Un Albergo “Restaurato” Per Il Cinquantenario. The Doors – Morrison Hotel

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The Doors – Morrison Hotel – Rhino/Warner 2CD/LP Box Set

Proseguono le edizioni deluxe per i cinquantesimi anniversari degli album dei Doors, una serie di cofanetti cominciata nel 2017 con il loro omonimo debut album e che inizialmente si è rivelata deludente per la presenza di poche bonus tracks (Strange Days non ne conteneva alcuna, solo le versioni mono e stereo del disco), ma che però è andata via via migliorando: infatti il box dedicato a The Soft Parade uscito lo scorso anno è stato il più soddisfacente finora in termini di inediti (ben due CD extra, con il secondo di essi quasi totalmente occupato dalla take finalmente completa della mitica Rock Is Dead), cosa abbastanza bizzarra in quanto stiamo parlando dell’album meno amato e più criticato tra quelli pubblicati da Jim Morrison e soci. Ciò avvenne soprattutto a causa di alcuni discussi arrangiamenti al limite del pop che avevano creato più di una frizione tra il produttore Paul Rothchild ed il presidente della Elektra Jac Holzman (insieme al tecnico del suono Bruce Botnick), che non condividevano la veste sonora del disco e per la quale incolpavano lo stesso Rothchild dato che in quel periodo Morrison era più interessato a scrivere poesie che a dedicarsi al gruppo. Per Morrison Hotel (che era il nome di un vero albergo di Los Angeles ed intitolava la seconda facciata del disco, mentre il lato A si chiamava Hard Rock Cafè, altro locale di L.A. che non aveva nulla a che vedere con la nota catena di ristoranti nata a Londra nel 1971) i nostri decisero invece per un ritorno alle atmosfere dirette, tra rock e blues, di inizio carriera, e questo diede loro ragione in quanto l’album ottenne vendite migliori rispetto a The Soft Parade pur in assenza di un singolo trainante.

Tanto per cominciare gran parte della sua fortuna il disco lo ebbe grazie al brano d’apertura, la trascinante ed adrenalinica Roadhouse Blues, che in breve diventerà la canzone più popolare dei Doors insieme a Light My Fire ed in generale un classico della musica rock internazionale, nonostante non fosse neppure uscita su 45 giri (ma solo come lato B). Nel brano partecipano anche John Sebastian all’armonica (con lo pseudonimo G. Puglese) ed il grande chitarrista Lonnie Mack “relegato” però al basso, strumento suonato in tutti gli altri brani da Ray Neapolitan, dato che com’è noto i nostri non avevano un bassista all’interno del gruppo. Il pezzo scelto all’epoca come singolo fu la diretta e rocknrollistica You Make Me Real, che risaliva ai famosi concerti del 1966 al London Fog ma non era mai stata incisa in studio fino a quel momento. Ma non è l’unico ripescaggio dell’album (a dimostrazione di una certa scarsità di materiale), in quanto troviamo anche Waiting For The Sun, registrata dai Doors per il loro terzo album dallo stesso titolo ma poi lasciata fuori, ed addirittura una outtake dal primo disco, Indian Summer: entrambe le canzoni sono ipnotiche e dense di misticismo, e si distaccano abbastanza dal resto dell’album.

Che Morrison Hotel sia infatti uno degli LP più immediati del quartetto lo dimostrano la robusta Peace Frog, con Ray Manzarek che lavora di fino al suo Vox Continental (brano che confluisce nella tenue Blue Sunday, una ballatona con Jim che si atteggia a crooner), la saltellante Ship Of Fools, ancora con Ray protagonista, la pimpante e gradevole Land Ho!, che vede invece la chitarra di Robby Krieger in gran spolvero, il bluesaccio cadenzato da taverna The Spy, la spedita Queen Of The Highway, puro stile Doors, per finire con il vibrante rock-blues Maggie M’Gill, cantato da Morrison con voce arrochita e con la band che segue come un treno guidata in maniera sicura dal drumming di John Densmore. Il cofanetto ripropone nel primo CD il disco originale rimasterizzato (ma non remixato) dallo stesso Botnick, un booklet formato LP di 16 pagine con le note del noto critico David Fricke, il solito inutile LP che serve solo a far salire il prezzo, ed infine un secondo CD con sessions inedite, interessante anche se per l’80% gira intorno a sole due canzoni.

La prima parte infatti è inerente a Queen Of The Highway, con più di dieci takes, alcune solo strumentali, nelle quali i nostri improvvisano alla grande e Jim gigioneggia da par suo (e c’è anche un breve accenno all’inedita I Will Never Be Untrue): il brano originale non durava neanche tre minuti, ma qui i Doors si divertono a rivoltarlo come un calzino (molto belle le takes 12 e 14, quasi un jazz- blues strumentale con Manzarek strepitoso al piano). Più aderenti alla versione conosciuta sono le nove tracce dedicate a Roadhouse Blues, qui proposte come un interessante work in progress: nel mezzo abbiamo due sanguigne e potenti riletture, mai sentite, delle classiche Money (That’s What I Want) di Barett Strong e Rock Me Baby, noto standard blues reso popolare da Muddy Waters e B.B. King. Chiusura con due versioni alternate di Peace Frog, la prima delle quali mixata con Blue Sunday come sul disco originale. Quindi una bella ristampa che getta nuova luce su un disco piacevole e riuscito ma che forse perde il confronto con i capolavori assoluti usciti nello stesso periodo, anche se i Doors si rifaranno nel 1971 con L.A. Woman, canto del cigno di Morrison e loro album migliore dopo l’esordio.

