Le Origini Di Alex Chilton. Box Tops – The Original Albums 1967-1969

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The Box Tops – The Original Albums 1967-1969 – 2 CD Raven distr. IRD

Alex Chilton è giustamente considerato uno dei grandi della musica rock americana, soprattutto per il suo contributo come leader dei Big Star, una delle più importanti band culto degli anni ’70 e anche per la successiva carriera come solista, proseguita nelle tre decadi successive. Ma il vero grande successo comerciale lo ha conosciuto proprio come cantante dei Box Tops, uno dei primi gruppi del cosiddetto “blue-eyed-soul”, inventato dal suo mentore e scopritore Dan Penn, cantante ma soprattutto autore, nonché produttore e talent-scout che, in collaborazione, con Chips Moman Spooner Oldham, prima agli American Studios di Memphis e poi ai Muscle Shoals fu una delle figure principali nella diffusione del soul e del R&B nelle classifiche americane (ma sarebbe una storia lunga, che peraltro andrebbe, ed è stata raccontata più volte). Quello che ci interessa in questo caso è la sua liaison con Chilton, giovane di belle speranze e leader di un gruppo di assoluti sconosciuti, i Devilles, che praticavano a metà anni ’60 un pop influenzato dal suono della british invasion. Chips Moman e Dan Penn erano alla ricerca di un cantante sulla falsariga di Stevie Winwood, un bianco con la voce da nero, che sull’altro lato dell’Atlantico stava sbancando le classifiche con lo Spencer Davis Group, per cui le due vecchie volpi acquisirono in toto i Devilles cambiando il loro nome in Box Tops ed istruirono Chilton per farlo cantare come un maturo cantante soul, mentre all’epoca il giovane Alex, aveva da poco compiuto 16 anni.

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Ovviamente il gruppo venne guidato, per non dire “plagiato” da Penn e dal giro abituale di musicisti suoi collaboratori, che erano quelli che suonavano nei dischi soul della Atlantic e della Stax, e poi avrebbero suonato con Presley e con le stelle del futuro movimento dei country outlaws, oltre agli stessi Penn e Spooner Oldham, tastierista sopraffino, possiamo ricordare il chitarrista Reggie Young, ma anche Tommy Cogbill, Bobby Emmons, il grande soulman Bobby Womack e tantissimi altri. A fianco di questi musicisti c’era anche un gruppo di autori di talento, a partire da Wayne Carson Thompson, l’autore di The Letter, un megasuccesso come singolo sul finire del ’67 (e successivamente ripresa anche da Joe Cocker, in una versione memorabile) e prima traccia dell’album di esordio dei Box Tops, intitolato proprio The Letter/Neon Rainbow. La voce originale di Chilton non era quella aspra, rauca e poderosa che il giovane impiegò nel singolo, ma venne studiata a tavolino, comunque con risultati devastanti, perché il timbro usato era veramente fantastico, degno dei migliori cantanti neri, ma non sarebbe stato quello di Alex nel resto della carriera. Anche i suoi compagni nel gruppo, con un vorticoso giro di membri utilizzati nei due anni di vita della band, con il solo chitarrista James Talley, oltre a Chilton, componente fisso, non avevano nessun compito specifico nella band, un po’ come succedeva con i Monkees, Alex cantava e Penn dirigeva, con ottimi risultati, tutta la baracca. Diciamo chiaramente che i Box Tops sono stati una band da singoli, le altre canzoni contenute negli album non dico che fossero dei meri riempitivi, ma diciamo che non erano dei capolavori.

