Puro Rockin’ Country Texano…Che Volete Di Più? Randy Rogers Band – Hellbent

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Randy Rogers Band – Hellbent – Tommy Jackson Records/Thirty Tigers CD

Attivo discograficamente dal 2002, Randy Rogers è ormai un musicista sul quale contare a scatola chiusa, e da tempo non solo all’interno dei confini del natio Texas ma in tutta l’America. Originario di San Marcos (un sobborgo di Austin) Rogers rappresenta un piccolo miracolo nel panorama country a stelle e strisce, in quanto negli anni ha piazzato diversi album nella Top Ten (e non solo country, anche in quella generalista) senza smettere di fare musica di qualità. Infatti Randy pur incidendo a Nashville è rimasto un texano tutto d’un pezzo, e le sue canzoni sono quanto di meglio il Lone Star State possa proporre, con chitarre in primo piano, gran ritmo, feeling in dosi massicce ed una serie di brani semplici ma diretti ed immediati; il fatto di avere da anni la stessa band (Geoffrey Hill, chitarra solista, Johnny Chops, basso, Brady Black, violino, Les Lawless, batteria, Todd Stewart, vari strumenti) è poi un ulteriore punto a favore, in quanto ormai si è venuta a creare una amalgama ed una compattezza nei suoni che si ha solo quando ci si conosce a memoria.

Dulcis in fundo, Randy negli anni si è sempre affidato a grandi produttori, gente esperta che risponde al nome di Radney Foster, Jay Joyce, Lloyd Maines e, nell’ultimo Nothing Shines Like Neon di tre anni fa, Buddy Cannon https://discoclub.myblog.it/2016/03/21/ormai-si-va-sul-sicuro-randy-rogers-band-nothing-shines-like-neon/ : anche per questo nuovissimo Hellbent il nostro ha chiamato un nome che va per la maggiore, e cioè Dave Cobb, da anni ormai il miglior produttore “roots” in circolazione. Ma la RRB in questo disco non ha cambiato una virgola del proprio suono, una miscela stimolante e creativa di country e rock alla maniera texana, e Cobb si è limitato (si fa per dire) a portare la sua esperienza in sala di incisione dosando e calibrando i suoni con la consueta maestria. Drinking Money fa partire ottimamente il disco, un limpido ed arioso brano di puro country-rock, melodia scintillante e sonorità di stampo quasi californiano, con le chitarre in primo piano e puntuali riff di violino https://www.youtube.com/watch?v=qlYt-ReTiHQ . Con I’ll Never Get Over You torniamo in Texas, per un guizzante pezzo dal gran ritmo ed un ruspante suono chitarristico, una classica drinking song diretta e coinvolgente https://www.youtube.com/watch?v=qJ98QCvKYdw ; Anchors Away è uno slow di ottimo livello e dal pathos indiscutibile, senza orpelli di sorta ma con un arrangiamento essenziale che va al cuore della canzone.

Di tutt’altro genere Comal County Line, un autentico e vibrante rock’n’roll ancora con le chitarre protagoniste, trascinante è dir poco, mentre Hell Bent On A Heartache è una country ballad distesa e gradevole, suonata con piglio sicuro e ben strutturata dal punto di vista compositivo; con You, Me And A Bottle abbiamo ancora un lento (ma il suono è sempre elettrico), ma We Never Made It To Mexico è una delle più belle, un valzerone dal delizioso sapore di confine e con una melodia cantata in stile “spanglish”, decisamente evocativa. Crazy People è puro country-rock, pulsante, vigoroso e dal motivo vincente https://www.youtube.com/watch?v=SRGz82scX1A , Fire In The Hole una strepitosa western song, ritmo sostenuto ed attitudine da vero rockin’ cowboy, un pezzo che evoca praterie sferzate dal vento; chiudono la tenue Wine In A Coffee Cup, altra ballata di buon valore, e la saltellante e coinvolgente Good One Coming On, puro Texas country al 100%, che mette il sigillo ad un album pienamente soddisfacente, tra i più riusciti della carriera di Randy Rogers.

Marco Verdi

Ormai Con Loro Si Va Sul Sicuro! Randy Rogers Band – Nothing Shines Like Neon

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Randy Rogers Band – Nothing Shines Like Neon – Tommy Jackson CD

La Randy Rogers Band, attiva da una dozzina d’anni, è oggi uno degli acts più popolari in Texas, ed anche fuori dai confini del Lone Star State, un successo ottenuto senza mai svendersi o modificare il proprio suono a favore delle classifiche e delle radio di settore.   La band è ormai affiatata, suona a memoria, ed è comprensibile dato che non ha mai avuto cambi di personale: oltre a Rogers, abbiamo i soliti Geoffrey Hill alla chitarra solista, Jon Richardson al basso, Les Lawless alla batteria e Brady Black al violino; il loro suono, un rockin’ country deciso ma con una propensione alla melodia non comune, è maturato disco dopo disco e, dopo la parentesi solista di Rogers insieme a Wade Bowen lo scorso anno con il divertente Hold My Beer, Vol. 1, abbiamo tra le mani il loro settimo album di studio, intitolato Nothing Shines Like Neon.