Marco Verdi

Novità Prossime Venture 12. Proseguono Le Ristampe Deluxe Per Il 50° Anniversario Degli Album Dei Doors, Il 1° Novembre Tocca A The Soft Parade

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The Doors – The Soft Parade – 3CD/1LP Deluxe Edition Limited And Numbered 15.000 copie- Elektra/Rhino 01-11-2019

A settembre dello scorso anno era uscita la ristampa del terzo album dei Doors https://discoclub.myblog.it/2018/10/02/con-il-terzo-cinquantenario-arriva-anche-qualche-misero-inedito-the-doors-waiting-for-the-sun-50th-anniversary/ , e per la prima volta nel cofanetto, come potete leggere qui sopra nel Post di Marc, erano stati inseriti alcuni inediti, diciamo in quantità se non congrua comunque incoraggiante, pur se persisteva pervicacemente l’abitudine di inserire il vinile dell’album originale nella confezione, invece di pubblicarlo separatamente, scontentando sia gli appassionati degli LP che quelli dei CD. Anticipo che purtroppo anche per The Soft Parade, quarto album della loro discografia, uscito in origine nel 1969, si è applicata ancora perversamente questa abitudine, ma quantomeno, scorrendo i contenuti del box, questa volta ci sono parecchi brani interessanti, una dozzina in totale, mai pubblicati prima, tra i quali uno in particolare è veramente fantastico. La versione completa ed integrale della famosa jam Rock Is Dead, un’ora, dicasi 60 minuti (!!!), di improvvisazioni di Jim Morrison e soci sulla storia della musica rock, dal blues alla musica surf fino ad arrivare alla “morte del rock”: apparsa in passato su alcuni bootleg non era mai stata pubblicata a livello ufficiale.

Sempre nel CD 3 ci sono anche Seminary School Chaos, altri brani inediti, mentre nel secondo CD ci sono ulteriori tre brani molto interessanti, tra cui una prima versione alternativa di Roadhouse Blues, che uscirà solo l’anno successivo su Morrison Hotel, tutti e tre cantati da Screamin’ Ray Daniels (ovvero Ray Manzarek), oltre a cinque brani estratti dall’album del 1969 che però appaiono nella versione “pulita”, cioè senza le aggiunte di archi e fiati; e ancora tre brani con nuove parti di chitarra aggiunte da Robby Krieger. Quindi come si suol dire stavolta c’è molta trippa per gatti. Ma ecco la lista completa dei contenuti, con i brani inediti e rari evidenziati.

CD1]
1. Tell All The People
2. Touch Me
3. Shaman’s Blues
4. Do It
5. Easy Ride
6. Wild Child
7. Runnin’ Blue
8. Wishful Sinful
9. The Soft Parade
Bonus Track:
10. Who Scared You – B-side

[CD2]
1. Tell All The People (Doors only mix) *
2. Touch Me (Doors only mix w/new Robby Krieger guitar overdub) *
3. Runnin’ Blue (Doors only mix w/new Robby Krieger guitar overdub) *
4. Wishful Sinful (Doors only mix w/new Robby Krieger guitar overdub) *
5. Who Scared You (Doors only mix) *
6. Roadhouse Blues – Screamin’ Ray Daniels (a.k.a. Ray Manzarek) on vocal *
7. (You Need Meat) Don’t Go No Further – Screamin’ Ray Daniels (a.k.a. Ray Manzarek) on vocal *
8. I’m Your Doctor – Screamin’ Ray Daniels (a.k.a. Ray Manzarek) on vocal *
9. Touch Me (Doors only mix) *
10. Runnin’ Blue (Doors only mix) *
11. Wishful Sinful (Doors only mix) *

[CD3]
1. I Am Troubled
2. Seminary School (aka Petition The Lord With Prayer) *
3. Rock Is Dead – Complete Version *
4. Chaos *

* previously unreleased

[LP]
1. Tell All The People
2. Touch Me
3. Shaman’s Blues
4. Do It
5. Easy Ride
6. Wild Child
7. Runnin’ Blue
8. Wishful Sinful
9. The Soft Parade

Il cofanetto uscirà il 18 ottobre p:v. e il prezzo indicativo sarà intorno ai 50-60 euro. Poi dopo l’uscita al solito recensione dettagliata del tutto a cura dell’amico Marco Verdi.

Bruno Conti

Con Il Terzo Cinquantenario Arriva Anche Qualche (Misero) Inedito! The Doors – Waiting For The Sun 50th Anniversary

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The Doors – Waiting For The Sun 50th Anniversary – Rhino/Warner 2CD/LP

Quando nell’Aprile del 2017, alla fine della recensione del box commemorativo uscito per i cinquant’anni dell’album d’esordio dei Doors https://discoclub.myblog.it/2017/04/23/la-versione-deluxe-di-un-album-leggendarioma-si-poteva-fare-meglio-the-doors-the-doors/ , avevo auspicato la presenza di qualche inedito nella (allora) futura ristampa del loro secondo album Strange Days (dato che nella riedizione del debutto era presente  lo stesso lavoro sia nel missaggio originale sia a velocità reale, più un concerto già uscito anni prima, e per di più monco), non avrei pensato che la Rhino ci avrebbe dato ancora meno: semplicemente un doppio CD con lo stesso album in stereo e mono (e quindi lo scorso Novembre non avevo nemmeno ritenuto opportuno parlarne). Ora è la volta del terzo album del quartetto formato da Jim Morrison, Ray Manzarek, Robbie Krieger e John Densmore, quel Waiting For The Sun che fu anche il loro lavoro più venduto, ed unico ad andare al numero uno in America: qui la Rhino si è sprecata, in quanto, oltre al solito ed inutile LP (ma venderlo a parte no?) ed al disco originale con il missaggio stereo dell’epoca sul primo CD, abbiamo un secondo dischetto con nove “rough mix” degli undici pezzi dell’album, ritrovati da poco tempo dal produttore Bruce Botnick (che si occupa del remastering, mentre il disco originale era prodotto da Paul Rothchild), cioè praticamente le stesse takes prima degli aggiustamenti (quindi tecnicamente non sono inediti) e, udite udite, ben cinque pezzi (!) tratti da un concerto a Copenhagen del Settembre 1968, mai sentiti finora.

