un ispirato David Gilmour che rende omaggio alla tecnica sopraffina di Green, Poi arrivano altri classici a raffica, prima una soave Need Your Love So Bad interpretata con grande feeling da Jonny Lang, e poi una santaniana Black Magic Woman con un ottimo Rick Vito e la band che finalmente si lascia andare in una lunga versione di oltre sette minuti con assoli a ripetizione. Prima del gran finale c’è una sezione dello spettacolo dedicata a Jeremy Spencer, maestro del bottleneck e grande appassionato di Elmore James (ma anche con una grande macchia nel suo passato per le ripetute accuse di pedofilia, confermate in varie cause, ricevute durante il periodo dei Children Of God) che esegue una intima e raffinata The Sky Is Crying, seguita da una galoppante I Can’t Hold Out con Bill Wyman al basso.

Nei bis sale sul palcoscenico anche la chitarra Les Paul del 1959 di Peter Green, nelle mani del suo attuale proprietario, il chitarrista dei Metallica Kirk Hammett, che insieme a Billy Gibbons ci regala una gagliarda e selvaggia The Green Manalishi (With The Two Prong Crown) che viene considerato uno dei primi casi di proto/heavy metal, ma averne di metal così! Il più grande successo dei Fleewood Mac dell’era Green fu lo strumentale Albatross, del quale David Gilmour, seduto alla sua pedal steel, ci regala una versione sublime. Il gran finale, con tutto il cast sul palco, è dedicato ad una debordante Shake Your Money Maker.

E speriamo che questo grande genio della musica che fu Peter Green riposi finalmente riconosciuto da tutti e in pace.

Bruno Conti

Anticipazioni: Una Ottima Edizione Super Deluxe Per Un Disco Storico. The Who – Sell Out. Esce il 23 Aprile

who sell out box

The Who – Sell Out  – Super Deluxe 5 CD/ 2 CD Polydor/IMS/Universal – 23-04-2021

Uscito in origine nel dicembre del 1967 (quindi nessun anniversario particolare), Sell Out fu pubblicato in CD una prima volta nel 1995 con 10 bonus tracks, ed una seconda volta in doppia Deluxe Edition nel 2009, con ben 29 tracce bonus. Si tratta del terzo album di studio degli Who, a volte non troppo considerato rispetto ai successivi Tommy, Who’s Next e Quadrophenia, ma significativo e propedeutico per il passaggio dal pop-mod rock del primo periodo al rock tout court dei dischi che sarebbero venuti in seguito. Prima di parlare del cofanetto lasciatemi infervorare un attimo su questa moda/mania delle versioni Super Deluxe: arma infallibile per scucire agli appassionati e ai fans, anche più volte nel corso degli anni, imbarazzanti quantità di denaro, spesso per riascoltare più e più volte le stesse canzoni in versioni molto spesso quasi identiche a quelle apparse sui dischi originali, quasi sempre in peggio, accompagnate da quello che si è soliti definire memorabilia. Ovvero poster dell’epoca, spillette, certificati fasulli, foto, gigantografie di Ave Ninchi nuda a cavallo, fustini del detersivo in omaggio, voucher per poter partecipare alla estrazione del Gronchi Rosa, DVD e Blu-Ray, spesso in versione solo audio, senza immagini, destinati agli audiofili, ma assai di frequente anche vinili aggiunti (che si potrebbero pubblicare tranquillamente a parte, come i supporti appena citati).

who sell out deluxe 2 cd

Ogni tanto, ma raramente, c’è anche un bel librone rilegato e una quantità congrua di materiale inedito: ed è il caso di questa Super DeLuxe Edition di Sell Out che ha le sue magagne, ovvero versioni a go-go dell’album in Mono e Stereo nei primi due CD, ma anche 46 brani inediti dei 112 compresi nel box. Oltre al bel libro rilegato di 80 pagine appena citato, ricco di note, curato dallo stesso Pete Townshend, troviamo i memorabilia di cui sopra, per l’occasione veramente ricchi: il manifesto originale dell’album di Adrian George, il poster del concerto alla City Hall di Newcastle, il programma di 8 pagine dello show al Saville Theatre, la business card del Bag O’Nails Club di Kingly Street a Soho, una foto del gruppo riservata al fan club degli Who, il volantino per i concerti del Bath Pavilion, uno sticker di Wonderful Radio London, la tessera personale dello Speakeasy Club appartenuta a Keith Moon e una newsletter del Who Fan Club. Poi la casa discografica non ha resistito alla quota vinile, questa volta contenuta, con due singoli 7”, i vecchi 45 giri, di I Can See For Miles e Magic Bus. Ci sarà anche la classica versione “per poveri” in 2 CD, contenente i primi due dischetti del cofanetto, quelli con le versioni mono e stereo, con 52 pezzi complessivi, e svariate versioni in vinile.

Se volete avere il materiale inedito però dovete acquistare il cofanetto: vediamo cosa contiene, in sintesi ma in modo approfondito (lo so è un po’ un ossimoro), visto che ne parliamo in anteprima prima dell’uscita che sarà il 23 aprile prossimo. Nell’album originale, che immagino tutti conoscano, in apertura troviamo la bellissima Armenia City In The Sky, preceduto da uno dei tanti commercials inseriti per ricreare l’atmosfera delle emittenti radiofoniche pirate dell’epoca https://www.youtube.com/watch?v=NN4TTG_9vuc , una delle rare canzoni non scritta dal solo Townshend (a parte qualche saltuario brano di John Entwistle, qui ce ne sono tre), ma con l’aiuto del suo amico e protetto Speedy Keen, quello dei Thunderclap Newman, non so se ricordate la bellissima Something In The Air? Armenia è cantata a due voci da Roger Daltrey e Keen, mentre l’altro brano memorabile è I Can See For Miles, pubblicata come singolo, con Keith Moon che comincia a punire la sua batteria con grande goduria. L’altro brano che uscì come singolo, ma solo in Olanda, è la deliziosa Mary Anne With The Shaky Hands, cantata a due voci da Pete e Roger in modalità psych-pop https://www.youtube.com/watch?v=y0GbhIO0F0Q , Odorono non fu presa molto bene dalla omonima compagnia che produceva deodoranti, ma Townshend che la cantava non ci fece molto caso https://www.youtube.com/watch?v=a_0KV3mGQ2M , Rael Pt.1 & 2 introduce il personaggio che tornerà periodicamente fino a Quadrophenia. Questo è quanto più o meno succede in mono e stereo nei primi 2 CD.

