Prossimo Disco Dal Vivo Per Eric Johnson – Europe Live

eric johnson europe live

Eric Johnson – Europe Live – Mascot/Provogue/Edel CD/2LP 24-06 UK/EU 01/07 ITA

Come dicevo, recensendo il precedente Up Close Another Look http://discoclub.myblog.it/2013/02/13/provaci-ancora-eric-una-anteprima-eric-johnson-up-close-anot/ , Eric Johnson non è un artista particolarmente prolifico, tra dischi in studio, dal vivo e il progetto G3 fatichiamo ad arrivare a dieci. Quindi questo nuovo Europe Live giungerà come una gradita sorpresa per i fans del chitarrista texano. Registrato nel corso del tour europeo del 2013, la maggior parte del materiale proviene dalla serata al Melkweg di Amsterdam, con alcuni brani tratti da due date in Germania, ed è l’occasione per fare il punto della situazione sulla sua carriera, ma soprattutto per ascoltare uno dei massimi virtuosi della chitarra elettrica attualmente in circolazione: il genere di Johnson non è di facile definizione, sicuramente c’è una forte componente rock, ma anche notevoli accenti prog, blues, fusion, jazz e qualche piccola spolverata di country, folk e qualsiasi altra musica vi venga in mente, con l’enfasi posta proprio sul virtuosismo allo strumento, in quanto la musica prevede poche parti cantate e quindi si basa molto sul lavoro alla chitarra di Eric, che in questa occasione (come quasi sempre) si esibisce in trio, con gli ottimi (benché non molto noti Chris Maresh al basso e Wayne Salzmann alla batteria https://www.youtube.com/watch?v=4M6amrKDt1w .

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Tra i suoi prossimi progetti ci sono collaborazioni con il collega Mike Stern e nuovi dischi in studio, sia elettrici che acustici, mentre in tempi recenti è stato possibile ascoltarlo nei dischi di Sonny Landreth, Christopher Cross, Oz Noy, e sempre Mike Stern, mentre il side-project degli Alien Love Child (dove appariva il bassista Maresh) al momento sembra silente. Proprio da quel disco proviene Zenland, uno dei brani più rock di questo Live, preceduto da una breve Intro, che è una delle due tracce inedite di questo album. Austin, è il brano dedicato da Mike Bloomfield alla città texana, uno di quelli cantati dallo stesso Eric, anche se la versione di studio su Up Close, mi pareva più grintosa, non si può negare il fascino di questo brano, dove il blues assume quell’allure molto raffinata che lo avvicina a gente come Robben Ford, Steve Morse ed altri musicisti “prestati”  alle dodici battute, anche se nel caso di Robben è vero amore https://www.youtube.com/watch?v=KPH8YitsJwQ .

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Forty Mile Town è una ballata romantica e dagli spunti melodici, cantata sempre da Johnson, in modo più che dignitoso, ma non memorabile, nobilitata da un lirico assolo. Una delle cover principali del disco è una versione vorticosa di Mr. P.C, un brano di John Coltrane, quasi dieci minuti di scale velocissime ed improvvisate che escono dalla chitarra di Johnson, con ampio spazio per gli assolo del basso di Maresh e della batteria di Salzmann, come nei live che si rispettano, siamo più dalle parti del jazz-rock e della fusion, ma il tutto viene eseguito con grande finezza. Manhattan era su Venus Isle, il disco del 1996, un altro strumentale naturalmente molto intricato nei suoi arrangiamenti, con la chitarra sempre fluida ed inventiva del titolare a deliziare la platea dei presenti e noi futuri ascoltatori del CD. Zap, che era su Tones, il suo disco migliore, a momenti vinse il Grammy nel 1987 come miglior brano strumentale, ed è una bella cavalcata a tempo di rock, con continui cambi di tempo e tonalità della struttura del brano e Chris Maresh che fa numeri alla Pastorius con il suo basso elettrico fretless.

