Questo E’ Veramente L’Ultimo? Leon Russell – On A Distant Shore

leon russell on a distant shore

Leon Russell – On A Distant Shore – Palmetto Records/Ird  

Leon Russell è morto a novembre del 2016, a 74 anni http://discoclub.myblog.it/2016/11/14/il-2016-maledetto-volta-se-ne-andato-leon-russell/ ma nei mesi precedenti alla sua scomparsa, si è poi scoperto, aveva fatto in tempo ad incidere un ultimo album: tre canzoni del quale preparate per il “Tommy LiPuma’s Big Birthday Bash”, in onore dell’80° compleanno del grande produttore americano (nel frattempo anche lui deceduto a marzo del 2017). Il disco che ne è risultato, non raggiunge ovviamente i livelli di quello del 2010, The Union, in coppia con Elton John  e di quello si pensava fosse il disco finale di Russell, Life Journey, un disco di standard fatto proprio con LiPuma. In questo ultimo lavoro, aiutato a livello di produzione da Mark Lambert, il nostro amico appare ancora vispo e pimpante in una sequenza di dodici canzoni, nove nuove e tre che sono riletture di alcuni suoi classici, resi celebri da altri artisti. Come ricorda Lambert nelle note del CD, una delle più grandi aspirazioni di Russell era quella di essere ricordato come compositore, grazie ai suoi brani che sono stati incisi da grandi artisti nel corso degli anni: ma comunque con la sua voce particolare, la sua maestria al piano e ad altri strumenti, la sua abilità come arrangiatore, il musicista dell’Oklahoma ha saputo regalarci in una lunga carriera una serie di album notevoli, soprattutto quelli del periodo degli anni ’70.

Nel disco in questione, registrato nello studio ThirtySeventeen di Nashville, suona un nutrito numero di musicisti, oltre ad una sezione fiati e archi (sintetici, credo), i più noti sono Gregg Morrow alla batteria, Mike Brignardello al basso, Andre Reiss e Chris Leuzinger alle chitarre, l’ottimo Russ Pahl alla steel guitar, e ospite in un brano il giovane fenomeno della chitarra Ray Goren, ora 17enne. L’iniziale title track On A Distant Shore, in un florilegio di fiati ed archi, vede un Russell in sorprendente buona voce, con il suo timbro caratteristico, rauco, vissuto e laconico, anche se le armonie vocali delle figlie Sugaree e Coco Bridges, sono forse fin troppo “esagerate”, dando un tono crossover e pop al CD, accentuato anche dalla strumentazione molto lussureggiante. Questa è quasi sempre presente nei brani, anche se il sound altrove è più brillante e tirato, come in Love This Way dove chitarre e piano si fanno largo nell’orchestrazione, il tutto anche con un bel sound, quasi da major, insomma più che per sottrazione si è lavorato per addizione, ma il risultato non è totalmente disprezzabile; Here Without You è una delle sue classiche ballate romantiche, forse un filo troppo “schmaltzy” (un termine americano che potremmo tradurre con sdolcinato), ma con elementi che potrebbero richiamare il Willie Nelson a cavallo tra country e standards, pur se ogni tanto verrebbe da sparare agli orchestrali per eliminarne alcuni, anche se probabilmente il tutto è ricreato con le tastiere sintetizzate di Larry Hall.

