Anticipazione Nuovo Album: Il 24 Febbraio Esce Eric Gales – Middle Of The Road

eric gales middle of the road

Eric Gales – Middle Of The Road – Mascot/Provogue

Eric Gales è stato uno dei primi “ragazzi prodigio” della chitarra, agli inizi degli anni ’90: prima di Bonamassa, Jonny Lang, Kenny Wayne Shepherd e tutti quelli che sono venuti dopo, venne Eric Gales. Con il fratello Eugene, nel 1991 pubblicò per la Elektra il primo disco Eric Gales Band, quando aveva compiuto da poco 16 anni: la stella di famiglia sembrava agli inizi il fratello maggiore Emanuel Lynn Gates, in arte Little Jimmy King, un nome che rendeva omaggio a Jimi Hendrix e ai grandi King della storia del blues, e forse il mancino di Memphis, scomparso prematuramente nel 2002, a soli 27 anni (quindi anche lui colpito dalla “maledizione” del club”), era il vero talento della famiglia. Ma per onestà bisogna riconoscere che pure Eric Gales è un chitarrista dalla tecnica prodigiosa: anche lui cresciuto a pane, Hendrix e blues, viene portato in palmo di mano dai suoi colleghi che ne hanno cantato spesso le lodi. Sempre da prendere con le molle le loro dichiarazioni, che sono molto da cartella stampa, ma Joe Bonamassa lo ha definito “Uno dei migliori, se non il miglior chitarrista del mondo”, anche Santana e altri lo hanno definito “incredibile”, però la sua carriera ha sempre vissuto di alti e bassi, per questo suo dualismo tra l’amore per il rock e il blues e il desiderio, legittimo, di una carriera nella musica mainstream, quella più commerciale, tra pop, R&B “moderno”, anche capatine nell’hard rock e nel lite metal, con i soci “virtuosisti” Pinnick & Pridgen http://discoclub.myblog.it/2014/09/12/fenomeni-nuovo-capitolo-pinnick-gales-pridgen-pgp-2/ .

Di recente qualche disco per la Cleopatra, tra cui un buon doppio Live e quattro anni fa un CD+DVD dal vivo per la Blues Bureau/Shrapnel http://discoclub.myblog.it/2012/10/10/tra-mancini-ci-si-intende-eric-gales-live/ , ed ora il ritorno alla Mascot/Provogue, con cui aveva già pubblicato quattro album, per questo Middle Of The Road, che non è un album di canzoncine pop leggere (come potrebbe far presumere il titolo, per quanto…), ma, come dice lo stesso Eric nella presentazione del disco, vuole essere una sorta di viaggio al centro della strada, che è il posto ideale per concentrarsi e dare il meglio di sé. Dopo questo sfoggio parafilosofico il buon Gales si è scelto come produttore Fabrizio Grossi dei Supersonic Blues Machine e come musicisti compagni di viaggio, Aaron Haggerty, il batterista che si divide tra la band di Eric e quelle di Chris Duarte e Stoney Curtis, Dylan Wiggins all’organo Hammond B3 e la moglie LaDonna Gales, armonie vocali in tutto il disco, oltre a Maxwell ‘Wizard’ Drummey al mellotron in Repetition, con lo stesso Eric Gales, voce solista, chitarra e basso. E alcuni ospiti che vedremo nei rispettivi brani: Good Times è costruita su un ripetuto riff di chitarra e batteria, un brano funky semplice e breve, ma anche abbastanza irrisolto, la solista non viene mai scatenata. Change In Me (The Rebirth) viceversa è un classico brano alla Gales, influenzato da Hendrix, tra rock e blues, con la chitarra in bella evidenza, e qui il “tocco” di classe non manca; Carry Yourself, scritta insieme a Raphael Saadiq, è una via di mezzo tra il “nu soul” del co-autore e le derive rock del nostro, impegnato in questo caso al wah-wah, come succede spesso, buono ma non entusiasmante, la Band Of Gypsys di Hendrix era un’altra più storia, quasi 50 anni fa, ma molto più innovativa.

