Notizie Dal Pianeta “Red Dirt”. Brandon Jenkins – Through The Fire

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Brandon Jenkins – Through The Fire – Smith Entertainment CD

Brandon Jenkins, nativo dell’Oklahoma ma ormai texano d’adozione, è come ormai saprete uno dei maggiori esponenti del cosiddetto movimento Red Dirt, e con i suoi album precedenti (una decina) si è ritagliato insieme ai suoi colleghi appartenenti allo stesso filone un certo status di musicista di culto. Il suo capolavoro, nonché la sua opera più ambiziosa, rimane Brothers Of The Dirt del 2009, che come suggeriva il titolo ospitava la crema dei musicisti di questo particolare movimento (quindi Jason Boland, Cody Canada, Mike McClure, Randy Rogers e Stoney LaRue), un disco molto bello ed ispirato, e non solo grazie agli ospiti.

Il suo nuovo lavoro, Through The Fire, segue ad un anno e mezzo di distanza l’ottimo Under The Sun, e ci conferma il buon stato di forma di Brandon. Chi lo conosce sa già cosa aspettarsi: un country-rock ruvido e poco incline ai compromessi, con massicce dosi di blues, un po’ di atmosfere southern ed un suono diretto, potente, decisamente texano. Through The Fire non ha superospiti (solo Kim Deschamps dei Blue Rodeo in un brano), né forse l’ispirazione di Brothers Of The Dirt (che rimane il punto più alto della sua discografia, un disco che qualunque appassionato di vera musica dovrebbe possedere), ma l’onestà di Jenkins non si discute, oltre alla passione che mette in ogni nota delle sue canzoni.In quest’ultimo lavoro Brandon smorza un po’ i toni, il rock è meno presente, in favore di brani dal tono più raccolto, ma sempre con una certa tensione e diversi elementi blues: un paragone calzante potrebbe essere Ray Wylie Hubbard, altro texano doc che non è mai andato oltre il culto. La title track, che apre l’album, è un uptempo alla Neil Young (con tanto di armonica younghiana), voce già perfettamente in parte ed atmosfera evocativa.

Una bella canzone per un ottimo inizio. Burn Down The Roadhouse ha una partenza un po’ sghemba, ma si raddrizza quasi subito, assumendo toni bluesati e sporchi (qui la somiglianza con lo stile di Hubbard è chiara), con un breve ma intenso assolo chitarristico verso la fine; Horsemen Are Coming, dura ed elettrica, fa uscire l’anima rock del nostro, un brano diretto e senza fronzoli. In deciso contrasto Oh What Times We Live In, soffusa e quasi raffinata (non esattamente un termine che può venire in mente guardando l’aspetto fisico di Brandon…), contraddistinta da un songwriting di qualità, mentre Going Down To New Orleans è un delizioso pastiche acustico con una suggestiva fisarmonica alle spalle. Tattoo Tears è fluida e vibrante, dalla struttura molto classica, In Time, per pianoforte, violoncello e leggera orchestrazione, è un brano atipico ma decisamente suggestivo, mentre la crepuscolare Dance With The Devil, abbellita dalla steel di Deschamps, rimanda allo stile di Ryan Adams. Leave The Lights On è roccata, ma un po’ tignosa e ripetitiva, meglio Ridgemont Street, uno strumentale chitarristico vibrante, con il blues che fa capolino ed i musicisti che suonano sciolti come nella più classica delle jam sessions. Daddy Say, una cavalcata elettrica dal deciso sapore texano, e l’intensa Mountain Top chiudono il disco in netto crescendo.Un buon dischetto, forse non il suo migliore, ma insomma avercene di musica di questo tipo!

