Un Bellissimo Tributo Ad Uno Dei Più Grandi Chitarristi Del Blues-Rock Britannico. Mick Fleetwood & Friends Celebrate The Music Of Peter Green And The Early Years Of Fleetwood Mac

Mick Fleetwood & Friends Celebrate The Music Of Peter Green And The Early Years Of Fleetwood Mac

Mick Fleetwood & Friends Celebrate The Music Of Peter Green And The Early Years Of Fleetwood Mac – BMG Rights Management 2CD + Blu-ray

Chi mi legge abitualmente sul Blog (e sul Buscadero) sa della mia predilezione assoluta per Peter Green, che considero uno dei dieci più grandi e geniali chitarristi della storia del rock e del blues (anzi forse, ma è un parere personale, nella Top 5, subito dopo Jimi Hendrix e la triade Clapton-Beck-Page, e nel 1970, il suo anno migliore, come mi è capitato di scrivere più volte, di nuovo, forse era stato il migliore in assoluto): se volete verificare usate la funzione “Cerca” nel Blog e troverete parecchi Post dedicati ai Fleetwood Mac e a Peter Green, l’ultimo scritto alla sua morte il 25 luglio del 2020 https://discoclub.myblog.it/2020/07/25/se-ne-e-andato-silenziosamente-nella-notte-peter-green-uno-dei-piu-grandi-chitarristi-del-rock-fondatore-dei-fleetwood-mac/ , e lì troverete ovviamente anche la sua storia, che non ripeto qui per brevità.

Ma nel febbraio del 2020, il giorno 25, proprio pochi giorni prima dello scoppio della pandemia, si è tenuto al Palladium di Londra un concerto celebrativo della sua musica, organizzato dal suo grande amico e compagno di avventura Mick Fleetwood, con la partecipazione di una sorta di parterre de roi (e qualche carneade) di amici ed ammiratori del grande musicista londinese, riuniti per celebrarne l’arte e la musica: il concerto, come poi è stato, dopo vari annunci e rinvii, doveva diventare anche un progetto discografico. All’inizio solo un costoso cofanetto con vinili, CD e Blu-ray, poi per fortuna anche un doppio CD con annesso Blu-ray, che è quello di cui andiamo ad occuparci.

La house band sul palco è eccellente, oltre a Fleetwood alla batteria, ci sono Dave Bronze al basso, Andy Fairweather-Low alla chitarra, un habitué di questi tributi, e Ricky Peterson alle tastiere, aumentati da Zak Starkey (il figlio di Ringo), sempre alla batteria, Rick Vito e Jonny Lang alle chitarre e voci aggiunte. Ma non mancano chitarristi, cantanti e musicisti vari tra gli ospiti chiamati per la serata: diciamo che il cast non è perfetto, ci sono alcuni musicisti poco pertinenti alla sua musica, ma presenti in quanto ammiratori e qualcuno forse un po’ bollito o fuori ruolo, ma il tutto si ascolta con grande piacere e ci sono vari momenti di grande fascino e pathos. Dopo l’introduzione di Fleetwood si parte con una solida Rolling Man affidata al bravo Rick Vito, che ha fatto parte anche lui in passato dei Fleetwood Mac, ben spalleggiato da Jonny Lang, per il classico sound a doppia solista tipico della band, poi tocca a Lang, per una eccellente e tirata Homework. In Doctor Brown sale sul palco Billy Gibbons, che poi rimarrà per tre brani complessivi, con il suono che si fa più sanguigno, anche se la voce è quella che è, seguita dal super classico All Your Love, uno dei classici del Bluesbreakers, e quindi è quasi inevitabile la presenza di John Mayall, ancora in buona voce, mentre le chitarre lavorano di fino.

Dopo l’inizio molto blues si passa alla selvaggia Rattlenake Shake, con Steven Tyler degli Aerosmith, anche alla armonica, e il chitarristi che cominciano a darci dentro di gusto, ma anche Mick Fleetwood rolla alla grande, peccato che il brano duri solo cinque minuti scarsi, di fronte ai tour de force di venti minuti e oltre dell’epoca d’oro di Greeny. A questo punto arriva sul palco un’altra componente storica dei Mac, ovvero Christine McVie, tuttora nella line-up della band, che canta con gran classe Stop Messin’ Around con Tyler ancora all’armonica e una felpata e sentita Looking For Somebody. Di Nuovo Lang per Sandy Mary e Rick Vito, anche alla slide, per una bellissima Love That Burns, mentre il prossimo ospite, forse un po’ imbucato, è Noel Gallagher degli Oasis, che rimane per ben tre brani, e alla fine se la cava in questa parte acustica del concerto, con The World Keep On Turning e Like Crying, poi affiancato da Vito, di nuovo alla slide in No Place To Go.

Il secondo CD si apre con Pete Townshend sul palco che racconta la genesi del brano Station Man scritto da Danny Kirwan per Kiln House, quando Green non era più presente in formazione, ma con un riff che ha chiaramente influenzato quello di Won’t Get Fooled Again degli Who, grande versione tra l’altro. E per uno degli altri classici di PG, ovvero l’elegante Man On The World, ecco arrivare sul palco Neil Finn dei Crowded House (ma di recente anche lui nei Fleetwood Mac).

Tornano poi sul palco Gibbons e Tyler per una poderosa ripresa di Oh Well Part 1, un brano, un riff, un classico, e a seguire nella sognante Part 2 un ispirato David Gilmour che rende omaggio alla tecnica sopraffina di Green, Poi arrivano altri classici a raffica, prima una soave Need Your Love So Bad interpretata con grande feeling da Jonny Lang, e poi una santaniana Black Magic Woman con un ottimo Rick Vito e la band che finalmente si lascia andare in una lunga versione di oltre sette minuti con assoli a ripetizione. Prima del gran finale c’è una sezione dello spettacolo dedicata a Jeremy Spencer, maestro del bottleneck e grande appassionato di Elmore James (ma anche con una grande macchia nel suo passato per le ripetute accuse di pedofilia, confermate in varie cause, ricevute durante il periodo dei Children Of God) che esegue una intima e raffinata The Sky Is Crying, seguita da una galoppante I Can’t Hold Out con Bill Wyman al basso.

Nei bis sale sul palcoscenico anche la chitarra Les Paul del 1959 di Peter Green, nelle mani del suo attuale proprietario, il chitarrista dei Metallica Kirk Hammett, che insieme a Billy Gibbons ci regala una gagliarda e selvaggia The Green Manalishi (With The Two Prong Crown) che viene considerato uno dei primi casi di proto/heavy metal, ma averne di metal così! Il più grande successo dei Fleewood Mac dell’era Green fu lo strumentale Albatross, del quale David Gilmour, seduto alla sua pedal steel, ci regala una versione sublime. Il gran finale, con tutto il cast sul palco, è dedicato ad una debordante Shake Your Money Maker.

E speriamo che questo grande genio della musica che fu Peter Green riposi finalmente riconosciuto da tutti e in pace.

Bruno Conti

Un Box Monumentale, Splendido E Costosissimo, Ma Con Alcune Magagne Non Da Poco. John Mayall – The First Generation 1965-1974

john mayall first generation front

John Mayall – The First Generation 1965-1974 – Madfish/Snapper 35CD Box Set

Verso la fine del 2020 era uscito l’annuncio che la Madfish, etichetta inglese specializzata in cofanetti retrospettivi di gran lusso (ricordo di recente quelli dedicati a Gentle Giant e Wishbone Ash), avrebbe pubblicato all’inizio di quest’anno The First Generation 1965-1974, enorme box di 35 CD che riepiloga i primi dieci anni di carriera (cioè i migliori) del grande John Mayall. Non credo sia il caso di descrivere ancora una volta l’importanza di Mayall nella storia della musica: definito a ragione “The Godfather of British Blues”, oltre ad essere un notevole musicista a 360 gradi (cantante, armonicista, pianista, chitarrista ritmico e songwriter) e ad aver pubblicato più di un album passato giustamente alla storia, è stato anche capace di scovare talenti ospitandoli a suonare sui suoi dischi spesso prima che questi diventassero famosi. I casi più eclatanti sono quelli di Eric Clapton, Peter Green e Mick Taylor ben prima che si facessero un nome rispettivamente con Cream, Fleetwood Mac e Rolling Stones, ma negli anni John ha suonato anche con John McVie (anche lui da lì a poco fondatore dei Fleetwood Mac), Larry Taylor e Harvey Mandel poi nei Canned Heat, il noto batterista Aynsley Dunbar, il chitarrista Jon Mark ed il sassofonista Johnny Almond (che nei seventies avranno un buon successo come duo a nome Mark/Almond) ed anche in breve con Jack Bruce e Mick Fleetwood: per una disamina più dettagliata della discografia ufficiale di John vi rimando però all’ottima retrospettiva di Bruno pubblicata su questo blog nel 2019 https://discoclub.myblog.it/2019/05/20/john-mayall-retrospective-il-grande-padre-bianco-del-blues-parte-i/ e  https://discoclub.myblog.it/2019/05/21/john-mayall-retrospective-il-grande-padre-bianco-del-blues-parte-ii/ .

john mayall first generation box

Sinceramente sono stato combattuto per alcune settimane se acquistare o no questo box, più che altro per il prezzo di 275 sterline (più spedizione ed impostazione) dato che io di Mayall possedevo i lavori più recenti e solo un paio di cose risalenti alla “golden age”. Devo dire però che il sacrificio economico non è stato vano (tra l’altro il box, stampato in 5000 copie, è ancora disponibile su uno dei due canali ufficiali, ma occhio ai vari siti dove viene rivenduto quasi al doppio), in quanto The First Generation 1965-1974 è un manufatto formidabile, un cofanetto importante anche nelle dimensioni, con un bellissimo libro rilegato di 168 pagine pieno di foto, scritti e note, alcuni pezzi di memorabilia e, come ciliegina, una foto autografata dallo stesso Mayall. I CD della sua discografia ufficiale sono stati tutti rimasterizzati e presentati in confezioni simil-LP, in molti casi con bonus tracks aggiunte (non inedite, ma le stesse già presenti in precedenti ristampe), un paio di CD singoli che riportano altrettanti 45 giri di inizio carriera (I’m Your Witchdoctor/Telephone Blues e Lonely Years/Bernard Jenkins) ed il raro EP All My Life registrato con Paul Butterfield, che se non erro è la prima volta che esce su CD come entità a sé stante.

