L’Unione Fa La Forza! Mannish Boys – Wrapped Up And Ready

mannish boys wrapped up

Mannish Boys – Wrapped Up And Ready – Delta Groove Music

Questa volta il grande capo, Randy Chortkoff, il boss della Delta Groove, ma anche componente dei Mannish Boys, aveva detto: “semplifichiamo, riduciamo le cose ai fondamentali, diminuiamo le dimensioni del progetto e della band”. Purtroppo Finis Tasby, che ha avuto problemi di cuore a fine 2012, dopo avere partecipato alle registrazioni del precedente Double Dynamite http://discoclub.myblog.it/2012/06/16/una-sorta-di-mini-supergruppo-questo-si-che-e-blues-mannish/ , non ci sarà, quindi saremo solo in sei in studio, all’Ardent di Torrance, California. Questo quanto detto prima. Poi: che dite, invitiamo qualche ospite? Voi che pensate, quanti ce ne saranno, conoscendo la struttura dei precedenti sei album della band e viste le premesse? “Venti”, ce ne sono venti, li ho contati, ok, compresi cinque background vocalist, ma mi sembrano le “semplificazioni” dei governi italiani! Anche se i risultati danno ragione al capo. Siamo di fronte al solito grande disco di blues, non quelli timidi e molto, troppo, legati alla tradizione, ma bello tosto, con tutte le variazioni delle dodici battute ben presenti, grandi cantanti, solisti a chitarre, piano, armoniche, delle più svariate provenienze, con una netta preponderanza di artisti bianchi, anche se il cantante, Sugaray Rayford e una delle due chitarre soliste, Kirk Fletcher, sono neri. Ad ennesima dimostrazione del famoso assunto che “i bianchi non possono suonare il blues”, che fa il paio con “non ci sono più le mezze stagioni”, per quanto la seconda mi paia più attendibile.

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Sedici brani, 74 minuti e spiccioli di ottima musica, il classico suono Delta Groove, pulito e ben definito, che ti spara la musica direttamente in faccia, a cura di Chortkoff, questa volta aiutato da Jeff Scott Fleenor, belle canzoni, un misto di originali e cover pescate nello sterminato serbatoio del blues, e poi tutti gli ospiti, usati nel modo migliore, per creare un piccolo gioiellino destinato agli appassionati ma che può essere goduto anche da chi si avvicina con sospetto alle dodici battute, me li vedo già, che palle il blues! E invece, almeno in questo CD non c’è occasione per annoiarsi. Caron “Sugar Ray” Rayford viene dal gospel, ma in breve tempo è diventato uno dei migliori vocalist in circolazione, come dimostrato subito dall’ondeggiante e gagliarda I Ain’t Sayin’, firmata dall’ex bambino prodigio Monster Mike Welch, che rilascia una scarica di chitarrate di inaudita potenza, con Fred Kaplan al piano, e gli altri Mannish Boys che cercano più che contenerne l’irruenza di elevarla all’ennesima potenza. Everything’s Alright, un classico blues swingato di Roy Brown è più contenuta, con le chitarre di Nico Duportal e Kid Ramos in punta di dita, Willie J. Campbell al contrabbasso e non al basso elettrico e Ron Dziubla che aggiunge con i suoi sax una ulteriore patina vintage.

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Frank “Paris Slim” Goldwasser assume la guida del gruppo, voce e chitarra solista, per una propria composizione, Struggle In My Hometown, con il piano e il Wurlitzer di Rich Wenzel che donano una maggiore profondità e modernità ai continui cambiamenti di tempo del brano. Wrapped Up And Ready, la canzone, ancora firmata da Rayford, ci introduce ai talenti dell’armonica di Kim Wilson che duetta con la chitarra di Kirk “Eli” Fletcher, per un brano che ci riporta agli splendori dei primi Fabulous Thunderbirds https://www.youtube.com/watch?v=qPBAyRMyYak . It Was Fun, più lenta e rilassata, firmata da Chortkoff, è l’occasione per ascoltare l’ottimo lavoro della solista di Steve Freund, altro maestro del genere, mentre in I Can Always Dream, sempre del boss, niente ospiti, solo i Mannish Boys duri e puri, con Goldwasser impegnatissimo alla solista e i risultati si sentono, ottimo come sempre Sugar Ray. Candye Kane, con la sua chitarrista Laura Chavez al seguito, ci propone una salace rilettura della famosa I Idolize You firmata da Ike Turner, con Randy Chortkoff all’armonica, in una delle sue rare apparizioni in mezzo a tanti ospiti.