Marco Verdi

Un Altro “Nuovo” Texano. Shinyribs – Well After Awhile

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Shinyribs – Well After Awhile – Nine Mile Records

Non è Garibaldi e neppure Peter Green, per quanto, potrebbe sembrare. Il signore che vedete effigiato sulla copertina del disco degli Shinyribs Well After Awhile è nientepopodimenoche Kevin Russell anzi Kevin “Shinyribs” Russell from Austin, Texas. Ah bè però allora, direte voi! Ma chi cacchio è questo ennesimo Carneade o Beautiful Loser meglio definito?

Si tratta di una ennesima “scoperta”? Non direi. Il Signore in questione guida anche un’altra band texana che definirei di culto ma che è anche una delle migliori in circolazione, i Gourds, di cui è cantante e chitarrista.

Non pago delle imprese del suo gruppo (con cui, giustamente, è subito partito per una tournée degli States, dopo aver pubblicato il disco con l’altra ragione sociale, ma essendo sempre lui si può anche fare da gruppo di spalla), dopo un paio di anni di gestazione ha partorito questa nuova creatura (nel 2008 già eseguiva questo brano).

Ma noi siamo qui per parlare di questo gioiello di disco che si chiama Well After Awhile: il brano di apertura Who Built The Moon (nella versione definitiva) dopo una apertura alla In The Summertime dei Mungo Jerry, illumina subito la nostra giornata con un sound che oscilla tra country, soul, rock, swamp e quanto di meglio potete pensare, come se la Band non si fosse mai sciolta, esatto, è musica di quella qualità sopraffina. La voce ha un piglio autorevole, con mille sfumature, come si conviene alla musica che convoglia e ti fa godere piacevolmente anche nella successiva Devilsong, una gospel song per bianchi rockers intemerati, a cavallo tra Fogerty e Levon Helm con un piano elettrico come ciliegina sulla torta.

Country Cool con armonica e pedal steel, come da titolo, è una lezione nella creazione della perfetta country song, quella che sprizza soul da tutti i pori se li avesse, perfetta musica dallo stato del Texas e suprema scioltezza nelle sue note, musica che scivola facile facile. Shores Of Galilee, in duetto con Phoebe Hunt, è una meravigliosa fusione di due voci che si completano a vicenda e sono veramente perfette nella loro misurata collaborazione, grandissima musica.

(If You need the) 442 è una gioiosa contaminazione tra la musica di New Orleans e quella di Austin con un pizzico di yodel aggiunto, Fats Domino meets Creedence con la benedizione della Band. Poor People’s Store (con Christina Aguilera che rima con Black mascara, ma pensate alla pronuncia!), è puro R&B Acustico anni ’50, minimale, divertente e divertito. Torna la Band di Levon Helm per una trascinante e funky East Tx Rust, ma anche i Little Feat e i Radiators (e perchè no, i Gourds) ogni tanto prendono questo groove, a bordo c’è anche Ray Wylie Hubbard per duettare con suprema indolenza con il nostro Kevin Russell.

Un bel valzerone country con influenze cajun (sarà il violino?) non ce lo vogliamo mettere? Piatto servito con una intensa Fisherman’s Friend, cantata con tutti i crismi da un ispiratissimo Russell e suonata anche meglio dai musicisti che lo accompagnano in questa avventura Shinryribs (che pare avrà altre puntate): oltre al batterista Keith Langford, anche nei Gourds e al bassista Jeff Brown nonchè al tastierista Winfield Cheek (vero protagonista del suono dell’album) sono della partita anche, oltre ai già citati Hunt e Hubbard, Scrappy Jud Newcomb e Michael Fracasso altri luminari della scena texana.

Morning’s Night è una ballata spaziale (nel senso degli ampi spazi che evoca) e anche un brano che ancora una volta ridefinisce il termine di buona musica.

La conclusione, solo Kevin Russell, con un mandolino o un ukulele o una chitarra non saprei ma non importa, interpreta da par suo A Change Is Gonna Come di Sam Cooke, la versione è piena di “anima” e la voce raggiunge vette inaspettate di partecipazione e conclude in gloria un altro piccolo tesoro nascosto della discografia “minore” americana.

Bruno Conti