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Anche se, come dimostra questa ottima doppia antologia della australiana Raven che raccoglie tutti i brani registrati per i quattro dischi pubblicati dalla Bell tra il Novembre 1967 ed il settembre 1969, oltre ai grandi successi, che erano anche le canzoni più belle, qualche piccola chicca era comunque presente. Naturalmente gli appassionati di musica saranno più che contenti di accappararsi questi CD, curati con la solita certosina abilità dai compilatori della etichetta, sia a livello suono, sia per l’ottimo libretto di 16 pagine che riporta tutte le notizie che occorre sapere, ma se trovate una antologia che contiene solo i singoli va bene lo stesso, per i “maniaci” la Sundazed aveva pubblicato anche i singoli CD con bonus.I quattro album sono stati inseriti in origine cronologico: nel primo, oltre a The Letter, c’è l’altro grande successo, Neon Rainbow https://www.youtube.com/watch?v=2ZtV2BDUPwwsempre firmata da Wayne Carson Thompson, autore anche di She Knows How, un altro discreto blue-eyed soul, che mette in evidenza la voce di Chilton, appesantita da un arrangiamento di archi e fiati che erano tipici dell’epoca, ci sono anche quattro brani firmati da Penn/Oldham, il lato B Happy Times, presente in versione mono (il resto è in stereo, a parte le bonus), sempre del sano soul con l’organo di Oldham in evidenza, ma Everything I Am e I Pray For Rain non sono memorabili, anzi, come pure la versione di I’m Your Puppet, grande successo per James & Bobby Purify, e anche la versione copia carbone di A Whiter Shade Of Pale, pur suonata e cantata benissimo non gli fa un baffo a quella dei Procol Harum https://www.youtube.com/watch?v=qB0z7ZV93e0 (voi direte, e i Dik Dik?) , la cover di un brano di Bacharach e anche le due canzoni scritte da Bobby Womack non vanno oltre la sufficienza.

Nel primo CD c’è anche il secondo long playing completo del 1968, Cry Like A Baby, con il singolo che gli dà il titolo come brano migliore, anche grazie all’intervento della chitarra-sitar di Young e alla verve della canzone (c’era stata pure una versione italiana Mi Sento Felice, purtroppo non inserita nel doppio https://www.youtube.com/watch?v=LwMA8D5yfg4 ): ma nel secondo album, forse il più compiuto della discografia per il tipo di suono, non male il blue-eyed-soul con i soliti archi e fiati di Deep In Kentucky, un paio di brani di Mickey Newbury, non tra i suoi migliori, e questo della qualità delle canzoni è il problema di tutti gli album, Oldham e Penn ne firmano altre tre, oltre alla title-track. c’è una versione di You Keep Me Hangin’ On delle Supremes, trasformata in un pezzo rock, che sarebbe una idea geniale se non l’avessero già fatta i Vanilla Fudge l’anno prima https://www.youtube.com/watch?v=nTKb1btXDSwEvery Time, piacevolissima https://www.youtube.com/watch?v=9yFwBxbp27E , sembra una delle canzoni che faceva Tom Jones, in quel periodo, del pop di gran classe, come pure Fields Of Clover e Lost, dove Young si cimenta ancora al sitar elettrico e 727, una gagliarda pop song con la bella voce di Chilton in primo piano https://www.youtube.com/watch?v=fmAJGJjW08o . Per completare il primo CD la Raven ha aggiunto come bonus le versioni mono dei grandi successi e qualche lato B dei singoli, due canzoni con la firma di Alex Chilton, le prime scritte dal geniale musicista americano, lontane dai fasti futuri dei Big Star, anche se Come On Honey non è malaccio.

