Dennis Brennan And The White Owls – Live At Electric Andyland – VizzTone Label
Forse i più attenti di voi si ricorderanno del cantautore roots-rock di Marlboro, Massachusetts (per alcune biografie, altre dicono nativo di Berlin, sempre nel Massachusetts): per intenderci è proprio Dennis Brennan, quello di Jack In The Pulpit, un bel disco a cavallo tra Americana, country e blue collar rock del 1995, uscito per la Rounder, dove era accompagnato da Duke Levine alla chitarra e Billy Conway dei Morphine alla batteria (che si alternava con Jay Bellerose), oltre a Bruce Katz all’organo, solo per ricordare i musicisti più famosi che suonavano nel disco, ma c’erano anche i fiati in alcune tracce. Comunque sia prima, negli anni ’80, che successivamente, Brennan, da solo o all’interno di oscure band anche di impronta vagamente garage e psichedelica dell’area di Boston (The Martells, Push Push, Young Neal And The Vipers) era abbastanza popolare a livello di culto tra gli amanti del rock di qualità.
Il suo ultimo disco, devo dire passato abbastanza inosservato, è stato Engagement, metà in studio e metà live, pubblicato dalla minuscola etichetta Hi & Dry nel 2006 https://www.youtube.com/watch?v=KEscfNIhG3M , sebbene nel passato alcune sue canzoni siano state usate sia in colonne sonore che in serie televisive. Ma ecco che Brennan improvvisamente riappare, alla guida dei White Owls e sotto contratto per la VizzTone, con questo Live At The Electric Andyland (colta la citazione hendrixiana?), che segnala un deciso spostamento verso tematiche blues, trasformatosi nel frattempo anche in provetto armonicista, ma senza abbandonare del tutto le sonorità rootsy del passato (e cosa c’è di più vicino alla musica delle radici del Blues?). Il gruppo che lo accompagna prevede il batterista Andrew Plaisted (anche produttore dell’album e proprietario del piccolo locale dove è stato registrato il CD in presa diretta), due chitarristi, Tim Gearan e Stephen Sadler, alla lapsteel, David Westner all’organo, e Jim Haggerty al contrabbasso, e un repertorio che mescola brani originali e cover di varia provenienza: Cuttin’ In di Johnny Guitar Watson è subito un sapido tuffo nelle 12 battute più calde, con retrogusti soul, anche se le chitarre sono rilassate e sornione, come la voce del titolare che non ha perso il suo timbro da veterano rocker; in Nothing But Love, uno shuffle di Bo Jenkins, Brennan soffia anche con voluttà nella sua armonica e ha un timbro vocale che mi ha ricordato a tratti quello di Peter Wolf, degli eroi locali di Boston della J. Geils Band, meno watt ma stessa passione.
Yes, I’m Loving You, di tale Big Al Downing, è più mossa e con rimandi al R&R più canonico, grazie anche alla lap steel in modalità slide di Sadler, mentre End Of the Blue è un bel lento scandito, scritto da Gearan, giusto alla intersezione tra 12 battute e rock d’antan stonesiano. Good Lover è di Reed, non Lou ma Jimmy, molto classica e laidback, con call e response tra solista e lap steel. The (New) Calls Of The Freaks è addirittura un pezzo di King Oliver degli anni ’20, quindi blues primigenio, e Tangle, se Brennan che l’ha scritta avesse un bel vocione, potrebbe passare per un brano di Tom Waits di quello più tirato di fine anni ‘70, con Three Kind Of Blues di Sadler, altra traccia intensa con armonica e slide in bella evidenza. I Live The Life I Love è proprio il celebre pezzo di Willie Dixon che era anche nel repertorio di Mose Allison, che è l’autore pure della successiva Foolkiller, decisamente ancora più mossa e scatenata. Non manca un pezzo di Ledbetter come I’m On My Last Go Round, sempre piuttosto vivace anziché no e un omaggio agli Stones dei primi anni con una sognante No Expectations, suonata e cantata con grande passione e che chiude in modo brillante un buon album.
Little Steven And The Disciples Of Soul – Soulfire Live! – Wicked Cool/Universal 3CD
Uno dei dischi più belli dello scorso anno per il sottoscritto è stato sicuramente Soulfirehttps://discoclub.myblog.it/2017/05/26/per-una-volta-il-boss-e-lui-little-steven-soulfire/, che vedeva il ritorno alla prova da solista per Little Steven, a ben diciotto anni dal non eccelso Born Again Savage, che a sua volta veniva dopo una decade da Revolution (che era proprio brutto). Con Soulfire Steven in un certo senso aveva chiuso un cerchio, in quanto aveva riformato i Disciples Of Soul, un gruppo formidabile in grado di garantire un suono potente e pieno di feeling, a base di rock’n’roll, soul ed errebi, gruppo con cui aveva esordito come solista nel lontano 1982 con l’ottimo Men Without Women, e che a tutt’oggi è di gran lunga la migliore tra le sue varie band (ci sarebbe anche una certa E Street Band, ma non è la “sua” band, bensì di qualcun altro…). Steven ha poi intrapreso un lungo tour mondiale per promuovere Soulfire, e questo triplo CD di cui mi accingo a parlare è lo splendido risultato: Soulfire Live! è un disco formidabile, inciso alla grande e suonato in maniera fantastica, un album nel quale il buon Van Zandt dimostra di essere un bandleader più che credibile, e nel quale veniamo accompagnati in un bellissimo viaggio nel soul, rhythm’n’blues e tanto rock’n’roll, musica potente ma anche incredibilmente romantica, merito di un gruppo che ha pochi eguali in quanto a tecnica, feeling ed energia.
Oltre a Steve, voce e chitarra, abbiamo Marc Ribler pure alla chitarra, la granitica sezione ritmica formata da Jack Daley, basso, e Rich Mercurio, batteria, Andy Burton all’organo, Lowell Levinger al pianoforte, Anthony Almonte alle percussioni, un coro femminile di tre voci (Jaquita May, Sara Devine e Tania Jones) e soprattutto il vero fiore all’occhiello della band, cioè una sezione fiati di cinque elementi (Eddie Manion è il leader, poi Stan Harrison, Clark Gayton, Ravi Best e Ron Tooley) che fornisce un vero e proprio “wall of sound” indispensabile nell’economia sonora di questo gioioso carrozzone. L’album era già uscito unicamente per il download a fine Aprile, ma solo con il contenuto dei primi due CD (il concerto vero e proprio, con brani presi da varie location), ma ora è stato aggiunto un dischetto bonus che, senza nulla togliere ai primi due che sono fantastici, è forse ancora più interessante. Steven nel corso della serata suona ad una ad una (cambiando l’ordine) tutte le canzoni di Soulfire, ma prende almeno un brano da ognuno dei suoi altri album, prediligendo sia Men Without Women che Voice Of America, con quattro scelte ciascuno, e lasciando le briciole agli altri tre, dai quali fa appena un pezzo a testa. Dopo un’introduzione semiseria da parte di Mike Stoller, leggendario songwriter che in coppia con Jerry Leiber ha scritto alcuni dei più famosi brani rock’n’roll di sempre, si parte ovviamente con Soulfire, più funkeggiante che mai, subito gran ritmo e potenza a mille: Steve forse non avrà una voce fantastica, ma è più che adeguata alla bisogna e, soprattutto, tiene per tutta la durata del concerto.