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You Better Watch Yourself non la conosco, ma è l’occasione per Chortkoff per introdurre una sua nuova scoperta, tale Jacob “Walters” Huffman, armonicista, un nome, una promessa, niente male. Però quando torna l’originale, Kim Wilson, ben spalleggiato da Welch, alle prese con una cover di Something For Nothing di Robert Ward, siamo dalle parti del Chicago Blues più osservante, con piano, fiati e tutto il gruppo in grande spolvero. Il capo si riserva una solo canzone https://www.youtube.com/watch?v=nF4woyfLB8M , Can’t Make A Livin’, dove conferma di non essere poi questo gran cantante, discreto armonicista, e quindi lascia spazio alla voce di Trenda Fox e alle chitarre di Fletcher e Welch, in modalità tremolo. The Blues Has Made Me Whole, di nuovo con e di Steve Freund, dà piena conferma al proprio titolo e vi pareva che in un disco di blues recente non ci fosse Bob Corritore? Ci sta, ci sta, con la sua armonica a spalleggiare Welch e il rientrante Rayford in una potente I Have Love, prima di lasciare il posto a Wilson per uno dei rari lenti del disco, Troubles; ottima anche la cover di She Belongs To Me un Magic Sam d’annata con Kid Ramos che sembra Peter Green. Don’t Say You’re Sorry con Goldwasser alla slide e alla voce è un’ulteriore variazione sul tema blues e la conclusiva, strumentale Blues For Michael Bloomfield, firmata da Fletcher è una occasione per tutti i chitarristi di lasciarsi andare in un sentito e bellissimo omaggio ad uno dei grandi dello strumento https://www.youtube.com/watch?v=G3FCtvr1aIk .

Bruno Conti

Due “Vecchi Marpioni” Del Blues Tornano All’Elettrico. Smokin’ Joe Kubek & Bnois King – Road Dog’s Life

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Smokin’ Joe Kubek & Bnois King – Road Dog’s Life – Delta Groove

Dopo l’Unplugged Close To The Bone, uscito lo scorso anno per la Delta Groove, l’accoppiata Smokin’ Joe Kubek & Bnois King (una delle più collaudate ed affidabili del blues moderno) per questo secondo disco con l’etichetta di Van Nuys, California, torna alla formula classica del blues elettrico ( vedi smokin%27+joe+kubek Have Blues Will Travel) e per farlo si affida ad alcuni personaggi che gravitano intorno alla casa discografica: il Boss Randy Chortkoff è il produttore dell’album, ma si alterna anche con Kim Wilson, all’armonica in alcuni brani, Kid Andersen, il chitarrista di Little Charlie & The Nightcats si divide gli spazi della solista con Kubek e King, in una gagliarda That Look On Your Face, dove le chitarre ci danno dentro alla grande. E la sezione ritmica Willie J. Campbell, Jimi Bott è quella degli ottimi Mannish Boys. Sempre perché i musicisti, checché quello che pensano alcuni, sono importanti. E qui siamo ben coperti.

Anche le canzoni ovviamente rivestono la loro importanza e Kubek e King, per l’occasione ne hanno scritte alcune veramente gustose. Ma partiamo dalle cover: per una giusta ecumenicità ce n’è una degli Stones, Play With Fire e una dei Beatles, scritta da George Harrison, Don’t Bother Me. Più classicamente blues-rock la prima, interessante la versione rallentata della seconda, una delle canzoni meno note di George, che prende vita in questa bella e raffinata versione con un paio do lirici assolo di entrambi a nobilitarla nella parte centrale e finale.

Per il resto è business as usual per i due compari che, nonostante la vita da cani sulla strada, se la ridacchiano sulla copertina del disco e ci deliziano con una ulteriore dose di ottimo blues and roll Texas style:dalle atmosfere sudiste di Big Money Sonny passando per il suono rootsy di Come On In per arrivare al blues puro di Nobody But You affidato alle voci e alle armoniche di Kim Wilson e di Chortkoff, con le chitarre taglienti sempre all’erta.

E poi di nuovo con il piede sull’acceleratore per la title-track che conferma le ottime attitudini rock-blues del boogie del trio, ma anche in grado di prodursi in un classico slow cadenzato come K9 Blues o nelle derive vagamente latineggianti di That Look On Your Life sempre con le due chitarre impegnate a deliziare l’ascoltatore. Face to Face è più normale, ma in Ain’t Greasin’, di nuovo con Kim Wilson di supporto, il sound ricorda molto quello dei gloriosi T-Birds. Talkin’ Bout Bad Luck è il classico bluesazzo urbano alla Muddy Waters, bello tosto e “minaccioso” mentre la conclusiva That Don’t Work No More, vagamente R&R, è piacevole ma nulla più. Delle due cover si è detto, direi una cinquantina di minuti di buona musica, non solo per bluesofili incalliti.

Bruno Conti