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Il secondo CD contiene Non-stop, il terzo album uscito nel luglio del 1968 e Dimensions, il quarto e ultimo, pubblicato nel settembre del 1969: come al solito sono i singoli i brani migliori, Choo Choo Train, scritta da Donnie Fritts ed Eddie Hinton, è un ennesimo esempio di ottima soul music fatta da bianchi https://www.youtube.com/watch?v=2TRfjxTNKcw  e I Met Her In Church, di Penn e Oldham è quasi un gospel-rock soul degno del grande Elvis https://www.youtube.com/watch?v=BDDBRt8_O1w , I’m MovinOn, il celebre brano di Hank Snow, è un ottimo country-rockabilly, Sandman, scritta da Wayne Carson Thompson è fin troppo melodrammatica, come usava all’epoca, nonostante l’elettrica minacciosa di Young, buona People Gonna Talk, sulla scia dei successi dei Box Tops, con quell’andatura ondeggiante, una prima versione di Rock Me Baby di BB King, che non inserirei tra le migliori 100 versioni del brano, anche se Chilton ci mette del suo, come pure i musicisti impegnati, ma non c’entra niente con il resto, che non resterà negli annali del pop. Dimensions si apre con Soul Deep, l’ultimo grande singolo del gruppo https://www.youtube.com/watch?v=IhN6IqCKzkw  ed è seguita da una bella versione di I Shall Be Released, la canzone di Dylan resa immortale dalla Band su Music From Big Pink, qui Chilton canta con la sua voce normale, non sforzata, quella che userà in futuro e lascia intravedere le potenzialità del futuro genio del pop-rock che sarà https://www.youtube.com/watch?v=VLz985ozQ3M . Midnight Angel si lascia ascoltare come Together, uno dei tre brani a firma Chilton contenuti nell’album, gli altri due I Must Be The Devil, uno strano blues, che fa il paio con un’altra versione lunghissima, oltre nove minuti, di Rock Me Baby, posta in chiusura dell’album e decisamente migliore di quella presente nel LP precedente. Per completismo ricorderei pure una canzone di Neil Diamond, Ain’t No Way, puro pop dell’epoca, tipo quelle che scriveva ai tempi per i Monkees, ma non così bella. Direi che è tutto: ribadisco, soprattutto per appassionati di white soul e buona, anzi ottima pop music, forse “troppo” ma comunque due bei dischetti!

Bruno Conti

Mi Sembra Di Conoscerli! Wayne Sharp and The Sharpshooter Band – Living With The Blues

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Wayne Sharp And The SharpShooter Band – Living With Blues – Self released

La faccia ritratta nel disegno di retro copertina del CD e le foto interne di Wayne Sharp con figli, amici e familiari, non mi dicevano assolutamente nulla a livello fisiognomico, il cognome mi risvegliava qualche vago ricordo, ma di Todd Sharp ho perso le tracce, Randy, Elliott e Kevin non sono parenti, Edward ha la E finale, chi rimane? Poi ho iniziato a sentire il CD, il primo brano suona come Wang Dang Doodle anzi è Wang Dang Doodle, un bel blues con organo hammond e  due chitarre soliste e un piacevole vocione che sa trattare come l’argomento http://www.youtube.com/watch?v=AYxAHL-VjXU . Allora si va più in profondità nelle note e vedi che Wayne ringrazia alcuni “brothers in Blues”, tra cui Lamar Williams, con il quale, insieme a Jaimoe, aveva condiviso una band ad inizio anni ’80, che veniva dal giro Allman Brothers, gente già incrociata nei lontani anni ’60 http://www.youtube.com/watch?v=fwPrNThQZ28.

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Ma soprattutto il nome che balza all’occhio è quello di Michael Burks, con cui Sharp ha condiviso quattro album per la Alligator ed  una dozzina di anni on the road, come organista della sua band e tutto si fa più chiaro. Un altro bluesman (bianco questa volta) che fa il suo esordio discografico abbastanza avanti negli anni, ma la classe c’è, nella Sharpshooter Band suonano i figli Sean e Grayson, il bassista Terrence Grayson (un omaggio, il nome del figlio?) era anche lui nella band di Burks, tra gli ospiti troviamo The “Legendary” Jackie Avery, un musicista che ha scritto brani per Arthur Conley, Dells e Johnnie Taylor (oltre ad essere stato sposato con una delle vocalist dei Wet Willie, di cui tra un attimo), che appare alla seconda voce e piano nel pezzo di Willie Dixon succitato.

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All’altra chitarra solista, oltre al figlio Grayson, c’è l’ottimo Jon Woodhead (quello degli Ace di Paul Carrack negli anni ’70 e poi sessionman di lusso con Maria Muldaur, Leon Russell e anche con Santana, tra gli altri). E per completare gli ospiti, all’armonica in alcuni brani, c’è Jimmy Hall, proprio dei Wet Willie, a completare questa rimpatriata “sudista”. Il disco, uscito già da qualche mese, non è certo un capolavoro, ma si ascolta con piacere, ha quella patina rock-soul-southern alla Atlanta Rhythm Section che si unisce al blues a base organo Hammond/chitarra prevalente nel disco. Tra le altre cover, una bella ballata, Even Now, firmata David Egan/Buddy Flett di un gruppo minore, i Bluebirds, Close, di cui ignoro la provenienza, il classico Baby What You Want Me To Do, con Jimmy Hall all’armonica, quasi claptoniana.