Lo splendido soul-rock I’m Coming Back, un brano degno della E Street Band, precede una formidabile Blues Is My Business (canzone di Etta James) di nove minuti, un’esplosione elettrica dove chitarre, piano e fiati si sfidano a duello con assoli a profusione, ed una calda atmosfera errebi che pervade il brano: grandissima musica. La scintillante Love On The Wrong Side Of Town è scritta assieme a Bruce Springsteen, e si sente, Until The Good Is Gone è presa dal primo solo album di Steve, e sono altri nove minuti di pura goduria, un pezzo che profuma di Stax Records, soul music piena d’anima (appunto) cantata benissimo da Steve (che gigioneggia non poco, qualcosa avrà pur imparato da Bruce) e suonata al solito con un feeling micidiale. Altri highlights del primo CD (non le nomino tutte se no devo fare una recensione a puntate) sono la festosa e danzereccia (nel senso buono) Angel Eyes, la sontuosa Some Things Just Don’t Change, soul song calda e vibrante di ispirazione Motown, la deliziosa e spectoriana Saint Valentine’s Day, tra le melodie più belle del concerto, l’irresistibile Standing In The Line Of Fire, che sembra uscita da un western musicato da Ennio Morricone, la potente Salvation, alla quale i Disciples Of Soul tolgono la patina hard rock dell’originale (era su Born Again Savage), la struggente e romantica The City Weeps Tonight, in cui Steve sembra quasi Willy DeVille.
Il secondo CD inizia con una monumentale Down And Out In New York City, tredici minuti di pura “blaxploitation” in cui i fiati si prendono il centro della scena, un brano quasi da colonna sonora alla Shaft, e si prosegue con la solida rock ballad Princess Of Little Italy, dal motivo epico. Abbiamo poi un trittico di canzoni “politiche” in stile dub-reggae (Solidarity, Leonard Peltier e soprattutto la coinvolgente I Am A Patriot, resa popolare da Jackson Browne) ed una cover in puro stile errebi di Groovin’ Is Easy degli Electric Flag. Altri momenti da segnalare sono il roboante rock’n’roll Ride The Night Away (purtroppo non c’è il DVD, ma penso che nessuno nella sala riesca a stare fermo), l’immancabile salsa-rock di Bitter Fruit, suo maggior successo come singolo, la sventagliata elettrica e ritmica di Forever e la stupenda e commovente I Don’t Want To Go Home, che diede il titolo al primo album di Southside Johnny. Ed eccoci al terzo dischetto, un CD composto al 99% da cover, molte di esse suonate una sola volta durante il tour, e più di una decisamente sorprendente. Si inizia con una splendida Even The Losers di Tom Petty in omaggio alla tragica ed inattesa scomparsa del biondo rocker, una versione tirata il giusto, cantata bene da Steve e con i fiati che le danno un sapore diverso (e poi il brano è già grande di suo). Can’t Be So Bad, dei Moby Grape, è suonata con Jerry Miller, autore del pezzo e chitarrista dello storico gruppo californiano, ed è un travolgente rock’n’roll all’ennesima potenza (con grande assolo da parte dell’ospite), così come You Shook Me All Night Long, proprio quella degli AC/DC, un brano che non ti aspetti da Steve e compagni ma che funziona eccome (ed è dedicata a Malcolm Young).
Working Class Hero è una delle canzoni più profonde di John Lennon, e questa versione elettrica, tesa e potente (l’originale era acustica) è una vera sorpresa, mentre con We Gotta Get Out Of This Place (Animals) i Discepoli Del Soul sono nel loro ambiente, ed infatti la rilettura è tra le più riuscite. Anche Can I Get A Witness, di Marvin Gaye, è perfetta per Steve e soci, ed il brano è impreziosito dalla presenza alla chitarra di Richie Sambora, che dimentica per un attimo i trascorsi con Bon Jovi e suona come si deve. It’s Not My Cross To Bear è un sentito omaggio a Gregg Allman ed alla Allman Brothers Band, una bella versione, calda e bluesata, anche se la voce di Steve non è certo quella di Gregg; la saltellante e festosa Freeze Frame, della J. Geils Band, vede salire sul palco proprio Peter Wolf, cantante originale del gruppo, per quattro minuti di puro divertimento, mentre The Time Of Your Life è l’unico pezzo scritto da Steve in questo CD (proviene dalla colonna sonora del film Nine Months), ed è una tenue ballata, romantica e stracciona alla maniera di Tom Waits, con una deliziosa fisarmonica sullo sfondo ed un motivo toccante. Finale con due pezzi che vedono i nostri raggiunti sul palco da Bruce Springsteen (non poteva mancare), per una Tenth Avenue Freeze-Out che è già perfetta quando a suonarla c’è solo un sassofonista (che sia Clarence o Jake Clemons), figuriamoci con un’intera sezione fiati come quella dei Discepoli, ed un’altra I Don’t Want To Go Home, leggermente più rock della precedente (ed un po’ mi sorprende l’assenza in questo CD da parte di Southside Johnny); chiusura con la natalizia Merry Christmas dei Ramones, in puro stile Phil Spector.
Little Steven con questo Soulfire Live! conferma il suo momento di grazia, e non ho alcuna difficoltà ad affermare che ci troviamo di fronte al disco live dell’anno: imperdibile.
Bruce Springsteen & The E Street Band – TD Banknorth Garden, Boston 11/19/07 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 2CD – Download
Il rapporto tra Bruce Springsteen ed i membri della sua E Street Band è sempre stato più comparabile a quello di una famiglia allargata che ad una normale relazione tra datore di lavoro e dipendenti (ed infatti il nostro il soprannome The Boss non lo ha mai amato molto), al punto che il rocker americano si è sempre riferito ai compagni come i suoi “blood brothers”. Con alcuni di essi poi il legame era ancora più solido, è il caso per esempio di Clarence Clemons e Little Steven (senza dimenticare Patti Scialfa, sua moglie da circa un trentennio, un record per lo show business), mentre con altri il rapporto era più normale o, come nel caso di Danny Federici, soggetto ad alti e bassi. Proprio Federici è stato il primo a lasciare la band, non per divergenze ma bensì in seguito al peggioramento di un melanoma che lo ha portato via nella primavera del 2008, e così come è successo con Clemons (il cui ultimo concerto, a Buffalo nel 2009, è stato il soggetto di un’uscita precedente), oggi gli archivi live del Boss omaggiano proprio l’ex organista della band con questa serata a Boston, che concludeva la parte americana del tour seguito alla pubblicazione dell’album Magic, e che è anche l’ultima esibizione con Danny presente sul palco (già visibilmente segnato dalla malattia).
Non so se all’epoca i nostri sapessero di ciò, fatto sta che il concerto è festoso ed energico come al solito, non c’è malinconia o aria di addio: solo a posteriori alcuni pezzi (soprattutto uno, come vedremo) risultano toccanti e meritevoli di una lacrimuccia. Uno show solido quindi, più stringato del solito (dura “solo” due ore e venti, ed infatti il CD è doppio), ma con i nostri impeccabili e coinvolgenti come al solito. Ben otto pezzi provengono da Magic (un buon disco rock, diretto e senza fronzoli), tra i quali mi preme segnalare la potente e trascinante Radio Nowhere, perfetta per aprire la serata (dopo un intro a base di musica circense), la folkeggiante title track, molto intensa, le stupende Last To Die e Long Walk Home, due rock songs degne dello Springsteen dell’età d’oro, e la solare e pop-oriented Girls In Their Summer Clothes. Ci sono ovviamente i classici che non mancano (quasi) mai (Darkness On The Edge Of Town, Badlands, Born To Run), ed anche veri e propri “crowd pleasers” come la scintillante Night, la splendida This Hard Land, l’irresistibile rock’n’roll di Working On The Highway (unica tratta da Born In The U.S.A.), una potente The Rising, che pur se all’epoca era ancora recente veniva già apprezzata al pari di un evergreen.
