Supplemento Della Domenica: Favoloso “Vero Soul” Australiano! Jimmy Barnes – Soul Searchin’

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Jimmy Barnes – Soul Searchin’ –  Liberation Music (2 CD Deluxe Edition)                    

Jimmy Barnes è uno dei rocker più gagliardi mai prodotti dal continente australiano: nel 2014 ha festeggiato con 30:30 Hindsight 30 anni di carriera discografica come solista http://discoclub.myblog.it/2014/11/04/30-anni-jimmy-barnes-hindsight/ . Ma prima ancora, dal 1973, e dal 1978 discograficamente parlando, è anche il leader dei Cold Chisel, il gruppo a cui deve la sua fama, e che nel 2015 si sono ritrovati per un secondo album, The Perfect Crime, dopo la reunion del 2012. Ma una delle altre principali passioni del musicista di origini scozzesi (oltre al rock) è sempre stata la musica nera, rivista attraverso la sua particolare ottica rock, ma sempre con un sano rispetto per i musicisti ed i brani originali: il nostro amico ha dedicato una tetralogia a questa passione, Soul Deep del 1991, Soul Deeper…Songs From The South del 2000, The Rhythm And The Blues del 2009 e ora il nuovo Soul Searchin’, di cui ci occupiamo tra un attimo, oltre a molti album Live dove ha sviscerato ulteriormente l’argomento. Inutile dire che, assieme ad alcune prove con i Cold Chisel, questi dischi sono probabilmente i migliori della sua carriera. E l’ultimo è forse il migliore in assoluto.

Anche se questi album vengono sempre pubblicati solo per il mercato australiano (e raramente poi su quello americano) e quindi la reperibilità è difficoltosa e il costo elevato, vale assolutamente la pena di effettuarne la ricerca. Soul Searchin’ esce addirittura anche in una versione Deluxe in 2 CD, con 8 brani aggiunti, registrati nelle stesse sessions a Nashville dello scorso anno, sotto la produzione di Kevin Shirley, e con la partecipazione in studio dei Memphis Boys, i leggendari musicisti che hanno partecipato ad alcune registrazioni di Elvis Presley degli anni d’oro, tra cui In The Ghetto e Suspicious Minds, ma anche ai dischi di Aretha Franklin, Dusty Springfield, Box Tops, Bobby Womack, Wilson Pickett e molti altri artisti, anche country, all’American Sound Studio di Memphis. Come detto, questa volta sono tutti in trasferta a Nashville, a un altro celebre studio, il Grand Victor, quello costruito da Chet Atkins nel 1965, oltre ai Memphis Boys (Cogbill. Leech, Reggie Young, Bobby Emmons, Bobby Wood eccetera), presenti in quattro brani e che veleggiano verso gli 80 anni, ma da come suonano non si direbbe, ci sono anche Steve Cropper, Dan Penn, una pimpante sezione fiati e un piccolo gruppo di background vocalists e, ad abbassare la media, come età, anche Joe Bonamassa, alla chitarra, in una poderosa rilettura di In A Broken Dream il famoso brano dell’australiano Python Lee Jackson, nella cui versione originale cantava Rod Stewart https://www.youtube.com/watch?v=aGA96kM7-CU .

Per il resto sono tutti pezzi soul o quasi, molti oscuri, cercati appositamente da Barnes, altri celeberrimi, ma tutti bellissimi ed eseguiti veramente bene, con gusto e feeling, oltre ad avere un suono splendido. Ed ecco scorrere She’s Looking Good, che apre l’album, un classico minore di Wilson Pickett, Hard Working Woman, uno splendido brano del recentemente scomparso Otis Clay (l’8 gennaio di quest’anno, lo stesso giorno di Bowie, e quindi non lo ha ricordato quasi nessuno), più avanti, nelle bonus, c’è anche I Testify, e ancora una fantastica A Woman Needs To Be Loved del carneade Tyrone Fettson, incorniciata da uno splendido assolo di chitarra e da una interpretazione magnifica di Barnes. Cry To Me di Solomon Burke la conoscono tutti ed è sempre bellissima, come la giri https://www.youtube.com/watch?v=d4WNRCv05iI , mentre If Loving You Is A Crime (I’ll Always Be Guilty), il primo pezzo con i Memphis Boys, è una deep soul ballad emozionante, anche questa di uno sconosciuto, Lee Moses, seguita da It’s How You Make It Good, un altro uptempo con fiati scritto da Paul Kelly, anche questo con solo lancinante di chitarra e classici urletti R&B di Jimmy.