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Southern Storm un’altra bella ballata che profuma di Sud, scritta dallo stesso Sharp che si cimenta anche al piano. Drivin’ Though The Delta, di nuovo con Hall, è un altro brano ancora molto southern, mentre Runnin’ Out Of Time conferma la predisposizione di Wayne per i brani lenti, confermata da una bella rilettura, molto vicina allo spirito originale, della super classica A Whiter Shade Of Pale, un must per ogni organista che si rispetti, che è sempre un bel sentire, anche se Gary Brooker (con e senza Procol Harum) è un’altra cosa. I Got My Gris Gris On You, senza infamia e senza lode e Put Me Down and Let Me Walk ancora con l’incisiva armonica del sempre bravo Jimmy Hall http://www.youtube.com/watch?v=P1LGHI4sZOk , ci portano all’omaggio conclusivo al grande Michael Burks, uno dei migliori buesmen delle ultime generazioni http://www.youtube.com/watch?v=J1hUzJlzHJQ , scomparso prematuramente per un infarto nel 2012 http://discoclub.myblog.it/2012/09/01/l-ultima-prova-dell-uomo-di-ferro-michael-burks-show-of-stre/ , con una Empty Promises che se non raggiunge l’intensità della versione dell’omone nero, è fatta con il cuore, e si sente. Il suo datore di lavoro era un’altra cosa, ma il disco, ripeto, si lascia ascoltare con piacere.

Bruno Conti

Adesso lo sapete! Parte III

 

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Terza puntata della serie, proviamo ad aumentare la difficoltà dei quesiti.

Quale famosa canzone dei Creedence è stata ispirata da Richard Nixon?


La risposta è, ovviamente, Fortunate son, anche se merita un chiarimento in quanto il parente di Nixon in questione era il genero, son-in-law in inglese, ma “Il genero fortunato” non sarebbe stata la stessa cosa.
Sapete quale è stato il brano più trasmesso alla radio inglese dagli anni sessanta a oggi?
Vi aiuto: non è stata Yesterday, Imagine, Thriller, We Are The world, I will always love you (Parton+Houston), neppure, visto il periodo, White Christmas o altri brani natalizi, ma nemmanco Stairway to heaven (questa in America), quindi?
Ebbene sì, la mitica A whiter shade of pale, brano del 1967, Senza Luce dei Dik Dik in italiano.
A proposito di Natale, per il più venduto, se la battono Bing Crosby e Mariah Carey, ma per il sottoscritto il più bel disco natalizio rimane A Christmas Gift To You di Phil Spector! Ma di che anno è?
L’anno originale di uscita è il 1963, sembra strano che una persona capace di produrre musica così bella sia stato condannato nel 2009 per omicidio!
Anche questa non è facile! Tra i tanti “one hit wonders” di sempre una delle canzoni più belle che si ricordi è sicuramente Something in the air dei Thunderclap Newman, presente in molte colonne sonore, la più celebre quella di “Fragole e sangue”, Strawberry Statement in inglese, uno dei rari casi in cui la traduzione italiana è migliore dell’originale. Ma sapete chi era il produttore del brano e dell’album che la conteneva? Anche in questo caso, un aiutino, trattasi di un chitarrista inglese.
La risposta è Pete Townshend, che secondo me è il personaggio che ha ispirato il Bob Rock del Gruppo TNT! Avete presente i nasoni?

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Ma lo sapete chi, tra gli altri, oltre a Tom Jones e Ike & Tina Turner ha fatto una versione di questo brano?

 

Come direbbe Aldo, non ci posso credere!!! Ebbene sì, proprio Bob Marley, controllare prego.
Ci vediamo la settimana prossima con la quarta parte.
Bruno Conti