Un Disco “Tranquillo”, Conseguenza Di Un Momento Personale Difficile. Nathaniel Rateliff – And It’s Still Alright

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Nathaniel Rateliff – And It’s Still Alright – Stax/Universal CD

Nel 2015 l’uscita dell’album Nathaniel Rateliff & The Night Sweats è stata un vero e proprio fulmine a ciel sereno https://discoclub.myblog.it/2015/09/03/ora-il-migliore-album-rocknsoul-dellanno-nathaniel-rateliff-the-night-sweats/ , o meglio una sorta di metaforico pugno in faccia agli ascoltatori che non conoscevano il titolare della band, Nathaniel Rateliff, dato che i suoi album precedenti erano passati abbastanza inosservati. Un disco di soul-errebi potentissimo, suonato con grinta ed energia inusitate da una band formidabile, The Night Sweats appunto, e con almeno un paio di canzoni da ricordare negli anni (S.O.B. e I Need Never Get Old), lavoro bissato due anni dopo dalla sua eccezionale controparte dal vivo Live At Red Rocks https://discoclub.myblog.it/2017/12/11/un-live-prematuro-al-contrario-formidabile-nathaniel-rateliff-the-night-sweats-live-at-red-rocks/ . Esordire col botto in questo modo (ho già detto che Rateliff aveva già un paio di album alle spalle, ma il disco del 2015 è stato trattato un po’ dappertutto come il suo vero debutto) è però un’arma a doppio taglio, in quanto si stabilisce uno standard piuttosto alto che poi è difficile eguagliare.

E così Tearing At The Seams, disco in studio uscito nel 2018, è stato accolto molto più tiepidamente del suo predecessore nonostante fosse grosso modo equivalente dal punto di vista artistico https://discoclub.myblog.it/2018/03/13/una-vigorosa-e-roboante-conferma-nathaniel-rateliff-the-night-sweats-tearing-at-the-seams/  (e l’assenza di un brano “spacca-radio” come S.O.B poteva aver influito, così come l’esaurirsi dell’effetto sorpresa). Quindi il nostro si è trovato nella situazione di dover scegliere se proseguire con i Night Sweats con il rischio di perdere a poco a poco l’interesse del pubblico, oppure fare qualcosa di diverso: Nathaniel ha optato per la seconda ipotesi, e And It’s Still Alright è quindi un album molto meno potente dei due che lo hanno preceduto, più rivolto verso la ballata e meno verso il ritmo e l’energia, ed in definitiva lo si può definire un lavoro da cantuatore più simile ai suoi due “veri” album di debutto, In Memory Of Loss e Falling Faster Than You Can Run. Ma la scelta di Rateliff di pubblicare un CD di canzoni più meditate ed intimiste (e senza i Night Sweats) non è solo puramente artistica, ma anche dettata da due eventi personali non certamente positivi: il divorzio dalla moglie e soprattutto la perdita improvvisa di Richard Swift, suo grande amico nonché produttore dei suoi ultimi album, un fatto che ha prevedibilmente sconvolto il nostro anche perché Swift aveva solo 41 anni e la sua morte, dovuta a complicazioni derivate dall’alcolismo, è stata improvvisa e devastante.

And It’s Still Alright (titolo nonostante tutto positivo ed ottimista) è comunque un bel disco, che ci fa scoprire un lato inedito di Rateliff, che qui fa appunto il cantautore più che il soul rocker e ci regala una serie di ballate ben scritte ed eseguite in maniera rilassata ma solida, dove in ogni caso affiora ancora qua e là un pizzico della grinta dei lavori precedenti: Nathaniel negli anni è cresciuto sia come musicista che come autore, e And It’s Still Alright può essere visto in un certo senso come il disco della sua maturità artistica. Rateliff nel disco si fa aiutare da un solo membro dei Night Sweats, cioè il batterista Patrick Meese: i due suonano il 90% degli stumenti (Nathaniel il basso e quasi tutte le chitarre, Meese batteria e tastiere) producendo anche insieme il disco, e qua e là ci sono interventi di altri musicisti come Luke Mossman alla chitarra elettrica, Elijah Thomson al basso, Eric Swanson alla steel e Daniel Creamer al piano ed organo, oltre ad una sezione d’archi usata con parsimonia (mentre i fiati, punto di forza dei lavori con i Night Sweats, sono completamente assenti). What A Drag è una ballatona cadenzata dal suono arioso e dal retrogusto pop, con un feeling tipico di certe canzoni di fine anni sessanta, e Nathaniel che canta con pacatezza un motivo gradevole. La title track è una scintillante folk song elettrificata, un brano bello, toccante e coinvolgente, che ci fa capire che il Rateliff songwriter non è inferiore al performer infuocato che conosciamo.

