Era Matto Come Un Cavallo, Ma Anche Un Grandissimo Musicista! Frank Zappa – Zappa In New York Deluxe Edition

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Frank Zappa – Zappa In New York Deluxe 40th Anniversary Edition – Zappa Records/UMG 3LP – 5CD Box Set

Ci risiamo: se si doveva commemorare il quarantennale dei famosi concerti di Frank Zappa al Palladium di New York nel Dicembre 1976 (quattro serate tra Natale e Capodanno) prendendo in esame la data di pubblicazione della prima versione poi ritirata (1977), questo box doveva uscire nel 2017, mentre se, come si è fatto, l’album di riferimento è il doppio LP uscito nel 1978, siamo comunque in ritardo di un anno sulla ricorrenza. Ma andiamo con ordine. Nel 1976 Frank Zappa era forse nel suo momento di maggior fama, dato che aveva da poco pubblicato tre tra i suoi album più popolari (Over-Nite Sensation, Apostrophe e Zoot Allures) oltre al famoso live Roxy & Elsewhere, ed i suoi quattro concerti newyorkesi post-natalizi erano stati registrati per un nuovo disco dal vivo. Zappa In New York fu però un album dalla gestazione molto travagliata, e che incrinò non di poco i rapporti tra il nostro e la Warner, che fece ritirare la prima versione del 1977 (uscita in poche copie solo in Inghilterra, copie che adesso valgono una fortuna), contravvenendo all’accordo tra le due parti che riconosceva a Zappa il totale controllo del suo materiale: la materia del contendere era soprattutto il brano Punky’s Whips, dedicato sarcasticamente a Punky Meadows, chitarrista degli Angel, la cui immagine eterea ed effeminata fu bersaglio dei lazzi di Frank con un testo obiettivamente un tantino “oltre” (anche se pare che Meadows stesso avesse preso la cosa con leggerezza ed ironia).

Nel 1978 uscì dunque la versione definitiva del live, ma anche qui ci furono problemi di censura per alcuni titoli come Titties & Beer e I Promise Not To Come In Your Mouth, e per le tematiche affrontate in pezzi come The Illinois Enema Bandit (che “celebrava” la figura realmente esistita di Michael Kenyon, un criminale che usava rapinare le donne e poi costringerle a subire dei clisteri d’acqua calda) e Honey, Don’t You Want A Man Like Me?, una love song dalle liriche piuttosto scurrili. Zappa riuscì finalmente a pubblicare una versione definitiva dell’album su doppio CD nel 1991, ma ora la label gestita dai suoi eredi ha fatto le cose in grande, pubblicando un’edizione deluxe (per usare un eufemismo, abbastanza costosa) con all’interno cinque CD ed un corposo libretto con foto inedite, note ed anche i testi dei brani, in una curiosa confezione tonda in latta che raffigura un tipico tombino di New York (ma alla fine sembra più una scatola di cioccolatini, e presenta pure qualche problema logistico di sistemazione sugli scaffali). Il primo CD contiene la versione originale del 1978, opportunamente rimasterizzata, mentre nei restanti dischetti vi è una selezione con il meglio delle quattro serate: non gli show completi, ma ogni canzone eseguita nella sua versione più riuscita (infatti nel 1978 erano stati scelti quasi totalmente brani all’epoca inediti, suonati per la prima volta in quegli spettacoli).

E l’ascolto del box si rivela una goduria, in quanto (ma non lo scopriamo oggi) Zappa era un grande intrattenitore, un grandissimo musicista ed un band leader carismatico, che mascherava dietro atteggiamenti e canzoni spesso demenziali una preparazione ed una tecnica mostruose. Zappa In New York è quindi un meraviglioso collage di musica rock, jazz, funky e fusion, con canzoni che sono una fucina di idee e di creatività, suonate da una delle migliori band mai avute dal rocker di Baltimore, un gruppo che comprendeva il chitarrista Ray White, il funambolico batterista Terry Bozzio, il bassista Patrick O’Hearn, Ruth Underwood, indispensabile con i suoi xilofono, marimba e moog, Eddie Jobson alle tastiere e violino ed una eccezionale sezione fiati di cinque elementi, vera colonna portante del suono del gruppo, con i fratelli Mike e Randy Brecker rispettivamente al sax e tromba, il jazzista Ronnie Cuber al sax e clarinetto e, dalla band del Saturday Night Live, Tom Malone e Lou Marini. CD 1: il disco originale, che inizia con la pimpante Titties & Beer, un pezzo tra rock e funky, con un bel suono “grasso”, un grande uso dei fiati (uno stile molto vicino a quello che in futuro avranno i Phish, gruppo senz’altro influenzato da Frank) ed un duetto vocale quasi cabarettistico tra Zappa e Bozzio; segue I Promise Not To Come In Your Mouth, che nonostante il titolo osceno è uno strumentale lento e piuttosto “free”, contraddistinto da un assolo di moog. La breve Big Leg Emma è un godibilissimo rock’n’roll decisamente swingato, musicalmente trascinante e dal testo idiota, Sofa è un altro strumentale dominato dal sax con un potente assolo finale di Frank alla chitarra, mentre Manx Needs Women è un divertissement un po’ folle di appena un minuto e mezzo.