A parte la retrospettiva di Bruno di cui sopra, lasciatemi aggiungere che qui per un neofita c’è da godere assai, in quanto tra i vari album ci sono almeno due capolavori assoluti (il famoso Blues Breakers con Clapton, e A Hard Road con Green) e tanti altri dischi da non meno di quattro stellette (Crusade, Bare Wires, Blues From Laurel Canyon, gli strepitosi live The Turning Point e Jazz Blues Fusion), oltre ai classici “personal favorites” (The Blues Alone, Empty Rooms, Back To The Roots). In questa recensione vorrei soffermarmi principalmente sul materiale inedito del box, che consiste in uno strepitoso doppio CD intitolato BBC Recordings ed in una serie di concerti mai pubblicati prima che occupa i sette dischetti finali. BBC Recordings è, come accennato poc’anzi, un mezzo capolavoro, che chi non ha comprato il box perché già possedeva tutta la discografia ufficiale di Mayall meriterebbe di vedere pubblicato a parte (ma con la Madfish so già che non sarà così).

Si tratta di sessions inedite registrate presso gli studi della mitica emittente britannica dal 1965 al 1968 e messe in onda in programmi popolarissimi come Saturday Club e Top Gear, dove ritroviamo insieme a Mayall parecchi dei nomi citati ad inizio recensione: Clapton, Green, Taylor, Bruce e McVie, oltre ai noti batteristi Colin Allen e Keef Hartley. Due ore complessive di musica, registrata perlopiù in mono, con un suono che varia dal discreto al buono anche se qualche incisione sotto la media c’è. Nel primo CD ci sono ben 13 brani con Clapton alla solista, tra i quali spiccano la vivace Crawling Up A Hill, con un breve ma ficcante assolo di Manolenta, la sinuosa Crocodile Walk, la coinvolgente Bye Bye Bird, con una prestazione maiuscola di Mayall all’armonica, una Hideaway di Freddie King ricca di swing e con Eric che arrota da par suo, il magnifico slow blues Tears In My Eyes, che vede Clapton in modalità “God” https://www.youtube.com/watch?v=kHeJ1lHh2jo , la classica All Your Love di Otis Rush e la pimpante Key To Love. In mezzo abbiamo cinque pezzi con alla chitarra il poco noto Geoff Krivit ma con Jack Bruce al basso: da segnalare l’arrochita Cheatin’ Womanhttps://www.youtube.com/watch?v=qefVuAMu2Eo  una strepitosa Parchman Farm di Mose Allison, con il basso di Bruce come strumento solista, e la jazzata Nowhere To Turn.

Il primo dischetto si chiude così come si apre il secondo, e cioè con Peter Green come axeman (sette brani totali): imperdibili il saltellante country-blues Sitting In The Rain, l’ottimo strumentale Curly (in due diverse versioni), scritto da Green stesso e con le sue dita grandi protagoniste e le splendide Ridin’ On The L And N (Lionel Hampton) e Dust My Blues (Elmore James), entrambe con Greeny alla slide. Le restanti canzoni vedono Mick Taylor alla solista ed in molti casi una sezione fiati a dare più corpo al suono, e qui il meglio lo abbiamo con la suadente e sensuale Worried Love, il potente rock-blues strumentale Snowy Wood, la lenta e raffinata Another Man’s Land, con il sax di Chris Mercer a duettare con la slide di Mick, il blues-jazz Knockers Step Forward, che vede il futuro Rolling Stone rilasciare un assolo sensazionale e la roboante Long Gone Midnight, con la chitarra in modalità wah-wah.

Infine veniamo alle dolenti note del box (le magagne del titolo), che riguardano gli ultimi sette dischetti riportanti altrettanti concerti dal vivo, o parti di essi (nel dettaglio: Bromley Technical College 1967, Live 1967, registrato in varie locations, 7th National Jazz & Blues Festival 1967, Gothenburg 1968, Berlin 1969, Bremen 1969 e Fillmore West 1970). Tutti show reputati di altissimo profilo…peccato che si faccia una fatica boia ad ascoltarli! Sì perché, in nome del caro vecchio “valore storico”, il box ci propina una serie di CD registrati letteralmente coi piedi (per non dire di peggio), un suono da bootleg di bassissima qualità che rende praticamente impossibile quando non fastidioso l’ascolto, e siccome non stiamo parlando di album di dubbia legalità tratti da concerti radiofonici ma di un cofanetto che viene fatto strapagare, mi sento anche un po’ preso per il culo (possibile che negli archivi non ci fosse qualcosa di inciso meglio?).

In tutta onestà devo dire che questo discorso si applica sicuramente per i primi cinque CD (quello di Gothenburg all’inizio mi aveva dato qualche speranza, peccato però che la voce non si senta quasi per niente), mentre quelli di Brema e Fillmore West sono incisi in maniera più che accettabile, e quindi sono gli unici che sono riuscito ad ascoltare senza farmi venire la voglia di gettare il CD dalla finestra, apprezzando una stratosferica Parchman Farm di 14 minuti dallo show tedesco e, da quello di San Francisco, i 21 minuti totali della lenta e cadenzata What’s The Matter With You e del puro blues Travelling Man. Un cofanetto che, a parte la macchia indelebile di gran parte dei contenuti inediti che anche se restavano tali era meglio, contiene una bella fetta di storia del blues, anche se il tutto viene fatto pagare a carissimo prezzo.

Marco Verdi

Forse Non E’ Un Box Indispensabile, Ma Il Contenuto Musicale E’ Bellissimo! Fleetwood Mac – Live

fleetwood mac live box

Fleetwood Mac – Live – Warner 3CD/2LP/45rpm Box Set

Pensavo che i cofanetti Super Deluxe dedicati agli album dei Fleewood Mac nella loro “golden age” (1975-1987) fossero terminati dopo il recupero dell’omonimo Fleetwood Mac del 1975, che aveva seguito i vari Rumours, Tusk, Mirage e Tango In The Night: reputavo dunque che la Warner avesse deciso di fare a meno di riproporre il loro doppio dal vivo del 1980, intitolato semplicemente Live (o Fleetwood Mac Live come dice qualcuno), dal momento che tra il materiale bonus pubblicato nei vari box c’era sempre almeno un CD inedito dal vivo a parte Tango In The Night (ma semplicemente a causa del fatto che Lindsey Buckingham aveva lasciato la band prima dell’inizio del tour). Invece non è stato così, e quindi eccomi a parlare del nuovo box dedicato proprio al famoso doppio live del gruppo anglo-americano, un album che, anche se uscito nel 1980, faceva parte della gloriosa stagione dei grandi dischi dal vivo degli anni 70: il box si presenta esattamente con lo stesso concept dei precedenti, con la solita formula antipatica che accoppia i CD al vinile (in questo caso due vinili), una ripetizione inutile che serve solo a far lievitare oltremodo il prezzo (*NDB specie se avete già il doppio CD, che si trova ancora in giro a meno di 15 euro).

Il disco originale, che presentava canzoni tratte da varie date del Tusk Tour del 1979-80 (ma pure qualcosa dalla tournée di Rumours del 1977 ed anche un pezzo del 1975), occupa i primi due dischetti, mentre il terzo CD offre altre 15 performance totalmente inedite nuovamente prese da concerti americani ed europei del 1977, 1979, 1980 e perfino tre titoli dal Mirage Tour del 1982. Sul contenuto musicale niente da dire: i Mac sono stati spesso bistrattati dalla critica a causa del loro successo planetario e per il fatto di fare un pop-rock di stampo californiano decisamente commerciale, ma c’è pop e pop, e quello di Buckingham e soci era quanto di meglio si potesse trovare in giro all’epoca. Ed erano una grande band anche dal vivo, come confermano le tracce di questo box. Il disco originale, rimasterizzato alla grande, presenta una bella serie di hits e classici come Monday Morning, Say You Love Me, Dreams, Sara, Never Going Back Again, Landslide (all’epoca un pezzo poco noto di Stevie Nicks, ma negli anni è diventata un evergreen), Rhiannon, Go Your Own Way e la signature song di Christine McVie Don’t Stop, ormai quasi un inno. C’è anche una manciata di canzoni meno note ma non per questo meno belle (Over & Over, l’irresistibile Not That Funny, Over My Head) ed un notevole ripescaggio del periodo blues del gruppo con una notevole Oh Well di Peter Green: Buckingham non è Greeny, ma è comunque un chitarrista della Madonna e lo dimostra anche in I’m So Afraid, da sempre il “suo” momento nei concerti dei Mac, una buona rock song che diventa straordinaria grazie al lungo e strepitoso assolo finale di Lindsey.

Live conteneva anche un pezzo dal raro LP Buckingham Nicks (Don’t Let Me Down Again, quasi un southern boogie) e tre brani nuovi suonati nel backstage a beneficio della crew: la squisita Fireflies, pop-rock gioioso e solare della Nicks che non avrebbe sfigurato nel suo esordio solista Bella Donna pubblicato l’anno seguente, la delicata e suadente ballata della McVie One More Night ed un bell’omaggio ai Beach Boys con la poco nota The Farmer’s Daughter (tratta da Surfin’ USA, secondo album della band dei fratelli Wilson, 1963), eseguita con una splendida armonia a tre voci. Il terzo CD, quello inedito, intelligentemente non contiene brani ripetuti rispetto ai primi due, ma sono comunque presenti trascinanti versioni di pezzi famosi (Second Hand News, The Chain, Think About Me, Gold Dust Woman, Hold Me, Tusk, You Make Loving Fun) e di altri meno celebrati come l’incalzante What Makes You Think You’re The One, la raffinata Brown Eyes, puro pop a-la-McVie, il rock’n’roll in salsa pop Angel, la coinvolgente Sisters Of The Moon (che voce la Nicks), la pianistica e toccante Songbird e la rara Blue Letter, bella e coinvolgente. Ed inoltre una maestosa rilettura di un altro classico degli anni blues, The Green Manalishi, con un’altra prestazione maiuscola di Buckingham. Dulcis in fundo, il box contiene anche un 45 giri in vinile con le demo versions inedite di Fireflies e One More Night, reperibili solo su questo singolo.

A questo punto l’unico album di questa lineup dei Fleetwood Mac a non aver ancora beneficiato del trattamento deluxe è l’altro live del 1997 The Dance (dato che da Say You Will del 2003 mancava la McVie), ma sinceramente non so se la cosa rientri nei piani futuri del gruppo.