Tra le bonus il travolgente singolo in modalità power pop Pictures Of Lily, le bellissime cover di The Last Time e Under My Thumb degli amici/rivali Stones  , una vibrante Jaguar, cantata a due voci da Pete e John, nel CD 2, quello stereo c’è una versione esplosiva di Summertime Blues e una Sodding About dove Townshend applica alcune delle sonorità che Jimi Hendrix aveva portato al pop inglese per trasformarlo in rock https://www.youtube.com/watch?v=jfI1H-SXAHA , poi riproposte anche in Hall Of The Mountain King, sentire come suonano Entwistle e Moon, due macchine da guerra a rincorrere le evoluzioni chitarristiche di Townshend https://www.youtube.com/watch?v=N5gK0Ll9FQs . C’è molta altra roba interessante nella versione doppia: se invece siete “più ricchi” e vi orientate al cofanetto, il CD 3 contiene le studio sessions 1967/1968, 28 brani tra outtakes, versioni all’impronta, chiacchiere e pirlate varie in studio e chicche assortite, per esempio, per citarne alcune, versioni differenti di Dogs, Shakin’ All Over, Magic Bus, ma c’è veramente molto da sentire. Il CD 4, intitolato The 1968 Sessions – The Road To Tommy è sempre interessante, ma potevano sforzarsi un po’ di più, visto che contiene 14 pezzi per 40 minuti circa di musica, comunque ottime la “scintillante” Glow Girl, già presente in altre versioni anche nei dischetti precedenti, con elementi appunto di Tommy, Faith In Something Bigger, Dr. Jekyll And Mr. Hyde, la scanzonata e tirata Call Me Lightning, forse la migliore versione delle tante che appaiono nel box di Dogs. Ci sono anche due ulteriori versioni di Magic Bus, quella del singolo, e una più lunga, in mono, oltre ad una pimpante Fortune Teller.

Ovviamente come è d’uso in queste versioni Super DeLuxe i cosiddetti brani “inediti” sono spesso all’incirca sempre gli stessi, tanti, ovvero 46, ma ripetuti più volte in alternate takes dove le differenze sono minime, ma visto che sono indirizzati ai cosiddetti fans “completisti” è quello che ci si aspetta. Nel quinto CD Pete Townshend Original Demos, forse il più interessante, ci sono altre 14 tracce, e non sono solo i soliti demo voce e chitarra acustica od elettrica, ma alcuni vengono integrati con organo, basso e batteria, per esempio la piacevole ed inedita Kids! Do You Want Kids, l’alternate version di Glow Girl, molto interessante perché ovviamente in questo come negli altri brani la voce è quella di Pete Townshend. Inside Outside USA sembra quasi un brano dei Beach Boys, anche Jaguar con le robuste pennate dell’acustica di Pete è uno dei demo meglio costruiti, in Little Billy Townshend utilizza anche un inconsueto banjo, mentre Odorono è uno dei demo più rudimentali, come pure Pictures Of Lily poco rifinita, e anche l’alternate di Relax diciamo che non è memorabile, più interessante la poco nota e sognante Melancholia, in un remix del 2018, e a chiudere due eccellenti versioni di Mary Anne With The Shaky Hands in veste acustica ma “lavorata” e una strana psych I Can See For The Miles.

Questo è quanto: vale il centone abbondante (ma anche meno) che viene richiesto? Forse in questo caso la risposta è affermativa, dipende anche dal vostro portafoglio.

Bruno Conti

Ma Non Lo Avevo Già Recensito Un Anno Fa? The Who – WHO/Live At Kingston

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The Who – WHO/Live At Kingston – Polydor/Universal 2CD

Uno degli eventi musicali del 2019 è stato senza dubbio il ritorno degli Who con un nuovo album di inediti: WHO era un buon disco, non un capolavoro ma un CD che vedeva Roger Daltrey e Pete Townshend in forma più che accettabile sia dal punto di vista strettamente musicale che, nel caso di Townshend, del songwriting (e questa era la cosa sulla quale avevo più dubbi). In pratica, il loro album migliore da Who Are You del 1978 https://discoclub.myblog.it/2019/12/15/indovinate-un-po-chi-e-tornato-a-fare-dischi-the-who-who/ : detto così potrebbe sembrare un’esagerazione, ma poi se andiamo a vedere nelle ultime quattro decadi la storica band britannica aveva pubblicato solo i discontinui Face Dances e It’s Hard nei primi anni ottanta e Endless Wire nel 2006, discreto ma nulla più. A distanza di un anno WHO viene ripubblicato con una bonus track, una versione alternata di Beads On One String più aderente al demo originale di Townshend, ma soprattutto con un CD aggiuntivo intitolato Live At Kingston (che è Kingston-upon-Thames, non la capitale della Giamaica), registrazione di un mini-concerto acustico che i nostri hanno tenuto in un piccolo teatro della cittadina inglese il 14 febbraio di quest’anno, cioè a 50 anni esatti dal mitico show di Live At Leeds e pochi giorni prima che il mondo, Cina esclusa, sprofondasse in un’apocalisse pandemico-economica.

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Personalmente detesto questa pratica sempre più comune di costringere i fans a ricomprare a poco tempo di distanza dall’uscita originale gli stessi dischi arricchendoli di contenuti inediti, ma devo ammettere che dopo aver ascoltato Live At Kingston posso affermare che ci troviamo di fronte ad un mini-album (che comunque dura 37 minuti) davvero bello e riuscito, un concerto godibile, grintoso ed energico da parte di un gruppo (anzi, ormai sono un duo) in forma eccellente, al punto che dopo pochi minuti non vi accorgerete neppure che la spina è staccata: diciamo solo che avrebbero potuto metterlo in commercio da solo e non con un album che tutti i fan della band avevano già comprato. Roger e Pete, entrambi alla chitarra acustica, sono accompagnati da Simon Townshend, fratello di Pete ed anche lui alla sei corde, Phil Spalding al basso, Jody Linscott alle percussioni e Billy Nicholls alle armonie vocali. Dopo un’introduzione parlata molto ironica e divertente, i nostri mettono subito in chiaro il loro stato di forma con Substitute, eseguita in maniera potente e con un uso molto pronunciato del basso, che insieme alle percussioni, alle tre chitarre ed alla voce stentorea di Daltrey riesce a creare un muro del suono di notevole impatto https://www.youtube.com/watch?v=oKB3Ri50lKA .

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Squeeze Box è sempre stata una delle migliori canzoni degli Who tra quelle uscite negli anni settanta e la veste acustica le si addice particolarmente, melodia contagiosa ed accompagnamento strumentale decisamente trascinante, mentre Tattoo non è famosissima (era su Sell Out, ed i nostri non la suonavano dal 2008), ma è comunque un brano notevole, con gli stacchi chitarristici tipici di Pete e quell’approccio tra rock e teatralità che avrà la sua massima espressione in Tommy. The Kids Are Alright è sempre una grande canzone comunque la si faccia, con i suoi cori molto anni sessanta ed il ritmo travolgente https://youtu.be/wQfvHtDNGc8 , e precede due tra i brani più riusciti dell’ultimo album, cioè la deliziosa Break The News, che qui assume tonalità country-rock, e la ballata She Rocked My World, dal mood spagnoleggiante https://www.youtube.com/watch?v=cn9XVEVwbu0 . Finale con la classica Won’t Get Fooled Again, un brano che non ha certo bisogno di presentazioni e che fa la sua bella figura anche in questa rilettura stripped-down e leggermente rallentata, con solo Roger e Pete sul palco https://www.youtube.com/watch?v=UqJni3pC2hg  (già che c’erano potevano pubblicare il concerto completo, dal momento che hanno lasciato fuori pezzi come Behind Blue Eyes e Pinball Wizard). Quindi un dischetto ottimo e coinvolgente, diverso dai soliti live degli Who: peccato che per averlo dovrete ricomprare un album che possedete già. In poche parole: quattro stelle a Live At Kingston, due all’operazione commerciale.