Chi ha apprezzato le precedenti fatiche della RRB non mancherà di farlo anche con questo lavoro, che forse spinge meno l’acceleratore sul rock ed è un filo più country, anche perché il produttore è il grande Buddy Cannon, uno dei principali artigiani del suono in questo genere, già dietro la consolle in passato per Willie Nelson, Merle Haggard, George Jones, George Strait, Kenny Chesney e moltissimi altri. Nothing Shines Like Neon forse non è il disco migliore della RRB, ma di sicuro insidia le prime posizioni e comunque si colloca ben al di sopra della media delle uscite mensili in ambito country (soprattutto quelle che arrivano da Nashville), grazie anche ad una manciata di ospiti illustri (che scopriremo strada facendo) che aggiunge prestigio ad un  lavoro già più che positivo. San Antone apre il CD, una western ballad molto ben costruita, con una melodia ad alto tasso emozionale, un languido violino ed una ritmica spedita, un inizio forse non roboante ma sincero ed autentico. Rain And The Radio, più diretta e cadenzata, ha elementi più sudisti che texani, ed un bel ritornello limpido, mentre Neon Blues è country-rock d’autore, un bel brano elettrico dal refrain godibile, un tipo di canzone che a Rogers riesce particolarmente bene, con un appeal anche radiofonico ma senza scadere in personalità.

La potente Things I Need To Quit è una ballata elettrica di spessore, nella quale Randy ed i suoi pards suonano distesi e rilassati, ma senza perdere un’oncia di feeling; Look Out Yonder vede Alison Krauss ed il suo collega Dan Tyminski alle armonie vocali, ed il brano è una gentile oasi elettroacustica, con un ottimo ritornello corale, uno dei più riusciti del lavoro, mentre con la tersa Tequila Eyes torniamo sul versante country-rock, anche se non manca una nota di malinconia nel motivo. Takin’ It As It Comes vede il nostro duettare con il grande Jerry Jeff Walker (un pezzo di storia del Lone Star State), un travolgente brano che potrebbe benissimo appartenere al repertorio dell’autore di Mr. Bojangles, puro Texas rock’n’roll; Old Moon New è un languido slow, toccante ed eseguito con grande trasporto, un intermezzo più che gradito, seguito a ruota da un’altra ballata ancora migliore, Meet Me Tonight, che ha un piede negli anni sessanta ed il solito refrain scorrevole. La maschia e grintosa Actin’ Crazy, di e con Jamey Johnson (quindi garanzia di qualità) ed il puro country di Pour One For The Poor One, quasi un honky-tonk rallentato, chiudono l’ennesimo disco positivo per una band sulla quale ormai possiamo contare ad occhi chiusi.

Marco Verdi

E I Risultati Si Vedono Ma Soprattutto Si Sentono. JB And The Moonshine Band – Beer For Breakfast

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JB And The Moonshine Band – Beer For Breakfast – Average Joe’s Ent.  

Non so se i risultati dipendano effettivamente dal titolo ma questo mondo tipicamente Americano dove le birre (ma nel disco precedente c’era anche il whiskey), le donne, le macchine e il divertimento puro si alternano nel testo, calza a cappello a questi JB And The Moonshine Band. Si sarebbe potuto usare benissimo anche “Fiddle, pedal steel and country guitars” per descrivere questo giovane quartetto texano originato dal Red Dirt Movement e giunto al secondo album con Beer For Breakfast dopo l’esordio, sempre indipendente, di un paio di anni intitolato Ain’t Goin’ Bak To Jail.

Loro, orgogliosamente, proclamano di fare del country non adulterato, privo di orpelli e trucchi in sala di incisione, però il loro management è a Nashville, Tennessee e anche parte del disco è stato registrato lì. Indubbiamente c’è del talento nella loro musica, i brani sono firmati per la quasi totalità dal cantante JB Pattinson che suona anche chitarre elettriche (che divide con Hayden Mc Mullen), acustiche e banjo, hanno una solida sezione ritmica in grado di sfociare anche nel southern rock o comunque in un country-rock molto energico, si avvalgono di violino e pedal steel e possono ricordare (almeno a chi scrive) i primi Band Of Heathens (quelli più country, ora sono diventati una band molto più solida e rock) o anche la Randy Rogers Band o i Cross Canadian Ragweed.

I brani raramente superano i quattro minuti ma i ragazzi sanno anche fare ruggire le chitarre in brani come Hell To Pay (che cita il titolo del 1° album nel testo) o l’ottima Ride che ricorda addirittura i fasti della Marshall Tucker Band e qualche riff dei Lynyrd Skynyrd o la tiratissima Yes che nei continui rilanci delle chitarre soliste si avvicina alle sonorità degli Outlaws dei primi due album, quelli in bilico tra rock e country. Quando la pedal steel e il violino salgono al proscenio come nell’iniziale divertente Beer For Breakfast (alla Charlie Daniels) o nella ballata The Only Drug i suoni si ammorbidiscono e riescono ad evitare la melassa di molta country music mainstream per un pelo, anche se non sono originalissimi, ma le armonie vocali sono efficaci e Pattinson ha la “voce classica” del country rocker tipico. Già la successiva Black and White fatta con lo stampino rispetto alla precedente testa un po’ la tua pazienza.

Pure l’idea di mettere in conclusione dell’album due brani, I’m Down e Perfect Girl, che erano già apparsi nel precedente CD sia pure con un mixaggio diverso, a detta loro più professionale non è originalissima, anche se le canzoni erano tra le migliori di quell’album.

In definitiva, non saranno innovativi, ma se amate del buon country rock con una certa energia del boogie e del southern rock aggiunte come sovrappiù potete accostarvi con fiducia, c’è in giro molto di peggio anche di nomi più celebrati. Incoraggiamo i nuovi talenti.

Bruno Conti