I Worship The Ground You Walk On è un brano firmato dalla premiata ditta Dan Penn/Spooner Oldham, con Steve Cropper alla chitarra, e Barnes racconta che Penn era presente alla registrazione di questo e di altri due brani, e di come fosse “strano” ed emozionante, mentre si registrava, avere qualcuno che ti diceva “questa l’ho scritta io, e anche questa”. Per esempio The Dark End Of The Street, versione splendida, con Penn che duetta con Jimmy Barnes https://www.youtube.com/watch?v=nwLZ271g-jg . Insomma per farla breve, tutto il disco è di grande spessore, ci sono anche Lonely For You Baby, una splendida Mercy Mercy di Don Covay (la facevano anche gli Stones), ancora due brani di Wilson Pickett, Mustang Sally e In The Midnight Hour, Drowning In The Sea Of Love e l’omaggio a Elvis di Suspicious Minds. Ma non c’è un brano scarso. Grande disco, super consigliato a tutti, non solo per gli amanti della soul music.

Bruno Conti

Con Tutta La Buona Volontà Non Riesco A Stroncarlo! Rod Stewart – Another Country

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Rod Stewart – Another Country – Capitol CD

Piccola premessa: a me Rod Stewart è sempre stato simpatico. Mi è sempre piaciuto il suo spirito un po’ guascone, la sua espressione da furbetto, le sue passioni mai nascoste, oltre che per la musica, per calcio, donne e whisky (non necessariamente in questo ordine). Ma, per quanto possa essere ben disposto nei suoi confronti, il critico che è in me deve vedere le cose da un lato oggettivo, ed ammettere che musicalmente il buon Rod non azzecca un disco da quasi quaranta anni. Stewart ha indubbiamente avuto un inizio di carriera sfolgorante, prima con i due mitici primi dischi del Jeff Beck Group (Truth e Beck-Ola), nei quali era la voce solista, poi con una serie di album solisti che variavano dal buono all’ottimo, ed in cui riusciva ancora a coniugare vendite eccellenti e bella musica (Every Picture Tells A Story, Smiler e gli “americani” Atlantic Crossing e A Night On The Town i miei preferiti), fino alla strepitosa carriera parallela con i grandi Faces, una delle rock’n’roll band più influenti del periodo (chiedere ai Black Crowes per informazioni). L’ultimo suo disco decente è stato Foot Loose And Fancy Free, ma già dal seguente Blondes Have More Fun Rod ha cominciato ad annacquare la sua musica con ritmi disco (la famigerata Da Ya Think I’m Sexy?, ma non solo) e con un pop da classifica che sicuramente gli ha regalato molte soddisfazioni finanziarie ma che gli ha anche alienato gli estimatori della prima ora. Da quel momento, qualche discreta canzone sparsa qua e là, ma quasi mai bei dischi tutti interi (Vagabond Heart del 1991 non era malaccio, come le canzoni nuove del semi-antologico Lead Vocalist del 1993, mentre l’Unplugged dello stesso anno era uno dei migliori della serie patrocinata da MTV, ma era pur sempre un live), fino a quando, nel corrente millennio, il biondo scozzese si è messo in testa di riproporre i grandi classici della canzone americana con l’interminabile serie The Great American Songbook, con esiti che definire soporiferi è voler essere generosi.

Nel 2013, il nostro ha infine deciso di riprendere a scrivere canzoni (ha sempre funzionato meglio come interprete, specie negli ultimi anni), e l’album che ne è risultato, Time, non era nemmeno da buttare, non certo un capolavoro, ma ci faceva risentire barlumi del vecchio Rod, pur non essendo certo privo di difetti: il successo ottenuto (primo numero uno in Inghilterra dal 1976) lo ha convinto a continuare sulla stessa strada, ed il frutto delle sue fatiche è il nuovo Another Country. L’album prosegue sulla falsariga del suo predecessore: Rod scrive (quasi) tutti i brani di suo pugno, in collaborazione con Kevin Savigar (i due sono anche i produttori) e, oltre alla consueta miscela di pop e ballate che lo hanno reso ricco e famoso, abbiamo molti riferimenti alle sue radici celtiche, quindi più di un aggancio al folk e persino qualcosa di country (e, ahimè, di reggae), con un risultato finale che, anche se non lo farà rientrare certo tra i dischi preferiti di chi frequenta abitualmente questo blog, non lo classifica nemmeno come ciofeca. Diciamo che dodici brani nell’edizione normale e diciassette in quella deluxe sono forse un po’ troppi, si poteva fare tranquillamente un disco con le dieci canzoni più riuscite ed avremmo probabilmente avuto il miglior disco di Rod dagli anni settanta. Oltre a Savigar, soprattutto alle tastiere, nel disco suonano una lunghissima serie di sessionmen che non sto ad elencare per non tediarvi (tanto non ne conosco mezzo), a parte Joanna Jacoby al violino, Don Kirkpatrick e Mike Severs alle chitarre, Emerson Swinford al banjo e ukulele e la sezione ritmica composta da Conrad Korsh e Iggy Grimshaw (rispettivamente basso e batteria).