Non mancano le chicche, tra cui una superba Reason To Believe dall’inedito arrangiamento boogie ed una rara e vibrante The E Street Shuffle. Ma il vero magic moment della serata è una toccante 4th Of July, Asbury Park (Sandy), da sempre il pezzo in cui Federici imbraccia la fisarmonica ed affianca Bruce al centro del palco, e che quella sera in retrospettiva assume un valore particolare (peccato non ci sia una parte video, ma credo che su internet si trovi facilmente). Tra i bis spiccano una Tenth Avenue Freeze-Out con Peter Wolf ospite ai cori, una grandiosa Kitty’s Back, con ottime parti di chitarra ed organo (ed un Roy Bittan semplicemente spettacoloso al piano), ed il finale travolgente di American Land. Un altro bel concerto per Bruce, anche se forse non sarebbe stato pubblicato se non fosse stato l’ultimo con Danny: venerdì prossimo conosceremo la nuova uscita, e vedremo se i fans che da tempo chiedono uno show del tour di The Rising saranno accontentati.
Kenny White – Long List Of Priors – Continental Song City
Dopo il giusto spazio della scorsa settimana dato a David Olney, oggi ci riproviamo con un altro artista sconosciuto ai più (mi auguro come al solito di sbagliare, ma non penso), che risponde al nome di Kenny White. Nome assai noto nel “sottobosco” musicale newyorkese, White, cantautore ed eccellente pianista, produttore (nella sua scuderia sono passati Marc Cohn, Peter Wolf, Shawn Colvin, Cheryl Wheeler, Jonathan Edwards, e Judy Collins, per citarne solo alcuni tra i più noti), una prima parte della vita spesa nel mondo della pubblicità (jingle man), torna a deliziare gli amanti della buona musica con questo sesto capitolo della sua carriera, Long List Of Priors, a distanza di sette anni dall’eccellente Comfort In The Static (10). E così il buon Kenny dopo aver viaggiato in lungo e in largo gli States, e aperto i concerti, oltre che dei suoi assistiti Shawn Colvin e Peter Wolf, anche di gruppi come i Cowboy Junkies e Rolling Stones, si guadagna in breve tempo una reputazione che lo porta ad esordire con Uninvited Guest (02), a cui fa seguire un EP Testing 1,2 (03), pescando il jolly con il successivo Symphony In Sixteen Bars (04), che finito nelle mani della brava Judy Collins (è stato un colpo di fulmine musicale), lo porta al contratto con la Wildflower l’etichetta americana fondata dalla “signora del folk”, seguito da un altro EP Never Like This (06), e dopo una pausa per le sue attività collaterali (dimenticavo, è anche saggista), torna in studio per incidere il citato Comfort In The Static,e gli amanti di cantautori come Chuck E.Weiss, Randy Newman e affini, non dovrebbero lasciarselo scappare.
A dimostrazione che il nostro inizia a raccogliere quanto ha seminato, oltre alla sua eccellente band composta da Duke Levine alle chitarre, Marty Ballou al basso e Shawn Pelton alla batteria, porta per il nuovo album negli At Sear Sound Studios di New York City artisti e colleghi illustri quali David Crosby, Peter Wolf, il bravissimo polistrumentista Larry Campbell, senza dimenticare un superbo trio di voci femminili che rispondono al nome di Catherine Russell, Angela Reed e Amy Helm (cantante degli Ollabelle e figlia del mai dimenticato batterista della Band, Levon Helm). Come i precedenti dischi Long List Of Priors è composto interamente da brani originali, partendo subito alla grande con il brano iniziale A Road Less Traveled con David Crosby ai cori, su un tessuto musicale arricchito dal pianoforte di Kenny White e dal violino di Campbell, a cui fanno seguito la suggestiva Che Guevara dove spicca la chitarra di DukeLevinehttps://www.youtube.com/watch?v=6eietccd58Y, per raggiungere una delle vette più alte del disco con Another Bell Unanswered (dove ritroviamo ai cori Crosby), una ballata pianistica quasi sussurrata da White, che se fosse stata scritta da altri (non facciamo nomi), sarebbe diventata un classico, mentre Cyberspace è un brano su un tema sociale, costruito su una musica gioiosa suonata al meglio.
Si continua con una ballata elegante come The Other Shore, su un arrangiamento quasi di musica da camera https://www.youtube.com/watch?v=yTXWg7iWaCs , per poi passare al brano più “rock” dell’album Glad-Handed, con la partecipazione speciale dell’amico Peter Wolfhttps://www.youtube.com/watch?v=XMtQVA6sBow, seguito da un brano solo pianoforte, tromba e cori come Lights Over Broadway, lievemente in chiave “jazz”, mentre la vibrante e profonda Charleston, racconta di un sanguinoso fatto di cronaca ed è cantata in duetto con la brava cantante soul Ada Dyer. Come sempre la parte migliore di Kenny si manifesta nelle ballate piano e voce, ad esempio The Moon Is Low (starei ore ad ascoltarlo), a cui fa seguire un’intrigante West L.A., un brano quasi teatrale (con un testo figlio del Tin Pan Alley sound) che inizia in modo scanzonato, poi nel finale irrompe una sezione fiati e l’arrangiamento si apre in perfetto stile New Orleans; e che dire della delicata Color Of The Sky, dove brilla il clarinetto di Dan Block? Una piccola meraviglia! Come pure 4000 Reasons To Run, una folk-ballad che ricorda per certi versi il primo Bob Dylan, mentre la chiusura di questo disco magnifico, con una sorta di romanza pianistica, è affidata a The Olives And The Grapes (un omaggio alla Toscana che l’ha premiato con il Premio Ciampi), dove oltre al piano di White sono in evidenza una sezione d’archi, composta da violini, viola e cello.
Ognuna delle tredici canzoni di Long List Of Priors è un piccolo gioiello di raffinato artigianato musicale, con temi (amore, protesta, vita e morte), che White riporta in musica con una scrittura decisa, che si manifesta magistralmente sulla tastiera, con una tonalità vocale (che a tratti ricorda anche James Taylor, ma pure Cat Stevens) che lo rende credibile in ogni sua interpretazione, e con una bravura tale da far apparire semplice, quello che semplice non lo è affatto, confermandolo come uno dei rari autori che riescono in pochi minuti a condensare emozioni. Mentre il pubblico (purtroppo) tende ad essere attratto da parecchie false stelle del rock, un personaggio di talento come Kenny White, nonostante una carriera quarantennale, risulta ancora molto poco conosciuto dal pubblico, ma tutto questo non deve comunque far passare inosservato un lavoro come questo Long List Of Priors, anche se forse richiede più ascolti per essere apprezzato, è in ogni caso una raccolta basilare da aggiungere alla vostra discoteca, per scoprire un autore e pianista eccellente come Kenny White!
Non vorrei diventare una sorta di compilatore compulsivo di necrologi o peggio ancora un “becchino” (con tutto il rispetto per il mestiere) della musica rock in senso lato, ma ultimamente i musicisti se ne stanno andando ad un ritmo veramente serrato: forse anche perché tutti si avvicinano a quell’età in cui gli eccessi della gioventù arrivano per chiedere il conto del passato. Qualcuno muore perché era arrivato il suo momento, penso a Chuck Berry, ultranovantenne, ma anche al recentemente scomparso Lonnie Brooks, uno degli ultimi “grandi vecchi” del Blues, che è morto il 1° di aprile scorso alla rispettabile età di 83 anni, uno dei migliori chitarristi e cantanti della scena del blues urbano di Chicago e di cui non vi avevo segnalato la morte, ma lo faccio ora, perché mi sembra comunque giusto ricordarlo. L’altro ieri, il aprile, è stato trovato morto nella sua casa di Groton, nel Massachusetts, dove si era trasferito a vivere, anche John Warren “J.” Geils Jr., in arte J. Geils, nativo di New York City, ma con una carriera musicale svolta soprattutto a Boston e dintorni, con la band da lui formata, la mitica J. Geils Band, blues-rock sopraffino,spesso definiti i Rolling Stones americani, ancor più dei Toxic Twins”, ovvero gli Aerosmith.