Marco Verdi

Prima O Poi Era Giusto Recuperare Anche Questo Periodo. Fleetwood Mac – 1969 To 1974

fleetwood mac 1969-1974

Fleetwood Mac – 1969 To 1974 – Reprise/Warner 8CD Box Set

Se chiedete ad un campione di fans dei Fleetwood Mac quale sia la loro versione preferita del gruppo penso che la maggior parte sceglierà quella del periodo “californiano” dal 1975 al 1987, mentre i puristi opteranno per il primi anni in cui i nostri erano una blues band al 100% britannica guidata da Peter Green, ma penso che ben pochi indicheranno i cosiddetti “anni di mezzo”, cioè la prima metà degli anni settanta (i novanta, con Rick Vito e Billy Burnette prima e Dave Mason e Bekka Bramlett poi, non li prendo neanche in considerazione). Eppure sarebbe secondo me sbagliato accantonare il quinquennio che va dal 1970 al 1974 come un lungo incidente di percorso, in quanto quegli anni hanno testimoniato la lenta metamorfosi dei nostri da gruppo ancora legato a stilemi di matrice blues ad esponente di un elegante soft rock di stampo West Coast, con una serie di dischi interessanti pur senza capolavori (ma nemmeno album brutti) ed una certa unitarietà nonostante i continui cambi di formazione.

La Warner ha avuto l’ottima idea di riunire i lavori sopracitati in un pratico cofanetto chiamato semplicemente 1969 To 1974 (fra poco farò una considerazione sul titolo), otto CD rimasterizzati ad arte e con diverse bonus tracks anche inedite, e soprattutto sull’ultimo dischetto un concerto radiofonico mai sentito prima, il tutto ad un costo molto interessante (attorno ai 40-45 euro). Dicevo del titolo, che riflette una (piacevole) bizzarria del box: infatti il primo CD incluso è il mitico Then Play On del 1969, un vero capolavoro che però è ancora legato alla prima fase del gruppo essendo l’ultimo lavoro con Green alla leadership, e che pur essendo un grandissimo album in cui la base blues dei Mac incontra la psichedelia, c’entra poco nel contesto del cofanetto (sarebbe stato sufficiente partire dal 1970); la cosa ha ancora meno senso in quanto Then Play On è uscito di nuovo più o meno in contemporanea per festeggiare i 50 anni, e qui nel box è presente con le stesse bonus tracks della ristampa “singola”, che tra l’altro ricalca per filo e per segno quella uscita nel 2013, alla recensione della quale vi rimando https://discoclub.myblog.it/2013/08/10/torna-uno-dei-dischi-storici-del-rock-anni-70-fleetwood-mac/

Scelte incomprensibili a parte (Then Play On è comunque sempre un bel sentire), il “vero” cofanetto inizia con Kiln House del 1970, con il gruppo ridotto a quartetto (Mick Fleetwood, John McVie, Danny Kirwan e Jeremy Spencer, il quale era rientrato nel gruppo dopo aver “saltato” Then Play On) ma con la partecipazione in un paio di pezzi di tale Christine Perfect, ex Chicken Shack che diventerà famosissima di lì a pochissimo come Christine McVie dopo aver sposato il bassista del gruppo (ma qui viene accreditata solo come autrice del disegno di copertina). La leadership è quindi nelle mani di Kirwan e Spencer, e l’album ha una piacevole connotazione pop-rock con alcuni brani addirittura in stile anni cinquanta, come la deliziosa This Is The Rock, tra Elvis e musica doo-wop, o lo slow “mattonella style” Blood On The Floor, il rock’n’roll ruspante di Hi Ho Silver, con Spencer ottimo alla slide, e l’omaggio a Buddy Holly (non solo nel testo) di Buddy’s Song; non male anche la countreggiante One Together e la mossa e coinvolgente Tell Me All The Things You Do, suonata alla grande. Le bonus tracks comprendono le versioni a 45 giri di Jewel Eyed Judy e Station Man e l’unico “non-album single” del periodo, formato dalla corale e californiana Dragonfly e dalla bella rock song dal sapore sudista Purple Dancer.

Il 1971 vede l’ingresso ufficiale della McVie nella lineup del gruppo ma anche l’uscita definitiva di Spencer, sostituito dall’americano Bob Welch che si dimostrerà un valido autore e chitarrista. Future Games è un buon disco, che però come tutti gli altri contenuti in questo box ha vendite deludenti: i brani migliori per il momento escono ancora dalla penna di Kirwan, come il sognante folk-rock alla David Crosby Woman Of 1000 Years, la sinuosa e fluida Sands Of Time o la solare e pianistica Sometimes, davvero gradevole. Christine scrive e canta due pezzi, Morning Rain e Show Me A Smile, che rivelano il suo stile pop-rock raffinato che negli anni arriveremo a conoscere benissimo. Interessanti le bonus tracks (a parte la single version di Sands Of Time), tutte inedite: tre riletture alternate di Sometimes, Lay It All Down e Show Me A Smile, la take completa e non sfumata di What A Shame e soprattutto Stone, una delicata folk song di Welch per sola voce e due chitarre acustiche, mai sentita prima.

Caso più unico che raro, i Mac restano nella medesima formazione anche per il seguente Bare Trees (1972), altro piacevole lavoro che si apre con il trascinante rock’n’roll di Child Of Mine di Kirwan, dal sapore westcoastiano, e che contiene piccole gemme come il soft rock alla Chicago The Ghost, la decisa Homeward Bound, che svela il lato rock della McVie (mentre il suo lato balladeer è rappresentato splendidamente da Spare Me A Little Of Your Love, un brano al livello di quelli che pubblicherà dal 1975 in poi), la bella e raffinata Sentimental Lady, una delle canzoni migliori di Welch e la deliziosa pop song Dust, ultima testimonianza di Kirwan all’interno della band. Tre le bonus tracks: oltre alla versione a 45 giri di Sentimental Lady abbiamo la rara e “petergreeniana” Trinity ed una solida Homeward Bound registrata dal vivo.

Nel 1973 esce Penguin ed i Mac sono addirittura in sei: lascia Kirwan ma subentrano il chitarrista Bob Weston e, dai Savoy Brown, il vocalist Dave Walker che rimarrà pochissimo in seno al gruppo. Penguin è un disco meno brillante dei precedenti ma non disprezzabile, che inizia però splendidamente con la squisita Remember Me, un’accattivante pop song come solo Christine McVie sa scrivere (e la bionda cantante/pianista dimostra di essere in ottima forma anche con la saltellante Dissatisfied). Altri pezzi degni di nota sono la countreggiante The Derelict, il rock etnico alla Santana Revelation (grande Welch alla sei corde), la solare e caraibica Did You Ever Love Me ed il fluido pop-rock psichedelico Night Watch, mentre la cover di (I’m A) Road Runner di Junior Walker non è il massimo. Stranamente questo è l’unico dischetto del box senza bonus tracks.

Nello stesso anno di Penguin i FM sono ancora tra noi con Mystery To Me, un disco migliore del precedente nonostante la copertina orribile. Walker se ne è già andato ed i nostri sono nuovamente in cinque, con Welch che assume il ruolo di leader con sette brani su dodici a sua firma (ma Keep On Going, che è quasi discomusic ante litteram, è cantata dalla McVie), tra le quali spiccano la sontuosa rock song d’apertura Emerald Eyes, l’elegante Hypnotized, puro pop di squisita fattura, il grintoso rock-blues con slide e wah-wah The City e la cavalcata elettrica di Miles Away. Quattro pezzi portano la firma di Christine: ottime il pop’n’roll Believe Me e la deliziosa ed orecchiabile Just Crazy Love; c’è anche una discreta cover di For Your Love, un brano di Graham Gouldman reso popolare dagli Yardbirds, canzone presente anche in una rara versione in mono come prima delle due bonus tracks, seguita dall’inedita ed energica Good Things (Come To Those Who Wait) di Welch.

E veniamo all’ultimo album di studio del periodo, ovvero Heroes Are Hard To Find del 1974 (con una copertina che oggi verrebbe censurata), con la band ridotta a quartetto a causa della partenza di Weston. Un disco nel quale la McVie conferma il suo sopraffino gusto pop con il solido ma fruibile errebi che intitola il lavoro, la magnifica ballata pianistica Come A Little Bit Closer, con bella orchestrazione e la steel guitar di Sneaky Pete Kleinow, e con le vibranti ed intense Bad Loser e Prove Your Love. Welch dal canto suo dà il meglio si sé nella robusta e pressante Angel, tra rock, jazz e tentazioni jam, la bizzarra Bermuda Triangle che fonde blues, pop e flamenco, la diretta ed immediata She’s Changing Me, californiana al 100%, ed il gustoso funkettone Born Enchanter, Trascurabile l’unica traccia bonus, la single version della title track.

Dulcis in fundo, ecco l’album dal vivo inedito: Live From The Record Plant è un concerto registrato in studio per una trasmissione radiofonica (quindi senza pubblico) dalla stessa formazione di Heroes Are Hard To Find, il 15 dicembre del 1974, ed è quindi una delle ultimissime apparizioni di Welch con i Mac a pochi mesi dall’ingresso di Lindsey Buckingham e Stevie Nicks che cambierà per sempre (in meglio) le sorti del gruppo. Il suono è splendido, e Welch lascia un ottimo ricordo con una prestazione splendida: nella setlist non mancano i pezzi migliori tratti da Kiln House in poi (Spare Me A Little Of Your Love, Sentimental Lady, Future Games, Hypnotized) ed alcune scelte dagli ultimi due lavori (Angel, Bermuda Triangle, Believe Me, Why), tutto ad un livello più alto delle controparti in studio. Ma le canzoni che valgono da sole il CD (e buona parte del cofanetto) sono tre fantastiche rivisitazioni di brani di Peter Green (The Green Manalishi, Rattlesnake Shake ed un irresistibile medley Black Magic Woman/Oh Well), in cui Welch fa di tutto per non far rimpiangere il grande chitarrista britannico e non va molto lontano dall’eguagliarne la bravura.

Se siete dei fans dei Fleetwood Mac inglesi o californiani che siano ma non conoscete la loro fase post-blues (o pre-successo planetario), questo box è da tenere assolutamente in considerazione. Anche per il prezzo, una volta tanto abbordabile.