Love Is, che è anche il primo singolo, apre il disco quasi alla maniera di Mark Knopfler, con un malinconico violino a ricamare un’aria molto irish, poi entrano chitarra acustica, banjo e la voce di Rod che intona una melodia molto gradevole, con un bel crescendo ritmico alle spalle: non male come inizio. Anche Please mantiene il disco su livelli buoni, un brano decisamente più elettrico e dal ritmo sostenuto, ma con un arrangiamento rock solido e senza sbavature, mentre Walking In The Sunshine, sempre molto mossa, ci riporta il Rod più commerciale, con una canzone orecchiabile e solare (normale, visto il titolo), ma comunque non da buttare. Love And Be Loved è il tanto temuto (da me) reggae, ed il nostro in queste vesti ha la stessa credibilità di un politico italiano che prometta le riforme, mentre We Can Win ha ancora quel sapore irlandese che la rende piacevole, anche se la confezione è un po’ ridondante (ma questo è Stewart, prendere o lasciare). La title track mi piace, ha una melodia perfetta per il singalong (Rod è ruffiano come pochi al mondo), e con una mano più leggera poteva essere un signor brano; Way Back Home è uno slow un po’ troppo sdolcinato, e qui sorvolerei volentieri, così come Can We Stay Home Tonight?, che non sarebbe male come ballad, ma suona come un disco di Eric Clapton degli anni ottanta, quando si faceva produrre da Phil Collins. Batman, Superman, Spiderman, a parte il titolo idiota (allora perché non anche Ironman e i Fantastici Quattro?), prosegue con il mood sonnolento, dopo un buon inizio il CD si sta sedendo (anzi, coricando); The Drinking Song ha finalmente un po’ di brio, ed un arrangiamento più in linea con i miei gusti (alla Maggie May, per intenderci), una slide sbarazzina ed un bel refrain, uno dei pezzi miglior https://www.youtube.com/watch?v=7rV3ZAzlle4 i.

Hold The Line (scritta e prodotta da tali RedOne e TinyIsland) vorrebbe essere un pezzo country-folk, e tutto sommato Rod se la cava, pur senza fare sfracelli, mentre A Friend For Life (cover di un brano di Steve Harley), torna ad aumentare il tasso zuccherino, e ne avrei fatto anche a meno. Every Rock’n’Roll Song To Me, che inaugura la versione deluxe, non mantiene del tutto quello che promette il titolo, ma ha un tiro discreto e poi Rod ha classe da vendere; One Night With You è un errebi radiofonico tipico del nostro, si fa ascoltare ma non lascia traccia. In A Broken Dream merita un discorso a parte: è infatti la versione extended di un pezzo del 1968 della semisconosciuta band australiana Phyton Lee Jackson, il cui cantante David Bentley non si sentiva in grado di cantare questo brano e chiamò un allora sconosciuto Rod Stewart a fare le sue veci (non accreditandolo poi sul singolo); Rod si prende qua la sua rivincita (ne registrò un’altra versione nel 1992, con David Gilmour e John Paul Jones https://www.youtube.com/watch?v=-S9kuSLtupM ), ed il brano si staglia potente ed epico, con un tappeto sonoro tipico dell’epoca, un organo in grande spolvero ed uno stile che a me ricorda un po’ gli Animals di quegli anni: una canzone strepitosa, ma non vale in quanto è di quasi cinquanta anni fa. L’album si chiude, stavolta sul serio, con la solare Great Day, discreta, e con Last Train Home, trascurabile.

Se qualcuno sperava nel ritorno del Rod Stewart degli esordi rimarrà deluso, ma comunque Another Country non è neppure una schifezza totale: non vi sto dicendo di correre a comprarlo, ma se a Natale ve lo regalano prima di riciclarlo al vicino di casa dategli un ascolto.

Marco Verdi