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A Song For Life vede Eric Johnson passare all’acustica, un brano tra impressioni classiche e new age, che si trovava sul primissimo Seven Worlds. Fatdaddy viceversa viene dall’ultimo Up Close ed è uno dei brani più tirati dell’intero concerto, quasi a sfociare in un hard rock virtuosistico degno dei migliori Rush o dei più funambolici Dixie Dregs dell’amico Steve Morse. Last House On The Block è il brano più lungo del CD, una lunga suite di oltre dodici minuti, tratta dal disco degli Alien Love Child, divisa in varie parti, anche cantate, e tra le migliori cose del concerto nei suoi continui cambi di tempo ed atmosfere sonore, che si avvicinano, a momenti, al miglior rock progressive degli anni ’70. La breve Interlude ci introduce al brano più famoso di Johnson, Cliffs Of Dover, che il Grammy lo ha vinto (video vintage https://www.youtube.com/watch?v=smwQafhNU6E, altra cavalcata nel migliore rock progressivo, mentre Evinrude Fever, è l’altro brano inedito presentato in anteprima in questo tour europeo e che è l’occasione per una bella jam di stampo rock con tutta la band che viaggia a mille sui binari del rock più travolgente, con intermezzi blues e R&R inconsueti nel resto del concerto. Finale con Where The Sun Meets The Sky ribattezzata per l’occasione Sun Reprise, un brano affascinante, molto complesso nel suo dipanarsi, con effetti quasi cinematografici e che chiude degnamente questo Live destinato agli amanti di un certo rock, ricco di virtuosismi ma non privo di sostanza e qualità.

Bruno Conti

*NDB In questi giorni mi sono accorto che, a mia insaputa (come all’ex ministro Scajola), è stato aperto un canale su YouTube dedicato al Blog https://www.youtube.com/channel/UC_HDvJLsHP-MY0cQQjjb_Aw, probabilmente generato dai moltissimi video che inserisco in ogni Post oppure dalla nuova piattaforma WordPress utlizzata da MyBlog, non saprei dirvi, comunque c’è e potete entrare a leggere i post anche da lì.   

“Vecchie Glorie” Sempre In Gran Forma, 1! Wishbone Ash – Blue Horizon

wishbone ash blue horizon

Wishbone Ash – Blue Horizon – Solid Rockhouse

Scorrono inesorabili gli anni e due delle formazioni storiche del rock britannico sembrano non risentirne, anzi in questo 2014 rilasciano quelli che sono tra loro migliori lavori da lunga pezza a questa parte e, forse, anche i tra migliori in assoluto di due carriere formidabili. Oggi Wishbone Ash, nei prossimi giorni Kim Simmonds & Savoy Brown. I Wishbone Ash sono in circolazione da circa 45 anni e della vecchia formazione è rimasto solo il chitarrista e fondatore Andy Powell, ma se già con il precedente Eleganth Stealth avevano dato chiari segni di vita (dischi dal vivo a parte) http://discoclub.myblog.it/2012/01/17/vecchie-glorie-9-wishbone-ash-elegant-stealth/ , questo Blue Horizon http://www.youtube.com/watch?v=fecmfywHKUI , 24° album di studio, in vari momenti, e soprattutto nelle parti strumentali, ci riporta a tratti allo splendore di dischi come Pilgrimage o Argus, con l’ultimo arrivato, il chitarrista finlandese Muddy Manninen che si è perfettamente integrato nel gruppo e dà vita con Powell a ripetuti duetti chitarristici che non hanno nulla da invidiare a quelli dei tempi di Ted Turner prima e poi di Laurie Wisefield, senza dimenticare l’ottimo bassista Bob Skeat chiamato a rimpiazzare l’altro fondatore della band Martin Turner e il solido batterista Joe Crabtee, entrambi musicisti ricchi di inventiva, capaci di “inventare” atmosfere ora sognanti, ora più prog, con tracce jazzate. ma sempre nella grande tradizione del miglior rock della terra d’Albione, discorso che vale per tutta la band, veramente in gran forma nell’arco dell’intero disco.