Marco Verdi

Al 4 Settembre Esce Un Altro Cofanetto, Sui Loro “Anni Di Mezzo”: Fleetwood Mac 1969 to1974

fleetwood mac 1969-1974

Fleetwood Mac – 1969 to 1974 – 8 CD Reprise/Rhino – 04-09-2020

Sembra che l’uscita di nuovi box abbia ripreso vigore, dopo quelli di McCartney e Cat Stevens usciti in questi giorni, ne sono previsti parecchi altri, dai Rolling Stones di Goats Head Soup di cui vi ho parlato (e dei quali al 25/9 è prevista un’altra uscita, a breve sul Blog), ecco che anche per i Fleetwood Mac c’è questo soprassalto di attività: oltre alla ristampa di Then On Play On, di cui vi ho parlato all’interno dell’articolo commemorativo dedicato alla scomparsa di Peter Green https://discoclub.myblog.it/2020/07/25/se-ne-e-andato-silenziosamente-nella-notte-peter-green-uno-dei-piu-grandi-chitarristi-del-rock-fondatore-dei-fleetwood-mac/ ), la Reprise/Rhino, sempre del gruppo Warner, ne pubblica uno sugli anni, chiamiamoli di mezzo della band, del passaggio da essere un gruppo inglese a diventare una band “americana”.

Curiosamente all’interno di questo cofanetto, di cui vi parlo fra un attimo, è contenuta anche l’ennesima ristampa di Then Play On. Però visto che parliamo degli anni dal 1969 al 1974, e questo album sta giustamente venendo rivalutato come uno dei migliori appunto del 1969, in un certo senso ci sta. Oltre a tutto ha pari pari le stesse quattro bonus tracks che avrà la ristampa della BMG Rights Management in uscita al 18 settembre, che sono poi le stesse della edizione Rhino del 2013. Gli altri album contenuti nel box illustrano i vari cambiamenti di organico dei Fleetwood Mac: in Kiln House del 1970, uno degli ultimi a venire registrato nel Regno Unito, ai De Lane Lea Studios di Londra.

La formazione è quella di Then Play On, senza Green: ovvero Danny Kirwan, voce e chitarra solista (da rivalutare anche lui) che divide la leadership del gruppo con Jeremy Spencer (che a breve abbandonerà pure lui, per unirsi alla setta religiosa dei Children Of God nel febbraio 1971, e in seguito brutte storie di pedopornografia), naturalmente Mick Fleetwood alla batteria e John McVie al basso, che si era appena sposato con Christine Perfect, diventando Christine McVie (altro che Dynasty, come dimostrerano le future vicende della band quando arriveranno anche Buckingham e Nicks), la quale, pur non essendo ancora un membro ufficiale, disegna la copertina del disco, oltre a suonare le tastiere, non essendo neppure accreditata nelle note. Disco buono, ma non eccelso, comunque non mi dilungo troppo, visto che ne parleremo più diffusamente, dopo l’uscita della ristampa, prevista per il 4 settembre.

Nell’estate del 1971, ancora a Londra, viene registrato il nuovo album Future Games, che oltre a sancire l’entrata ufficiale di Christine McVie nella formazione, che scrive e compone due delle canzoni, segnala l’arrivo del chitarrista americano Bob Welch, e la trasformazione dello stile in quel (brillante) soft-rock californiano con il quale verranno identificati da allora in avanti. A marzo del 1972, esce velocemente Bare Trees, ancora inciso in quel di Londra, formazione sempre a due chitarre, con Welch e Danny Kirwan, che appare per l’ultima volta in un LP del gruppo: va detto che entrambi gli album sono buoni (a me personalmente sono sempre piaciuti, grazie ad alcuni lampi del vecchio splendore, e in Bare Trees c’è Sentimental Lady, che è una bellissima canzone), anche se con Green era ovviamente un’altra cosa. Successo scarso per entrambi anche se nel corso degli anni arriveranno a vendere rispettivamente 500.000 e 1 milione di copie.

Dopo l’uscita di Kirwan l’anno dopo, ancora in Inghilterra, aggiungono alla seconda chitarra Bob Weston, e come nuovo cantante, solo in questo album e per due canzoni, Dave Walker, dei “rivali” Savoy Brown, entrambi inglesi; il nuovo disco Penguin, più energico e rock, entra nei primi 50 delle classifiche americane (va beh, 49°). E anche il LP dell’anno successivo, Mystery To Me, ha diciamo un “moderato” successo, sempre registrato nel Regno Unito al Rolling Stones Mobile Studio, ma ancora con il nuovo suono americano, è l’ultimo con Bob Weston in formazione.

Welch scrive sempre delle belle canzoni (Hypnotized nel disco del 1973), suona la chitarra alla grande, ma il successo non arriva, per cui si trasferiscono negli States, per registrare il loro primo vero album californiano: registrato a Los Angeles Heroes Are Hard To Find, esce nel settembre del 1974, per la prima volta entra nei Top 40 delle classiche USA, e quindi giustamente dopo questo album Bob Welch, alla fine del successivo tour abbandona i Fleetwood Mac, dove nel 1975 verrà sostituito da Lindsey BuckinghamStevie Nicks, all’epoca coppia di scarso successo musicale, ma evidentemente stava per arrivare il loro momento:però questa è un’altra storia, già raccontata più volte.

La chicca del box (oltre al fatto che tutti gli album contengono alcune bonus tracks, a parte Penguin), è la presenza di un concerto dal vivo registrato a fine 1974 ai Record Plant di Sausalito, California, per venire trasmesso in radio, quindi un Live in Studio, dove ancora una volta si apprezza la bravura di Welch, alle prese anche con alcuni pezzi dell’era Peter Green, e la voce soave di Christine McVie, una delle più belle voci femminili di sempre.

A seguire ecco il contenuto completo del cofanetto che, indicativamente, costerà circa una cinquantina di euro, forse meno, al momento dell’uscita di inizio settembre (salvo eventuali spostamenti di data, che in questo turbulento e difficile periodo, non sono da escludere).

[CD1: Then Play On (1969)]
1. Coming Your Way
2. Closing My Eyes
3. Show-Biz Blues
4. My Dream
5. Underway
6. Oh Well
7. Although The Sun Is Shining
8. Rattlesnake Shake
9. Searching For Madge
10. Fighting For Madge
11. When You Say
12. Like Crying
13. Before The Beginning
Bonus Tracks:
14. Oh Well Pts I & II
15. The Green Manalishi (With The Two Prong Crown)
16. World In Harmony

[CD2: Kiln House (1970)]
1. This Is The Rock
2. Station Man
3. Blood On The Floor
4. Hi Ho Silver
5. Jewel Eyed Judy
6. Buddy’s Song
7. Earl Gray
8. One Together
9. Tell Me All The Things You Do
10. Mission Bell
Bonus Tracks:
11. Dragonfly
12. Purple Dancer
13. Jewel Eyed Judy (Single Version)
14. Station Man (Single Version)

[CD3: Future Games (1971)]
1. Woman Of 1000 Years
2. Morning Rain
3. What A Shame
4. Future Games
5. Sands Of Time
6. Sometimes
7. Lay It All Down
8. Show Me A Smile
Bonus Tracks:
9. Sands Of Time (Single Version)
10. Sometimes (Alt. Version)
11. Lay It All Down (Alt. Version)
12. Stone
13. Show Me A Smile (Alt. Version)
14. What A Shame (Unedited)

[CD4: Bare Trees (1972)]
1. Child Of Mine
2. The Ghost
3. Homeward Bound
4. Sunny Side Of Heaven
5. Bare Trees
6. Sentimental Lady
7. Danny’s Chant
8. Spare Me A Little Of Your Love
9. Dust
10. Thoughts On A Grey Day
Bonus Tracks:
11. Trinity
12. Sentimental Lady (Single Version)

[CD5: Penguin (1973)]
1. Remember Me
2. Bright Fire
3. Dissatisfied
4. (I’m A) Road Runner
5. The Derelict
6. Revelation
7. Did You Ever Love Me
8. Night Watch
9. Caught In The Rain

[CD6: Mystery To Me (1973)]
1. Emerald Eyes
2. Believe Me
3. Just Crazy Love
4. Hypnotized
5. Forever
6. Keep On Going
7. The City
8. Miles Away
9. Somebody
10. The Way I Feel
11. For Your Love
12. Why
Bonus Tracks:
13. For Your Love (Mono Promo Edit)
14. Good Things (Come To Those Who Wait)

[CD7: Heroes Are Hard To Find (1974)]
1. Heroes Are Hard To Find
2. Coming Home
3. Angel
4. Bermuda Triangle
5. Come A Little Bit Closer
6. She’s Changing Me
7. Bad Loser
8. Silver Heels
9. Prove Your Love
10. Born Enchanter
11. Safe Harbour
Bonus Track:
12. Heroes Are Hard To Find (Single Version)

[CD8: Live From The Record Plant 12-15-74]
1. Green Manalishi (With The Two Prong Crown)
2. Angel
3. Spare Me A Little Of Your Love
4. Sentimental Lady
5. Future Games
6. Bermuda Triangle
7. Why
8. Believe Me
9. Black Magic Woman/Oh Well
10. Rattlesnake Shake
11. Hypnotized

Alla prossima.

Bruno Conti

Se Ne E’ Andato Silenziosamente Nella Notte Anche Peter Green, Uno Dei Più Grandi Chitarristi Della Storia Del Rock, Fondatore Dei Fleetwood Mac

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Si è spento pacificamente nel sonno questa notte, all’età di 73 anni Peter Green: è stato annunciato poco fa dai rappresentanti della famiglia.

Chi mi legge su questo Blog, e anche sul Buscadero, sa che considero Peter Green uno dei più grandi chitarristi della storia del rock (e del blues), fondatore dei Fleetwood Mac e poi con una travagliatissima vita che non gli ha permesso di essere riconosciuto per i suoi meriti, ma che tra il 1966 e il 1971 è stato uno dei più grandi nella scena musicale britannica: una stagione breve, intensa e ricca di musica spesso sublime, suonata con un gusto e un tocco unico e sopraffino, tanto che da B.B. King ai colleghi Clapton, Page e Carlos Santana, passando per Gary Moore e tantissimi altri colleghi, è stato considerato uno dei migliori solisti della chitarra elettrica, tanto che ancora nel 1996 la rivista Mojo lo ha inserito al 3° posto nella classifica dei più Grandi Chitarristi di Tutti I Tempi, e anche in quella di Rolling Stone ha figurato sempre benissimo.

Ho scritto moltissime volte di lui su queste pagine e quindi vado a recuperare parte di alcuni dei miei articoli e recensioni. L’ultima volta era stato ad inizio anno per la ristampa di End Of The Game, il suo canto del cigno, uscito nel 1970.

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Peter Green – The End Of The Game, 50th Anniversary Remastered & Expanded CD Edition – Esoteric – 21-02-2020

Anno nuovo, vita vecchia, riprendiamo con la rubrica destinata alle prossime uscite, soprattutto ristampe, più interessanti. E partiamo con un album che è tra i miei preferiti in assoluto tra i dischi di culto, The End Of The Game di Peter Green, curiosamente mai rimasterizzato prima d’ora per l’edizione in CD, visto che aveva circolato solo in una rara e costosa edizione giapponese (che è quella che tuttora posseggo) e in una versione Warner/Reprise europea che non ho mai capito quanto fosse legittima. Nel Blog ne ho parlato varie volte, sia all’interno di articoli e recensioni inerenti i Fleetwood Mac.