Altro discorso per la cover di Boogie Man, una rilettura del brano di Freddie King dove Eric duetta con Gary Clark Jr., pezzo fluido, anche “moderno” nella sua realizzazione, ma le chitarre comunque si godono. Been So Long, scritta con Lauryn Hill, è un reggae-soul-pop che cerca per l’ennesima volta di insinuarsi nel circuito mainstream, a chi piace, l’assolo è comunque godibile! Mentre in Help Yourself Gales ci introduce ai talenti di tale Christone ‘Kingsfish’ Ingram, nuovo fenomeno della chitarra 16enne, che viene da Clarksdale, Mississippi, e come era stato per Eric ad inizio carriera, in questo brano, firmato con Lance Lopez, il blues cerca di tornare a farsi sentire, anche se l’idea di “filtrare” la voce nella parte iniziale è trita e ritrita, poi quando parlano le chitarre molto meglio, anche se c’è sempre questo “modernismo” a tutti i costi nel sound, fattore che spesso risulta fastidioso nei suoi dischi, almeno per il sottoscritto.

Di nuovo voce filtrata per I’ve Been Deceived, suono molto carico per un funky-rock pseudo-futuribile, che neppure la chitarra fiammeggiante riesce a salvare del tutto. Repetition, scritta con il fratello bassista Manuel Gales, vecchio mentore ad inizio carriera, è uno strano esperimento semi-futuribile e ricercato, ma non mi entusiasma,anche se al solito la chitarra viaggia. Se vi mancava un brano scritto con un “music therapist” lo trovate in questo CD: una ballata gentile per chitarra acustica e tastiere, si chiama Help Me Let Go. Per I Don’t Know nel commento mi adeguerei al titolo, non l’ho capita molto, solito funky-rock-soul; per fortuna come ultimo brano Eric Gales inserisce uno strumentale Swamp, un pezzo rock bello carico e potente, con batteria e chitarra a manetta. Per il resto del disco direi anch’io un bel “I Dont Know”,  quindi in definitiva il talento c’è, l’album ha i suoi momenti, ma per il risultato finale un bel “mah, non saprei” mi pare d’obbligo!

Bruno Conti

Ancora Chitarristi! Eric Gales – Good For Sumthin’

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Eric Gales – Good For Sumthin’ – Cleopatra Records

Il cambio di etichetta, dalla Tone Center/Shrapnel alla Cleopatra, e di produttore, da Mike Varney a Raphael Saadiq, poteva far presagire un radicale cambio di suono e di stile di Eric Gales, ma mi pare che il nostro si mantenga fedele al suo sound abituale, una miscela di rock hendrixiano, blues decisamente energico, giravolte jazz-rock e prog, con una più accentuata attitudine al funky, portata probabilmente dal nuovo produttore, bassista e buon interprete delle nuove frontiere del soul e del R&B. Forse il brano che meglio esemplifica questa “nuova” svolta è l’unica cover del disco, una versione di Miss You, che suona molto come potrebbe averla fatta Hendrix ai tempi della Band Of Gypsies, intro spaziale, poi il classico groove ritmato del brano, sottolineato dal poderoso giro di basso, suonato per l’occasione da Saadiq, e le immancabili improvvisazioni della solista del mancino Gales, imperdibile https://www.youtube.com/watch?v=TgNbu3Ue7wI ? No, però si lascia ascoltare. Continuiamo con la disamina dei brani posti in coda al disco e poi andiamo a ritroso: Steep Climb è un duetto con l’hard rocker Zakk Wylde, molto vicino ai brani registrati con i PGP (Pinnick, Gales & Pridgen) http://discoclub.myblog.it/2014/09/12/fenomeni-nuovo-capitolo-pinnick-gales-pridgen-pgp-2/ , rock decisamente duro, con chitarre in libertà, spesso in modalità wah-wah https://www.youtube.com/watch?v=w11_N_qfx9c , l’ultimo brano E2 (Note For Note) è uno strumentale registrato in coppia con Eric Johnson, in quell’area prog-jazz-rock che già presagivo nella recensione del precedente Ghost Notes http://discoclub.myblog.it/2013/12/11/il-figlioccio-jimi-hendrix-tenta-nuove-strade-eric-gales-trio-ghost-notes/ , brano virtuosistico che sarà apprezzato dagli appassionati dei chitarristi molto tecnici ed entrambi lo sono.