Ho detto cinque pezzi ma in realtà sono quattro, in quanto il primo è una sorta di introduzione parlata di Morrison…ma perché allora non mettere tutto il concerto? Lasciamo da parte un attimo questi quesiti e parliamo del disco originale: Waiting For The Sun fu, come ho già detto, il best seller per il gruppo di Venice Beach, ed all’epoca fu anche criticato per certe sonorità ammorbidite e “pop”, che poco avevano da spartire secondo i fans con la crudezza degli esordi. Io tutta questa commercialità non ce la vedo, anche perché i nostri hanno sempre sfornato negli anni singoli brevi ed orecchiabili quando volevano, ed in Waiting For The Sun i momenti più complessi e poco “radiofonici” non mancano di certo (ed i testi sono poetici e visionari come sempre). Il brano più celebre è sicuramente il singolo Hello, I Love You, uno dei pezzi più noti dei Doors, una pop song orecchiabile e saltellante trainata dall’organo di Manzarek, che per l’occasione sembra quasi un prototipo di synth. Love Street è una deliziosa canzone pop, insolitamente solare per i nostri, che contrasta nettamente con l’inquietante Not To Touch The Earth, che in realtà è un frammento della chilometrica Celebration Of The Lizard, che Morrison e compagni all’epoca non riuscirono a portare a termine e proporranno solo in seguito dal vivo (troverà posto in Absolutely Live). Summer’s Almost Gone è una bella ballata, pacata ed eterea, con Ray al piano e Krieger che ricama ottimamente alla slide, la breve Wintertime Love è dotata di una melodia avvolgente e ha come protagonista un suggestivo clavicembalo, mentre The Unknown Soldier è un pezzo antimilitarista, una rock song che ci fa ritrovare i Doors più familiari, quelli “arrabbiati” dei primi due dischi.

Spanish Caravan è uno squisito brano acustico caratterizzato da una splendida chitarra flamenco, prima del finale a tutto rock psichedelico; My Wild Love è una bizzarria, una canzone quasi a cappella piuttosto ripetitiva e con un coro tribale, mentre We Could Be So Good Together è un pop-rock gradevole ma abbastanza nella media. Il disco originale si chiude con la pianistica Yes, The River Knows, e con la drammatica e misteriosa (il suo significato non è mai stato chiarito) Five To One, il brano centrale dell’album, punteggiato dal ritmo marziale dato da Densmore, con una notevole performance chitarristica di Krieger e Jim che gigioneggia in lungo e in largo. Nessuna bonus track, nemmeno quelle incluse nella versione del quarantennale (tra cui Celebration Of The Lizard incisa in studio, anche se incompleta). Il secondo CD come dicevo prima presenta nove rough mix (mancano The Unknown Soldier e We Could Be So Good Together), e per notare le differenze bisogna essere degli audiofili, anche se Hello, I Love You, Not To Touch The Earth e Five To One hanno comunque un suono più diretto e potente. Poi, come abbiamo visto, la miseria di quattro pezzi dal concerto di Copenhagen, incisi tra l’altro con la qualità sonora di un buon bootleg: tre brani da Waiting For The Sun (un’energica Hello, I Love You e due eccellenti Five To One e The Unknown Soldier), completati da una tonante Back Door Man di Howlin’ Wolf, da sempre un cavallo di battaglia per Morrison e soci. Quindi un’altra ristampa dai contenuti discutibili per quanto riguarda i Doors, anche se non siamo ai livelli bassissimi di Strange Days: speriamo in qualcosa di più l’anno prossimo quando toccherà a The Soft Parade, anche se è meglio non farsi troppe illusioni.

Marco Verdi

Probabilmente Il Loro Ultimo Grande Concerto. The Doors – Live At The Isle Of Wight Festival 1970

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The Doors – Live At The Isle Of Wight Festival 1970 – Eagle Rock/Universal CD/DVD – DVD – BluRay – CD/BluRay (solo USA e Canada)

Dopo le deludenti versioni celebrative dei loro primi due album, The Doors e Strange Days (la seconda più della prima), finalmente un’uscita come si deve che riguarda i Doors, ovvero la pubblicazione integrale audio e video di Live At The Isle Of Wight Festival 1970, di cui vi aveva accennato Bruno qualche settimana fa: si tratta dell’ultimo show ripreso dalle telecamere dello storico gruppo californiano, e del quale erano finora usciti pochi frammenti all’interno del film Message To Love di Murray Lerner (che è quindi il regista anche di questo live). Le notizie che giravano su questa serata parlavano di un gruppo non al meglio, con una profonda spaccatura tra Jim Morrison e gli altri tre, ma mi sento di dover smentire questi rumours, in quanto ci troviamo di fronte ad una grandissima esibizione, nella quale non ci sono assolutamente segni di contrasti intestini (ed i quattro avevano ancora un grande disco in canna, quel L.A. Woman che sarebbe uscito l’anno seguente). Certo, forse la parte visiva non è poi così spettacolare, dato che Ray Manzarek, John Densmore e Robby Krieger si “limitano” a suonare, e Morrison resta praticamente fermo durante tutta l’esibizione (in quei giorni la sua mente era anche rivolta al famoso processo di Miami per atti osceni), ma la parte musicale è sublime, sia dal punto di vista dell’incisione che da quello della qualità della performance, una chiara conferma della bontà del gruppo on stage.

