Una Voce Senza Tempo! Rachel Brooke – Down In The Barnyard & A Killer’s Dream

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Rachel Brooke – Down In the Barnyard Self Released

Rcahel Brooke – A Killer’s Dream – Self Released

Questa è una ragazza di talento, di grande talento, una nuova cantante, ma che vive in un mondo musicale situato nel remoto passato, ai tempi di Jimmie Rodgers o della Carter Family, o al limite potrebbe essere una “collega” di Hank Williams ai tempi del programma radiofonico Lousiana Hayride, o se vogliamo andare in tempi più “moderni” pensate a una Loretta Lynn o a Patsy Cline, se fossero state delle folk singers munite solo di chitarra acustica. “Giù nell’aia della fattoria”, che è il titolo di uno dei due CD, rigorosamente auto distribuiti, quello di fine 2011, il primo ed il migliore dei due di cui mi occupo (a mio parere e per il momento). Ne ha fatti anche altri, da sola o in compagnia di Lonesome Wyatt dei Those Poor Bastards, un duo di “disperati” che hanno una discografia immane di old country gotico delle radici, se così si può definire. Anche la nostra amica come eccentricità non scherza: l’ultimo album, A Killer’s Dream, oltre che in vinile è stato pubblicato anche su cassetta (!!!), se volete verificare sul suo sito www.rachelbrookemusic.com/ , ma c’è anche per il download digitale in questa miscela di vecchio e nuovo.

Tornando a Down In The Barnyard, la prima cosa che colpisce (e che ha attizzato tutta la stampa indipendente e underground americana) della giovane del Michigan, è la voce: pura, vibrante, squillante, indolente e un po’ birichina. Quando parte il primo brano dell’album, The Barnyard appunto, ti pare di venire scaraventato nel passato, in un mondo che quasi non esiste più (ma in America non è detto), una novella Maybelle Carter, quasi 6 minuti di stream of consciousness a tempo di banjo e chitarra acustica, con un testo lunghissimo (per fortuna accluso nel libretto del CD) che rivaleggia con quelli dei folksingers più verbosi ma mai noiosi, la voce double-tracked, perché la ragazza apprezza anche la tecnologia, e questa tonalità naturale degna della old time più rigorosa ma anche a suo modo “moderna”. Lonesome For You con una grancassa che scandisce il tempo, potrebbe far pensare a una one-woman-band, quelle cantanti di strada che si incontrano a feste paesane e piccoli festival, con il suo country blues un po’ dolente ma scanzonato. Must Be Somethin’ In The Water con il picking dell’acustica ed una elettrica sullo sfondo è una specie di valzerone ninna nanna che ti culla a tempo di country e tu ti rilassi e dimentichi le preoccupazioni della vita moderna, poi, d’improvviso, nel finale, il chitarrista alza il volume della sua chitarra a undici con una svisata violenta, entra un batterista e fanno un finale country-punk con lei che canta serafica ed imperturbabile. City Of Shame introduce anche un violino malandrino che sottolinea il country folk del brano mentre Me And Rose Connelly, sempre con voce raddoppiata, ha un suono più tipicamente country.

How Cold è un lamento amoroso a tempo di country blues e Meet Me By The Apple Tree, di nuovo con il banjo a sostenere la chitarra di Rachel, è sempre in quel filone country atemporale e la lunga e narrativa The Legend Of Morrow Road, con un piccolo rumore di statica (una vecchia radio?) aggiunto con la tecnologia, ha il fascino delle ballate ricche di atmosfera. Rinuncio a parlare di tutti i brani (ma il rockabilly mosso di Mean Kind Of Blues fuso con lo yodel, una citazione la merita), cosi riesco ad illustrare anche l’album successivo, questo Down In The Barnyard ha comunque un fascino senza tempo, che lo rende un prodotto quasi unico nel panorama musicale attuale, filologico senza essere rigoroso o palloso, certo non il country della Nashville tradizionale ed è piaciuto moltissimo pure a Shooter Jennings che lo ha inserito tra gli 11 migliori dell’anno.

A Killer’s Dream, uscito a dicembre 2012, colpo di scena, introduce il sound di una band, i Viva Le Vox dalla Florida, altri tipi poco raccomandabili e fuori di testa, ma ottimi musicisti, che fanno  virare il suono (anche con altri musicisti presenti nel disco) verso un suono tra jazz, country, torch songs o il singolo A Killer’s dream, dove sembra una ragazza yé-yé, o la sorella dei Beach Boys, con  assolo di xilofono incorporato, ma anche il favoloso blues con uso di slide di Serpentine Blues o il breve brano accapella nell’iniziale Have It All, seguito da un altro blues come Fox In A Hen House e dalla nuova versione di un suo vecchio brano in versione jazzata con tanto di tromba e timpani come Late Night Lover o una delle sue rarissime cover, Every Night About This Time di Fats Domino, rallentata ma sempre molto fifties, mentre Life Sentence Blues è uno dei pochi brani nel vecchio stile country blues, a cui mi stavo abituando nell’album precedente.

Per il momento ho ancora una preferenza per Down In The Barnyard, ma anche quello nuovo sentito bene comincia ad entrarmi in circolo. Nella lunga Old Faded Memory, all’inizio Lonesome Wyatt sembra Vinicio Capossela e in Ashes To Ashes, Rachel Brooke rispolvera quella sua tonalità naturale tra torch song e yodel che è deliziosa. Molto bella anche The Black Bird con assolo di “saw” e cartone animato nel video, ma vi pare, non è normale! In definitiva questo è un nome da tenere d’occhio e anche da ascoltare con le orecchie bene aperte.

Bruno Conti