Probabilmente anche per J. Geils, che aveva 71 anni, le cause della morte, per quanto comunicate ufficialmente dalla polizia di Groton, che lo ho trovato morto, come “cause naturali”, non possono prescindere dal fatto che per lui si parlava da tempo anche di problemi di alcolismo, e i suoi compagni non lo avevano voluto all’ultima reunion della band nel 2012, cosa per cui Geils aveva avviato una pratica legale contro i vecchi soci, anche se poi Peter Wolf sul suo facebook così lo ricordato “Thinking of all the times we kicked it high and rocked down the house! R.I.P. Jay Geils.”. Mi associo e per ricordare ulteriormente il grande musicista americano al link successivo trovate la mia recensione dello splendido CD/DVD uscito postumo un paio di anni fa e quindi leggerete altre notizie su questa splendida band, mentre J. Geils negli ultimi anni, almeno fino al 2009, si era dedicato soprattutto ad album di jazz, piacevoli, ma francamente solo surrogati e pallide imitazioni (a parte forse quelli con Robillard) dello splendido blues-rocker, a livello tecnico ma anche a livello scenografico, con chitarre a forma di freccia e a doppio manico, che era stato in passato, http://discoclub.myblog.it/2015/04/10/gli-stones-americani-degli-anni-70-j-geils-band-house-party-live-germany/.
Sono passati altri sei anni dalla pubblicazione del precedente album di Peter Wolf Midnight Souvernirs, ma il titolo e il contenuto del Post che avevo usato per quel disco http://discoclub.myblog.it/2010/04/10/pochi-ma-buoni-peter-wolf-midnight-souvenirs/, rimangono sempre validi. L’ex cantante della J.Geils Band rimane fedele alla sua cadenza temporale (addirittura il terz’ultimo Sleepless risaliva al 2002), ma anche alla assoluta qualità dei suoi dischi. Al contrario di quanto era accaduto nel periodo precedente, quello che era venuto con i primi album solisti negli anni ’80 e fino all’incirca alla metà degli anni ’90, i dischi di Wolf si erano concessi, come pure gli ultimi con il suo suo gruppo, la citata J. Geils Band, ad un suono commerciale, tamarro ed inconsistente. Poi non so se il cantante di New York abbia trovato la “cura per la solitudine”, ma sicuramente quella per la buona musica sì.Il 7 marzo ha compiuto 70 anni ma, con i suoi ritmi tranquilli, continua a regalarci ottimi album: questo A Cure For Loneliness, che è solo l’ottavo in una carriera ultra trentennale, conferma l’eccellenza e l’eclettismo sonoro espressi con Midnight Souvenirs. Al solito nel menu troviamo rock, ballate suadenti tra il soul e lo stile da crooner, l’amato blues e tracce di pop raffinato e di gran classe, addirittura c’è una rivisitazione in chiave Appalachiana e bluegrass (come la presenta lui) del vecchio classico della J. Geils Band Love Stinks.
Sono solo 37 minuti di musica, 12 brani perfetti, non un secondo sprecato: il disco si apre sulla splendida Rolling On, una canzone soffusa e dall’atmosfera raffinata, scritta come altro quattro con il suo collaboratore da lunga pezza Will Jennings, ed arrangiata in modo sublime dal suo tastierista Kenny White, che è anche il co-produttore del CD, i tocchi di piano e delle tastiere, il lavoro della sezione ritmica, Marty Ballou al basso e Shawn Pelton alla batteria, le note mirate dei due chitarristi Duke Levine e Kevin Barry, il delicato sostegno delle armonie vocali di Jeff Ramsey e Athene Wilson, tutto contribuisce a sostenere il cantato mirabile di Wolf e gli equilibri sonori di questo brano di grande fascino. It Was Always So Easy (To Find an Unhappy Woman) è una oscura cover di un brano dei primi anni ’70, dal repertorio di Moe Bandy, che pure ebbe qualche successo minore all’epoca (erano gli anni della J. Geils Band), ma la genialità di Wolf sta nell’averla trasformata in una canzone che sembra provenire dal Bob Dylan o dagli Stonespiù “campagnoli”, tra scivolate di organo alla Al Kooper, rintocchi di armonica, una slide malandrina e una solista pungente, e anche quell’aria vagamente honky-tonk country, e il tutto compresso nei 3 minuti scarsi del pezzo, geniale. Peace Of Mind, di nuovo dell’accoppiata Wolf/Jennings è una soul ballad deliziosa, tipo le cose più ispirate del Willy DeVille romantico e newyorkese, omaggiato da Wolf nel precedente Midnight Souvenirs.
Dopo un trittico così uno potrebbe aspettarsi un calo di tensione, ma la successiva How Do You Know ci riporta al blues più canonico della prima J. Geils Band, con l’aggiunta della seconda chitarra di Larry Campbell, il pianino indiavolato di White, i fiati degli Uptown Horns, lo stesso Peter all’armonica, nel ruolo che fu del suo vecchio pard Magic Dick, ci dimostra come si suona il blues a tempo di boogie, con le due coriste Ada Dyer e Catherine Russell che lo spalleggiano alla grande, e non è una oscura cover, ma un brano nuovo scritto per l’occasione. Fun For A While è un’altra ballata splendida, con una “weeping pedal steel” e una fisarmonica che alzano il tasso malinconico della canzone, notturna e raccolta, non per nulla i musicisti della sua band, quando sono in tour, si fanno chiamare Midnight Travelers. E proprio a proposito di tour Wastin’ Time, il brano successivo, è registrato dal vivo, di fronte ad un pubblico selezionato, si è soliti dire, un’altra canzone eccellente, un pezzo rock che ci riporta al vecchio sound della J. Geils Band, di nuovo in un suono che è un misto tra Dylan e Stones, di cui nei gloriosi anni di inizio carriera la band di Boston era orgogliosa pari e controparte americana.
Some Other Time, Some Other Place, l’ultimo pezzo firmato dalla coppia Wolf e Jennings vira verso un approccio più acustico, con Larry Campbell alla pedal steel, ma anche al violino, la moglie Teresa Williams alle armonie vocali, Tony Garnier che fa una comparsata al basso e il pezzo, non esagero, lentamente assume uno svolgimento non dissimile da certe cose del Van Morrison più bucolicoo dei Waterboys, c’è anche un mandolino sullo sfondo per confermare questo approccio quasi folk, altra canzone splendida. E pure la successiva non scherza: questa volta Peter Wolf ha chiamato Don Covay (quello che ha scritto, per citarne un paio, Mercy Mercy e Chain Of Fools, nel frattempo scomparso nel gennaio 2015) per scrivere con lui un omaggio ad un altro grande della musica soul come Bobby Womack, che la doveva cantare in duetto con Peter, ma nel frattempo se ne era andato pure lui. Niente paura, la canzone è rimasta una meravigliosa ode alla soul music più pura e gioiosa, con una spruzzata di fiati e Wolf che canta splendidamente, come d’altronde nel resto dell’album, Non ho detto il titolo? Questo gioiellino si chiama It’s Raining.