Il concerto (un’ora e cinque minuti), che si tenne alle due del mattino del 29 Agosto di quell’anno, inizia con la roboante Roadhouse Blues, uno dei brani più noti della band, rock’n’roll allo stato puro, in cui ci si rende subito conto come le voci di un gruppo allo sbando fossero infondate: Morrison si dimostra subito aggressivo ed in palla dal punto di vista vocale, Krieger rilascia un assolo chitarristico torcibudella, Densmore picchia con vigore e raffinatezza allo stesso tempo (frutto di una formazione di stampo jazz), mentre l’organo Vox Continental di Manzarek si conferma come il vero punto di forza del sound del quartetto. La loro versione del classico di Willie Dixon Back Door Man è fluida e godibile, con la vocalità di Morrison decisamente centrale, forte e sicura, e gli altri tre che lo seguono con classe e maestria; la diretta Break On Through (To The Other Side) è il solito attacco frontale, con Manzarek che fa viaggiare le dita che è un piacere, mentre la sinuosa When The Music’s Over vede i nostri nel loro ambiente naturale, ovvero i brani lunghi e fluidi per cui sono famosi, con Ray impegnato contemporaneamente all’organo ed al basso (frutto dell’accoppiamento del Rhodes Piano Bass al suo strumento principale), Jim che gigioneggia da par suo, canta, declama, urla, sembra perdere il filo ma poi lo riprende all’improvviso.

Robby Krieger che si dimostra un chitarrista notevolmente creativo (e qui l’influenza di certa musica orientale è palese) e John molto più di un semplice batterista. La poco nota Ship Of Fools, una sorta di vivace rock-blues molto sixties e dal mood jazzato, anticipa la grande Light My Fire, la signature song del gruppo ed ideale scorribanda per le evoluzioni di Manzarek e Krieger, qui in una versione davvero spettacolare. Il finale è appannaggio di una lunga e drammatica The End, una vera manna per le improvvisazioni di Morrison e soci, con all’interno accenni ad altri canzoni quali Across The Sea, Away In India, Wake Up e la Crossroads di Robert Johnson. Come parte video bonus (che non ho ancora visto), ci sono nuove interviste a Lerner, Krieger, Densmore e Bill Siddons (ex manager del gruppo), oltre ad una testimonianza del 2002 di Manzarek. So che sul mercato gli album dal vivo dei Doors non mancano di certo, ma questo Live At The Isle Of  Wight Festival 1970 secondo me fa parte di quelli da avere, e non solo per il suo valore storico.

Marco Verdi

Uscite Prossime Venture 5. Sai Cos’è L’Isola Di Wight? The Doors – Live At The Isle Of Wight Festival 1970

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Doors – Live At The Isle Of Wight  Festival 1970 – CD+DVD – DVD – Blu-Ray (solo per gli USA CD+Blu-Ray) Eagle Vision/Universal – 23-02-2018

Nell’agosto del 1970, tra il 26 e il 30, si tenne quello che fu considerato l’ultimo grande Festival Rock, all’Isola di Wight, nel sud dell’Inghilterra; canale della Manica, avete presente, sotto Southampton? Partecipò la crema della musica mondiale (non solo rock, tra i tanti ricordiamo anche la presenza di Miles Davis), e dell’evento fu pubblicato all’epoca un triplo album in Vinile, The First Great Rock Festivals of the Seventies, che raccoglieva nel primo LP anche una selezione dell’Atlanta International Pop Festival tenuto nel mese di luglio, con brani di Johnny Winter, Poco, Chambers Brothers, Allman Brothers Band Mountain, le altre quattro facciate riportavano materiale registrato all’Isola di Wight (confermo, ce lo avevo). Poi, nel corso degli anni, è stato pubblicato, in doppio CD e anche DVD, una ampia selezione di estratti in un film intitolato Message to Love: The Isle of Wight Festival 1970, e sempre successivamente diversi DVD dedicati alle performance di singoli artisti che parteciparono alla kermesse: Who, Emerson, Lake & Palmer, Jimi Hendrix, Jethro Tull, Miles Davis, Free, Moody Blues, Leonard Cohen e, ultimo in ordine di tempo, quello dedicato ai Taste.

E adesso tocca ai Doors, che si esibirono sabato 29 agosto alle due di notte (o di mattina, fate voi), in un concerto che fu uno dei loro ultimi, tenuto sulle ali delle polemiche per il processo per oscenità a Jim Morrison (per il concerto di Miami dell’anno prima) e la cui sentenza di condanna (per un fatto mai appurato con certezza) sarebbe arrivata solo il 30 di ottobre dello stesso anno. Il gruppo forse non era al massimo della forma, ma secondo le versioni postume, nelle parole di Ray Manzarek, “Suonammo con una furia controllata e Jim era in perfetta forma”, secondo altri non uno dei loro migliori concerti anche perché i rapporti all’interno della band erano ad un minimo storico (ma si sarebbero appianati per registrare quello che sarà il loro canto del cigno, lo splendido L.A. Woman) e Morrison, sempre nelle parole di Manzarek, non mosse un muscolo per tutta la durata del concerto! Quindi a quasi 50 anni dall’epoca esce per la prima volta ufficialmente la versione integrale del concerto (due pezzi erano nel film Message To Love, e un altro, mi pare, nel documentario When You’re Strange): come leggete sopra ci sono vari formati, e nella parte degli extra c’è pure il bonus video “This Is The End” – 17 minuti di interviste del regista del film Murray Lerner con Robby Krieger, John Densmore e l’allora manager dei Doors Bill Siddons. C’è inoltre un’intervista del 2002 con Ray Manzarek.

Ecco la tracklist completa del concerto

1. Roadhouse Blues
2. Backdoor Man
3. Break on Through (To The Other Side)
4. When The Music’s Over
5. Ship of Fools
6. Light My Fire
7. The End (medley): Across The Sea/Away in India/Crossroads Blues/Wake Up

Secondo me è un grande concerto, così potrete dare una volta di più una risposta al quesito posto dalla famosa canzone, poi vedete voi, esce il 23 febbraio.