All Or Nothing è a metà tra folk e pop e presenta una melodia intimista e non immediatissima, ma il tutto è ammorbidito da una sezione archi e c’è un buon crescendo finale, anche se il brano non è tra i miei preferiti; Expecting To Lose è un gustoso country-blues acustico al 90% dal chiaro sapore sudista (mi vengono in mente Delaney & Bonnie), con un bell’intreccio tra chitarre acustiche e slide ed un ritornello in cui Rateliff ci mette un po’ della forza che conoscevamo. Un intenso arpeggio chitarristico introduce Tonight # 2, puro folk di stampo classico al quale gli archi ed un coro in sottofondo aggiungono un pathos notevole; la bella Mavis ha un leggero sapore solare-caraibico, è cantata con estrema rilassatezza dal nostro e nobilitata da un bel refrain corale. You Need Me è l’ennesima ballata costruita attorno a voce, chitarra acustica e sezione ritmica suonata in punta di dita, e siamo di fronte ad una delle melodie più gradevoli del disco, mentre Time Stands è decisamente interiore ma è servita da un delizioso background sonoro crepuscolare molto anni settanta e da una performance vocale di alto livello. Il CD si chiude con la tenue Kissing Our Friends, dall’arrangiamento essenziale ed eseguita in tono malinconico, e con Rush On, canzone dedicata a Swift dal tempo lento e cupo e cantata in maniera appassionata, con un’interpretazione da brividi volutamente sopra le righe.

Un altro buon lavoro dunque per Nathaniel Rateliff, forse non entusiasmante come quelli con i Night Sweats ma dall’alto contenuto emozionale.

Marco Verdi

Una Vigorosa E Roboante Conferma! Nathaniel Rateliff & The Night Sweats – Tearing At The Seams

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Nathaniel Rateliff & The Night Sweats – Tearing At The Seams – Stax/Universal CD

I due album del 2015 di Anderson East e Nathaniel Rateliff sono stati le due più brillanti sorprese di quell’annata musicale, due artisti che condividono lo stesso genere musicale, una miscela di rhythm’n’blues e blue-eyed soul, pur con le differenze del caso (East è molto più raffinato e melodico, mentre l’approccio di Rateliff è molto più grintoso e muscolare, quasi rock). Rateliff ha poi preso un certo vantaggio nel 2016 con l’EP A Little Something More From e soprattutto lo scorso anno con il fantastico Live At Red Rocks http://discoclub.myblog.it/2017/12/11/un-live-prematuro-al-contrario-formidabile-nathaniel-rateliff-the-night-sweats-live-at-red-rocks/ . Quest’anno il “duello” tra i due si è rinnovato, in quanto a Gennaio East ha pubblicato Encore, in cui ha in pratica ripetuto lo schema di Delilah (ma senza l’effetto sorpresa di quest’ultimo) http://discoclub.myblog.it/2018/01/14/forse-e-un-disco-un-po-prevedibile-ma-il-livello-e-sempre-alto-anderson-east-encore/ , ed ora Rateliff ha fatto uscire Tearing At The Seams, sempre con la collaborazione dei suoi Night Sweats (ed ancora con la produzione di Richard Swift). Ed anche Nathaniel non si distacca molto dal suono del disco precedente, non manca il solito cocktail di errebi vigoroso mischiato con robuste dosi di rock, tanto ritmo ed un suono nel quale i fiati sono grandi protagonisti, ma in questo caso ci sono anche delle ballate, o dei brani più spostati verso il southern soul, che danno una maggiore varietà ed aggiungono sfumature che prima mancavano.