Ecco quello che avevo scritto e confermo.

Sei brani strumentali, poco più di 33 minuti, che si aprono con il festival del wah-wah della iniziale magnifica Bottoms Up, con Alex Dmochowski e Godfrey MacLean che sostengono in modo splendido le scale free form della chitarra di un Peter Green quasi trasfigurato nelle sue improvvisazioni sperimentali e jazzate, poi il basso assume un suono ancora più rotondo, entra un liquido piano elettrico e il lavoro della chitarra si fa ancora più intricato, insomma dovreste ascoltare per capire di cosa parliamo. Timeless Time è un breve brano, poco più di due minuti, lirico, intimo e malinconico più vicino al “solito” Green, mentre Descending Scale è più ascendente che discendente, lavoro frenetico della ritmica, piano e organo di Zoot Money in primo piano, fino all’ingresso perentorio e devastante della chitarra quasi rabbiosa di Peter, tra esplosioni e momenti di quiete, in un brano certo di non facile ascolto, ma siamo nell’anno di Bitches Brew di Miles Davis, la musica ha questa libertà assoluta.

Burnt Foot con la batteria dappertutto ha tocchi quasi tribali e il solito spirito di impronta jazz-rock, genere allora nascente, con spasmi ritmici devastanti, che poi virano di nuovo verso la psichedelia con il suono quasi deadiano e liquido delle improvvisazioni live di Jerry Garcia con la sua band, in un brano come Hidden Depth dove il wah-wah è ancora protagonista assoluto. La conclusiva End Of The Game, tra dissonanze e cacofonie sonore, esplora quasi i limiti dell’uso del wah-wah in un ambito che sembra avere poche parentele con il rock. Fine Del Gioco!

Tracklist
1. Bottoms Up
2. Timeless Time
3. Descending Scale
4. Burnt Foot
5. Hidden Depth
6. The End Of The Game
Bonus Tracks:
7. Heavy Heart
8. No Way Out
(A & B-Sides Of Single – Previously Unreleased On CD)
9. Beasts Of Burden
10. Uganda Woman
(A & B-Sides Of Single – Previously Unreleased On CD)

Aggiungerei che nella nuova versione che verrà pubblicata dalla Esoteric il prossimo 21 febbraio sono state aggiunte 4 bonus tracks, ovvero lato A e B di due 45 giri pubblicati rispettivamente nel 1971 e 1972: Heavy Heart’ b/w ‘No Way Out, che vide anche una rara apparizione televisiva di Peter Green a Top Of The Pops, e l’anno successivo una collaborazione con Nigel Watson Beasts of Burden’ b/w ‘Uganda Woman, il secondo singolo proveniente da sessions differenti da quelle di The End Of The Game. Nel libretto del CD ci sarà un libretto che narra la genesi dell’album e una intervista con Zoot Money, il tastierista che nel disco si alternava all’organista Nick Buck, futuro Hot Tuna. Nelle Note di presentazione del CD si parla anche di un prossimo concerto, già esaurito “Mick Fleetwood & Friends Celebrate The Music Of Peter Green at London Palladium in London on Tue 25th Feb 2020″ per ricordare il grande musicista inglese (che è comunque ancora vivo, per quanto malandato).al quale parteciperanno Billy Gibbons, David Gilmour, Jonny Lang, Andy Fairweather Low, John Mayall, Christine McVie, Zak Starkey, Steven Tyler, Bill Wyman e altri da confermare, oltre ovviamente a Mick Fleetwood, Dave Bronze RickyPeterson. Ecco la locandina dell’evento.

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Al 18 di settembre 2020 uscirà (di nuovo), anche la ristampa del miglior album della discografia dei Fleetwood Mac Then Play On, in una edizione praticamente quasi identica a quella pubblicata dalla Rhino nel 2013, che vi ripropongo a seguire, con anche delle citazioni dei dischi dal vivo usciti sempre in quel periodo.

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Fleetwood Mac – Then Play On (Extended edition) – Rhino 20-08-2013

Moltissimi conoscono i Fleetwood Mac di Rumours, in tanti conoscono i Fleetwood Mac blues di Peter Green, almeno per sentito dire, ma non altrettanti conoscono questa incarnazione, diciamo più rock, del gruppo, quella con la doppia chitarra solista, grazie all’ingresso di Danny Kirwan, avvenuto durante le registrazioni del disco nel 1969. A volere proprio essere pignoli il disco uscì per la Reprise il 19 settembre del 1969 e quindi il titolo del Post sembrerebbe un po’ tirato per le orecchie. Ma se London Calling dei Clash, uscito nel Regno Unito il 14 Dicembre del ’79 e poi pubblicato negli Stati Uniti ad inizio gennaio ’80, è stato proclamato dalla rivista Rolling Stone il miglior disco appunto degli anni ’80, possiamo considerare Then Play On a tutti gli effetti un disco degli anni ’70! Anche per il tipo di suono che fondeva blues, progressive rock e psichedelia con la voce tipica di Peter Green e con un suono chitarristico decisamente più virtuosistico rispetto al passato e le due chitarre soliste che anticipavano almeno di un anno il sound ricco di improvvisazione degli Allman Brothers,  unito con quello di altri gruppi di derivazione acida e psichedelica con due twin lead guitars come ad esempio i Quickislver di Cipollina e Duncan, che nel marzo ’69 avevano pubblicato il loro capolavoro Happy Trails.

Tornando ai Fleetwood Mac, in quegli anni (ed ancora oggi) avevano una formidabile sezione ritmica, John McVie e Mick Fleetwood, che dava il nome alla band ed è stata una delle più grandi della storia del rock, nelle varie incarnazioni del gruppo. Il disco fu il primo ad uscire con la Reprise, dopo lunghi anni passati alla Blue Horizon e venne pubblicato in edizioni diverse per l’Inghilterra e per gli Stati Uniti (addirittura due), con una durata inconsueta per i tempi, quasi 54 minuti, e molti brani che iniziavano e finivano con un fade-in o un fade-out, probabile conseguenza di lunghe jam da cui erano state ricavate (e che se fosse disponibile ancora, ma non credo, sarebbe possibile ascoltare sul notevole CD doppio The Vaudeville Years che ne raccoglieva moltissime), Comunque parlando anche per immagini, era questo:

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Uscito per l’etichetta Receiver in CD nel 1998 conteneva, oltre alle citate fantastiche jam, anche alcuni brani a guida Jeremy Spencer, quindi decisamente più blues e R&R, che avrebbero dovuto essere inseriti in un EP, The Milton Schlitz Show, da pubblicarsi insieme al disco originale. Per vari motivi non se ne fece nulla e la presenza di Spencer nel LP è limitata a brevi tocchi di piano qui è là. Ovviamente il gruppo si recò ad inizio anni ’70 negli Stati Uniti per promuovere l’album e i tre concerti, tenuti tra il 5 e il 7 febbraio 1970 al Boston Tea Party, vennero per fortuna registrati per un album dal vivo che avrebbe potuto essere leggendario, al pari del citato Happy Trails e del Live At Fillmore degli Allman Brothers che sarebbe uscito l’anno successivo.

Peter Green in quei mesi suonava la chitarra in modo magnifico ed ispirato (come sempre peraltro, uno dei miei Top 5 di tutti i tempi) ed in più aveva aggiunto una grinta ed un volume inusitati per lui, che uniti allo sprone che gli forniva l’eccellente seconda chitarra solista di Danny Kirwan, lo rendeva, in quel momento e in quell’anno 1970, probabilmente il più grande chitarrista rock sulla faccia del pianeta, meglio anche di Clapton, Hendrix, Page e Beck, per un breve periodo, purtroppo non destinato a durare, per le note vicissitudini che lo avrebbero interessato da lì a poco. Dico questo perché esistono le prove di tutto ciò, e sono contenute qui:

fleetwood mac live in boston box.jpgfleetwood mac live in boston volume one.jpg

fleetwood mac live in boston volume two.jpgfleetwood mac live in boston volume three.jpg

Usciti prima in vinile come Bootleg negli anni ’70, poi ancora come doppio LP Cerulean ed infine come CD Live In Boston, i tre CD contengono il meglio delle tre serate tenute in quel di Boston, con delle versioni “spaziali” dei classici della band, tra i quali molti di quelli contenuti in Then Play On, in particolare due versioni pantagrueliche di Rattlesnake Shake, entrambe intorno ai 25 minuti, che sono tra le jam improvvisative di rock-blues e psichedelia più incredibili mai ascoltate. Potete verificare qui sotto:

La versione tripla in Box, uscita in edizione limitata e numerata di 10.000 copie, circola a cifre esagerate, ma i volumi Uno e Due, che sono i più interessanti, si trovano ancora sciolti a prezzi decisamente abbordabili. Le chitarre ululano e strepitano, si incrociano e si scambiano fendenti nella miglior tradizione del rock, ma sono anche in grado di regalare momenti di pura poesia sonora nelle ricercate evoluzioni di Peter Green. Questa svolta rock (ma anche melodica) era già presente in brani come Black magic woman, Albatross, Man Of The World, che erano diversi rispetto al blues degli esordi, comunque sempre amato e presente nel sound di Green, che era molto rispettato da BB King che lo considerava il miglior chitarrista bianco di blues e dagli altri artisti di Chicago con cui aveva registrato Blues Jam At Chess. Nella versione di studio tutti questi elementi sono presenti e più rifiniti, meno vibranti delle versioni dal vivo, brani come Searching For Madge, Fighting For Madge e Underway, che tutti e tre confluiscono in Rattlesnake Shake per quel medley formidabile, sono nondimeno grandi pezzi e insieme con la fantastica Oh Well, uscita anche come singolo, divisa in due parti, l’ottima Coming Your Way, le 12 battute sempre amate di Showbiz Blues e le atmosfere oniriche e sognanti di alcuni brani sia di Kirwan che di Green, rendono Then Play On un disco da conoscere a tutti i costi.