Bruno Conti

La Versione Deluxe Di Un Album Leggendario…Ma Si Poteva Fare Meglio! The Doors – The Doors

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The Doors – The Doors – Elektra/Rhino 3CD/LP Box Set

Strano destino quello dei Doors, storico gruppo californiano molto famoso anche dalle nostre parti: popolarissimi sia nel loro periodo di attività sia dopo (ed ancora oggi), principalmente grazie, oltre ad una manciata di canzoni entrate a far parte dei classici, all’immagine da “bello e maledetto” tramandata ai posteri del loro leader Jim Morrison (cosa ingigantita dalla sua prematura scomparsa avvenuta nel 1971 all’età di 27 anni), oggi sono molto poco citati come influenza dalle band contemporanee, a differenza, per citare un gruppo che operava nello stesso periodo, dei Velvet Underground, che in attività vendette pochissimo ma in seguito ha raggiunto una statura tale al punto da far affermare a Brian Eno che “pochi comprarono i loro dischi quando vennero pubblicati, ma tutti coloro che lo fecero poi formarono una band”. Questo penso sia dovuto al fatto che il sound dei Doors oggi possa risultare un po’ datato (ma a mio parere meno di quello dei Jefferson Airplane, altra grande band di quell’epoca oggi spesso dimenticata), anche se le orecchie più attente hanno sempre riconosciuto l’importanza del quartetto di Venice Beach ed anche il loro sound innovativo, che obiettivamente in quegli anni non li faceva assomigliare a nessun altro. Gran parte del merito va (andava) sicuramente a Ray Manzarek, vero leader musicale del gruppo, che con il suo organo Vox Continental (che dal vivo veniva accoppiato ad un Rhodes Piano Bass sopperendo così all’assenza di un bassista) ha da sempre caratterizzato il sound del gruppo, fungendo sia da strumento solista che ritmico: questo non vuol però dire che sia Robby Krieger, gran chitarrista dal tocco raffinato ed influenzato dal jazz e dalla musica indiana, sia John Densmore, ottimo batterista anch’egli di formazione jazz (e classica), fossero inferiori, e pure Morrison non era solo “un figo” come diremmo oggi, ma aveva una presenza magnetica sul palco, una voce notevole e soprattutto un cultura smisurata, che ritrovavamo nei testi delle canzoni (scritti per la maggior parte da lui), talvolta un vero e proprio campionario di riferimenti letterari, sotto l’influenza (oltre che delle droghe di cui era un vorace consumatore) di poeti, scrittori e filosofi del calibro di William Blake, Arthur Rimbaud, Jack Kerouac e Friedrich Nietzsche, solo per citarne alcuni.

I Doors furono scoperti del presidente della Elektra, Jac Holzman, che li vide esibirsi nei club di Los Angeles, principalmente il London Fog ed il Whiskey-A-Go-Go, e li segnalò al produttore Paul A. Rothchild (figura di vitale importanza per il gruppo insieme al tecnico del suono Bruce Botnick), il quale li portò in sala di incisione e, dopo soli sei giorni, ne uscì con l’album di debutto omonimo dei nostri, un disco che ancora oggi è considerato una pietra miliare del rock dell’epoca (e non solo), ed uno di quelli da possedere assolutamente in una collezione che si rispetti. Gran parte del merito va sicuramente a tre fra i brani più celebri della band, a cominciare dall’aggressiva e potente Break On Through (To The Other Side), posta in apertura, per continuare con la straordinaria Light My Fire, vera e propria signature song del gruppo (e non importa che sia uno di quei pezzi che si conoscono a memoria, ancora oggi le parti di organo e chitarra sono tra le più belle mai incise in assoluto), ed infine con la lunga ed ipnotica The End, delirio letterario di quasi dodici minuti ispirato a Morrison dalla lettura dell’Edipo Re di Sofocle, un brano che ha avuto un utilizzo geniale dodici anni dopo da parte di Francis Ford Coppola per due scene chiave del capolavoro Apocalypse Now. Ma non è che il resto del disco fosse di basso livello, dalla sinuosa Soul Kitchen, all’emozionante The Crystal Ship, nella quale Manzarek si sposta al pianoforte rilasciando un assolo strepitoso (e Morrison si conferma un vocalist dalla straordinaria duttilità), a Twentieth Century Fox, un riempitivo di gran lusso. Completavano il disco la diretta ed orecchiabile I Looked At You (con il basso suonato da Larry Knetchel), l’ipnotica End Of The Night, la bella Take It As It Comes, dal ritmo sostenuto e motivo diretto (peccato duri poco) e due covers, e se la quasi cabarettistica Alabama Song (traduzione inglese di un brano di Bertold Brecht e Kurt Weill) è un esperimento bizzarro, la versione personalizzata del classico blues Back Door Man (scritta da Willie Dixon e resa nota da Howlin’ Wolf) è tra le cose migliori dell’album.

Quest’anno cade il cinquantesimo anniversario di The Doors, e la Rhino ne ha approfittato per pubblicare una versione deluxe in triplo CD (con accluso anche il vinile) di questo disco storico, ma qualcosa non torna. Ok per la decisione di inserire nel primo dischetto un nuovo mix in stereo con le canzoni proposte alla velocità originale in cui furono suonate (pare infatti che il disco uscito all’epoca fosse leggermente rallentato, e questa versione è presente sia nel secondo CD, mixata in mono, sia nell’LP, anche se bisogna stare con le orecchie davvero dritte per accorgersi delle differenze), ma non capisco la scelta di non accludere nessuna bonus track, visto che ciò era stato fatto in edizioni precedenti a questa (ci sono due canzoni non entrate a far parte del disco originale, Moonlight Drive e Indian Summer, e pare che esistano anche versioni alternate molto interessanti di altre canzoni dell’album, tra cui The End). E veniamo al terzo CD, ed anche qui continuano le decisioni incomprensibili: infatti troviamo otto canzoni tratte da un concerto al Matrix di San Francisco (le prime sette di The Doors nello stesso ordine più The End), peccato che questo concerto fosse già stato pubblicato nel 2008 in doppio CD, e quindi in versione completa (prendendo in esame due diverse serate); va bene che qui sono stati usati per la prima volta i nastri originali di Peter Abrams (proprietario del Matrix), ma non è che la qualità di incisione sia migliorata poi di molto, diciamo che siamo sui livelli di un buon bootleg. Morrison fornisce un’interpretazione selvaggia (e qua e là un po’ sopra le righe) di tutti gli otto pezzi, e gli altri tre dimostrano di essere una notevole live band, ma il concerto rimane nettamente incompleto (il doppio del 2008 contava ben sedici brani in più). Quindi questo cofanetto è da considerarsi indispensabile per un neofita (o per chi come me non possiede il Live At Matrix originale, ed avendo già altri album dal vivo della band mi bastano anche otto canzoni), ma non offre nulla di succulento ai fans del gruppo.