Forse non ci sarà una nuova S.O.B. (e neppure un’altra I Need Never Get Old), ma alla fine Tearing At The Seams forse risulta ancora più completo del lavoro di tre anni orsono. I Night Sweats (Luke Mossman, chitarre, Joseph Pope III, basso, Patrick Meese, batteria, Mark Schusterman, piano e organo, e la sezione fiati formata da Jeff Dazey, Scott Frock ed Andreas Wild, sono solo in tre ma sembrano in dieci) sono comunque la solita macchina da guerra, Rateliff si conferma un vocalist potente ma pieno di feeling, e l’album si ascolta tutto d’un fiato con estremo godimento. Tutti i brani sono di Nathaniel tranne tre, che non sono cover ma scritti ognuno da un membro della band (per l’esattezza Mossman, Meese e Schusterman): si parte con la vigorosa Shoe Boot, un brano molto annerito e funkeggiante, con i fiati in primo piano ed il classico muro del suono dei nostri già all’opera, anche se forse come inizio non è così trascinante come uno poteva aspettarsi. Be There ci fa ritrovare il Rateliff che ci aveva entusiasmato tre anni fa, un ottimo errebi che risente della lezione di Otis Redding, gran ritmo, suono forte e deciso ed un motivo diretto; A Little Honey è una ballata che scorre in maniera fluida, con la sezione ritmica sempre ben evidenziata, un organo caldo che porta nel brano l’elemento southern ed un bel refrain. La saltellante Say It Louder è una deliziosa canzone soul di sicuro impatto, melodia orecchiabile e mood solare, mentre Hey Mama è una squisita ed ancora calda ballad sudista, molto classica, cantata al solito davvero bene, con un accompagnamento praticamente perfetto ed un crescendo notevole.

Splendida Babe I Know, un altro slow toccante che risente dell’influenza di Sam Cooke, un pezzo in puro stile sixties, con un motivo toccante e bellissimo: Nathaniel dimostra con brani come questo che si può conservare lo stesso stile senza per forza rifare il medesimo disco. Intro nonostante il titolo è una canzone a sé stante, un trascinante cocktail di suoni e colori che ci fa ritrovare il Rateliff scatenato e tutto feeling ed energia, un pezzo che dal vivo farà faville. Decisamente riuscita anche Coolin’ Out, ritmo ancora alto, gran voce, una band che suona in maniera sopraffina e l’ennesima linea melodica di livello eccelso; Baby I Lost My Way (But I’m Comin’ Home) sta a metà tra funky, blues e soul, e si ascolta sempre con il consueto piacere, la diretta e pimpante You Worry Me sembra uscita dal disco precedente, ed è un gustoso soul-pop dal ritmo acceso ed un bel lavoro di piano (i fiati non li cito più, tanto sono protagonisti sempre). Still Out There Running è una superba ballata ancora contraddistinta da una melodia di prim’ordine ed un sapore d’altri tempi, una delle più belle, ed è seguita dalla title track, altro splendido brano con Cooke in mente, che chiude la versione “normale” del CD. Sì perché esiste anche un’edizione deluxe, con due canzoni in più: I’ll Be Damned, energica e vibrante, e la romantica Boiled Over, due pezzi discreti ma che non aggiungono molto al disco principale.

Quindi un’ottima conferma, un altro gran bel disco da parte di un combo formidabile guidato da un artista che, per il momento, non sa cosa sia la parola “routine”.

Marco Verdi

Un Cantautore “Infinitamente Prezioso” ! Damien Jurado – Brothers And Sisters Of The Eternal Son

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Damien Jurado – Brothers And Sisters Of The Eternal Son – Secretly Canadian 2CD Deluxe Edition

Ho sempre pensato che ci sono nomi che girano come un segreto ben custodito, qualcuno li conosce bene, qualcuno li ha sentiti nominare, la maggior parte li ignora del tutto, e questi nomi sarebbe ora che uscissero dall’anonimato, per la musica che fanno: Damien Jurado, per chi scrive, è un esempio perfetto, quindici anni di carriera, undici dischi con questo ultimo lavoro (più EP e varie raccolte), che spaziano dal cantautorato più “puro” (Rehearsals For Departure (99), a quello più “impuro” come la triade iniziata con Saint Bartlett (10), Maraqopa (12), e questo di cui che stiamo parlando http://www.youtube.com/watch?v=frnWPrDu9CU .