A maggior ragione in questa nuova versione, pubblicata il 20 agosto p.v. dalla Rhino, che ai tredici brani della versione che ha sempre circolato in compact aggiunge alcune canzoni che erano uscite solo come singoli, tra le quali la fantastica (e durissima, la facevano anche i Judas Priest) The Green Manalishi (With The Two-Prong Crown) e il suo lato B, World in Harmony:

  1. Coming Your Way
  2. Closing My Eyes
  3. Fighting for Madge
  4. When You Say
  5. Show Biz Blues
  6. Underway
  7. One Sunny Day
  8. Although the Sun is Shining
  9. Rattlesnake Shake
  10. Without You
  11. Searching for Madge
  12. My Dream
  13. Like Crying
  14. Before the Beginning
  15. Oh Well (Part 1)
  16. Oh Well (Part 2)
  17. The Green Manalishi (with the Two-Prong Crown)
  18. World in Harmony

Tracks 1-14 released as Reprise U.K. LP RSLP 9000, 1969
Tracks 15-16 released as Reprise single RS 27000 (U.K.)/0883 (U.S.), 1969
Tracks 17-18 released as Reprise single RS 27007 (U.K.)/0925 (U.S.), 1970

Inifne, se volete approfondire ulteriormente, qui sotto trovate anche i Link del lungo articolo retrospettivo che ho dedicato ai Fleetwood Mac, diviso in due parti, e anche la recensione del box postumo pubblicato sul finire dello scorso anno.

https://discoclub.myblog.it/2019/06/28/in-attesa-del-cofanetto-inedito-atteso-per-lautunno-ecco-la-storia-dei-fleetwood-mac-peter-green-un-binomio-magico-dal-1967-al-1971-parte-i/

https://discoclub.myblog.it/2019/06/29/in-attesa-del-cofanetto-inedito-previsto-per-lautunno-ecco-la-storia-dei-fleetwood-mac-peter-green-un-binomio-magico-dal-1967-al-1971-parte-ii/

https://discoclub.myblog.it/2019/11/29/cofanetti-autunno-inverno-10-rinviato-piu-volte-ecco-finalmente-questo-eccellente-box-inedito-anche-se-fleetwood-mac-before-the-beginning/

Forse c’è qualche ripetizione, ma mi sembra un tributo meritato all’arte di uno che tanto ha dato alla musica. Riposa In Pace “In The Skies” dove troverai tante altre anime gemelle!

Bruno Conti

Gary Moore, Il Rocker Innamorato Del Blues Parte II

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Seconda Parte.

1982-1989 Gli Heavy Metal Years

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Per chi ama il genere e ammetto che sono in tanti, il periodo “migliore” del musicista irlandese, ma come diciamo noi italo-britannici “it’s not my cup of tea”: finalmente arriva anche per Gary Moore l’agognato successo commerciale (a parte le parentesi con i Thin Lizzy), e anche se non amo particolarmente quel periodo, devo ammettere che qualche sprazzo di classe qui e là c’è, soprattutto in Corridors Of Power – Virgin 1982 ***, per esempio nella cover di Wishing Well dei Free, o nella collaborazione con Jack Bruce (che avrà un ottimo seguito nella decade successiva) nella “acrobatica” e potente End Of The World, cantata a due voci da Bruce e Moore e con un assolo di Gary che dà dei punti anche a Eddie Van Halen.

Nel dicembre del 1983 esce Victims Of The Future – Virgin 1983 *** la title track e Murder In the Skies sono due brani anche di impegno politico, con i musicisti della band che comunque in tutto l’album picchiano come dei fabbri ferrai, non male comunque la cover di Shapes Of Things degli Yardbirds dell’amato Jeff Beck: il suono è sempre durissimo, ma il disco arriva al 12° posto delle classifiche inglesi, in anni in cui l’heavy metal era molto popolare in UK.

Stessa posizione anche per Run For Cover- Virgin 1985 **1/2, disco nel quale al basso si alternano Glenn Hughes e Phil Lynott, e che comprende il singolo di successo (n°5 nelle charts) Out In The Fields, cantata insieme al suo autore Phil Lynott.. Stesso discorso per Wild Frontier – Virgin 1982**, ma con l’aggravante di una batteria elettronica mefitica che imperversa in tutte le canzoni, e “giustamente” il disco arriva all’8° posto.

1990-1995 Gli Anni Del Blues Parte I

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Quindi ritorna alla musica che lo aveva ispirato nei primi tempi a Belfast e lo fa in grande stile, con unanime successo di pubblico e critica: in Still Got The Blues – Virgin 1990 **** ½ tra i musicisti utilizzati nell’album Don Airey, Nicky Hopkins e Mick Weaver alle tastiere, Gary Walker e Brian Downey alla batteria, Andy Pyle e il fedele Bob Daisley al basso, oltre ad una piccola sezione fiati guidata da Frank Mead al sax. Spicca anche la presenza di due maestri del blues come Albert King e Albert Collins, e quella di George Harrison, che scrive That Kind Of Woman oltre a suonare la slide nel brano. Ma è tutto l’album che è splendido, un disco di electric blues con i fiocchi, i controfiocchi e il pappafico, suono perfetto come pure la scelta dei brani.

Un misto di brani originali di Moore, alcuni sublimi, come la lirica e melanconica ballata che dà il titolo all’album con lo squisito tono della chitarra, o l’omaggio a Stevie Ray Vaughan nella vorticosa Texas Strut, l’iniziale poderosa Moving On dove va di slide alla grande, e si ripete con il bottleneck nella fiatistica King Of The Blues, tributo ai Re delle 12 battute e pure la delicata e notturna Midnight Blues è una vera delizia.

In pratica tutte le canzoni, e anche le cover non scherzano: Oh Pretty Woman con Albert King alla seconda solista è devastante, anche grazie al lavoro dei fiati, ma soprattutto delle due fluentissime chitarre, Walking By Myself rivaleggia con le più belle versioni di questo pezzo di Jimmie Rodgers, da quella di Freddie King in giù, in Too Tired di Johnny Guitar Watson lui e Albert Collins si scambiano fendenti di chitarra come se ne dipendesse della loro vita e che dire dello splendido slow blues As The Years Go Passing By con Nicky Hopkins e Don Airey a piano e organo? Una vera meraviglia! E non è finita perché ci sono anche una versione da sballo di All Your Love che rivaleggia con quella di Clapton nel 1° album dei Bluesbreakes con la chitarra di Gary che dimostra una fluidità disarmante e anche a livello vocale Moore una prestazione di tutto rispetto nel corso dell’intero album.

Ovviamente non manca l’omaggio al proprio mentore Peter Green in una eccellente versione di Stop Messin’ Around: e nella versione rimasterizzata del CD uscita nel 2002 tra le cinque bonus, ci sono delle versioni monstre dello strumentale The Stumble, Freddie King via Peter Green, Further On Up The Road da Bobby Blue Bland a Clapton, fino a Bonamassa, e pure questa non scherza, e anche la lancinante The Sky Is Crying è da manuale.

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Un album praticamente perfetto, ma Moore si ripete con un altrettanto bello After Hours – Virgin 1992 ****1/2 che arriva fino al 4° posto delle classifiche inglesi ed ha un notevole successo in tutto il mondo, al solito Stati Uniti esclusi: tra i musicisti cambia il batterista con l’ottimo Anton Fig sullo sgabello, e alle tastiere arriva Tommy Eyre. Sei brani firmati da Moore e cinque cover (più altre due nella deluxe in CD del 2002), Albert Collins ospite in una vibrante The Blues Is Alright , e B.B. King a porre il suo imprimatur regale nella swingante e pimpante Since I Met You Baby cantata a due voci.

Key To Love di John Mayall sparata a tutta forza da Moore, la delicata ballata Jumpin’ At Shadows a completare i legami con i vecchi Fleetwood Mac e Woke Up This Morning ancora di BB King le migliori cover, mentre tra gli originali di Gary spiccano la fiatistica Cold Day In Hell, lo slow sempre con fiati Story Of The Blues, il vibrante rock-blues Only Fool In Town, la malinconica e notturna The Hurt Inside, e tra le bonus la versione lunga di un altro blues lento di grande intensità come All Time Low.

Ma come per il disco precedente è tutto l’insieme che funziona alla grande.

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L’anno successivo esce Blues Alive, ma ne parliamo brevemente nel capitolo dedicato a i dischi dal vivo.

I BBM, detti anche Cream parte 2, per la presenza di Jack Bruce e Ginger Baker, registrano un album Around The Next Dream – Capitol/Virgin 1994 ***1/2 in puro stile power trio, che arriva nella Top 10 delle classifiche ed è un solido disco di rock puro, dove spiccano l’iniziale Claptoniana Waiting In The Wings, a tutto wah-wah, la potente City Of Gold, la scandita High Cost Of Loving e la lunga blues ballad Why Does Love (Have to Go Wrong?) con il classico falsetto di Bruce che ci porta al gran finale strumentale in puro stile jam.

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Nel 1995 per completare la trilogia blues, esce il suo sentito omaggio a Peter Green, Blues For Greeny – Virgin 1995 ****, un disco interamente composto da canzoni del leader dei Fleetwood Mac, registrato utilizzando la stessa Les Paul Standard del 1959 impiegata da Green nei pezzi originali. Sembra quasi di ascoltare Blues Jam At Chess Parte II, con If You Be My Baby, Long Grey Mare, Merry Go Round, I Love Another Woman, la splendida Need Your Love So Bad, l’unico brano non firmato da Green, ma che era la sua signature song, il fantastico strumentale The Supernatural che come Same Way che la precede era su Hard Road di John Mayall, una più bella dell’altra, e pure la lunghissima Driftin’ e la magnetica Lookin’ For Somebody non scherzano.

2001-2006 Gli Anni Del Blues Parte II

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Vista la mala parata di Dark Days In Parade e il danzereccio A Different Beat due dischi bruttarelli e pure di scarso successo, Gary Moore decide di tornare al blues e anche se gli album non raggiungono le vette qualitative della decade precedente, sono comunque dei buoni dischi, spesso con un suono decisamente più blues-rock, come in Back To The Blues – Sanctuary 2001 -***, dove però non mancano i soliti brani con ampio uso di fiati come You Upset Me Baby, o il grande blues lento Stormy Monday, mentre tra le bonus c’è una gagliarda versione di Fire di Jimi Hendrix. Stesso discorso per Power Of The Blues – Sanctuary 2004 ***, siamo più in ambito rock-blues, ma le versioni di I Can’t Quit You Baby (Otis Rush/Led Zeppelin) e Evil di Howlin’ Wolf sono comunque gagliarde, come pure una Memory Pain di Percy Mayfield percorsa da un wah-wah insinuante e vigoroso.