Speriamo che nella (probabile) deluxe edition di Strange Days (il secondo album dei Doors, uscito anch’esso nel 1967) ci si impegni un po’ di più per includere qualche extra interessante.

Marco Verdi

Ancora Uno Che Di Slide Se Ne Intende! Roy Rogers – Into The Wild Blue

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Roy Rogers – Into The Wild Blue – Chops Not Chaps Records 

Lo avevo lasciato un paio di anni fa alle prese con l’ultimo disco registrato in collaborazione con Ray Manzarek (il terzo della serie http://discoclub.myblog.it/2013/07/08/ray-manzarek-roy-rogers-atto-finale-twisted-tales-5497222/ ) e ora Roy Rogers si ripresenta con questo nuovo album Into The Wild Blue, pubblicato come di consueto dalla sua etichetta Chops Not Chaps (che era anche il titolo del suo primo album solista uscito nel lontano 1986), ma in mezzo, e anche prima, c’è tutta una vita di blues (e non solo). Il musicista californiano, è nato a Redding, quasi un destino nel nome, muove i primi passi a metà degli anni ’70, poi forma la sua prima band, i Delta Rhytm Kings, viene “scoperto” da John Lee Hooker che lo vuole nel suo gruppo dei tempi, la Coast To Coast Band, dove passa quattro anni, prima di iniziare la carriera solista con l’album citato prima. Ma la sua collaborazione con il grande “Hook” non finisce lì, infatti Rogers gli produrrà quattro album, The Healer, Mr. Lucky, Boom Boom e Chill Out, non un granché l’ultimo, ma gli altri tre sono strepitosi, prima di lasciare a Van Morrison la produzione dell’ultimissimo Don’t Look Back. Comunque Mr. Rogers è un ottimo chitarrista (e cantante) anche in proprio: uno dei maestri della slide guitar delle ultime generazioni, assolutamente alla pari con gente come Ry Cooder, Sonny Landreth, Derek Trucks, anche se meno pirotecnico e virtuosistico nel suo approccio, quindi forse più vicino a Cooder; anche per lui, come quasi per tutti, i suoi album migliori risalgono al passato, tutti quelli con la parola Slide nel titolo, ma anche i due pubblicati dalla Point Blank negli anni ’90, e non è male, tra i più recenti, Split Decision, uscito per la Blind Pig nel 2009, il suo ultimo come solista prima di questo Into The Wild Blue, senza dimenticare quello registrato in coppia con il compianto Norton Buffalo.

 

Il nuovo album propone la solita formula dei dischi di Roy Rogers, un misto di stili, dove confluiscono varie forme di blues, irrobustite da innesti rock e funky, con una serie di brani strumentali, quattro questa volta e il suo stile chitarristico spesso in evidenza, ma senza esagerare. Rogers è anche un buon vocalist, niente di memorabile, si scrive le proprie canzoni e ha un buon gruppo dove spiccano il tastierista Jim Pugh, vecchio sodale di Robert Cray e anche il batterista Kevin Hayes, pure lui in passato con Cray, oltre a Carlos Reyes che con i suoi violino e arpa aggiunge sonorità inconsuete al tutto. Si parte alla grande con Last Go Round, un brano dove si gusta subito la slide di Roy Rogers, in bella evidenza con il suo sinuoso fluire, mentre la band gira a mille, con abilità e tecnica, senza strafare. Don’t You Let Them Win, con un bel groove ritmato tra Buddy Holly e Bo Diddley, la voce pacata e gradevole di Rogers, con Reyes all’arpa che appoggia le fluide evoluzioni chitarristiche di Rogers, per una volta non alla slide, e Pugh che con l’organo aggiunge quel tocco soul-rock in più, molto piacevole.

Got To Believe, ha un’aura latineggiante, ma anche un vago sentore di tango, con il violino di Reyes e la voce di supporto di Omega Rae ad aggiungere quel tocco esotico di cui si diceva qualche riga fa, poi ci pensano la slide sognante di Roy e il piano di Pugh a fare il resto https://www.youtube.com/watch?v=CW9jqlKzHeU . Losin’ You è uno dei pezzi più tirati e rock dell’album, con un tiro non dissimile dalle prove soliste dei dischi di Sonny Landreth e anche con pari virtuosismo, qui la slide viaggia alla grande, mentre She’s A Real Jaguar ricorda certe cose più rilassate, laid-back, di Ry Cooder, magari nelle collaborazioni con Hiatt e nei Little Village, sempre con il piacevole dualismo tra violino e chitarra https://www.youtube.com/watch?v=jrUCll6Cr9s . Dackin’ è il primo dei quattro strumentali, qui si va di groove funky, una voglia di jam tra la chitarra slide decisa di Rogers e l’organo di Pugh e anche Love Is History, di nuovo cantata in coppia con la Rae, rimane in territori funky-soul, questa volta con Pugh al piano a sostenere il solismo di Rogers. Into The Wild Blue, altro strumentale, più sognante, con i florilegi dell’arpa di Reyes a sostenere il leader, con High Steppin’ che ricorda nuovamente le scorribande al bottleneck di Landreth, ricche di tecnica anche se non particolarmente eccitanti. Dark Angels torna  al blues-rock deciso dei brani iniziali e la conclusiva Song For Robert, dedicata al fratello scomparso, è l’ultimo strumentale, questa volta un lento d’atmosfera dove si apprezza il lato più riflessivo della musica di Roy Rogers https://www.youtube.com/watch?v=7ihaCZYmDh8 . In definitiva un buon album, per amanti dei chitarristi, ma non solo!

