Puro Rock Chitarristico Californiano, Da Parte Di Uno Di Quelli Che Lo Hanno Inventato! Roger McGuinn’s Thunderbyrd – Live At Rockpalast 1977

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Roger McGuinn’s Thunderbyrd – Live At Rockpalast 1977 – MIG/WDR CD/DVD

Nuova pubblicazione discografica a cura della benemerita serie Rockpalast, che dal 1974 si occupa di trasmettere sulla TV tedesca concerti tenutisi in terra teutonica da alcuni dei più importanti musicisti internazionali. Per la verità lo show di cui vado ad occuparmi oggi era già uscito nel 2010 solo in formato video, ma era da tempo fuori catalogo e poi questa nuova ristampa aggiunge opportunamente anche il CD. Sto parlando di Roger McGuinn, iconico musicista “californiano” (in effetti è nato a Chicago) fondatore ed ex leader dei Byrds, che negli anni settanta aveva avviato una carriera solista fatta di album di ottima qualità: nel 1977 Roger aveva pubblicato l’eccellente Thunderbyrd (nome nato dalla fusione della Rolling Thunder Revue di Bob Dylan, della cui prima versione il nostro aveva fatto parte, e del suo ex gruppo storico), il suo miglior disco della decade insieme a Roger McGuinn & Band, un album che sembrava consolidare il nome di McGuinn tra i maggiori acts americani ma che si rivelò essere il suo ultimo lavoro solista fino a Back From Rio del 1991, anche se in mezzo ci fu la poco fortunata parentesi con gli ex compagni Chris Hillman e Gene Clark, più due altri dischi oggi dimenticati con lo stesso Hillman.

Live At Rockpalast 1977 prende il meglio da due serate del mese di Luglio dell’anno in questione, registrate alla Grughalle di Essen durante appunto il tour promozionale di Thunderbyrd a nome di Roger McGuinn’s Thunderbyrd, un vero e proprio gruppo di quattro elementi che poi è lo stesso che suonava nell’album di studio: oltre a Roger, abbiamo l’eccellente Rick Vito (già nella band di John Mayall e futuro membro dei Fleetwood Mac) alla chitarra, Charlie Harrison al basso e Greg Thomas alla batteria. Una formazione essenziale, che garantisce un alto livello di rock’n’roll per tutta la durata dello show, con le due chitarre sempre in tiro ed una serie di canzoni coinvolgenti ed eseguite benissimo grazie anche all’ottimo stato di forma di McGuinn che non risparmia consistenti quantità di “jingle-jangle sound”. L’unico album solista di Roger presente nella setlist di quindici pezzi è proprio Thunderbird, rappresentato da cinque brani, due originali più tre cover: Dixie Highway è un coinvolgente e pimpante boogie che vede ospite alle percussioni Sam Clayton dei Little Feat (che avevano aperto la serata), seguito dalla fluida We Can Do It All Over Again, un rockin’ country elettrico dal motivo diretto e decisamente orecchiabile. Poi abbiamo la classica hit di George Jones Why Baby Why (attribuita sulla confezione a McGuinn, ma le note sono piene di errori, tra nomi sbagliati e canzoni famosissime che alla voce autore recano la scritta “unknown”), arrangiata in puro stile rock’n’roll e fusa in medley con la byrdsiana Tiffany Queen, un mix irresistibile e travolgente.I brani di Thunderbyrd si esauriscono con una cover della leggendaria American Girl di Tom Petty che già in origine era un tributo ai Byrds (e con questa bella rilettura leggermente rallentata nel ritmo Roger mostra di aver apprezzato l’omaggio) e con Golden Loom di Bob Dylan, un country-rock cadenzato e godibile che all’epoca era un inedito delle sessions di Desire.

Ci sono anche tre rarità, due delle quali affidate alla voce di Vito: una solida rilettura rock-blues del traditional Juice Head ed un delizioso pezzo in puro stile Doobie Brothers intitolato Midnight Dew; a completare il trittico di pezzi poco noti la roccata Shoot Him di McGuinn, introdotta dal suo autore come Victor’s Song. Dulcis in fundo, il pezzo forte del concerto sono naturalmente i brani dei Byrds, a partire dalla splendida Lover Of The Bayou, che apre lo show in maniera potente con Roger e Rick che fanno vedere subito di essere in palla grazie ad una prestazione chitarristica strepitosa che dilata la canzone fino a sette minuti. Mr. Spaceman è puro e trascinante country-rock in un tripudio di suono jingle-jangle, mentre Chestnut Mare è una delle ballate più intense mai scritte da McGuinn. Gran finale con quattro classici uno di fila all’altro: l’omaggio all’ex compagno Gene Clark con una scintillante Feel A Whole Lot Better, le immancabili Turn!Turn!Turn! e Mr. Tambourine Man, sempre una goduria, e conclusione con una roboante versione di Eight Miles High, tra rock e psichedelia con i due chitarristi che fanno a gara di bravura, finendo in parità ma non facendo prigionieri tra il pubblico. Un live che ogni appassionato non dovrebbe farsi sfuggire, soprattutto considerando il fatto che Roger McGuinn è attualmente una sorta di pensionato di lusso.