L’altro pezzo registrato dal vivo è la cover a tempo di bluegrass di Love Stinks, il più grande successo della J.Geils Band, che se devo dire mi piace molto di più in questa versione che in quella originale, divertente ed irresistibile, con il mandolino di Duke Levine che viaggia a tutta velocità. Mr. Mistake sembra un pezzo alla Buster Poindexter (vi ricordate, David Johansen quando aveva deciso di rendere omaggio alla vecchia musica swing e big band?), e lo fa, senza fiati, ma con la consueta grinta e classe. Che non mancano anche nel pezzo da crooner Tragedy, altra oscura canzone, pure nel repertorio di Brenda Lee e Fleetwoods, ma che fu un successo, l’unico, per tale Thomas Wayne & The DeLons, la versione del disco è piacevolissima, con Wolf circondato dalle voci femminili della due bravissime cantautrici Rose Polenzani e Kris Delmhorst, qui in una veste insolita. E l’ultima cover è altrettanto “oscura”: una versione, brevissima, un minuto e mezzo, di un vecchio pezzo country, Stranger, dal repertorio di Lefty Frizzell (mi pare la facesse anche Rosie Flores): solo la chitarra acustica di Duke Levine e la voce di Peter Wolf. Diciamo che gli ultimi tre pezzi, anche se comunque piccole delizie sonore, abbassano lievemente la qualità dell’album, che sarebbe quasi da 4 stellette nel suo insieme, ma rimane ottimo, e pensate che pur essendo della major Concord/Unversal non è stato neppure pubblicato in Europa, è solo import dagli States. Adesso aspettiamo il prossimo, speriamo fra meno di 6 anni!
Eccoci al resoconto periodico di alcune delle uscite future più interessanti, questa volta siamo a quelle del mese di Aprile, e visto che tra novità e ristampe ci sono molti titoli in ballo il Post sarà diviso in due parti, più o meno in ordine cronologico. Fermo restando che molti album vengono comunque recensiti con Post specifici (e altri ne leggerete nei prossimi giorni) partiamo con la prima parte.
In effetti ci mancava un bel cofanetto dedicato al rock australiano e questo The Glory Days Of Aussie Pub Rock, pubblicato dalla Festival Records di laggiù (quindi di non facilissima reperibilità, ma il prezzo non mi pare proibitivo) il prossimo 8 aprile in un un box da 4 CD raccoglie alcuni dei nomi più gloriosi del rock down under, Cold Chisel, Divinyls, Midnight Oil, Mental As Anything, Split Enz, Hunters & Collectors, Paul Kelly & The Coloured Girls, Men At Work. Sunnyboys, The Saints, Black Sorrows, Jimmy Barnes. Jo Jo Zep & The Falcons, Tim Finn, The Church. Ne ho elencati solo alcuni dei più noti, ma ce ne sono moltissimi altri, a fianco di nomi che pure il sottoscritto non dico ha mai ascoltato, ma neppure sentito nominare. Questa è la lista completa dei contenuti:
Tracklist [CD1] 1. Cold Chisel – Goodbye (Astrid Goodbye) 2. Midnight Oil – Cold Cold Change 3. The Angels – Take A Long Line 4. Divinyls – Boys In Town 5. The Radiators – Comin’ Home 6. Flowers – Walls 7. Models – Big On Love 8. Hunters & Collectors – Do You See What I See? 9. Jo Jo Zep & The Falcons – So Young 10. The Sports – Don’t Throw Stones 11. Mental As Anything – If You Leave Me – Can I Come Too? 12. Mondo Rock – Cool World 13. Paul Kelly & The Coloured Girls – Dumb Things 14. Australian Crawl – Beautiful People 15. Richard Clapton – Out On The Edge Again 16. Men At Work – Who Can It Be Now? 17. Matt Finish – Mancini Shuffle (Demo) 18. Sunnyboys – Show Me Some Discipline 19. Loaded Dice – Mam’selle 20. Ted Mulry Gang (Tmg) – Heart Of Stone 21. Russell Morris & The Rubes – The Roar Of The Wild Torpedoes 22. Wendy & The Rockets – Tonite 23. Billy Miller & The Great Blokes – Perpetual Motion 24. Dragon – Rain
[CD2] 1. Skyhooks – Women In Uniform 2. The Ferrets – Don’t Fall In Love 3. The Dingoes – Smooth Sailing (Original Mushroom Single Version) 4. Stars – Mighty Rock 5. Ren E Geyer – Hot Minutes 6. Stiletto – Goodbye Johnny 7. Texas – I Wanna Dance With You 8. The Elks – Party Girl 9. The Reels – Prefab Heart 10. Boys Next Door – Shivers 11. The Saints – Just Like Fire Would 12. Split Enz – History Never Repeats 13. Goanna – Solid Rock 14. Warumpi Band – Blackfella/whitefella 15. Ross Wilson – Living In The Land Of Oz 16. Ian Moss – Telephone Booth 17. The Badloves – Lost 18. Noiseworks – Take Me Back 19. Choirboys – Run To Paradise 20. Heroes – The Star And The Slaughter 21. Ray Arnott – On The Run 22. Marcus Hook Roll Band – Natural Man
[CD3] 1. Mi-Sex – Computer Games 2. Dave Warner’s From The Suburbs – Suburban Boy 3. Jimmy & The Boys – Products Of Your Mind 4. The Aliens – Confrontation 5. The Boys – Hurt Me Babe 6. The Hitmen – I Don’t Mind 7. Angry Anderson – Bound For Glory 8. Uncanny X-Men – Everybody Wants To Work 9. James Freud & The Radio Stars – Modern Girl 10. Icehouse – Nothing Too Serious 11. V. Spy V. Spy – Don’t Tear It Down 12. Xl Capris – World War 3 13. The Numbers – The Modern Song 14. The Church – Too Fast For You 15. The Lime Spiders – Weirdo Libido 16. The Lonely Hearts – The Spell 17. The Johnnys – Bleeding Heart 18. X – Dream Baby 19. Painters & Dockers – Nude School 20. Weddings, Parties, Anything – Away Away 21. The Zimmermen – What Really Hurts 22. Paul Kelly & The Dots – Seeing Is Believing 23. Ganggajang – Gimme Some Lovin
[CD4] 1. Jimmy Barnes – Driving Wheels 2. Baby Animals – One Word 3. The Screaming Tribesmen – Date With A Vampyre 4. Huxton Creepers – I Will Persuade You 5. Boom Crash Opera – The Best Thing 6. The Screaming Jets – Better 7. Heaven – Fantasy 8. Finch – Short Changed Again 9. Rose Tattoo – We Can’t Be Beaten 10. Billy Thorpe & The Aztecs – Movie Queen 11. Stevie Wright – Hard Road 12. Jeff St. John – A Fool In Love 13. The Stockley, See, Mason Band – Endless Love 14. Swanee – If I Were A Carpenter 15. The Cyril B. Bunter Band – Last Chance 16. The Cockroaches – She’s The One 17. Tim Finn – Made My Day 18. The Black Sorrows – Chained To The Wheel 19. Moving Pictures – Bustin’ Loose 20. Broderick Smith’s Big Combo – Faded Roses 21. Ariel – Yeah Tonight 22. The Party Boys (Featuring Kevin Borich) – Gonna See My Baby Tonight
Il 1° aprile la Caroline/Universal pubblicherà questo cofanetto a prezzo speciale con gli otto album rimasterizzati dei canadesi Bachman Turner Overdrive, usciti tra il 1971 e il 1979.Ecco il contenuto:
[CD1: Bachman-Turner Overdrive] 1: Gimme Your Money Please 2: Hold Back The Water 3: Blue Collar 4: Little Candy Dancer 5: Stayed Awake All Night 6: Down And Out Man 7: Don’t Get Yourself In Trouble 8: Thank You For The Feelin’