Si capisce l’aria che tira, cioè ottima, sin dall’apertura affidata a una Take It Back, scritta dal figlio di Powell, Ainsley, che fin dal titolo ci 2riporta alle sonorità “fantastiche” e classiche dei Wishbone, due soliste all’unisono, il violino dell’ospite Pat McManus per un sound quintessenzialmente britannico, ingentilito dalle belle armonie a due voci che ricordano il miglior rock progressivo di quegli anni, Jethro Tull, Camel, Yes ma anche il rock-blues a due chitarre che gli Allman inventavano sull’altro lato dell’Atlantico e il folk-rock inglese che era nel suo momento magico, il brano ha una sorta di costruzione circolare con la melodia delle due soliste che ritorna ciclicamente al tema del brano sotto forma di un riff insistito. Deep Blues è più tirata, e Manninen grazie anche al suo patronimico mostra anche il lato energico del gruppo, con i duetti di chitarra che si fanno duelli, il suono più aspro, fa capolino uno slide e Powell lascia andare la mano sul manico del chitarra con una scioltezza che mancava da tempo. Strange How Things Come Back Around costruito attorno a solido giro di basso di Crabtree, ondeggia tra un morbido funky non dissimile da certi Caravan più sognanti e le derive elettroacustiche di Wishbone Four o There’s The Rub dove un certo gusto per il brano “orecchiabile” (le armonie vocali di Lucy Underhill) si stemperava in improvvisi assoli ficcanti da parte delle due twin lead guitars. Ottima Being One dove il lato prog della band prende decisamente il sopravvento, Camel e Yes dietro l’angolo, con gli assoli a rincorrersi su una base quasi jazz-rock ma sempre melodicamente assai raffinata.

Bellissimo Way Down South, un mid-tempo leggiadro che rende omaggio anche alla musica sognante della West Coast americana, ma sempre mediata dal sound di Canterbury, chitarre deliziose che inventano traiettorie sonore a cui solo un duro di cuore non può soccombere, il testo forse non è particolarmente memorabile, ma la lunga coda strumentale è quanto di meglio si possa ascoltare in una formazione con due chitarre soliste, fantastica, sentire per credere, gli anni ’70 sembrano non essere passati invano http://www.youtube.com/watch?v=nYa_FKA0wic ! E in Tally Ho ripetono la magia, con un altro brano semplice, dove il cantato è poco importante ma lo svolgimento sonoro è raffinato e sognante quanto non si ascoltava da anni nei loro dischi (salvo nei momenti più ispirati, che in questo Blue Horizon si incontrano a ripetizione), con quell’alternanza quieto-mosso che poi sarebbe tornata, sotto altre forme soniche, nel grunge degli anni ’90. Mary Jane l’altro brano a guida Manninen ritorna al rock-blues, più scontato e un tantinello scolastico, ma sempre nobilitato dal lavoro delle chitarre, un piccolo calo si può perdonare. American century con un bel intro di stampo jazzy poi si trasforma in un melodic rock dove le voci di Powell e della Underhill cercano di dare sostanza ad un altro brano diciamo minore, anche se le chitarre pure grazie alla produzione precisa di Tom Greenwood sono sempre in primo piano.

Ma il finale con i due brani più lunghi, Blue Horizon http://www.youtube.com/watch?v=O1GMQ5MCREY  e All There Is To Say http://www.youtube.com/watch?v=hlNITnzmcyo , ancora una volta si rivolge al suono dei tempi migliori, quelli di Argus, nella prima, per esempio, dove Powell rispolvera per l’occasione il suo magico wah-wah nell’estesa parte centrale strumentale e poi nel continuo alternarsi delle due lead guitars fino alla jam finale e nella seconda, che dopo una lunga intro classicheggiante in crescendo sembra riportarci ai fasti della classica Throw Down A Sword http://www.youtube.com/watch?v=LByiVlc6czA  con le chitarre soliste, e qualche tocco di violino, che nuovamente rinnovano il loro felice interplay, marchio di fabbrica che ha sempre fatto dei Wishbone Ash una delle migliori formazioni di rock classico, mai troppo scontato grazie alla maestria dei solisti. Non memorabile, ma sorprendentemente piacevole. Il genere è quello, prendere o lasciare!

Bruno Conti

Vecchi E Nuovi Prog Rockers, Unitevi! Anteprima Flying Colors – Live In Europe

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Flying Colors – Live In Europe – 2CD DVD 3 LP o Blu-ray Provogue/Edel 15-10-2013

I Flying Colors sono un nuovo super gruppo di quel filone che discende direttamente dal prog rock classico degli anni ’70, hanno all’attivo un solo album di studio, omonimo, uscito nel 2012 e sono tra i migliori nel genere. Anche perché nelle loro fila ci sono alcuni dei musicisti migliori nel campo: due dal “passato”, Steve Morse alla chitarra e Dave LaRue al basso, dai leggendari Dixie Dregs, una band che univa il southern classico al filone hard-prog americano, che aveva anche elementi delle future jam bands, vi sfido ad ascoltare un brano come Blue Ocean che apre questo doppio CD dal vivo e non riscontrarvi delle analogie con il sound di una band come i Phish, estrema abilità ai propri strumenti, unita con un gusto per la improvvisazione, ma anche per la melodia, innato.