Anche Old New Ballads Blues- Eagle 2006 ***1/2 è “duretto” a tratti, molto wah-wah nell’iniziale Done Somebody Wrong, anche con slide, ma poi mitigato da due ottime blues ballads, You Know My Love , la ripresa della sua stessa Midnight Blues, in origine su Still Got The Blues, come pure All Your Love e le melliflue ed eleganti Gonna Rain Today e No Reason To Cry, certificano una ritrovata vena, ribadita nel sognante strumentale conclusivo I’ll Play The Blues For You.

2007-2010 Gli Ultimi Fuochi.

Nell’ottobre del 2007 registra dal vivo al London Hippodrome Blues For Jimi – Eagle Records 2012 ***1/2,un ottimo tributo al mancino di Seattle che verrà pubblicato postumo cinque anni dopo, con la presenza negli ultimi tre brani di Billy Cox e Mitch Mitchell.

Lo stesso anno esce il buono Clase As You Get – Eagle 2007 ***1/2, dove si riunisce a Brian Downey, il vecchio batterista dei Thin Lizzy, e con Mark Feltham, l’armonicista dei Nine Blow Zero presente in due brani: il disco oscilla tra un rock-blues grintoso e tirato come in Eyesight To The Blind e Checking Up On My baby, e momenti più raccolti come gli slow Trouble At Home, I Had A Dream e la “mayalliana” Have You Heard o addirittura l’acustica Sundown di Son House dove Moore è impegnato al dobro.

L’anno successivo esce il suo ultimo album di studio Bad For You Baby – Castle 2008 ***1/2, ancora una prova positiva con ben due cover di Muddy Waters, una di JB Lenoir e la splendida slow ballad di Al Kooper Love You More Than You’ll Ever Know, con un assolo da urlo, oltre ad una serie di brani tra rock-blues e pezzi alla Led Zeppelin.

Nel 2010 partecipa per l’ennesima volta (credo la sesta) al Festival di Montreux, le cinque precedenti le trovate nel box Essential Montreux – Castle 2009 ****1/2, imprescindibile per chi vuole avere una idea della potenza che Gary Moore era in grado di scatenare nelle sue esibizioni Live: in questo senso ottimi anche il doppio (ma singolo CD) We Want Moore – Virgin1984 ***1/2, per il periodo hard rock, o l’eccellente Blues Alive – Virgin 1993 ***1/2, sempre con l’ospite Albert Collins, e non male pure l’appena ricordato Live At Montreux 2010 – Castle 2011, uscito postumo e che presentava tre brani inediti per un futuro progetto Celtic Rock che non si è mai materializzato a causa della morte avvenuta nel febbraio 2011.

Gary Moore, un grande chitarrista, spesso sottovalutato, e nell’’ultima parte di carriera anche un buon cantante. That’s all.

Bruno Conti

Gary Moore, Il Rocker Innamorato Del Blues Parte I

gary moore 70'sgary moore skid row

Sono passati ormai circa nove anni dalla morte di Robert William Gary Moore, deceduto in circostanze mai del tutto chiarite con certezza, per un sospetto infarto, causato probabilmente da un eccessivo uso di alcol, nella serata precedente al 6 febbraio del 2011, in un hotel in quel di Estepona, Spagna, dove si trovava in vacanza. L’occasione di parlare della sua carriera ci viene fornita dalla uscita di un recente (e molto bello) album inedito dal vivo Live From London https://discoclub.myblog.it/2020/01/28/una-serata-blues-speciale-a-londra-nel-2009-gary-moore-live-from-london/ , uscito in questi giorni e di cui avete letto sul Blog. Come ricorda il titolo dell’articolo, Gary Moore si è sempre diviso tra le sue due grandi passioni musicali, il blues e il rock (spesso anche parecchio hard), ma quello per cui viene unanimemente ricordato è la sua notevole tecnica alla chitarra, influenzata a sua volta da altri solisti come Jeff Beck, Peter Green, che è stato il suo mentore, Jimi Hendrix, ad entrambi dei quali ha dedicato un album tributo, oltre a vari bluesmen assortiti (B.B. e Albert King, Albert Collins) mentre tra i suoi “discepoli” spiccano Martin Lancelot Barre, Joe Bonamassa e in ambito hard’n’heavy Kirk Hammett, John Sykes, Slash, Randy Rhoads, che lo hanno citato tra le proprie influenze, mentre diversi altri musicisti dopo la sua morte hanno espresso la loro ammirazione per questo nord irlandese tosto e dalla vita turbolenta.

Vita che inizia il 4 aprile del 1952 in un sobborgo di Belfast, uno di cinque figli di una coppia, in cui il padre Bobby era un promoter, e che quindi inculcò questa passione per la musica al figlio fin dalla più tenera età, tanto che già intorno ai dieci anni iniziava ad esibirsi dal vivo negli intervalli degli spettacoli organizzati dal genitore. E già a 16 anni lascia la famiglia per entrare nella band locale degli Skid Row (da non confondere con i metallari americani, venuti molti anni dopo), dove sostituì il primo chitarrista Ben Cheevers e fece il primo incontro della sua vita con Phil Lynott, allora vocalist della band, che fu peraltro licenziato prima ancora di incidere l’album di esordio, ma la cui strada si intreccerà spesso negli anni a venire con quella di Gary. Vediamo le fasi salienti della carriera

1967-1978 Gli esordi con gli Skid Row, Gary Moore Band, Thin Lizzy, Colosseum II

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Gli Skid Row negli anni di gavetta di Gary, suonarono diverse volte come supporto ai Fleetwood Mac di Peter Green, che pur essendo una delle influenze primarie future di Moore, almeno agli inizi fu forse più utile alla loro carriera, favorendo un contratto con la Columbia/CBS che portò all’uscita di due buoni album tra power rock trio e “blues” con quell’etichetta tra il 1970 e il 1971.

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Nel Maggio del 1973 il nostro amico pubblica Grinding Stone – CBS 1973 ***1/2, il suo primo album solista, benché attribuito alla Gary Moore Band: si tratta di un buon disco, prodotto da Martin Birch, lo storico collaboratore dei Deep Purple. Anche in questo caso lo stile è molto “eclettico”, in mancanza di un termine migliore: si passa dal boogie rock frenetico ma con elementi jazz-rock che anticipano il sound dei Colosseum II della lunga title track (e qui Gary Moore ha già sviluppato il suo solismo virtuosistico, con wah-wah a manetta, ma anche le sonorità spaziali care al Peter Green di End Of The Game, di cui già suonava la favolosa ’59 Gibson Les Paul vendutagli per una miseria, e il suono magnifico dello strumento si sente) alla ancora più lunga Spirit, oltre i 17 minuti, in cui duetta magnificamente con le tastiere del futuro Caravan Jan Schelaas.

Sul finire del 1974 partecipa, solo in una traccia, al disco dei Thin Lizzy – Nightlife – Vertigo 1974 ***1/2: ma che brano, si tratta della mitica ballata romantica Still In Love With You, accreditata sul disco al solo Phil Lynott, ma il contributo di Moore fu fondamentale, in quanto il brano era la combinazione di due canzoni e Gary all’epoca, chiamato come sostituto di Eric Bell, era l’unico chitarrista del gruppo.

Nel novembre del 1974, chiamato da Jon Hiseman, che aveva appena sciolto i Tempest dove avevano militato altri due chitarristi, per usare un eufemismo, “non male” come Allan Holdsworth e Ollie Halsall, due dei più grandi virtuosi della solista in assoluto,

il nostro amico accetta di entrare nella formazione dei Colosseum II, dove oltre a Hiseman trova Neil Murray al basso e Don Airey alle tastiere.

Il gruppo realizza tre album tra il 1976 e il 1978, ottimi esempi del migliore jazz-rock britannico: il primo album Strange New Flesh – Bronze Records 1976 ***1/2 è probabilmente, come spesso capita, il migliore, anche se il mellifluo e soporifero cantante Mike Starrs sarebbe da eliminare fisicamente seduta stante, però la parte suonata è decisamente valida. L’iniziale Dark Side Of The Moog gioca con il titolo del disco dei Pink Floyd, ed è uno strumentale vorticoso in bilico tra Jeff Beck (uno dei preferiti di Moore) e gli Utopia o la Mahavishnu Orchestra, la cover di Down To You di Joni Mitchell (?!?) è interessante nella parte strumentale con continui cambi di tempo, peccato per il cantato in falsetto à la Cugini di Campagna di Starrs. Il secondo album Electric Savage – MCA 1977 – *** rimane nel rock energico del quartetto con Put It This Way, sempre caratterizzato dall’interscambio tra Moore e Airey, mentre Hiseman è prodigioso alla batteria, forse il tutto è un tantino “esagerato”, ma tanto di cappello ai musicisti, per il resto Beck è sempre la stella maestra, benché dischi come Blow By Blow o Wired sono di un’altra categoria.

Stesso discorso anche per War Dance – MCA 1977- ***, uscito a soli cinque mesi dal precedente, che anticipa quella che per il sottoscritto sarà l’involuzione sonora di Moore negli anni ’80 (per i fans dell’hard rock viceversa gli anni migliori, ma è noto che de gustibus…), comunque War Dance e Fighting Talk confermano il progressive jazz-rock del gruppo, ma vista la mancanza di successo si sciolgono a fine anno.

1978-1980 Intermezzo solista, di nuovo Thin Lizzy e G-Force

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Durante gli ultimi mesi con i Colosseum II Moore incide l’eccellente Back On The Streets – MCA/Universal 1978 ***1/2, uno dei suoi dischi rock migliori, tanto da venire ristampato anche in un CD potenziato nel 2013 https://discoclub.myblog.it/2013/09/08/meglio-di-quanto-ricordassi-gary-moore-back-on-the-streets-r/ : al basso si alternano Mole e Phil Lynott, e alla batteria Simon Phillips e Brian Downey, alle tastiere c’è Don Airey per un disco dove appare la prima versione di Parisienne Walkways, ancora una ballata, ma di quelle squisite, della coppia Lynott/Moore, con lirico assolo di Gary, una versione rallentata di Don’t Believe A Word, uno dei classici assoluti dei Thin Lizzy, cantata splendidamente da Lynott, mentre Moore ci regala un assolo degno del miglior Peter Green. Notevoli anche Back On the Streets, Fanatical Fascists, lo strumentale Flight of the Snow Moose, una via di mezzo tra Camel e Colosseum II.

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Sul finire del 1978 Moore sostituisce in pianta stabile Brian Robertson, per la registrazione dell’album Black Rose: A Celtic Legend – Vertigo 1979 ***1/2, per quello che viene considerato l’ultimo grande classico della band, un disco che mescola la tradizione musicale irlandese al rock muscolare, ma sempre raffinato e variegato al contempo, del gruppo di Lynott.