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Per il resto i fans di Gales (che fisiognomicamente ricorda Will Smith, fateci caso) possono stare tranquilli (forse solo loro), siamo di fronte a del solido rock-blues, anche se quei guizzi in cui si accende la fiamma dell’ispirazione, come capita nei dischi live, sono meno numerosi che ad inizio carriera: si  va dal potente blues-rock in black and white di Come A Long Way, con il pirotecnico solismo del buon Eric, all’orgia wah-wah di 1019, sempre ispirata dal suo mito Jimi https://www.youtube.com/watch?v=50KUWVEksIU , anche se non manca il boogie-blues tirato, alla ZZ Top, di Going Back To Memphis, le derive più funky, ma sempre belle “cattive” della title-track https://www.youtube.com/watch?v=rZocjX55gFo  e l’eccellente slow blues primo amore, sia pure meticciato, di una torrenziale Six Deep, dove Gales mette in mostra tutta la sua abilità di axeman https://www.youtube.com/watch?v=iMmygR5nJys . You Give Me Life è una piacevole ballata elettrica che mette in evidenza, come nel resto del disco, la produzione nitida e secca di Saadiq, mentre Heaven’s Gate è un’altra botta di adrenalinico rock-blues ad alta densità chitarristica e Tonight (I’m Leaving), scritta, come altre presenti nel disco, con il fratello Eugene (il terzo dei Gales Brothers era Manuel, più noto come Little Jimmy King, forse il più bravo dei tre, scomparso nel 2002), ha un assolo lancinante che la eleva da una aurea mediocrità. Show Me How è un ballatone acoustic soul dove si sente lo zampino di Saadiq, che vocalizza sullo sfondo, non c’entra un tubo con il resto dell’album, ma rimane comunque assai godibile. Del resto si è detto.

Bruno Conti

Un Tuffo Negli Anni Settanta! – Elton John – The Diving Board

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Elton John – The Diving Board Mercury CD – Deluxe CD – Super Deluxe Cd + LP + DVD

Il titolo del post si ricollega direttamente all’immagine di copertina (che ricorda curiosamente lo stile della Hipgnosis), ma è anche una estrema sintesi di quello che trovate su questo splendido nuovo disco di Elton John il quale, dopo aver passato gli anni ottanta e novanta a creare molte canzoni pop di successo, ma raramente dei bei dischi (anzi, alcuni erano proprio da gettare nel cestino, penso a Leather Jackets, il terribile Duets e buona parte di The Big Picture), nel 2001 si ricorda che nei settanta era un fior di musicista e torna a fare un album come si deve (Songs From The West Coast), creando un nuovo trend positivo che continua con i seguenti Peachtree Road (meno bello, più che altro per la debolezza di alcune canzoni, ma il suono era ok), l’ottimo The Captain And The Kid (il migliore dei tre) ed il delizioso The Union, registrato in coppia con l’idolo di gioventù Leon Russell.

A parte il disco con Russell, che era più che altro la realizzazione del sogno di una vita, ultimamente si erano comunque un po’ perse le speranze di avere ancora nuove canzoni da parte di Elton: il merito del suo ritorno in sala d’incisione va attribuito a…Bob Dylan! Infatti il nostro Reginald (vero nome di Elton, per quei due o tre che non lo sapessero) ha recentemente dichiarato che era stanco di fare dischi, e che temeva di non avere più nulla di interessante da dire (oltre ad avercela con la casa discografica per non avere tratto alcun singolo da The Captain And The Kid), ma che l’ascolto di Modern Times di Bob lo ha spronato a tornare a creare musica (chissà allora cosa ne pensa di Tempest, che è molto meglio).

Ebbene, visti i risultati, devo dire che Dylan ha fatto l’ennesimo miracolo: The Diving Board è infatti un grandissimo disco, pieno di bellissime canzoni e con un Elton ispirato come non mai, prodotto alla grande da T-Bone Burnett (già responsabile del disco con Russell) e suonato divinamente.

Proprio il suono, oltre chiaramente alle canzoni, è la caratteristica vincente di The Diving Board, un suono pianistico come mai prima d’ora, neppure nei gloriosi anni settanta, con la chitarra (di Doyle Bramhall II) presente in appena due brani: il resto è puro Elton, accompagnato soltanto da Jay Bellerose alla batteria e Raphael Saadiq al basso, più qua e là misurati e mai invasivi interventi di archi o fiati, oltre a qualche backing vocalist di supporto.

(NDM: se non ricordo male, l’unico disco della carriera di Elton in trio piano-basso-batteria è il mitico 11-17-70, che però era un live).