Prendete la ripresa di This Masquerade, uno dei suoi cavalli di battaglia, questa versione più che alla sua o a quella jazzy di George Benson, si avvicina a quella dei Carpenters, ma senza la voce fatata di Karen https://www.youtube.com/watch?v=ljWyIKyua8c . In Black And Blue, dove appare Goren alla chitarra solista (aiutato dal suo mentore Eddie Kramer, (mai dimenticato ingegnere del suono e collaboratore di Jimi Hendrix): il suono è più grintoso, tra blues e rock, ma subito in Just Leaves And Grass si torna in parte allo stile un po’ melodrammatico delle canzoni precedenti, troppo cariche per Russell che deve sforzare la sua voce oltre i limiti, cosa che si ripete anche in On The Waterfront dove si sfanga il risultato grazie alla classe del vecchio Leon, ma a fatica. La jazzata e notturna Easy To Love lascia intravedere il suo tocco magico al piano, sempre in questa produzione che maschera il resto dei musicisti; Hummingbird era nel suo disco omonimo del 1970 e anche in Mad Dogs And Englishmen, cantata da Joe Cocker, la canzone è sempre bellissima, malinconica ed avvolgente, ma non raggiunge i vertici delle versioni citate. The One I Love introdotta da un clarinetto, potrebbe quasi far parte di un disco di standard, grazie alla facilità con cui Russell ha sempre scritto melodie cantabili, però la sovrapproduzione non giova; meglio Where Do We Go From Here dove Lambert trattiene gli arrangiamenti orchestrali di Hall e lascia affiorare la melodia deliziosa del brano. A Song For You l’hanno incisa quasi tutti, una canzone splendida che chiude questa ultima fatica di Leon Russell https://www.youtube.com/watch?v=37dw2r45Xzg , un album che avrebbe potuto essere migliore senza tutte le “sovrastrutture.” ma rimane un discreto disco postumo, pur senza la qualità sopraffina di quello recente di Glenn Campbell http://discoclub.myblog.it/2017/08/10/se-lungo-addio-deve-essere-questo-e-uno-dei-migliori-glen-campbell-adios/ .

Bruno Conti

Piccoli Fenomeni, Non Paranormali Ma Chitarristici! Ray Goren – Live From Lucy’s 51

ray goren live

Ray Goren & The Generation Blues Experience – Live From Lucy’s 51 – R Music

So che molti di voi se lo staranno chiedendo, sta per parlarci di un altro giovane “fenomeno” della chitarra? Ebbene sì: per citarne solo alcuni dei più famosi, dopo Joe Bonamassa che a 11 anni suonava sul palco con BB King, Kenny Wayne Shepherd che iniziava a suonare all’età di 7 anni, “fulminato” da Stevie Ray Vaughan e saliva sui palchi a 13 con Bryan Lee, tutti “dilettanti” in confronto a Eric Steckel che pubblicava il suo primo album dal vivo a 12 anni, per non parlare di Jonny Lang, Monster Mike Welch, Little Jimmy King e altri che non citiamo per brevità, che si sono succeduti nel corso degli anni, sin da quando Shuggie Otis, nel 1969, pubblicava la sua Kooper Session con Al Kooper o, più o meno nello stesso periodo Neal Schon entrava a 15 anni nella band dei Santana, senza dimenticare Randy California o Paul Kossoff, bravissimi fin da giovani.

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Questo per dire che i cosiddetti “fenomeni”, se sono veramente bravi, possono anche arrivare al successo e costruirsi una carriera più che rispettabile. Le premesse sembrano molto incoraggianti anche per Ray Goren, che a tredici anni ha già pubblicato un disco in studio e questo Live At Lucy’s 51. Bobby “Hurricane” Spencer, un sassofonista che nei suoi 50 anni di carriera ha suonato con Etta James, Otis Redding e B.B. King lo ha definito “un giovane Mozart del Blues” e uno dei suoi compagni nella Generation Blues Experience, il 78 enne chitarrista Jamie Powell, suo attuale mentore, ha detto “Credevate che Stevie Ray Vaughan fosse “cattivo”? Dovete sentire questo ragazzino per avere una idea di cosa voglia dire essere “cattivo”. (sarebbe “bad” che in inglese fa un altro effetto)!