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Jurado è un originale songwriter proveniente da Seattle, con un “background” formato da varie collaborazioni con diverse formazioni, ma la carriera solista di Damien comincia verso la metà degli anni ’90 quando esordisce con la prestigiosa Sub Pop Records con Waters Ave S (97), il citato Rehearsals For Departure (99), Ghost Of David (00), I Break Chairs (02). Finito il sodalizio con la casa di Seattle, si accasa con la Secretly Canadian, e con questa etichetta pubblica Where Shall You Take Me? (03),This Fabulous Century (04), On My Way To Absence (05),Caught In The Trees (08), e gli ultimi album Saint Bartlett (10) http://discoclub.myblog.it/2010/06/07/damien-jurado-saint-bartlett/ , Live At Landlocked (11), Maraqopa (12), tutti sotto la produzione del multistrumentista Richard Swift (membro degli Shins, e fondamentale per il suo cambiamento artistico).

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Per chi segue Damien Jurado, non dovrebbe essere una sorpresa che il suo “sound” ultimamente sia distante anni luce dagli esordi, e lo si nota subito sin dal primo brano Magic Number, che anche in questo album c’è qualcosa di diverso. E la riprova arriva subito con la dolce psichedelia di Silver Timothy http://www.youtube.com/watch?v=A4sQz6Y5g88 , la cantilena struggente di Return To Maraqopa e Jericho Road http://www.youtube.com/watch?v=PNHTmqAny3U  , fino alla splendida Metallic Cloud, che più la sento e più mi ricorda, a tratti, Wish You Were Here dei Pink Floyd http://www.youtube.com/watch?v=NDEc8SVXeS0 . Dopo una prima parte pazzesca, con Silver Donna e Silver Malcolm si viaggia dalle parti delle ultime produzioni di Nick Cave, mentre con Silver Katherine e Silver Joy si manifesta il Jurado più classico, si chiude infine con una Suns In Our Mind dall’incedere “younghiano” http://www.youtube.com/watch?v=wEde9mDtwtw . Il bonus CD della Deluxe Edition, presenta due brani inediti e sei versioni acustiche alternate, con accompagnamento di cori femminili.

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Con questo Brothers And Sisters Of The Eternal Son, i due compari Damien Jurado e Richard Swift firmano il vertice della “trilogia”, con dieci piccole gemme che riescono a trasmettere delle emozioni autentiche, con armonie lente e toccanti, in equilibrio tra folk, rock e pop psichedelico.

La musica di Damien Jurado probabilmente non è per tutti, ma sicuramente merita più attenzione e visibilità di quella avuta finora, e questo lavoro è uno dei dischi più belli, originali e spiazzanti di questi primi mesi dell’anno, e scusate se è poco.

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NDT: Il singolo Everything Trying (dall’album Caught In The Trees) è incluso nella colonna sonora del film La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, candidato ai prossimi Oscar http://www.youtube.com/watch?v=6GVhGX93fsc .

Tino Montanari  

Damien Jurado – Saint Bartlett

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Damien Jurado – Saint Bartlett – Secretly Canadian Records

Se vi dovessi dire perché ho scelto di parlare di questo disco oggi, sinceramente non saprei. Spesso quando mi siedo davanti alla tastiera del computer fino all’ultimo momento non ho idea dell’argomento che tratterò, ho sempre una decina di album che sto ascoltando in quel momento e all’ultimo decido quale sarà l’argomento del post, oggi ho scelto così ma avrei potuto parlarvi del nuovo album di Ronnie Earl, che devo recensire per il Buscadero ma esce il 14 agosto, quindi è troppo presto oppure del disco nuovo, omonimo, di Grace Potter and The Nocturnals che ho finalmente ascoltato e conferma tutto quello di buono che vi ho detto di lei, ma ne abbiamo appena parlato per cui recensione nei prossimi giorni. Quindi largo alle facce nuove, si fa per dire, quindici anni di attività, ma come nuovo!