Le due parti di The Black Page danno un’idea dello spirito di improvvisazione dei nostri, che non suonavano mai lo stesso brano due volte allo stesso modo: qui si parte da un lungo assolo di Bozzio (un classico degli anni settanta, l’assolo del batterista), per poi proseguire con gli altri strumenti in totale libertà, pur con un tema melodico ben preciso. Dopo una diretta e divertente Honey, Don’t You Want A Man Like Me?, una canzone quasi normale per gli standard di Zappa, l’album originale si chiude con i due brani più lunghi, e cioè The Illinois Enema Bandit, un rock-blues di 12 minuti cantato da White e suonato in maniera strepitosa, con un ispiratissimo assolo da parte di Frank, ed una monumentale The Purple Lagoon, 17 minuti di pura improvvisazione tra jazz e rock, grandissima musica. CD 2-3-4: il meglio delle quattro serate, tutto ovviamente inedito. Oltre a versioni alternate di tutti i pezzi del primo CD (e The Illinois Enema Bandit qui è ancora meglio), ovviamente non manca la famigerata Punky’s Whips, un brano dal testo divertentissimo cantato in maniera demenziale, mentre dal punto di vista musicale è un altro funk-rock-jazz molto godibile, con qualche somiglianza con lo stile dei Chicago (piccola curiosità: questa canzone fu eseguita in seguito solo nel 1977 e 1978, e poi tolta per sempre dalle scalette).

Da citare ancora la suadente The Torture Never Stops, lenta e quasi ipnotica, con un basso molto pronunciato, un uso creativo delle tastiere ed il solito assolo magistrale di Zappa, una swingatissima America Drinks, puro jazz d’alta classe, la vigorosa e gagliarda I’m The Slime, l’orecchiabile Find Her Finer, una grandiosa Cruisin’ For Burgers, con Frank semplicemente mostruoso alla chitarra, ed una interminabile Black Napkins, 28 minuti di musica totale. Non manca anche qualche classico di Frank, come una maestosa Peaches En Regalia, dominata dai fiati, la sempre impeccabile e contagiosa Montana (richiesta a gran voce dal pubblico) e l’acclamatissima Dinah-Moe Humm, in assoluto uno dei pezzi più immediati del nostro. CD 5: un CD particolare, altre 7 canzoni tratte dagli archivi di Frank, due registrate ai Record Plant di New York nel periodo dei concerti al Palladium (due brevi prove per solo piano di The Black Page) ed altre cinque che sono in realtà un collage tra versioni live e overdubs incisi in studio, una sorta di ibrido che però è rimasto inedito fino ad oggi (i brani in questione sono I Promise Not To Come In Your Mouth, Chrissy Puked Twice – che non è altro che Titties & BeerCruisin’ For Burgers, Black Napkins e Punky’s Whips).

Costo a parte, non spaventatevi per il fatto che Zappa In New York è diventato un cofanetto quintuplo (esiste anche una versione in tre LP, con però una selezione molto ridotta di inediti), in quanto quando arriverete alla fine vi potreste anche rammaricare di non poter inserire il sesto dischetto.

Marco Verdi

In Attesa Del Nuovo Live Ecco “L’Altro” Bonamassa. Rock Candy Funk Party – Groove Is King

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Rock Candy Funk Party Featuring Joe Bonamassa – Groove Is King – J&R Adventures/Provogue

Forse, anzi sicuramente, il pubblico non è lo stesso che segue i suoi album blues, e magari neppure quelli più rock, ma uno dei motivi di interesse dei Rock Candy Funk Party è quel termine featuring, con la partecipazione di…Joe Bonamassa. Non per nulla l’album, come il primo di studio e l’ottimo Live At Iridium, esce per la J&R Adventures, l’etichetta di Joe. Possiamo definire questo progetto un “divertissement” per il chitarrista newyokese? Naturalmente, ma come tutte le cose che fa Bonamassa è sì un album creato per divertire, ma suonato, come di consueto, con tutti i crismi della grande professionalità. Poi il risultato finale è pure piacevole all’ascolto, il famoso groove del titolo non manca, se nel primo disco era un omaggio al We Want Groove di Miles Davis, in questo Groove Is King dovrebbe essere più legato al funky, perfino alla disco meno bieca, perché se la traduzione letterale di “groove” è solco, quella più vicina al senso che interessa noi è di tipo ritmico, l’equivalente, più o meno, di riff, in ambito melodico, o swing in quello jazzistico. Prima di perdermi in un cul de sac (il doppio senso è voluto) diciamo che i fattori ritmo e divertimento hanno una notevole importanza in questi progetti, ma il tutto visto in un’ottica ricercata!