Ci sono alcuni “classici” del repertorio dei Thin Lizzy come la galoppante Do Anything You Want To con le twin guitars di Gorham e Moore, la bellissima Waiting For An Alibi e il medley Róisín Dubh (Black Rose): A Rock Legend, un eccellente esempio di rock celtico che ha delle forti analogie con i primi Horslips o con i Runrig.

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Nel 1980 esce anche G-Force – Jet Records **1/2, disco non particolarmente memorabile, che anticipa gli heavy metal years, di lui leggete nella seconda parte.

Fine prima parte.

Bruno Conti

Una Serata Blues Speciale A Londra Nel 2009. Gary Moore – Live From London

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Gary Moore – Live From London – Mascot/Provogue – 31-01-2020

Al 31 gennaio 2020 (pare posticipata al 7 febbraio all’ultimo momento in alcuni paesi) è prevista l’uscita di Live From London, ennesimo disco dal vivo postumo dedicato a Gary Moore. Non ricorre nessuna evenienza particolare: il musicista irlandese era nato a Belfast il 4 aprile del 1952, ed è morto a Estepona,una località di vacanza vicino a Malaga, in Spagna, il 6 febbraio del 2011, per un infarto, probabilmente causato dalla fortissima quantità di alcol ingerita nel corso della serata precedente (gli è stata trovata nel sangue una percentuale letale di alcol pari al 3,8%). Nel corso degli anni sono già usciti alcuni album postumi dal vivo di Moore: penso all’ottimo Blues For Jimi, uscito nel 2012 e relativo ad un concerto del 2007, una serata speciale dedicata ad tributo alla musica di Hendrix https://discoclub.myblog.it/2012/09/12/due-grandi-chitarristi-al-prezzo-di-uno-gary-moore-blues-for/ , e nel 2011 era stato pubblicato Live At Montreux 2010, con  la registrazione di una data del luglio 2010, la più recente rispetto alla data della sua scomparsa https://discoclub.myblog.it/2011/10/22/un-ultimo-saluto-gary-moore-live-at-montreux-2010/ , tutte della sorte di one-off, serate speciali, come anche questo Live From London, un evento organizzato dalla emittente radio Planet Rock, con una attenzione speciale riservata al materiale blues, pur non mancando alcuni brani dall’ultimo album di studio del 2008 Bad For You Baby, e la classica Parisienne Walkways in chiusura del set di 13 brani.

Ovviamente, e parlo per me, questo è il repertorio di Gary Moore che prediligo, ma il chitarrista ha fans sparsi per il mondo che amano anche il suo repertorio più robusto, diciamo pure hard-rock. La tecnica non si discute, ma dal 1990 della “conversione”, o del ritorno al blues, il nostro ha realizzato una serie di album eccellenti, inframmezzati ad altri più scontati: qui siamo di fronte al suo lato migliore. Aiuta anche il fatto che la serata si sia svolta alla 02 Academy di Islington, una venue più raccolta ed accogliente rispetto ad arene e palazzetti, quindi più adatta al tipo di repertorio. Non ho ancora informazioni precise sulla formazione, ma visto che si tratta del Bad For You Baby World Tour, e si sente chiaramente la presenza di un tastierista, azzardo Vic Martin a piano e organo, Pete Rees al basso e Sam Kelly alla batteria: partenza sparatissima con una poderosa Oh Pretty Woman, con potenti sventagliate della Gibson di Moore, versione gagliarda ma di ottima fattura, Bad For You Baby e Down The Line sono due dei brani nuovi  tratti dall’album in promozione, entrambe sempre tirate ma senza esagerazioni o “durezze” fuori luogo, la seconda veloce e compatta con chitarra ed organo ad interagire con le scale velocissime della solista di Gary in primo piano.

A questo punto parte la sezione blues, già inaugurata dalla cover di Oh, Pretty Woman di Albert King, da After Hours arriva l’omaggio a B.B. King, che appariva anche nel CD originale, con una solida e pungente Since I Met You Baby, seguita da un uno-due strepitoso dedicato al primo album di Mayall con i Bluesbreakers, prima una lunga e fluente Have You Heard, con la chitarra che improvvisa in grande libertà, e poi l’altrettanto classica All Your Love di Otis Rush, con il suo riff inconfondibile e le continue accelerazioni, grande lavoro nuovamente di Moore alla solista, e anche eccellente interpretazione vocale di Gary, brillante nel corso di tutta la serata. Seguono altre due canzoni dal disco del 2008, Mojo Boogie di JB Lenoir, dove il nostro mette in mostra anche la sua destrezza nell’uso del bottleneck, e una fantasmagorica versione di quasi 12 minuti di I Love You More Than You’ll Ever Know, il celebre slow blues scritto da Al Kooper per il primo album dei Blood, Sweat And Tears,  poi interpretato da Donny Hathaway e da decine di altri artisti, in anni recenti da Joe Bonamassa e Beth Hart, sia in studio che dal vivo, grande prestazione di Moore alla solista in una serie di assoli da sballo.

Di Too Tired, un brano di Johnny Guitar Watson, ricordiamo delle notevoli versioni con Albert Collins, sia in Still Got The Blues come nel Live At Montreux, uno shuffle dalla grande carica, e non manca neppure la title track del suo album più famoso, la splendida blues ballad Still Got The Blues (For You), prima di chiudere il concerto con una trascinante Walking By Myself. I due bis prevedono la pimpante e coinvolgente The Blues Is Alright, una dichiarazione di intenti  verso il suo grande amore per le 12 battute, e infine Parisieenne Walkways, la canzone scritta insieme al suo grande amico Phil Lynott, la lirica, struggente e malinconica ballata dedicata  al padre di Phil e alla Parigi del dopoguerra, caratterizzata da un lungo e lancinante assolo dove Moore tira le note fino all’inverosimile. Veramente un bel concerto che rende ancora una volta merito alla bravura e alla classe del musicista nord-irlandese. Esiste anche una edizione speciale cartonata del disco, con quattro plettri, due sottobicchieri personalizzati, un adesivo ed una cartolina, però mi sembra una cosa per feticisti.

Bruno Conti

Novità Prossime Venture 2020 1. Peter Green – The End Of The Game Rimasterizzato Per La Prima Volta A 50 Anni Dall’Uscita!

peter green the end of the game 50th anniversary

Peter Green – The End Of The Game, 50th Anniversary Remastered & Expanded CD Edition – Esoteric – 21-02-2020

Anno nuovo, vita vecchia, riprendiamo con la rubrica destinata alle prossime uscite, soprattutto ristampe, più interessanti. E partiamo con un album che è tra i miei preferiti in assoluto tra i dischi di culto, The End Of The Game di Peter Green, curiosamente mai rimasterizzato prima d’ora per l’edizione in CD, visto che aveva circolato solo in una rara e costosa edizione giapponese (che è quella che tuttora posseggo) e in una versione Warner/Reprise europea che non ho mai capito quanto fosse legittima. Nel Blog ne ho parlato varie volte, sia all’interno di articoli e recensioni inerenti i Fleetwood Mac.

Ecco quello che avevo scritto e confermo.

Sei brani strumentali, poco più di 33 minuti, che si aprono con il festival del wah-wah della iniziale magnifica Bottoms Up, con Alex Dmochowski e Godfrey MacLean che sostengono in modo splendido le scale free form della chitarra di un Peter Green quasi trasfigurato nelle sue improvvisazioni sperimentali e jazzate, poi il basso assume un suono ancora più rotondo, entra un liquido piano elettrico e il lavoro della chitarra si fa ancora più intricato, insomma dovreste ascoltare per capire di cosa parliamo. Timeless Time è un breve brano, poco più di due minuti, lirico, intimo e malinconico più vicino al “solito” Green, mentre Descending Scale è più ascendente che discendente, lavoro frenetico della ritmica, piano e organo di Zoot Money in primo piano, fino all’ingresso perentorio e devastante della chitarra quasi rabbiosa di Peter, tra esplosioni e momenti di quiete, in un brano certo di non facile ascolto, ma siamo nell’anno di Bitches Brew di Miles Davis, la musica ha questa libertà assoluta.

Burnt Foot con la batteria dappertutto ha tocchi quasi tribali e il solito spirito di impronta jazz-rock, genere allora nascente, con spasmi ritmici devastanti, che poi virano di nuovo verso la psichedelia con il suono quasi deadiano e liquido delle improvvisazioni live di Jerry Garcia con la sua band, in un brano come Hidden Depth dove il wah-wah è ancora protagonista assoluto. La conclusiva End Of The Game, tra dissonanze e cacofonie sonore, esplora quasi i limiti dell’uso del wah-wah in un ambito che sembra avere poche parentele con il rock. Fine Del Gioco!

Tracklist
1. Bottoms Up
2. Timeless Time
3. Descending Scale
4. Burnt Foot
5. Hidden Depth
6. The End Of The Game
Bonus Tracks:
7. Heavy Heart
8. No Way Out
(A & B-Sides Of Single – Previously Unreleased On CD)
9. Beasts Of Burden
10. Uganda Woman
(A & B-Sides Of Single – Previously Unreleased On CD)

Aggiungerei che nella nuova versione che verrà pubblicata dalla Esoteric il prossimo 21 febbraio sono state aggiunte 4 bonus tracks, ovvero lato A e B di due 45 giri pubblicati rispettivamente nel 1971 e 1972: Heavy Heart’ b/w ‘No Way Out, che vide anche una rara apparizione televisiva di Peter Green a Top Of The Pops, e l’anno successivo una collaborazione con Nigel Watson Beasts of Burden’ b/w ‘Uganda Woman, il secondo singolo proveniente da sessions differenti da quelle di The End Of The Game. Nel libretto del CD ci sarà un libretto che narra la genesi dell’album e una intervista con Zoot Money, il tastierista che nel disco si alternava all’organista Nick Buck, futuro Hot Tuna. Nelle Note di presentazione del CD si parla anche di un prossimo concerto, già esaurito “Mick Fleetwood & Friends Celebrate The Music Of Peter Green at London Palladium in London on Tue 25th Feb 2020″ per ricordare il grande musicista inglese (che è comunque ancora vivo, per quanto malandato).al quale parteciperanno Billy Gibbons, David Gilmour, Jonny Lang, Andy Fairweather Low, John Mayall, Christine McVie, Zak Starkey, Steven Tyler, Bill Wyman e altri da confermare, oltre ovviamente a Mick Fleetwood, Dave Bronze RickyPeterson. Ecco la locandina dell’evento.

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Per ora è tutto, alla prossima.

Bruno Conti