Marco Verdi

Indovinate Un Po’ “Chi” E’ Tornato A Fare Dischi! The Who – WHO

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The Who – WHO – Polydor/Universal CD

Uno degli eventi musicali del 2019 è indubbiamente il nuovo album in studio degli Who, che come saprete più che una vera band sono ormai da anni un duo formato dal cantante Roger Daltrey e dal chitarrista Pete Townshend, dato che gli ex compagni scomparsi prematuramente Keith Moon e John Entwistle, non sono mai stati rimpiazzati con musicisti facenti ufficialmente parte del gruppo. E’ abbastanza sorprendente che la band britannica abbia dato un seguito all’ormai lontano Endless Wire del 2006, in quanto sembrava che a Townshend non interessasse più scrivere nuove canzoni (ed infatti anche la sua carriera solista è ferma a Psychoderelict del 1993) mentre Daltrey, che ultimamente è molto attivo (lo splendido Going Back Home del 2014 con Wilko Johnson, il buon As Long As I Have You dello scorso anno https://discoclub.myblog.it/2018/06/15/la-voce-e-la-grinta-sono-quelle-di-un-trentenne-ma-pure-il-disco-e-bello-roger-daltrey-as-long-as-i-have-you/  e di recente anche la versione live orchestrale di Tommy) non è mai stato e mai sarà un songwriter.

La seconda sorpresa è che WHO (questo il titolo del CD, rigorosamente maiuscolo) è probabilmente il miglior lavoro della band negli ultimi 40 anni: detto così potrebbe sembrare un’esagerazione, ma se poi andate a vedere durante le ultime quattro decadi i nostri hanno pubblicato solo i non eccelsi Face Dances e It’s Hard negli anni ottanta, nulla nei novanta ed il già citato Endless Wire, discreto ma niente più, come unico nuovo album del millennio corrente. WHO invece è un buon album, un lavoro in cui Townshend dimostra di avere ancora la voglia e la capacità di scrivere belle canzoni, cosa assolutamente non scontata quando hai più di 50 anni di carriera sulle spalle; non siamo dalle parti del capolavoro, qualche brano è di livello inferiore rispetto ad altri, ma il tutto è suonato alla grande ed il feeling è quello dei giorni migliori. E poi Daltrey ha ancora una voce magnifica, forte e pulita come se avesse ancora trent’anni. I nostri hanno fatto le cose in grande anche dal punto di vista grafico, affidandosi a Peter Blake (l’uomo dietro la storica copertina di Sgt. Pepper), che ha messo a punto un collage di immagini che comprendono Chuck Berry, Mohammed Ali, Batman e Robin, oltre a riferimenti a dischi del passato dei nostri tipo il flipper di Pinball Wizard ed i baked beans di Sell Out ed all’estetica Mod tipica dei sixties (anche se il risultato finale somiglia parecchio all’edizione del decennale di Stanley Road di Paul Weller).

Ovviamente sono della partita sia il bassista Pino Palladino che il batterista Zak Starkey (figlio di Ringo Starr), da anni con Pete e Roger anche dal vivo, ma al basso troviamo anche Guy Seyffert ed ai tamburi Joey Waronker, figlio del noto produttore Lenny, Matt Chamberlain e Carla Azar, mentre alle tastiere siede l’ex Heartbreaker Benmont Tench. L’album inizia in maniera potente con All This Music Must Fade, un brano tipico con gli stacchi chitarristici per i quali gli Who vanno famosi, Palladino e Starkey che cercano di non far rimpiangere Entwistle e Moon e l’ugola tonante di Daltrey in primo piano: forse non è una canzone rivoluzionaria, ma il suono è quello giusto. Un preambolo pianistico alla Pinball Wizard introduce la tonica Ball And Chain, sorta di rock-blues fatto alla maniera dei nostri, tosto, chitarristico, roboante e coinvolgente; I Don’t Wanna Get Wise è una rock song diretta e decisamente orecchiabile, con Roger che canta come ai bei tempi ed una strumentazione forte e pulita; Detour è grintosa e presenta un gran lavoro di percussioni ma come canzone è forse la meno riuscita del disco, mentre Beads On One String è una limpida e distesa ballata dal motivo di presa immediata, con elementi rock sempre ben presenti e Roger che dimostra di non essere solo uno screamer.

Hero Ground Zero è una rock’n’roll song potente e decisamente bella, impreziosita da una orchestrazione che la rende ancora più epica, e ha il passo delle cose migliori dei nostri, e pure Street Song, pur non raggiungendo lo stesso livello, è un pezzo di grande forza e vigore ed è dotato di un buon refrain. I’ll Be Back è l’unica traccia cantata da Townshend, una pop ballad d’atmosfera gradevole e di buona fattura pur se diversa dallo stile abituale del gruppo, mentre con Break The News torna Roger per un bellissimo folk-rock elettroacustico, diretto e trascinante: tra i brani migliori del CD. Finale con Rockin’ In Rage, ballata pianistica che in breve si trasforma in un grintoso e travolgente rock’n’roll, e con She Rocked My World, che ha quasi il sapore di una bossa nova ma non sfigura affatto. Esiste anche una versione deluxe dell’album con tre brani in più (This Gun Will Misfire, Got Nothing To Prove, Danny And My Ponies), che in realtà erano dei demo di canzoni inedite, scritte da Townshend in epoca diverse: la prima una canzone sul controllo degli armamenti, dovrebbe provenire dal periodo di Psychoderelict, il secondo è un pezzo registrato nel 1966 per gli Who, non utilizzato all’epoca, a cui è stata aggiunto recentemente una ulteriore strumentazione https://www.youtube.com/watch?v=f2FZmbB7B-M  e nella terza sembra che Pete usi un vocoder, comunque tutti e tre i brani con Townshend alla voce solista, tre pezzi che comunque non spostano il giudizio finale.

Un giudizio decisamente positivo.

Marco Verdi

Ancora Un Paio Di Ristampe “Primaverili”: Marvin Gaye – You’re The Man & Box Ronnie Lane – Just For A Moment: Music 1973-1997

marvin gaye you're the man

Ancora un paio di ristampe sfiziose in uscita nei prossimi mesi.

Marvin Gaye – You’re The Man – Tamla Motown/Universal – 26-04-2019

Esce, domani la versione in vinile, e il prossimo 26 aprile in CD, questo album “inedito” del 1972 di Marvin Gaye, trovato negli archivi della sua storica etichetta, la Tamla Motown. In effetti il contenuto è abbastanza ibrido: secondo la casa discografica questo You’re The Man doveva essere il seguito del suo capolavoro assoluto What’s Going On, ma per vari motivi non fu pubblicato all’epoca. Quindi non si dovrebbe parlare di ristampa ma di “nuovo”album: ci sono tre canzoni remixate oggi da tale SaLaAM ReMi, che comunque non sono per niente male, una versione lunga di quello che doveva essere un singolo natalizio mai pubblicato e il lato B strumentale, oltre ad otto brani previsti per il disco originale e qualche altra chicca assortita.

Ecco la lista completa dei contenuti.