E poi ci sono le canzoni (tutte scritte con il fido Bernie Taupin), bellissime, che ci fanno tornare di colpo indietro di quasi quarant’anni: non vorrei esagerare, ma The Diving Board vede il miglior Elton John dai tempi di Captain Fantastic And The Brown Dirt Cowboy (1975).

E non è poco.

L’album si apre con Oceans Away, solo per voce e piano, un brano dalla squisita melodia, molto classica, in cui Elton dimostra subito di essere in forma.

Oscar Wilde Gets Out ha uno splendido fraseggio di piano, poi entrano quasi di soppiatto basso e batteria, con il nostro che intona una melodia molto evocativa: sembra quasi una outtake di Tumbleweed Connection, grande canzone.

A Town Called Jubilee, con Bramhall alla slide, vede ancora un ispiratissimo Sir Elton, alle prese con un uptempo di gran classe, il solito gran lavoro al pianoforte ed un coro quasi gospel; la saltellante The Ballad Of Blind Tom è un altro brano decisamente riuscito, con la ritmica pressante e le dita del baronetto che viaggiano che è un piacere sui tasti.

Dream # 1 è un brevissimo strumentale per piano solo (che avrà due seguiti nel corso del disco), che anticipa la struggente My Quicksand, una di quelle melodie che Elton tira fuori anche quando dorme ma che colpiscono dritto al cuore; la godibile Can’t Stay Alone Tonight ricorda un po’ nello sviluppo la nota I Guess That’s Why They Call It The Blues, ma con una strumentazione nettamente migliore, e si candida ad essere una delle più riuscite.

Voyeur è ben costruita, un po’ meno immediata ma superiore a gran parte del materiale che si sente in giro oggi, mentre Home Again (il primo singolo) è un capolavoro: un lento leggermente southern, con un motivo che sembra semplice ma vi sfido ad ascoltarlo senza provare un brividino lungo la schiena.

E poi Elton suona come ai tempi di Madman Across The Water.

Take This Dirty Water è un gospel-rock di grande spessore, liquido, scorrevole, vibrante; The New Fever Waltz fin dall’inizio si propone come una delle più belle, un motivo toccante, con Elton vocalmente ineccepibile ed una leggera spolverata di archi che aggiunge il tocco finale: davvero non si direbbe di essere di fronte ad un brano del 2013.

Mexican Vacation è un pimpante brano dal retrogusto blues (ma sentite come suona Elton, una goduria), mentre la title track chiude la versione normale del CD con un raffinatissimo pezzo dall’incedere tra il jazz e il blues.

La  deluxe contiene Candlelit Bedroom, certamente non inferiore alle precedenti, e la resa dal vivo di tre dei brani migliori (Home Again, Mexican Vacation e The New Fever Waltz), registrate ai Capitol Studios.

Che dire ancora? Sicuramente uno dei dischi dell’anno.

Chissà se Elton ne manderà una copia omaggio a Dylan, con i suoi ringraziamenti…

Marco Verdi

*NDB. E pensate che questo brano bellissimo si trova solo nella edizione per la catena americana Target e nella versione giapponese, che hanno altre bonus!

Balzi Nel Futuro: Elton John – The Diving Board & Inside Llewyn Davis Colonna Sonora

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Oggi un Post veloce e “in breve”: mi ha colpito che il 17 settembre (data da confermare) usciranno sia il nuovo album di Elton John The Diving Board (versione normale, Deluxe e Super Deluxe), con formazione a trio, solo Elton, Raphael Saadiq al basso e Jay Bellerose alla batteria, più Doyle Bramhall alla chitarra in due brani, che la colonna sonora del film dei fratelli Coen sulla vita di Dave Van Ronk sotto il nom de plume di Inside Llewyn Davis, cantano e suonano, Oscar Isaac (l’interprete del film), Justin Timberlake (Uhm!), Carey Mulligan, Marcus Mumford e i Punch Brothers. Entrambi saranno prodotti da T Bone Burnett.

Al momento opportuno seguiranno gli appropriati aggiornamenti.

Bruno Conti

*NDB La canzone nel trailer del film è Farewell, un brano “raro” di Bob Dylan contenuto nelle Bootleg Series Vol.9 -The Witmark Demos 1962-1964. Gli anni sono quelli!