[CD2: Bachman-Turner Overdrive II] 1: Blown 2: Welcome Home 3: Stonegates 4: Let It Ride 5: Give It Time 6: Tramp 7: I Don’t Have To Hide 8: Takin’ Care Of Business
[CD3: Not Fragile (40th Anniversary Edition Remaster)] 1: Not Fragile 2: Rock Is My Life, And This Is My Song 3: Roll On Down The Highway 4: You Ain’t Seen Nothing Yet 5: Free Wheelin’ 6: Sledgehammer 7: Blue Moanin’ 8: Second Hand 9: Givin’ It All Away
[CD4: Four Wheel Drive] 1: Four Wheel Drive 2: She’s A Devil 3: Hey You 4: Flat Broke Love 5: She’s Keepin Time 6: Quick Change Artist 7: Lowland Fling 8: Don’t Let The Blues Get You Down
[CD5: Head On] 1: Find Out About Love 2: It’s Over 3: Average Man 4: Woncha Take Me For A While 5: Wild Spirit 6: Take It Like A Man 7: Lookin’ Out For #1 8: Away From Home 9: Stay Alive
[CD6: Freeways] 1: Can We All Come Together 2: Life Still Goes On (I’m Lonely) 3: Shotgun Rider 4: Just For You 5: My Wheels Won’t Turn 6: Down Down 7: Easy Groove 8: Freeways
[CD7: Street Action] 1: I’m In Love 2: Down The Road 3: Takes A Lot Of People 4: A Long Time For A Little While 5: Street Action 6: For Love 7: Madison Avenue 8: You’re Gonna Miss Me 9: The World Is Waiting For A Love Song
[CD8: Rock N’ Roll Nights] 1: Jamaica 2: Heartaches 3: Heaven Tonight 4: Rock And Roll Nights 5: Wastin’ Time 6: Here She Comes Again 7: End Of The Line 8: Rock And Roll Hell 9: Amelia Earhart
I primi quattro sono ottimi album di rock classico, gli altri un po’ meno validi ma pur sempre piacevoli
Teddy Thompson, come quasi tutti sanno è il figlio di Richard, e con cotanto padre, come lui stesso ha ammesso più volte in interviste e canzoni, è difficile reggere il confronto, ma il nostro amico ci prova, e dopo il disco come Thompson Family, l’ultimo a uscire con il contratto Universal, passa alla Cooking Vinyl, dove sempre il 1° aprile verrà pubblicato questo Little Windows, un album in coppia con Kelly Jones (che come appare evidente dalla foto di copertina, essendo una donna, non è né il leader degli Stereophonics, omonimo, né il batterista di Faces e Who, che sarebbe Kenny, ma una brava cantautrice tra country e roots music):
E sempre venerdì 1 uscirà il nuovo album del cantautore e polistrumentista americano Andrew Bird di cui ci siamo spesso occupati in modo positivo sul blog http://discoclub.myblog.it/2014/06/26/letterato-musicista-veramente-eclettico-andrew-bird-things-are-really-great-here-sort-of/ (e che curiosamente, se ci fate caso, ha una voce molto simile a quella di Teddy Thompson)..Il disco si intitola Are You Serious. è il decimo di studio di Bird ed esce su etichetta Loma Vista distribuzione Universal, prodotto da Tony Berg, già alla consolle per The Mysterious Production of Eggs, il disco del 2005 che lo aveva fatto conoscere, Tra gli ospiti il chitarrista Blake Mills e Fiona Apple che duetta con Bird in Left Handed Kisses.
Il disco uscirà anche in una versione doppia Deluxe, con due brani extra:
Tracklist 1. Capsized 2. Roma Fade 3. Truth Lies Low 4. Puma 5. Chemical Switches 6. Left Handed Kisses feat. Fiona Apple 7. Are You Serious 8. Saints Preservus 9. The New Saint Jude 10. Valleys Of The Young 11. Bellevue
Alla prima settimana di aprile (ma il giorno 8 per il mercato italiano) tornano anche i Cheap Trick con un nuovo disco Bang Zoom Crazy…Hello che Robin Zander, il loro cantante, dice essere una sorta di ritorno alle sonorità anni ’70 dei primi album, ma anche a quelle dell’omonimo del 1997, uscito su Red Ant Records e che è il preferito in assoluto di Zander, seguito ora da questo nuovo https://www.youtube.com/watch?v=E1Yaa0F95_Q che verrà pubblicato dall’etichetta Big Machine Records con distribuzione Universal, sette anni dopo il precedente che con coerenza si intitolava The Latest. Per la prima volta dietro alla batteria non siede più Bun E. Carlos, sostituito da Daxx Nielsen, il figlio di Rick, il chitarrista storico della band.
Sempre per il giorno 8 aprile sono in uscita gli album nuovi di due Ben (curiosamente entrambi distribuiti dalla Universal). il primo è il nuovo di CD di Ben Harper & The Innocent Criminals Call It What It Is, etichetta Stax, il disco è co-prodotto da Harper con i componenti della sua band, niente ospiti celebri questa volta, tutti i brani scritti da Ben con alcune collaborazioni con i musicisti del gruppo Juan Nelson, Leon Mobley, Oliver Charles, Jason Yates, Michael Ward. Pink Ballon il singolo è anche lo spot della nuova vettura di una nota marca automobilistica tedesca, senza fare nomi, diciamo che non passa un buon momento,
Ben Watt aveva lasciato trascorrere 21 anni tra l’uscita del suo primo album North Marine Drive ed il successore Hendra, pubblicato nel 2014. Questa volta ne sono passati solo due prima della pubblicazione di Fever Dream, nei negozi dal giorno 8 aprile su etichetta Unmade Road/Caroline/Universal:
Tracklist 1. Gradually 2. Fever Dream 3. Between Two Fires 4. Winter’s Eve 5. Women’s Company 6. Faces Of My Friends 7. Running With The Front Runners 8. Never Goes Away 9. Bricks And Wood 10. New Year Of Grace (feat. Marissa Nadler)
Tra gli ospiti la brava cantautrice americana Marissa Nadler oltre a M.C Taylor (Hiss Golden Messenger) e la produzione, insieme a Watt, di Bernard Butler, l’ex chitarrista degli Suede e ormai affermato produttore. Da quello che ho sentito il disco mi sembra molto bello, una sorta di John Martyn meno “sperimentale” per il 21° secolo.
Continuiamo con questo tripudio di uscite dell’8 aprile, casualmente (o forse no) tutte distribuite dalla Universal. Anche il nuovo dei Lumineers che arriva 4 anni, due nominations per il Grammy, 3 milioni di copie vendute e il mega successo di Ho Hey, si intitola Cleopatra e si avvale della produzione di una musicista che ci piace molto Simone Felice (quello del giro Felice Brothers e Avett Brothers) e registrato in un isolato studio dalle parti delle colline di Woodstock dove la Band creò i suoi capolavori. Naturalmente mi tocca ricordarvi che Barack Obama ha inserito recentemente il brano Stubborn Love del precedente albumnella sua lista dei preferiti su Spotify (insieme ad una trentina di milioni di altre persone https://www.youtube.com/watch?v=UJWk_KNbDHo–
Anche il nuovo album, a giudicare dalla title-track, sembra partire bene, simile al passato, ma se il rischio, per cambiare a tutti i costi, era di avere un disco brutto come l’ultimo Mumford And Sons, meglio rimanere fedeli alle loro sonorità classiche.