1. You’re The Man
2. The World Is Rated X
3. Piece Of Clay
4. Where Are We Going?
5. I’m Gonna Give You Respect
6. Try It, You’ll Like It
7. You Are That Special One
8. We Can Make It Baby
9. My Last Chance (Salaam Remi Mix)
10. Symphony (Salaam Remi Mix)
11. I’d Give My Life For You (Salaam Remi Mix)
12. Woman Of The World
13. Christmas In The City (Instrumental)
14. You’re The Man (Version 2)
15. I Want To Come Home For Christmas
16. I’m Going Home (Move)
17. Checking Out (Double Clutch)

Sembra molto interessante, d’altronde Gaye è stato uno dei veri grandi della soul music, quindi ristampa o nuovo album, come vogliamo chiamarlo, si tratta di un piccolo evento per gli amanti della buona musica nera. Il disco esce per il 60° Anniversario della Motown e per l’80° dalla nascita di Marvin Gaye, che sarebbe stato il 2 aprile.

ronnie lane box

Ronnie Lane – Just For A Moment: Music 1973-1997 – Box 6 CD Universal – 17-05-2019

Ronnie Lane è sempre stato il “perfetto gregario”, uno dei più grandi della storia del rock, prima negli Small Faces, scudiero di Steve Marriott, poi nei Faces spalla di Rod Stewart. Ma ha avuto anche una lunga e gloriosa (pur se con i mille problemi legati alla sua salute) carriera solista, che ora viene celebrata con questo bel cofanetto che raccoglie il meglio della sua produzione, ed è arricchito da molto materiale raro ed inedito.

Come vedete dall’immagine riportata sopra si tratta di un cofanetto da 6 CD, il cui contenuto dei primi quattro dischetti è relativo agli album pubblicati da Lane negli anni ’70:ovvero Anymore For Anymore, Ronnie Lane’s Slim Chance, One For the Road, See Me. ognuno arricchito da moltissime bonus tracks, demos, inediti, rarità, BBC Sessions, anche diversi brani dal vivo, nonché parecchie canzoni estratte dalle collaborazioni con Ron Wood Mahoney’s Last Stand Rough Mix con Pete Townshend, quest’ultimo registrato quando a Ronnie era già stata diagnosticata la sclerosi multipla, intorno al 1977.

Il quinto CD riporta registrazioni degli anni ’80, tra cui il Rockpalast del 3 marzo 1980, ma anche altre sessions, demo ed outtakes, tra cui alcune canzoni inedite, in parte registrate nel 1976 e 1977. Il sesto ed ultimo CD copre la parte americana della sua carriera, quando Lane si trasferì nel 1984 ad Austin in Texas, dove il clima era migliore per la sua malattia, ma ci sono anche pezzi registrati dal vivo in Giappone, il tutto è inciso tra il 1987 e il 1992.

Comunque ecco la lista completa dei contenuti del Box.

[CD1: Anymore For Anymore]

1. Careless Love
2. Don’t You Cry For Me
3. Bye And Bye (Gonna See The King)
4. Silk Stockings
5. The Poacher
6. Roll On Babe
7. Tell Everyone
8. Amelia Earhart’s Last Flight
9. Anymore For Anymore
10. Only A Bird In A Gilded Cage
11. Chicken Wired
Bonus Tracks:
12. How Come [Single]
13. Done This One Before [Single B-Side]
14. From The Late to the Early
15. Just For A Moment
16. How Come [Alternate Studio Take]
17. Ooh La La [BBC John Peel Session 11/12/1973]
18. Debris [BBC In Concert 23/04/1974]
19. Flags And Banners [Live At The Thames Hotel 11/12/1973]
20. Last Orders [Live At The Thames Hotel 11/12/1973]
21. I’ll Fly Away

[CD2: Ronnie Lane’s Slim Chance]
1. Little Piece Of Nothing
2. Stone
3. A Bottle Of Brandy
4. Street Gang
5. Anniversary
6. I’m Gonna Sit Right Down And Write Myself A Letter
7. I’m Just A Country Boy
8. Ain’t No Lady
9. Blue Monday
10. Give Me A Penny
11. You Never Can Tell
12. Tin And Tambourine
13. Single Saddle
Bonus Tracks:
14. Brother Can You Spare A Dime? [Island Single]
15. What Went Down (That Night With You) [Island Single]
16. Lovely Single [B-Side]
17. Roll On Babe [BBC Live In Concert 13/12/1974]
18. Sweet Virginia [BBC John Peel Session 19/11/1974]
19. Walk On By [BBC Live In Concert 12/02/1976]
20. You’re So Rude [Live Victoria Palace 16/03/1975]
21. From The Late To The Early (Lost) / How Come [Live Victoria Palace 16/03/1975]
22. What Went Down (That Night With You) [Island Single Outtake]

[CD3: One For The Road]
1. Don’t Try ‘N’ Change My Mind
2. 32nd Street
3. Snake
4. Burnin’ Summer
5. One for the Road
6. Steppin’ an’ Reelin’ (The Wedding)
7. Harvest Home
8. Nobody’s Listening
9. G’Morning
Bonus Tracks:
10. April Fool
11. Annie
12. Nowhere to Run
13. Silly Little Man
14. Catmelody
15. Last Orders (Well Well Hello, Slow Version)
16. Lonely
17. Under My Nose
18. Feeling Like A Lion
19. Going West

[CD4: See Me]
1. One Step
2. Good Ol’ Boys Boogie
3. Lad’s Got Money
4. She’s Leaving
5. Barcelona
6. Kuschty Rye
7. Don’t Tell Me Now
8. You’re So Right
9. Only You
10. Winning With Women
11. Way Up Yonder
Bonus Tracks:
12. Three Cool Cats See Me [Outake]
13. The Wanderer [The R ‘N’ B Sessions]
14. Rocket ’69 [The R ‘N’ B Sessions]
15. The Joint Is Jumpin’ [The R ‘N’ B Sessions]
16. Annie Had A Baby [The R ‘N’ B Sessions]
17. Pisshead Blues [Fishpool Sessions]
18. Barcelona [Demo]
19. Three Cool Cats [Demo]

[CD5]
1. Rats Tales (Catmelody) [Live At Rockpalast 03/03/1980]
2. Flags and Banners [Live At Rockpalast 03/03/1980]
3. Annie Had A Baby [Live At Rockpalast 03/03/1980]
4. How Come [Live At Rockpalast 03/03/1980]
5. You’re So Rude [Live At Rockpalast 03/03/1980]
6. Lad’s Got Money [Live At Rockpalast 03/03/1980]
7. Kuschty Rye [Live At Rockpalast 03/03/1980]
8. Man Smart, Women Smarter [Live At Rockpalast 03/03/1980]
9. Debris (Ronnie Lane’s Big Dipper) [Live Capital Radio 29/05/1981]
10. Around The World (Grow Too Old) [Fishpool Sessions 1977]
11. Last Night [Fishpool Sessions 1977]
12. All Or Nothing [BBC John Peel 15/01/1976]
13. Bombers Moon [The Merton Sessions Early ’81]
14. Last Tango In Nato [The Merton Sessions Early ’81]
15. Silly Little Man [Fishpool Sessions]
16. She’s Leaving (I Can Hear Her Singing) [Demo]
17. Lovely [Outtake]
18. Rats Tales (Catmelody) [Fishpool Sessions]