eddie goren eddie kramer

Ok, si tratta di persone del suo entourage, ma anche molti musicisti e giornalisti americani hanno espresso ammirazione per questo giovane maestro della chitarra. L’ultima notizia in ordine di tempo è che Goren è in studio a registrare un nuovo EP con Eddie Kramer (esatto, proprio di quello di Jimi!) https://www.youtube.com/watch?v=WuCric8PrV0 . Saranno tutti pirla costoro? Non credo. Quindi dov’è la fregatura? Perché i suoi dischi non sono in cima alle classifiche, almeno di blues o rock-blues, e nessuno ne ha mai sentito parlare in questa era di internet in cui tutto si sa in un battibaleno. Sarà forse per la crisi dell’industria discografica? https://www.youtube.com/watch?v=e3UuDvlWw2k  Ma non vorrei caricarvi con troppi quesiti, veniamo a questo CD dal vivo, registrato in concerto lo scorso giugno del 2013 in quel di Toluca Lake, California e già in circolazione, faticosa, da qualche tempo. Intanto uno dei difetti ve lo dico subito, è lo stesso di tutti i ragazzini che suonano il blues da adolescenti, come quelli citati sopra anche Goren ha una voce, che per quanta grinta ci metta, sembra sempre quella di un concorrente delle trasmissioni della Clerici o di Gerry Scotti, sottile e in via di formazione, non adatta a parlare di Going Down come tenta di fare nella cover del brano di Don Nix che apre questo disco, però quando inizia a suonare la chitarra, rimani stupefatto, il ragazzino ha una tecnica mostruosa, ma ha anche feeling, inventiva, senso del blues, non è solo uno “sborone” messo lì per fare il fenomeno da baraccone, si sente che ama la musica che suona https://www.youtube.com/watch?v=arsq7dmMiKs .

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Nella successiva When You Leave, Don’t Take Nothin’ oltre quindici minuti di pura magia sonora, quando prende il centro della scena per un assolo incredibile, vedi scorrere davanti ai tuoi occhi i fantasmi benevoli di Jimi Hendrix e Stevie Ray Vaughan https://www.youtube.com/watch?v=46RquEvhCmQ  (vi giuro su mia mamma, che non c’è più, che è veramente così bravo)! Tra l’altro, saggiamente, nel resto del disco, cantano i vecchi marpioni della sua band, nel particolare, in questo pezzo, il secondo chitarrista Jamie Powell. Quando finisce il brano siete sfiniti ma soddisfatti, ma come suona questo! Un mostro! Il pubblico non è numeroso, si capisce dalla registrazione, ma sono tutti impegnati a raccogliere le loro mascelle che sono cadute a terra per lo stupore. In While You Were Steppin’Out, l’unico brano sui 5 minuti, canta una certa Lady GG, che tira la volata a Ray che in questo brano si “limita” ad un assolo che farebbe la gioia  di Clapton o BB King.

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Poi, in una chilometrica Stormy Monday, uno slow blues da sballo che è ancora il festival della chitarra, c’è spazio anche per il chitarrista ritmico della band, tale Terry De Rouen, il nostro amico si ostina a voler cantare ma poi viene sostituito al microfono da Powell e si può occupare con notevole profitto della sua Fender, con una serie di soli che definire notevoli è un eufemismo https://www.youtube.com/watch?v=9aqhYILqf1I . Stesso copione nell’altrettanto lunga Ain’t Nobody Business But My Own (come vedete il repertorio è tutto sul blues classico, d’altronde lo si evince anche dal nome della band, con quel tocco hendrixiano), Ray parte subito con la chitarra, canta, poco, ma con maggiore profitto, anche se qualche nota scappa, ma non quando innesta la chitarra, che viene esplorata su e giù sul manico con una minuzia e una perfezione sonora ammirabili. E la conclusione è affidata a Every Day I Have The Blues, dove l’armonicista Sammy Lee, oltre a regalarci un assolo al suo strumento, canta con passione e classe, il resto lo fa ancora una volta la solista di Ray Goren. Vedremo fra quattro o cinque anni, già ora, se amate la chitarra e il blues, nell’ordine, non lasciatevi sfuggire questo dischetto, il giovane merita davvero!

Bruno Conti