I due dal “presente” sono Neal Morse (per quanto strano non sono parenti, ma anche il sottoscritto non ha nulla a che vedere con l’ex calciatore della Roma), tastierista, ex Spock’s Beard e ora solista, nonché l’ottimo batterista Mike Portnoy, già con i Dream Theater. A fare da collante un cantante, Casey McPherson, che non ha il pedigree degli altri componenti la band, ma possiede una bella voce, in grado da spaziare dal prog alla Genesis o Kansas, all’hard rock melodico, ma anche a quello duro e anche una sensibilità pop, intesa nel senso più nobile del termine. Le linee sinuose della chitarra di Steve Morse sono il punto di forza del gruppo e il solista americano, secondo me, qui si trova molto più a suo agio di quanto non sia nei Deep Purple (di cui è chitarrista dal 1995).

Registrato a Tilburg, Olanda nel settembre del 2012, il concerto, oltre a riprendere brani dal loro unico album solista, ovviamente si appoggia anche al repertorio delle varie band da cui provengono i cinque. Shoulda Coulda Woulda, da quel disco, ha un sound più duro, che quasi ricorda il grunge dei Pearl Jam, anche per la voce vedderiana di McPherson, se non fosse per le tastiere onnipresenti di Morse (Neal) e l’indaffaratissimo Portnoy alla batteria. Love Is What I’m Waiting For ha quell’aura pop di cui vi dicevo, con armonie vocali quasi Beatlesiane del gruppo intero e l’ottimo McPherson che si rivela cantante dalle mille risorse vocali, molto bravo a dispetto della scarsa fama. Proprio dal gruppo da cui proveniva il bravo Casey, gli Indochine (ammetto, mai sentiti) arriva la prima cover della serata, Can’t Find A Way, con un attacco di chitarra di Morse che ricorda moltissimo i Pink Floyd di metà anni ’70, Shine On You Crazy Diamond e poi si rivela un ottimo brano di rock dalle melodie dolci ed accattivanti. The Storm prosegue in questa vena tra melodia e prog-rock con il gruppo che si divide tra l’indubbia abilità tecnica e un gusto per la melodia inconsueto nelle band più hard degli ultimi anni, ma che i vecchi gruppi rock avevano stampato nel DNA, aggiornato ai giorni nostri.

Nella versione di Odyssey, tratta dal capolavoro dei Dixie Dregs, What If, non c’è il violino di Allen Sloan, ma le tastiere di Neal Morse supportano alla grande la chitarra di Steve in quell’ibrido di jazz-rock, prog, southern e hard che era la musica della band, allora su Capricorn, ritmi vorticosi e continui cambi di tempo, qui riprodotti perfettamente dal vivo. Forever in a daze è un altro brano dal disco di debutto dei Flying Colors, un pezzo di rock più convenzionale, vagamente funky grazie al basso di LaRue, mentre la cover successiva è quantomeno inaspettata, leggendo il titolo mi era preparato ad ascoltare una versione prog-rock di Hallelujah,Cohen via Buckley, invece McPherson la canta, bene, nello stile di Jeff, accompagnato solo da una elettrica arpeggiata. Better Than Walking Away conclude, ancora su una nota melodica e riflessiva il primo CD.

Kayla con un abbrivio quasi classicheggiante ci riporta al sound progressive degli anni ’70 o ai Marillion dei primi dischi (che poi è la stessa roba), Fool in my heart è un poppettino piacevole ma innocuo, Spur Of The Moment è una breve improvvisazione al basso di Dave LaRue ed è seguito da Repentance un brano dei Dream Theater meno complessi e da June un pezzo tratto dal vecchio repertorio degli Spock’s Beard, tuttora in attività ma senza Neal Morse, che qui canta in un brano tra primi Yes e CSN, molto piacevole ed avvolgente anche per le belle armonie vocali. All Falls Down è uno dei brani più tirati, quasi frenetico, con chitarra e tastiere a guidare le danze. Everything Changes e la lunghissima Infinite Fire, il brano più improvvisato del set ci portano alla conclusione del concerto e del doppio CD (o DVD, se preferite,  che avrà anche un documentario di 45 minuti con estratti da altri concerti del tour). Se amate il rock progressivo, ma quello di buona qualità, qui c’è trippa per gatti! Esce il 15 ottobre.

Bruno Conti