[CD6]
1. Ooh La La [Live In Texas / 1988]
2. Rio Grande (Bombers Moon) [Live In Texas]
3. Nowhere To Run [Live KLBJ 12/89]
4. Annie [LIVE KLBJ 14/02/89]
5. Buddy Can You Apare A Dime? [KLBJ 22/12/87]
6. You’re So Rude [Live At KUT 1988]
7. Dirty Rice (Featuring The Tremors With Bobby Keys) [The Back Room Austin May 12 1987]
8. Winning With Women [KUT 1988]
9. Ooh La la [Live In Texas / 1987]
10. Don’t Try ‘N’ Change My Mind [Live In Japan]
11. Glad And Sorry [Live In Japan]
12. Just For A Moment [Live In Japan]
13. Spiritual Babe [Demo (Houston)]
14. King Of The Lazy World [1992 Studio Session]
15. Peaches January [1989 Arlyn Studio Sessions]
16. Sally Anne January [1989 Arlyn Studio Sessions]
17. Spiritual Babe January [1989 Arlyn Studio Sessions]
18. Hearts Of Oak January [1989 Arlyn Studio Sessions]
19. Strongbear’s Daughter January [1989 Arlyn Studio Sessions]

ronnie lane oh la la

Nel 2014 era stato pubblicato anche Ooh La La, un doppio CD relativo solo agli album con gli Slim Chance, pubblicati dalla Island, anche se il cofanetto di prossima uscita il 17 maggio p.v., nonostante il prezzo indicativo tra i 75 e gli 80 euro annunciato non sia propriamente economico, rimane comunque un manufatto di notevole interesse per chi vuole esplorare la musica del nostro amico, una sorta di “gemello diverso” musicale di George Harrison e anche uno degli anticipatori dello stile roots ed Americana che sarebbe arrivato negli anni successivi.

Peccato non sia stato inserito nulla dai concerti denominati ARMS Charity Concerts, organizzati dal produttore Glyn Johns in Inghilterra sul finire del 1983 per raccogliere fondi sulla ricerca della malattia, ma anche per aiutare il musicista inglese a fronteggiare i rilevanti costi sostenuti per le proprie cure. Alle date, la prima il 20 settembre del 1983 alla Royal Albert Hall, seguì un tour negli Stati Uniti curato da Bill Graham, a cui partecipò la crema della musica rock mondiale, tra i quali, insieme sul palco in una delle rarissime occasioni, forse l’unica, Eric Clapton, Jimmy Page Jeff Beck, ma anche Steve Winwood, Joe Cocker, Paul Rodgers, Andy Fairweather-Low, Charlie Watts, John Paul Jones ed ancora  Bill Wyman, Chris Stainton, Ray Cooper, Kenney Jones, Fernando Saunders e molti altri.

Per oggi è tutto alla prossima.

Bruno Conti

Una Commovente E Bellissima Testimonianza Postuma Di Un Grande Outsider. Jimmy LaFave – Peace Town

jimmy lafave peace town

Jimmy LaFave – Peace Town – Music Road 2CD

Il 2017 musicale, dal punto di vista dei necrologi, verrà ricordato come l’anno della scomparsa di due grandissimi, Gregg Allman e Tom Petty, ma non sarebbe giusto dimenticarsi di Jimmy LaFave, musicista texano ma con radici in Oklahoma, scomparso a soli 61 anni per un sarcoma incurabile https://discoclub.myblog.it/2017/05/23/la-tregua-e-finita-a-soli-61-anni-se-ne-e-andato-anche-jimmy-lafave/ . LaFave non era famoso, non era una star, ma era oggetto di un culto notevole in Texas ed anche fuori, dato che nella sua vita artistica raramente aveva sbagliato un disco, ed anche nei lavori meno brillanti c’era sempre qualche canzone che emergeva. Era anche un personaggio di una modestia ed umiltà notevole: anni fa andai a sentirlo a Sesto Calende, nella sala consiliare, ed il suo ingresso avvenne dal portone principale, lo stesso dal quale era entrato il pubblico, con il nostro e la sua band che man mano che avanzavano chiedevano permesso alla gente per poter raggiungere il palco! Il suo ultimo lavoro, The Night Tribe (2015) era splendido, uno dei migliori di una carriera quasi quarantennale (ma la visibilità su scala più larga è arrivata solo nei primi anni novanta), un disco di ballate notturne e pianistiche, eseguite con la consueta classe e cantate in maniera perfetta dal nostro, con la sua caratteristica voce dolce e roca allo stesso tempo (una voce che ricorda vagamente quella di Steve Forbert, ma in meglio) https://discoclub.myblog.it/2015/05/18/sempre-buona-musica-dalle-parti-austin-jimmy-lafave-the-night-tribe/ .

Qualche mese prima di lasciarci, Jimmy è entrato in studio ad Austin con un selezionato gruppo di musicisti (tra i quali segnalerei il bravissimo pianista ed organista Stefano Intelisano, oltre alle chitarre di John Inmon e del figlio Jesse LaFave, del violino di Warren Hood e della sezione ritmica formata da Glenn Schuetz, basso, e Bobby Kallus, batteria), ed in soli tre giorni ha registrato addirittura un centinaio di canzoni, tra cover e brani originali, e Peace Town è il fulgido risultato di quella session, un doppio album davvero bello ed emozionante, in cui Jimmy, che probabilmente già sapeva di essere condannato, ha deciso di prendere commiato facendo quello che sapeva fare meglio: grande musica, suonata e cantata più che mai con il cuore in mano (un po’ come aveva fatto Warren Zevon una quindicina di anni fa) Peace Town è dunque uno dei lavori più riusciti di Jimmy, non inferiore a The Night Tribe, e che alterna in maniera disinvolta ballate e brani più mossi, un testamento musicale emozionante che potrebbe anche avere un seguito, data la grande mole di canzoni incise in quei tre giorni. I brani originali scritti da Jimmy non sono poi molti, solo quattro, a partire da Minstrel Boy Holwling At The Moon, una ballatona fluida e distesa, anzi direi rilassata, strumentata con classe, per proseguire con la lenta ed intensa A Thousand By My Side, uno strumentale evocativo con il violino che sostituisce la voce solista, il puro blues texano Ramblin’ Sky, non un genere abituale per Jimmy ma che viene affrontato con disinvoltura, e la potente Untitled, altro strumentale che è più una backing track, un brano che poteva diventare una grande rock song alla Tom Petty.

Ci sono anche tre collaborazioni molto particolari, cioè tre testi inediti di Woody Guthrie ai quali Jimmy ha aggiunto la musica (come fecero Billy Bragg coi Wilco): Peace Town, uno slow elettroacustico cadenzato e dallo spiccato gusto melodico, la bluesata Salvation Train (titolo molto alla Guthrie), elettrica, coinvolgente e con elementi southern, e Sideline Woman, grintoso folk-blues di grande presa, cantato come sempre in maniera impeccabile dal nostro. Il resto dell’album sono cover, un genere nel quale LaFave si è sempre distinto con brillantezza, a partire dall’iniziale e splendida Let My Love Open The Door (un pezzo del Pete Townshend solista), forse il capolavoro del disco, una canzone che nelle mani di Jimmy diventa una solare rock ballad di stampo californiano, che ci porta quasi nei territori occupati dai Fleetwood Mac: una vera delizia. Help Me Through The Day, di Leon Russell, è lentissima, pianistica e struggente, quasi jazzata (Madeline Peyroux potrebbe farla in questo modo), anche se poi entra anche la strumentazione “classica”, mentre la trascinante I May Be Used (But I Ain’t Used Up), di Bob McDill, è puro rock’n’roll texano; il primo CD si chiude con il country-rock travolgente di My Oklahoma Home, brano popolare inciso anche da Springsteen nelle Seeger Sessions, e con il folk cantautorale di Already Gone (Butch Hancock), più di sette minuti di puro Texas.