Bruno Conti

Ray Manzarek (& Roy Rogers), Atto Finale! Twisted Tales

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Ray Manzarek & Roy Rogers – Twisted Tales –  CNC (Chops Not Chaps) Records

Dai tempi in cui non era più il tastierista di quella promettente formazione fondata a Venice Beach con l’amico Jim Morrison, in California, nell’estate del 1965, The Doors, Raymond Daniel Manzarek non era stato più in grado di accedere a quei livelli di ispirazione che avevano caratterizzato i primi sei anni della sua carriera, fino al fatidico 1971 dell’uscita di La Woman. Ma ha caparbiamente e testardamente portato avanti la leggenda del gruppo (che si apprende in questi giorni avrà scampoli di nuova vita con la ennesima reunion di John Densmore e Robbie Krieger che sembrano avere appianato le loro diatribe legali), in qualche caso anche oltre i limiti dell’umana decenza musicale, ma sempre con una certa dignità e nel contempo ha firmato anche un consistente numero di progetti solisti e collaborazioni, soprattutto nell’ultima decade, che si sono protratti sino a pochi mesi prima della sua morte, avvenuta il 20 maggio di quest’anno, che possa riposare in pace.

Nessuno dei dischi che si sono succeduti negli oltre 40 anni passati da allora può essere definito memorabile, ma le collaborazioni con Roy Rogers, cantante e chitarrista slide, avvenute all’ombra della comune passione per il Blues (musica molto amata anche da Morrison e dagli altri Doors), sono sicuramente da ritenersi tra le più riuscite,  più di quella improbabile, ma non terribile, con Skrillex o la sua affermazione che i Chemical Brothers erano gli eredi dei Doors, opinione rispettabile ma difficilmente condivisibile, che però consentiva di “rimanere sempre alla moda”! Nei due precedenti dischi con Rogers, lo strumentale Ballads Before The Rain del 2008, dove venivano ripresi pezzi di musica classica, un paio di brani dei Doors e alcune nuove composizioni e il successivo Translucent Blues, decisamente più orientato verso le classiche 12 battute, con entrambi che si dividevano le parti vocali e i testi che venivano ripresi anche del repertorio di due grandi poeti americani, vicini al rock, come Michael McClure e Jim Carroll, soprattutto nel secondo c’era già in nuce questa collaborazione tra poesia, rock e blues, che in questo Twisted Tales raggiunge il suo completamento, completando il cerchio iniziato proprio 40 anni fa circa e che lo scorso anno, in modo più dimesso e meno eclatante, aveva visto la luce nell’album Piano Poems: Live In San Francisco che però in pratica erano dei readings dei poemi di McClure accompagnato dal piano di Manzarek e dal flauto di Larry Kassin.

Questa volta il progetto è più organico, quattro testi di Jim Carroll (poeta, ma anche grande rocker) e tre di McClure, messi in musica da Manzarek e Roy Rogers, oltre a tre canzoni scritte da Rogers, che con la sua formidabile slide si divide gli spazi con la tastiere di Ray in tutto l’album. Che, diciamolo subito, per sgombrare lo spazio da eventuali equivoci, è, ancora una volta, un onesto disco di blues-rock, ma niente di trascendentale, nella media di moltissimi altri album simili che escono quasi giornalmente, con Rogers che è cantante discreto, meglio Manzarek,  ma nessuno dei due un fulmine di guerra, però ai rispettivi strumenti si fanno valere, e il rock e il boogie di brani come le iniziali Just Like Sherlock Holmes e Eagle In The Whirlpool  si ascolta con piacere e fa muover il piedino. Quando l’organo di Manzarek sale in primo piano come nella doorsiana Cops Talk, un po’ di nostalgia ti attanaglia ma la consistenza vocale non incanta particolarmente anche se l’assolo di sax di George Brooks ha un suo fascino.

Ma la produzione di Manzarek non ha più quell’aria tagliente dei primi dischi degli X. Nel flamenco-rock di Street Of Crocodiles Ray sfoggia delle sfumature vocali alla Morrison che vivacizzano l’ascolto. Ma quando ci si allontana troppo dal blues come in American Woman, sembra di ascoltare una parodia dei Tubes o dei Cars, mentre Shoulder Ghosts di Roy Rogers tenta anche la strada della musica d’atmosfera, senza particolare successo, al di là della slide del titolare. In The Will Of Survive, ancora di Rogers, torna un po’ della grinta dei brani iniziali, ma nulla di cui entusiasmarsi. Meglio il lungo slow blues cadenzato, con uso di slide, di Black Wine/Spank Me With A Rose, reso vivace dall’organo di Manzarek che non ha perso il tocco e se la cava egregiamente alla voce. State Of the world e Numbers concludono, senza infamia e senza lode, un disco discreto che vive più sulla fama dei suoi protagonisti che sull’effettivo valore dei contenuti, arrivando alla sufficienza, sei di stima.