Torna con un nuovo album anche uno dei miei preferiti in assoluto Peter Wolf, http://discoclub.myblog.it/2010/04/10/pochi-ma-buoni-peter-wolf-midnight-souvenirs/. come ricordavo nel titolo del Post, l’ex J.Geils Band ultimamente non è più prolifico come un tempo (il terz’ultimo risaliva addirittura al 2002), ma i dischi sono sempre dei piccoli gioiellini. Anche le premesse per il nuovo A Cure For Loneliness, in uscita sempre l’8 aprile su etichetta Concord, distribuita, esatto, dalla Universal, sono ottime Vi piace il rock, il blues, il soul, il R&B, le grandi ballate, persino il bluegrass in questo caso, con una cover in questo stile del vecchio brano dei J Geils Love Stinks, nel nuovo album li trovate tutti: con una voce fantastica, un gruppo formidabile di musicisti guidati dal tastierista Kenny White (spesso con Judy Collins),che aveva co-prodotto con Wolf anche il precedente Midnight Souvenirs (dove c’era un tributo fantastico, uno dei rari, a Willy DeVille, The Night Comes Down), con Duke Levine e Kevin Barry alle chitarre, Marty Ballou al basso e Shawn Pelton alla batteria, oltre ad alcune aggiunte di pregio, come i fiati degli Upwtown Horns e la chitarra di Larry Campbell in How Do You Know. Campbell appare anche, con la moglie Teresa Williams e il bassista Tony Garnier in Some Other Time, Some Other Place, uno dei quattro brani firmati da Wolf con Will Jennings. In Tragedyla cover di una oscura ballata degli anni ’50 ci sono anche alle armonie vocali Kris Delmhorst e Rose Polenzani.
Insomma, senza raccontarvelo tutto, perché poi ho intenzioni di recensirlo, mi sembra un ennesimo gran bel disco. Tre cover e nove pezzi di Peter Wolf, compreso quella della J,Geils Band; il 4 febbraio Wolf era brevemente sul palco di Boston, la sua città, a cantare Shout, insieme a Bruce Springsteen e la E Street Band https://www.youtube.com/watch?v=iWiE_zd0Ve0
Il giorno 15 aprile sarà il Record Store Day, la giornata mondiale dei negozi indipendenti e del vinile. Come saprete, salvo rare eccezioni (per ragioni di spazio e tempo) raramente ci occupiamo degli LP, ma ogni tanto qualcosa scappa, e quindi mi corre l’obbligo di segnalarvi questo fantastico (e costoso) cofanetto che uscirà per l’occasione. Dedicato ai Creedence Clearwater Revival il box ha un contenuto misto di CD e vinili, in edizioni rarissime:
3 x LP’s LP 1 – GREEN RIVER LP 2 – BAYOU COUNTRY LP 3 – WILLY AND THE POOR BOYS
3 x CD’s (of each of the above LP’s) CD 1 – GREEN RIVER CD 2 – BAYOU COUNTRY CD 3 – WILLY AND THE POOR BOYS
3 x 7” Vinyl International EP’s 7″ 1 – Japan EP 7″ 2 – Mexico EP 7″ 3 – Brazil EP
Oltre a spillette, poster, adesivi, un libro di 60 pagine e altri gadgets.
Sempre lo stesso giorno usciranno anche due mega box limitati dedicati ai primi due album dei Metallica (ma ne parliamo nella seconda parte del Post, anche perché quella di oggi è venuta lunghissima e forse faticosa da caricare) e il Kiss My Amps Vol. 2 in vinile di Tom Petty And The Heartbreakers, di cui l’amico Marco Verdi vi aveva parlato su questo Blog http://discoclub.myblog.it/2011/12/23/per-pochi-intimi-ma-comunque-sempre-grande-musica-tom-petty/ e che prenoto fin d’ora per il secondo capitolo.
J.Geils Band – House Party Live In Germany – Eagle Vision CD+DVD o DVD
Classica band americana, originaria dell’area del Massachusetts, nata sul finire degli anni ‘60 come trio acustico intorno alla chitarra di John Geils e all’armonica di Richard Salwitz (il futuro Magic Dick), il gruppo assume la sua forma definitiva quando entrano in formazione il cantante Peter Wolf (originario del Bronx)e il batterista Stephen Jo Bladd, facendosi chiamare prima J.Geils Blues Band e poi, eliminando il Blues dal nome, ma non dalla loro musica, J.Geils Band. Con l’arrivo di Seth Justman alle tastiere diventano una vera forza della natura e dalla zona intorno a Boston, dove erano gli eroi locali, firmando un contratto con la Atlantic, partono alla conquista degli Stati Uniti, con la loro esplosiva miscela di rock, blues e R&B, soprattutto grazie ad un formidabile show dal vivo (ma anche in studio erano fantastici), tanto da essere definiti, come e più dei “Glimmer Twins” Aerosmith, una sorta di controparte americana dei Rolling Stones ed il gruppo preferito dell’Allman Brothers Band, insieme ai quali parteciparono al famoso ultimo concerto del Fillmore East nel giugno 1971.
Proprio sui Live la JGB ha costruito la sua reputazione, pubblicandone due, Live Full House (quello con la copertina con le carte da gioco) https://www.youtube.com/watch?v=vvm1_WrF3ns e il doppio Blow Your Face Outhttps://www.youtube.com/watch?v=3bDlvQD3S3k , registrati a Detroit, una sorta di seconda casa per il sestetto, insieme a Boston, da cui proveniva la prima parte del disco del vivo del 1976. Entrambi gli album vendettero intorno al mezzo milione di copie e con Bloodshot, addirittura entrato nei Top 10 delle classifiche USA, cementarono la popolarità della band, che nel momento in cui arriva in Europa per partecipare al Rockpalast di cui questo House Party è la documentazione, stanno girando l’Europa per promuovere il disco Sanctuary, l’ultimo prima di una svolta verso un suono più vicino ad un rock influenzato dalla New Wave più commerciale che caratterizzerà i successivi Love Stinks e soprattutto Freeze Frame, con il singolo Centerfold, ai primi posti in tutto il mondo, ma che segnerà la dipartita di un disilluso Peter Wolf, dopo l’ennesimo buon live Showtime, in disaccordo con lo stile più leggerino e danzereccio assunto dalla band, salvo poi caderci anche lui con i primi album da solista, prima della rinascita artistica nei Noughties.
Ma in questa serata siamo, di poco, ancora nei mitici Seventies, è il 21 Aprile del 1979 https://www.youtube.com/watch?v=g4GD0Zy5MT4 , e sul palco della mitica Grugahalle di Essen la J.Geils Band si esibisce in un eccellente concerto che sarà trasmesso dalla televisione tedesca in Eurovisione, perché, ebbene sì, c’è anche la parte video, in questa doppia confezione pubblicata dalla Eagle Vision, con il titolo Houseparty, e lo spettacolo che offriva il gruppo direi che esige la presenza del DVD . Per la serie una buona promozione è l’anima del commercio, il gruppo esegue, nella prima parte dello show, ben sei brani tratti da Sanctuary, ma con la furia e la potenza dei tempi migliori di questa band, che aveva ben tre frecce al proprio arco, la chitarra a forma di freccia di John Geils (scusate il bisticcio), l’armonica molto elettrificata di Magic Wolf, uno dei migliori virtuosi bianchi all-time dello strumento e grande storico del Blues e, soprattutto, la voce poderosa ed espressiva di Peter Wolf, tra i più grandi cantanti del rock americano dell’epoca, senza dimenticare le tastiere di Justman e l’inarrestabile sezione ritmica.