Le cover proseguono sul secondo dischetto con una sontuosa It Makes No Difference, una delle più belle canzoni di The Band, che Jimmy riesce a far sua con una interpretazione da manuale, la lenta e cupa Don’t Go To Strangers, che è di J.J. Cale ma qui sembra più un brano di Townes Van Zandt, la meno nota When The Thought Of You Catches Up With Me, un pezzo del countryman David Ball che però sembra uscito dalla penna di Jimmy, il famoso rock’n’roll di Chuck Berry Promised Land, che il nostro esegue in scioltezza, per chiudere con la toccante Goodbye Amsterdam di Tim Easton, che non può non far scendere una lacrima a chi ascolta, splendida anche questa. Ma in ogni disco di LaFave che si rispetti non possono mancare brani di Bob Dylan, e qui ne abbiamo tre: se What Good Am I e You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go sono due pezzi minori del songbook del grande Bob (ma sono comunque resi in maniera elegante, con una strumentazione parca), My Back Pages è uno dei capolavori assoluti del Premio Nobel, e Jimmy la rifà che è una meraviglia, rallentandola ad arte e mettendo la splendida melodia al centro di sonorità calde e piene d’anima, e trasformandola in una commovente ballata il cui testo, sapendo la fine alla quale il nostro stava andando incontro, dà i brividi.

Addio Jimmy, insegna pure agli angeli come canta un vero texano.

Marco Verdi

La Voce E La Grinta Sono Quelle Di Un Trentenne, Ma Pure Il Disco E’ Bello! Roger Daltrey – As Long As I Have You

roger daltrey as long as i have you

Roger Daltrey – As Long As I Have You – Republic/Universal CD

Roger Daltrey, storico frontman degli Who, è una delle figure più carismatiche della nostra musica, ed anche una delle ugole più potenti in circolazione. Il suo tallone d’Achille è però sempre stato il songwriting, ed è la ragione per la quale da solista non ha mai sfondato (come saprete tutti, negli Who le canzoni le scriveva Pete Townshend). Meno di dieci album in totale nella sua carriera senza il suo gruppo principale, la maggior parte dei quali concentrati negli anni settanta, anche se nessuno di essi si può definire indispensabile, ed in più anche qui Roger non toccava la penna, ma si faceva scrivere i brani da altra gente, con risultati non proprio simili a quando lo faceva Pete. Dopo anni di silenzio per quanto riguarda i dischi a suo nome, Roger aveva sorpreso non poco quando nel 2014 era uscito l’ottimo Going Back Home, un gran bel disco di energico rock’n’roll condiviso con Wilko Johnson, un lavoro nel quale i due ci davano dentro con la foga di una garage band (ed anche lì tutte le canzoni erano opera dell’ex chitarrista dei Dr. Feelgood, nessuna di Roger).

Quella sorta di bagno purificatore deve aver fatto bene al nostro, in quanto il suo nuovo album da solista, As Long As I Have You (il primo dal 1992) è senza dubbio il lavoro migliore della sua carriera, Who a parte ovviamente. Daltrey qui si avventura anche nella scrittura in un paio di pezzi, ma per nove undicesimi il disco si rivolge a classici più o meno noti in ambito rock, soul ed errebi, scelti però con molta cura, ed il riccioluto cantante inglese dimostra di avere ancora una voce della Madonna, ed una grinta che è difficile da trovare anche in musicisti con quaranta anni meno di lui. Merito della riuscita del disco va indubbiamente anche al produttore Dave Eringa, che è intervenuto con mano leggera per quanto riguarda gli arrangiamenti, ma dando comunque un suono potente ed asciutto ai vari brani; da non sottovalutare poi la scelta di chiamare proprio Pete Townshend in ben sette canzoni, dato che stiamo parlando di uno che conosce Roger come le sue tasche, anche se si è comunque scelto di non far sembrare il disco un clone di quelli degli Who. Infatti As Long As I Have You si divide tra brani rock potenti e sanguigni e ballate di sapore soul, che uno come Daltrey canta a meraviglia, grazie anche al supporto notevole delle McCrary Sisters in vari pezzi (tra gli altri musicisti degni di nota abbiamo Sean Genockey alla chitarra, che si alterna con Townshend alle parti ritmiche e soliste, Mick Talbot alle tastiere, John Hogg al basso e Jeremy Stacey alla batteria). La title track, un vecchio brano di Garnet Mimms, apre il disco in maniera decisa, un rock-boogie potente e dal ritmo acceso, con Roger che dimostra subito di avere ancora un’ugola notevole, mentre sullo sfondo basso e batteria pestano di brutto e le sorelle McCrary danno il tocco gospel.

How Far (di Stephen Stills, era nel primo Manassas) è più tranquilla, Townshend suona l’acustica (e lo stile si sente), ma nel refrain si aggiunge l’elettrica di Genockey e Daltrey canta con la solita verve; Where Is A Man To Go?, versione al maschile di una canzone portata al successo da Gail Davis prima e da Dusty Springfield poi, è una rock ballad decisamente energica, con un suono pieno e vigoroso guidato da piano e chitarra, ed un retrogusto soul, merito anche delle backing vocalist: molto bella, e poi Roger canta da Dio. Get On Out Of The Rain era invece un brano dei Parliament, ma Roger lo depura dalle sonorità funky e lo fa diventare un pezzo rock al solito potente e diretto come un macigno, con un raro assolo di Townshend (che è più un uomo da riff), e la canzone stessa così arrangiata è quella più vicina al sound degli Who; I’ve Got Your Love è splendida, forse la migliore del CD, una sontuosa ballata di Boz Scaggs che viene suonata in maniera sopraffina e cantata in modo formidabile, ancora con un caldo sapore soul, il consueto bel coro femminile ed un breve ma toccante assolo di Pete: grandissima canzone. Quasi sullo stesso livello anche Into My Arms, già stupenda nella versione originale di Nick Cave: Roger non la cambia molto, la esegue solo con piano e contrabbasso, cantandola con un’inedita voce bassa molto simile a quella del songwriter australiano, con un esito finale da pelle d’oca.

You Haven’t Done Nothing, di Stevie Wonder, viene rivoltata come un calzino e trasformata in un potentissimo rock-errebi con tanto di fiati, anche se le chitarre sono un filo troppo hard in questo contesto; con Out Of Sight, Out Of Mind (The Five Keys, Dinah Washington) restiamo in territori soul-rhythm’n’blues, ma la canzone è migliore della precedente, con un marcato sapore sixties ed un accompagnamento perfetto (e sentite come canta Roger), mentre Certified Rose, scritta proprio da Daltrey, è una calda e classica ballata pianistica ancora coi fiati in evidenza, fluida e ricca di feeling. The Love You Save (di Joe Tex) è un’altra splendida soul song in stile anni sessanta, meno potente e più raffinata di quelle che l’hanno preceduta, sul genere di Anderson East (che deve ancora mangiarne di bistecche per arrivare ai livelli di Roger); chiusura con Always Heading Home, ancora scritta dal nostro, altro toccante lento pianistico, cantato, ma sono stufo di dirlo, in maniera superlativa. Devo confessare che, visti i precedenti da solista di Roger Daltrey, inizialmente non avevo molta voglia di accaparrarmi questo As Long As I Have You, ma oggi sono contento di averlo fatto.