Damien Jurado è un cantautore originario di Seattle, nello stato di Washington e da quella città brumosa patria del grunge e di Jimi Hendrix ha derivato uno stile malinconico, introspettivo, da cantautore tipico, o atipico a seconda delle opinioni, degli anni ’70 ma rivisto dal lato dell’indie folk, dell’alternative.

Questo è il suo nono album, decimo se contiamo un vinile in tiratura limitata di 600 copie pubblicato nel 2004 e secondo molti è il suo disco migliore: non si tratta sicuramente di un disco straordinario che salverà la discografia mondiale ma ha un suo perché, magari piccolo ma ce l’ha.

Prodotto dall’ex socio di etichetta Richard Swift si avvale di sonorità spesso spartane, ma non propriamente lo-fi anzi…dire che il sound sia commerciale è forse una eresia ma l’iniziale Cloudy Shoes (subito allegria!), con il suo piano, tastiere varie, archi sintetici, batteria “romantica”, mi ha ricordato certe ballate dei Coldplay (orrore! Ma a me molti loro brani piacciono) o dei vecchi Radiohead, quel leggero falsetto, una seconda voce “trattata” che risponde, è quasi radiofonica ma quasi. Arkansas con il suo pianino disinibito, le percussioni percosse (sembra una stupidata ma non lo è) e con vigore, una melodia ancora accattivante sembra quasi segnalare una svolta quasi pop (sempre nei dovuti limiti) del cantautore americano dopo la svolta rock del precedente Caught In The Trees. Rachel and Cali è una breve ma bella canzone d’amore con una strumentazione acustica ma molto curata, con acustiche, piano e vibrafono e una sezione ritmica molto discreta che interagiscono tra loro alla perfezione. Throwing Your Voice ha qualcosa, musicalmente, della secchezza essenziale del John Lennon di Plastic Ono Band, sicuramente non la voce che ricorda più la fragilità del primo Neil Young.

Impressione, quella relativa a Young, che viene ribadita nella successiva Wallingford, cantata a tutto falsetto, con l’andamento dello Young balladeer ma con una chitarra in feedback che percorre sentieri rock inusuali per questo album.

Poi, dal sesto brano, tutto si placa (se mai si era agitato prima): Pear è un brano dalle sonorità minimali, quasi scheletriche, due chitarre acustiche, delle voci di supporto in sottofondo e tutto finisce all’improvviso quasi una incompiuta, Kansas City è della stessa grana, ma più compiuta, con l’acustica arpeggiata con delicatezza, un piano discreto e dei “rumori fuori scena” aggiunti per colorire il suono. Harborview è una bella ballata malinconica con una chitarra elettrica ricorrente che non avrebbe sfigurato su After The Gold Rush o Harvest, tanto per rimanere in tema, sempre con quel semi-falsetto sofferto ma espressivo. Kalama è cantata con maggiore partecipazione e vigore da Damien Jurado e la produzione di Swift aggiunge una sensazione sonora più “spaziale” mentre The Falling Snow ha di nuovo quella sensazione di “già sentito” alla Coldplay o Radiohead, ma non in senso negativo, è quel qualcosa che non riesci a catalogare ma non dispiace, una piacevole sensazione di déjà vu.

Gli ultimi due brani sono quelli da folksinger puro: Beacon Hill soprattutto, con la sua tipica accoppiata solitaria voce e chitarra acustica e With Lightning in Your Hands che ha qualche impressione sonora in comune con i Mumford and Sons più riflessivi, ma è una sensazione personale.

Questa è Beacon Hill dal vivo a Seattle il 30 maggio. C’era anche un video che secondo le note è stato registrato a Vigo in Spagna il 15 novembre del 2010, però! Back to the future, giuro, controllare prego watch?v=68VRfP7P250, è ovvio che sarà 2009, ma fa il suo effetto.

Bruno Conti