Ecco così scorrere magmatico il R&R della band in Jus’ Can’t Stop Me (ed è difficile fermarli, fin dall’inizio), I Could Hurt You, Sanctuary, One Last Kiss, Teresa e Wild Man, inframmezzati da Nightmares, la title-track del sesto album, una girandola di rock, blues, soul, una vera enciclopedia di party music, che poi decolla nella stratosfera nella seconda parte del concerto, quando appaiono i cavalli di battaglia del loro repertorio. Looking For A Love, il primo successo dei Valentinos di Bobby Womack, è trasformato in un R&R sfrenato degno di Little Richard o degli Stones più arrapati, e anche Give It To Me, R&B, rock e qualche giro reggae e funky, miscelati ad arte, non scherza un cazzo (scusate per lo scherza), Whammer Jammer, dal secondo album, è lo showcase strumentale per tutti i fantastici solisti della band. Ain’t Nothing But A House Party, alza ulteriormente l’asticella del divertimento, Where Did Our Love Go è proprio quella della Supremes, una delle glorie della Detroit musicale, Pack Fair And Square la facevano anche i Nine Below Zero, ma la versione da ritiro della patente per eccesso di velocità della JGB è formidabile, per concludere il tutto con un altro tributo alla Motown, una First Look At The Purse da sballo, presente fin dal primo spettacolo e dal primo disco, eccezionale. Se ci fosse stata anche la loro versione fenomenale di Serves You Right To Suffer di John Lee Hooker, sarebbe stato un live da 4 stellette, ma anche così, difficile farne a meno.
Terry Davidson & The Gears – Sonic Soul Sessions – Bangshift Music
Un’altra delle “leggende” del blues, del rock e della roots music Americana, da Columbus, Ohio,Terry Davidson & The Gears, da una quarantina di anni on the road, hanno diviso i palchi di tutto il circuito internazionale con gente come Chuck Berry, Muddy Waters, Buddy Guy, Johnny Winter, ZZ Top, solo per nominarne alcuni. Ovviamente così recita il loro sito, che riporta anche un giudizio da 5 stellette di American Blues Review. In effetti anch’io, quando ero un ragazzo, una volta, ho visto da lontano Jimi Hendrix e in un’altra occasione ho diviso il palco con Bruce Cockburn (è vero, e non era dopo il concerto, durante, però davo una mano agli organizzatori, per essere sinceri). Tralasciando le facili ironie, come è noto, negli States ci sono centinaia, addirittura migliaia di gruppi e solisti che propongono la loro musica con passione e bravura, e quindi non mi permetterei mai di prenderli per il c…, però un minimo di obiettività è richiesta.
A ben guardare Terry Davidson ha una cospicua discografia di sette album alle spalle, fa proprio i generi citati ad inizio recensione e li fa anche bene, quindi perché non parlarne? Siamo qui per questo e quindi parliamone https://www.youtube.com/watch?v=dgu-gq-d4E8 . La band è un quartetto, con Davidson che è la chitarra solista, il cantante e suona occasionalmente anche il mandolino, Mike Gilliland, armonica e seconda chitarra e voce, quando serve, Bill Geist e Bob Hanners, basso e batteria, Todd Brown è il tastierista aggiunto, e tra gli “ospiti” anche una ridotta sezione fiati e una piccola pattuglia di background vocalist agguerriti. Il risultato è un onesto disco di rockin’ blues, da una Sweet Deceiver tirata e fiatistica, con l’armonica di Gilliland e la chitarra con wah-wah di Davidson che si dividono gli spazi solistici, le atmosfere più sospese di una raffinata Nasty Girl.
Chicagoland, come da titolo, ha una parentela con il sound della Wind City, ma anche delle derive soul, grazie ad una voce femminile di supporto e all’uso dei fiati https://www.youtube.com/watch?v=omwdTuanICU . Qualcuno ha ipotizzato qualche grado di parentela con la J.Geils Band, ma quel gruppo aveva ben altra consistenza, con un cantante come Peter Wolf e l’armonica di Magic Dick, la formula è più o meno quella, la grinta c’è, ma Davidson non è un cantante così memorabile, anche se più che adeguato. Ancora più Chicago è lo slow blues classico di Too Late To Change, con il pianino di Brown che aggiunge autenticità e pathos al sound. So Hot ha un attacco alla Stones e anche il resto del pezzo qualche idea ai Glimmer Twins la ruba, però l’esecuzione è deliziosa e la voce assomiglia in modo impressionante a quella di Jaggerhttps://www.youtube.com/watch?v=5SufHjAW3nk . L’intensità del disco comincia a crescere, la stoffa c’è, Hound Dog Blues, sempre con un bel riff che la sostiene, è un altro pezzo più rock che blues e i Gears ci danno dentro di gusto, molto bene sia Gilliland che Davidson, che non si risparmiano neppure nel R&R alla Fabulous Thunderbirds di Tapped Out. Stomping Ground, con Terry Davidson al mandolino vira con ottimi risultati verso un country-roots-rock di buona fattura. Deep In The Blues si affida nuovamente alle dodici battute con Brown che passa all’organo, per un brano non memorabile ancorché nobilitato da un assolo di finezza di Davidson.
Three Ninety Six, poderosa e frenetica, ricorda band come i Nine Below Zero o i Blasters più tosti. Monkey Hand qualche parentela con il blues rivestito di rock della J.Geils Bandparrebbe averla mentre Memphis Bones è uno strumentale boogie molto swingato che permette a tutta la band di mettersi in evidenza. Conclude Without The Blues, la storia della vita di Terry Davidson messa in musica, con citazioni precise, verbali e musicali, di tutte le influenze che hanno costellato la sua vita di artista, piacevole e coinvolgente, come peraltro tutto il disco, che si lascia gustare senza tanti problemi. Non saranno delle leggende ma sono bravi!
La statua si chiama “Uomo che pensa”. Quando arrivi a fine anno e devi fare la tua lista dei migliori dell’anno (dopo averci pensato a lungo), quando l’hai pubblicata cominci ad avere i primi ripensamenti dovuti a clamorose dimenticanze o più semplicemente 10 titoli sono pochi e allora qual’è il vantaggio di avere un Blog personale se non per fregarsene delle convenzioni? Quindi vaffa alla lista dei dieci (che rimane valida) e pensa che ti ripensa, quando sono arrivato ad avere altri 30 titoli da aggiungere alla lista mi sono detto: meglio fermarsi qui ma anche che è stato un anno non male per la musica. Giudizi ovviamente personali (quelli della stampa estera ed italiana dai prossimi giorni, visto che sto lavorando alle nuove recensioni del Buscadero per gennaio e non ho tempo per scrivere altre recensioni userò quelle, le potrete leggere in anteprima e “a gratis” nei prossimi giorni): dicevo giudizi personali ma serve anche per ricordare e ricordarvi dischi sfuggiti al primo giro e anche come consigli per acquisti e regali natalizi. Visto che sono tanti dischi, in questo post ne ho inseriti una ventina (sempre in ordine sparso) e una decina (gli outsiders) in un altro post nei prossimi giorni (se volete approfondire li trovate tutti nel Blog).
Elton John & Leon Russell – The Union
Robert Plant – Band Of Joy
Arcade Fire – The Suburbs
John Grant – Queen Of Denmark
Tom Petty & The Heartbreakers – Damn The Torpedoes Deluxe Edition
Peter Wolf – Midnight Souvenirs
Ray Charles – Rare genius
Los Lobos – Tin Can Trust
Duke And The King – Long Live The King
Avett Brothers – Live, Volume 3 (CD o DVD)
Who – Live At Leeds Box Set
Delaney & Bonnie – On Tour With Eric Clapton Box 4 CD
Huey Lewis and the News – Soulsville
Southside Johnny and The Asbury Jukes – Pills and ammo
Gaslight Anthem – American Slang
Sandy Denny – Box Set 19 CD
Mavis Staples – You Are Not Alone
Ray LaMontagne and The Pariah Gods – God WIllin’ and The Creek Don’t Rise
Ryan Adams – III/IV
Eric Clapton – Eric Clapton
John Mellencamp – No better Than This
Me ne stanno già venendo in mente altri “duecento” meglio che mi fermo. Nei prossimi giorni gli outsiders e una appendice sui DVD. Oltre alle “classifiche” degli “altri” a partire con quella di Mojo che è già uscita, magari domani (i primi 2 ci sono anche nella mia lista di oggi)!