Marco Verdi

Con La “Sua” Band O Da Solo, E’ Sempre Grande Musica Dal Passato! The Who – Live At The Fillmore East 1968/Pete Townshend – Who Came First Expanded

who live at the fillmore east 1968

The Who – Live At The Fillmore East 1968 – Polydor/Universal 2CD

Pete Townshend – Who Came First: Expanded Edition – Eel Pie/Universal 2CD

Oggi vi parlo di due uscite recenti, entrambe decisamente interessanti ed aventi come comune denominatore la figura di Pete Townshend, in un caso come leader della sua storica band e nell’altro come solista. Che il mercato sia abbastanza saturo di album dal vivo degli Who è cosa nota, ed io stesso in questo blog mi sono occupato più di una volta di dischi registrati on stage dal famoso gruppo britannico, ma l’ultima uscita in ordine di tempo è un caso diverso, in quanto prende in esame per la prima volta in via ufficiale un concerto degli anni sessanta. I vari live del gruppo guidato da Townshend con Roger Daltrey, John Entwistle e Keith Moon (parlando del nucleo storico, il bassista e soprattutto il batterista ci hanno lasciato da tempo) sono infatti tratti da show dagli anni ottanta in poi, con le importanti eccezioni del leggendario Live At Leeds del 1970 e dello spettacolo all’isola di Wight dello stesso anno. Live At The Fillmore East 1968 invece si occupa di un concerto tenutosi nel famoso locale di proprietà di Bill Graham a New York nell’anno indicato nel titolo, con i nostri nella loro versione pre-Tommy, quindi molto più diretti e rock’n’roll che in seguito.

Il doppio CD è comunque estremamente riuscito, in quanto i nostri erano già una macchina da guerra, ed anzi questa registrazione li cattura nella loro veste più cruda e diretta, quasi fossero una sfrontata punk band ante-litteram: Townshend è un macinatore instancabile di riff, Daltrey non è ancora al massimo della sua potenza vocale (che raggiungerà da lì a breve) ma poco ci manca, e la sezione ritmica all’epoca era una delle più potenti insieme a quelle della Jimi Hendrix Experience e dei Cream. Un live esplosivo quindi, con una scaletta che presenta anche brani che difficilmente ritroveremo in dischi dal vivo futuri, il tutto inciso in maniera eccellente: qualche classico ovviamente c’è, come I Can’t Explain, la trascinante Happy Jack, la splendida I’m A Boy e Boris The Spider (quest’ultima di Entwistle). Ci sono diverse covers, tra cui ben tre di Eddie Cochran (l’apertura granitica di Summertime Blues, la meno nota My Way ed una breve e ficcante C’mon Everybody), la Fortune Teller di Allen Toussaint trasformata in un pezzo dal sapore quasi beat, e soprattutto una spettacolare Shakin’ All Over di Johnny Kidd & The Pirates.

Non manca qualche brano meno conosciuto, come la bella Tattoo, primo tentativo di Townshend di comporre una canzone rock nello stile di Tommy, o la poco nota Little Billy. Ma gli highlights del primo CD sono due notevoli versioni da undici minuti ciascuna della poderosa Relax (con Moon letteralmente scatenato, ma pure gli altri non scherzano) e soprattutto della strepitosa A Quick One, While He’s Away, vera e propria mini-suite rock che parte da una storiella di infedeltà coniugale per deliziarci con continui cambi di ritmo e melodia. Il piatto forte però è nel secondo dischetto, che è occupato interamente da una sola canzone, una incredibile My Generation di ben 33 minuti, un tour de force devastante che se fosse uscito all’epoca avrebbe fatto probabilmente passare questo disco alla storia, invece che limitarsi alla cronaca odierna.

pete townshend who came deluxe

Who Came First è invece il primo album da solista di Pete Townshend (e per il sottoscritto è anche il migliore), il cui titolo è una sorta di gioco di parole che coinvolge il nome della sua band principale, ma anche la prima parte del famoso detto “Chi è venuto prima? L’uovo o la gallina?” (ed infatti la copertina ritrae Pete in piedi su una moltitudine di uova). L’album uscì in origine nel 1972 (quindi gli anni non sono 45 come scritto sulla copertina di questa edizione deluxe, ma 46), in un periodo in cui Pete era decisamente ispirato e prolifico: l’influenza principale dell’album, non musicale ma a livello di testi, era certamente quella di Meher Baba, un guru indiano molto popolare all’epoca (era da poco scomparso, nel 1969), la cui figura fu di grande impatto per il nostro, e lo si capisce anche dal fatto che la sua immagine è un po’ dappertutto nelle foto sia dell’LP originale, sia nel booklet di questa ristampa (Baba O’Riley, per chi scrive la seconda più grande canzone rock di tutti i tempi dopo Stairway To Heaven, è il più celebre tra i brani dedicati al santone). Who Came First è composto da canzoni di provenienza varia: alcuni pezzi erano stati usati per due album registrati da Pete in forma privata come omaggio a Baba, altri sono riadattamenti dal famoso progetto abortito di Lifehouse (del quale aveva già utilizzato alcune cose per lo splendido Who’s Next dell’anno prima), due sono cover ed il resto brani scritti per l’occasione. Questo disco vede Pete suonare tutti gli strumenti in prima persona, tranne un paio di casi che vedremo, ed ancora oggi risulta un lavoro fresco, accattivante e con il tocco geniale tipico del suo autore, che è anche in possesso di una buona voce pur non potendo competere con Daltrey.

L’album parte con la splendida Pure And Easy, un pop-rock scintillante che avrebbe potuto anche diventare un classico per gli Who, seguita da una dylaniana (stile periodo acustico) Evoution, di e con Ronnie Lane e dalla solare Forever’s No Time At All (con l’aiuto di Billy Nicholls e Caleb Quaye), rock song diretta e gradevole con ottime parti di chitarra. Let’s See Action esiste anche nella versione degli Who, e rimane una bella canzone, la folkeggiante Time Is Passing è deliziosa, come anche la cover del classico country di Jim Reeves There’s A Heartache Following Me, una delle canzoni preferite da Baba. Chiudono l’album originale (che occupa il primo CD di questa ristampa) la bucolica Sheraton Gibson, la lenta e pianistica Content e la magnifica Parvardigar, ispirata alla Preghiera Universale di Baba. Questa nuova edizione, uscita in un elegante long box con liner notes scritte ex novo da Pete (che è sempre ironico e mai banale), presenta un interessante secondo CD con 17 pezzi, non tutti inediti in quanto alcuni erano già usciti sulla ristampa del 2006. Ci sono le versioni soliste di altri tre brani poi entrati nel repertorio degli Who, come The Seeker, Drowned e soprattutto una strabiliante Baba O’Riley solo strumentale di quasi dieci minuti. Ci sono poi canzoni accennate, demo, bozzetti ed idee varie, che hanno comunque l’imprimatur del nostro (His Hands, Sleeping Dog, Mary Jane, Meher Baba In Italy), o veri e propri brani fatti e finiti, alcuni dei quali molto belli e che avrebbero potuto essere anche sul disco originale, come I Always Say, The Love Man (splendida), la vibrante There’s A Fortune In Those Hills ed una strepitosa Evolution dal vivo al Ronnie Lane Memorial, full band ed in versione folk-rock, ancora meglio di quella pubblicata, che quasi vale da sola l’acquisto del box.

Due ottimi prodotti dunque, entrambi oserei dire imperdibili, soprattutto se di Who Came First non possedete la ristampa del 2006.