Marco Verdi

Il Leone Di Detroit Torna A Ruggire (Con Un Paio Di Stecche). Bob Seger – I Knew You When

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Bob Seger – I Knew You When (Deluxe Edition) – Capitol/Universal

Soltanto tre anni separano il nuovo album di Bob Seger dal precedente Ride Out, e questa è già una buona notizia per chi lo ha seguito con passione durante la sua lunga e gloriosa carriera, caratterizzata dagli esaltanti live shows (purtroppo solo in terra americana) in cui ha dato il meglio di sé, come testimoniano gli splendidi Nine Tonight del 1981 e, soprattutto, Live Bullet del ’76, considerato da molti uno dei più importanti live album della storia del rock a stelle e strisce. Da parecchio tempo ha diradato le sue uscite in studio, soltanto tre negli ultimi ventidue anni, fino a far temere un definitivo ritiro dalle scene. Che non se la passi benissimo fisicamente è comprovato dal fatto che abbia dovuto posticipare parecchie date dell’attuale Runaway Train Tour a causa di problemi alle vertebre, ma almeno la sua voce non ha perso un grammo della ruvida irruenza che l’ha sempre caratterizzata, come possiamo verificare in quest’ ultimo I Knew You When. Già nel pezzo d’apertura, Gracile, Bob ci fa intendere che non ha nessuna voglia di gettare la spugna dandoci dentro senza risparmiarsi in un rock blues dalla ritmica granitica che ricorda certi suoi anthems degli anni settanta. Ottima la scelta delle due covers presenti nell’album: Busload Of Faith,  tratta da New York, lo splendido affresco che Lou Reed  dedicò alla sua città nel 1989,e Democracy, ironica e visionaria traccia del talento poetico di Leonard Cohen, presente su The Future, del’92. Seger rivisita entrambe con passione e bravura, irrobustendo la prima con sezione fiati e cori femminili, oltre a due fulminanti assoli di chitarra (il primo del mago della slide Rick Vito), e la seconda con una ritmica più incisiva, da marcia militare, e un bel violino sullo sfondo a sostituire l’armonica dell’originale.

The Highway ha un bel passo, tipico di tante composizioni del rocker di Detroit perfette per l’ascolto in macchina. Un buon pezzo, nonostante la presenza di una tastiera un po’ invadente che ne appesantisce la melodia. Non possiamo procedere senza prima citare colui a cui Seger ha dedicato quest’intero lavoro, Glenn Frey, il leader degli Eagles deceduto nel gennaio 2016. Tra i due perdurava da mezzo secolo una profonda e sincera amicizia e Bob ha voluto celebrarla con due toccanti canzoni. La prima, dal titolo emblematico, Glenn Song, una delle tre bonus tracks della deluxe edition, è un malinconico ricordo dei tempi andati cantato con voce rotta dall’emozione. La seconda dà il titolo all’album ed è una di quelle stupende ballate che sono da sempre il vero marchio di fabbrica del rocker di Detroit. Melodia impeccabile, scandita dal pianoforte (presumo suonato dal grande Bill Payne) e ritornello che ti entra sottopelle per non uscirne più. Della stessa categoria, non sono niente male Something More con un bel solo centrale condiviso tra sax e chitarra elettrica, Marie, dall’incedere solenne e drammatico che rimanda allo stile del già citato Cohen, e I’ll Remember You, un lentaccio assassino con pregevoli cori femminili che avrebbe fatto la sua bella figura su qualunque disco delle aquile californiane.

Purtroppo troviamo anche un paio di episodi meno riusciti, che non intaccano il giudizio comunque positivo sull’album. The Sea Inside, dalla ritmica pesante e dalle chitarre roboanti che si mescolano ad una tastiera che sembra citare Kashmir dei Led Zeppelin, è un tentativo di fare hard rock in modo insipido ed anacronistico. Peggio ancora Runaway Train, che pare un pezzo rubato agli ZZ Top del  periodo più scarso, con batteria elettronica, coretti scontati e melodia anonima, malgrado il buon intervento del sax nel finale. Di ben altra levatura sono, per fortuna, le prime due tracce aggiunte nella deluxe edition: Forward Into The Past è un solido rock cantato a voce spiegata dal protagonista ben supportato come di consueto dalle coriste, con chitarre elettriche e piano che si alternano sapientemente. Ancora meglio si rivela Blue Ridge, che ti cattura subito con un’ accattivante struttura melodica scandita dal costante rullare della batteria e da un intrigante uso delle tastiere. Un brano che certamente farà la sua bella figura se inserito nelle scalette dei futuri concerti.

Diamo dunque il nostro bentornato a Bob Seger, nella speranza di poterlo ammirare un giorno anche dalle nostre parti. Intanto, godiamoci questo I Knew You When che ha in sé il giusto calore per contrastare le fredde giornate invernali che ci attendono.

Marco Frosi