Bruno Conti  

Novità Di Maggio Parte VI. The National, Marshall Tucker Band, Todd Wolfe, Indigenous, Tea Leaf Green, Glenn Jones

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La band di Matt Berninger (e delle coppie dei fratelli Dessner e Devendorf), ossia i National – o, secondo alcuni, i The National, però è una grossa pirlata, visto che “the” in inglese è l’articolo determinativo che sostituisce indifferentemente i nostri il, lo, la, i, gli, le, quindi sarebbe “i I National”, ma ieri in televisione per commemorare Ray Manzarek ho sentito parlate di “i The Doors”, sic, fine della digressione grammaticale – una delle migliori band americane, originarie dell’Ohio ma residenti a Brooklyn, New York, pubblicano il loro nuovo album in studio, Trouble Will Find Me, il sesto della discografia. L’etichetta è la 4AD, il disco esce oggi e, come di consueto, è molto buono: indie rock, post punk, indie folk, baroque pop, alternative country, sono alcuni dei generi che vengono loro affibbiati, ma, secondo il sottoscritto, fanno del rock classico, dei giorni nostri ma che si riallaccia alle migliori tradizioni del passato, non per nulla vengono paragonati ai Joy Division e a Nick Cave, ma anche ai Wilco e Leonard Cohen. Tra gli ospiti presenti nel disco le brave St. Vincent e Sharon Van Etten, Sufjan Stevens e Richard Reed Parry degli Arcade Fire, tutta gente che è sulla loro lunghezza d’onda. Semplicemente bella musica.

La Marshall Tucker Band da Spartanburg, South Carolina festeggia la propria “elezione” nella South Carolina Music Hall Of Fame, con la pubblicazione, da parte della Shout Factory, di questo CD Live From Spartanburg, South Carolina, registrato il 19 settembre del 1995, per l’occasione del gruppo originale c’erano ancora Doug Gray, Paul Riddle, Jerry Eubanks e George McCorkle, oltre a Charlie Daniels, presente in gran parte dei brani e ai due batteristi degli Allman, Butch Trucks e Jaimoe. Ci sono tutti i classici, in versioni lunghe, poderose e vibranti. L’uscita ufficiale è il 28 maggio. La MTB è ancora in pista e fa dell’ottimo Southern Rock, nonostante il cap(p)ello bianco, ma quella serata è da incorniciare, anche per gli ospiti presenti.

Todd Wolfe con la sua band è un cliente abituale del Blog todd+wolfe, e quindi mi limito a segnalarvi l’uscita del suo nuovo album, l’ottavo, Miles To Go, in America autogestito, in Europa distribuzione Hypertension, visto che poi, probabilmente, ci ritornerò più diffusamente, anche se il CD è uscito già da qualche giorno, ma non ci rincorre nessuno Power-trio rock-blues energico (ma non solo) con aggiunta di tastiere ed armonica, chitarre a profusione, un misto di brani originali e cover, che spaziano da Forty Four di Chester Burnett (a.k.a. Howlin’ Wolf) a Valley Of The Kings di Marc Cohn, per arrivare a The Inner Light di George Harrison che era il lato B di Lady Madonna, un po’ di psichedelia “indiana”. Uno bravo.

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Anche gli Indigenous di Mato Nanji ricorrono abitualmente nel Blog un-chitarrista-che-fa-l-indiano-indigenous-featuring-mato-na.html, il nuovo album Vanishing Americans esce come di consueto per la Blues Bureau Inr’l/Shrapnel di Mike Varney e come genere siamo dalle parti di Todd Wolfe (potete leggere al link qui sopra). Data di uscita il 21 maggio, anche di questo probabilmente si riparlerà più diffusamente nel mio periodo mensile dedicato al rock-blues, per il momento un assaggio per chi non lo conosce.

E dei Tea Leaf Green secondo voi non si è mai parlato nel Blog? Certo che sì (ma di cosa non si è parlato?): jam-bands-che-passione-tea-leaf-green-radio-tragedy.html). Ottavo album di studio (oltre ad una decina di Live) per una delle migliori Jam Bands della Bay Area, si chiama In The Wake ed è uscito da qualche giorno per la loro etichetta, Greenhouse Records. Anche su questo, se trovo il tempo, vorrei ritornarci con un Post dedicato, ma non è facile, per cui, almeno in breve, vi segnalo tutte le uscite più interessanti e il più tempestivamente possibile.

Di Glenn Jones diffusamente non vi ho parlato mai (e ho fatto male), se non segnalando il precedente disco The Wanting, sempre in questa rubrica, ma ora ne esce già uno nuovo My Garden State, sempre distribuito dalla Thrill Jockey. Jones non è uno nuovo, in circolazione da fine anni ’80, quando era il leader dei Cul De Sac, una band di rock sperimentale, nel corso del tempo si è trasformato un un fantastico chitarrista acustico (e banjoista), influenzato dall’American Primitivism dei grandissimi Robbie Basho e John Fahey (e tanti altri che non citiamo ma conosciamo, anche in questo caso sarebbe bello parlarne, prendo nota) e insieme allo scomparso Jack Rose (e altri) è stato uno dei prosecutori della loro opera.

Sempre a proposito di tempo, quando mi siedo di fronte alla tastiera del computer, purtroppo non ho ancora sviluppato un rapporto telepatico con lo stesso e quindi devo pensare a cosa e di chi devo scrivere e, per esempio, come nel caso del breve ricordo di ieri dedicato allo scomparso Ray Manzarek è venuta una cosa un po’ striminzita anche se sentita: d’altronde quando si parla di queste cose è come se fosse morto un parente alla lontana, un cugino o uno zio che non vedevi da tanti anni, ma al quale eri affezionato, perché avevi condiviso con lui, nel caso di un’artista, la sua musica, nella veste di ascoltatore, quindi almeno qualche riga per celebrarlo è il minimo per qualcuno che si è “amato”! 

A domani, con altre novità.

Bruno Conti

When The Music’s Over – Ray Manzarek 1939-2013

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Dopo una lunga battaglia con il cancro , ieri, a Rosenheim in Germania, all’età di 74 anni, è morto Ray Manzarek, il leggendario tastierista dei Doors!

Riposa in pace, la musica è finita!

Bruno Conti