Marco Verdi

Uscite Prossime Venture 9. Who, Si Riaprono Gli Archivi -Live at The Fillmore East: Saturday April 6, 1968

who live at the fillmore east 1968

The Who – Live at The Fillmore East: Saturday April 6, 1968 – 2 CD UMC/Universal 20-04-2018

Da anni si parlava della possibilità che prima o poi uscissero dagli archivi degli Who alcune delle registrazioni effettuate nei primi anni della band, nel periodo antecedente a Tommy (pare esistano altri due concerti  del periodo registrati a livello professionale, che prima o poi potrebbero uscire): in questo caso siamo di fronte alle registrazioni dei concerti tenuti al Fillmore East di New York nei primi giorni di apertura del locale, il 5 e 6 aprile del 1968, esattamente 50 anni fa. Anzi si tratta della registrazione completa del concerto del 6 aprile 1968, rimasterizzato da Bob Pridden, che era l’ingegnere del suono del gruppo e che era presente all’epoca. Come è noto il concerto verrà presentato in doppio CD o triplo LP, e contiene nel secondo CD una versione monstre di My Generation di oltre 33 minuti e darà l’occasione di ascoltare Roger Daltrey, Pete Townshend, John Entwistle Keith Moon in uno dei periodi più fecondi della loro attività legata al rock più vero e primigenio. Nell’attesa ecco la tracklist completa del doppio CD

[CD1]
1. Summertime Blues
2. Fortune Teller
3. Tattoo
4. Little Billy
5. I Can’t Explain
6. Happy Jack
7. Relax

[CD2]
1. I’m A Boy
2. A Quick One
3. My Way
4. C’mon Everybody
5. Shakin’ All Over
6. Boris The Spider
7. My Generation

E da anni circolava una versione bootleg, incompleta, ma presa dall’acetato originale del concerto, che potete vedere qui sopra, in attesa di poter ascoltare la versione completa ufficiale che uscirà il 20 aprile.

Bruno Conti

Toh, Un Live Degli Who…Però Questo E’ Formidabile E Per Una Causa Nobile! The Who – Tommy Live At The Royal Albert Hall

who tommy live royal albert hall 2017 2 cd

The Who – Tommy Live At The Royal Albert Hall – Eagle Rock/Universal 2CD – 3LP – DVD – Blu-Ray 

A parte i Grateful Dead che da anni fanno corsa a sé, credo che gli Who siano tra le pochissime band più o meno in attività ad aver pubblicato più dischi dal vivo che in studio: non molto tempo fa mi sono occupato del loro concerto alla Isle Of Wight del 2004, uscito pochi mesi orsono http://discoclub.myblog.it/2017/06/18/non-mancano-i-dischi-dal-vivo-ne-degli-uni-ne-dellaltro-ma-questi-due-sono-bellissimi-the-who-live-at-the-isle-of-wight-2004-festivalpaul-simon-the-concert-in-hyde-park/ . Neppure l’idea di riproporre quello che all’unanimità è considerato il loro capolavoro, cioè l’opera rock Tommy, è una novità, e tra i molti album live della band troviamo in parecchie occasioni le riletture quasi complete di quello storico disco. Ho detto quasi perché in effetti delle 24 tracce totali, on stage il gruppo inglese ne ha suonate sempre qualcuna in meno, arrivando al massimo a riproporne 21. Quando ho visto che i nostri avrebbero fatto uscire (in diversi formati audio e video) una nuova versione di Tommy, registrata nell’Aprile di quest’anno alla Royal Albert Hall di Londra (comunque legata ad una causa nobile, nell’ambito del Teenage Cancer Trust, per la benemerita organizzazione che raccoglie fondi per gli adolescenti malati di tumore, della quale Daltrey è il testimonial da 17 anni, e il cui concerto era il 100° della serie), non mi sono entusiasmato più di tanto, nonostante sulla copertina venisse orgogliosamente rivendicato il fatto che il famoso album del 1969 era stato eseguito interamente per la prima volta.

Una volta inserito il primo dei due CD nel lettore, e dopo aver ascoltato pochi minuti, mi sono ricreduto sulla bontà dell’operazione, in quanto la band guidata da Roger Daltrey e Pete Townshend quella sera ha suonato in maniera strepitosa, come da tempo non la sentivo fare. Tommy è stato rifatto da cima a fondo con un’intensità ed una potenza formidabili, una cosa quasi incredibile visto l’età non proprio verdissima di chi stava sul palco: Daltrey ha ancora una voce della Madonna (e non ha mai un calo), Townshend macina riff come ai bei tempi, e la band di sostegno è ormai una macchina da guerra oliata alla perfezione, con una menzione particolare per il batterista Zak Starkey, figlio di Ringo ma nettamente meglio del padre ai tamburi, che per l’occasione è un fiume in piena, picchia come un fabbro ma con una tecnica incredibile, avvicinandosi di molto al fantasma di Keith Moon. Le canzoni, poi, le conosciamo tutti, sono dei capolavori assoluti, ed in quella serata di grazia ricevono un trattamento davvero sontuoso, che non fa quasi rimpiangere (la sto per sparare grossa, e comunque ho detto quasi) lo storico Live At Leeds. Come ulteriore ciliegina abbiamo il suono, davvero spettacolare, al punto che se chiudete gli occhi vi sembrerà di averli nel salotto di casa vostra. Tommy occupa per intero il primo CD, che parte ovviamente con la maestosa Overture, potente e rocciosa come raramente mi è capitato di sentire, e poi troviamo una Amazing Journey da favola, di una forza che le rock band odierne si sognano, fusa insieme ad una delle migliori Sparks di sempre (ma sentite Ringo Jr., un cataclisma), una versione al fulmicotone di Eyesight To The Blind, la relativamente poco nota Christmas, che si dimostra uno splendido concentrato di potenza e melodia, ed una fluida e perfetta Sensation.

Il gruppo è in palla anche nei brevissimi frammenti di raccordo tra i vari brani (It’s A Boy, Do You Think It’s Alright?, There’s A Doctor, Miracle Cure), così come nei pezzi che di solito venivano “tagliati” dalle precedenti versioni live: l’incalzante Cousin Kevin, il vibrante strumentale Underture (qui molto più breve che sul disco originale) e la bella Welcome, una rock ballad coi fiocchi. E naturalmente non mancano i pezzi più noti della rock opera, suonati come se non ci fosse un domani: The Acid Queen, Pinball Wizard, Go To The Mirror!, I’m Free ed il medley finale We’re Not Gonna Take It/See Me, Feel Me. Il secondo dischetto, solo sette canzoni, offre una ridotta selezione di classici che gli Who hanno suonato per concludere la serata, iniziando con due roboanti I Can’t Explain e I Can See For Miles, rock’n’roll all’ennesima potenza, inframmezzate da una fantastica rilettura di Join Together. Who Are You non mi ha mai fatto impazzire (era meglio fare Behind Blue Eyes), Quadrophenia è rappresentata a dovere da Love Reign O’er Me, mentre il gran finale è appannaggio dell’inarrivabile Baba O’Riley e da una potentissima Won’t Get Fooled Again, con la voce di Daltrey che tiene alla grande. Non voglio esagerare, ma questo per me è il disco live dell’anno, ed uno dei migliori in assoluto per gli Who.

Marco Verdi