Mi rendo conto che mi sto incasinando sempre di più, per cui diciamo che poco cambia rispetto agli album precedenti, Tal Bergman, il batterista e produttore, Joe Bonamassa il chitarrista, Ron DeJesus, il secondo chitarrista e Mike Merritt, il bassista (nonché figlio di Jymie, che era ai tempi il bassista dei Jazz Messengers di Art Blakey, un altro che di ritmo se ne intendeva), sempre affiancati da Renato Neto e Fred Kron alle tastiere, con l’aggiunta di una sezione fiati, guidata e arrangiata dal trombettista Randy Brecker,  con Daniel Sadownick alle percussioni (quest’ultimo e Neto, anche nei dischi precedenti), e tale Zia, alla voce. Maestro di Cerimonie è Mr. Funkadamus, ovvero un Billy Gibbons degli ZZ Top completamente calato nella parte, mentre le influenze musicali, che i vari componenti del gruppo citano alla rinfusa, andrebbero dai Daft Punk ai Brecker Brothers, da Mark Ronson ai Massive Attack, passando per i Led Zeppelin!

Sarà vero? Verifichiamo! Dopo la prima introduzione da parte di Mr. Funkadamus ci tuffiamo nella title-track Groove Is King, che diversamente da quanto ci raccontano viaggia sempre dalle parti di quel jazz-rock alla Herbie Hancock Headunters, Stratus di Billy Cobham, Return To Forever, con chitarre “cattive”, tastiere e ritmi sonori sostenuti, come usava nel primo disco e nel live. Poi Low Tide ammorbidisce leggermente i suoni, entrano i fiati, il groove si fa più funky, il basso si arrotonda, le chitarrine sono più ammiccanti e siamo dalle parti di Rufus, Earth, Wind And Fire, Average White Band,  con un vecchio synth a conferire quel flavor anni ’70. Uber Station fonde la chitarra “cattiva”  e rock di Bonamassa con dei fiati alla Brecker Brothers, perché, diciamocelo tra noi, questo disco, nonostante le influenze citate dubito fortemente che sia indirizzato ai fan di Daft Punk e Ronson (forse Mick più che Mark!) https://www.youtube.com/watch?v=gWGxjmt-9tw . East Village addirittura profuma di jazz, con il piano elettrico che si intreccia alle evoluzioni delle soliste (se no Bonamassa che ci starebbe a fare?), insomma siamo sempre dalle parti del Miles Davis “grooveggiante” https://www.youtube.com/watch?v=UH88BuNz8Bc .

If Six Was Eight (uno meno di Hendrix) è un festival di percussioni varie, mentre Cube’s Brick potrebbe passare addirittura per un brano dei Weather Report con le chitarre aggiunte (e che chitarre, qui Bonamassa ci dà dentro di gusto) https://www.youtube.com/watch?v=vJQgpVJdA6M . Torna lo sponsor Mr.Funkadamus per la presentazione del singolo Don’t Be Stingy with the SMTPE, che grazie anche al video con il gruppo di “gnoccolone” che sostituiscono i RCFP, ha quell’aura funky e danzereccia anni ’70 e anche C You On The Flip Side è puro funky con fiati. Digging In The Dirt, che è proprio quella di Peter Gabriel, già di suo si prestava al genere, ma qui, stranamente, è meno ritmata e più ricercata dell’originale, con la citata “Zia” che vocalizza nel finale https://www.youtube.com/watch?v=yYid5Do1UM0 . Don’t Funk With Me è più rockeggiante di quanto farebbe supporre il titolo, con un bel solo della tromba “trattata” di Brecker e poi i chitarristi che prendono il possesso del brano https://www.youtube.com/watch?v=OCjf9yD1AhQ , The 6 Train To The Bronx, di nuovo con tromba e chitarra in bella evidenza è più jazz che funky, e ancora di più Rock Candy, che è un pezzo di cool jazz quasi puro, anzi togliete il quasi, Rock appare solo nel titolo del brano https://www.youtube.com/watch?v=mT4gUC7sxHc . Ultimo “commercial” di Gibbons e siamo alla conclusione con The Fabulous Tales Of Two Bands, l’unica traccia che in effetti sembra una qualche outtake dei Prodigy, con intrusioni rock dei Led Zeppelin, per rovesciare le parti! Per il resto solo del sano buon vecchio jazz/rock/funky suonato come si dovrebbe!            

Bruno Conti