Una Certa Aria Di Famiglia. Luka Bloom – This New Morning

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Luka Bloom – This New Morning – Skip/Compass Records

In attesa delle nuove uscite del 2013 mi dedico al “recupero” di dischi che, per un motivo o per l’altro, ho trascurato in questo 2012 appena finito.

Come i lettori del Blog sapranno, (tra le tante) ho una particolare predilezione per la musica folk, in tutte le sue forme, e nello specifico per gli artisti irlandesi. Luka Bloom, per motivi che non saprei indicarvi con precisione, è sempre stato uno dei miei preferiti in assoluto tra coloro che comunemente si definiscono “beautiful losers”, sin dai tempi in cui si chiamava ancora Barry Moore anzi, Kevin Barry Moore per l’anagrafe di Newbridge, County Kildare, Ireland, la stessa città dove era nato Christy Moore, dieci anni prima. Sarà un caso? Essendo fratelli non direi proprio. Alla fine degli anni ’70, una copertina marrone con un giovane barbuto in primo piano e dei lineamenti che mi ricordavano qualcosa aveva attratto la mia attenzione. Il disco si chiamava Treaty Stone e l’etichetta, come direbbero “Bisteccone Galeazzi” o “Gianniminà” era la mitica Mulligan Records (per gli strani casi della vita, ma non troppo, ora distribuita in America dalla Compass Records, l’etichetta negli States di Luka Bloom), quella, per intenderci, della Bothy Band, del primo Paul Brady, di Andy Irvine, di Mick Hanly, di Matt Molloy, in Irlanda dei primi dischi dei Boomtown Rats di Bob Geldof, con uno “gnomo” (?) con bastone nel logo, fondata da Donal Lunny, altro “mitico” musicista irlandese, pard di Christy Moore nei Planxty e Moving Hearts.

Perché vi dico tutto questo? Non lo so. No, lo so: quel disco (uno dei pochi vinili ancora in mio possesso, visto che non è mai uscito in CD, almeno credo), era prodotto da Christy Moore e Brian Masterson, e si apriva con un brano Girl, che era il mio primo approccio con la voce particolare, direi evocativa di Barry Moore, ma poi subito a seguire c’era una versione, che ai tempi ritenni stupenda, del traditional Black Is The Colour, una di quelle canzoni da groppo in gola e poi ancora uno strumentale, Little Martha And Me, in omaggio allo stile di Duane Allman e Dicky Betts, dove Barry mostrava anche il suo virtuosismo di fingerpicker. E c’era anche la prima versione di Bury My Heart At Wounded Knee, un brano  ispirato dal libro che è una sorta di storia del West americano, che avrebbe reinciso come Luka Bloom nella sua “seconda” carriera.

Per farla breve, se no la recensione diventa di Treaty Stone, all’epoca Barry Moore sviluppò una forte tendinite che lo obbligò a mutare il suo stile musicale dal fingerpicking degli esordi ad un approccio con plettro, pennate ampie e ricche di suggestione, con un’aura anche di pop raffinato e con la grande tradizione dei songwriters americani nelle sue sonorità (senza dimenticare il fratello, il più grande folksinger prodotto dalla terra d’Irlanda). Ma questo arriverà più tardi, dopo ancora un paio di dischi con il suo vero nome, quattro o cinque anni a suonare punk in una band irlandese e infine l’acquisizione del nome d’arte, mutuato a metà dal brano di Suzanne Vega e a metà dal nome del protagonista principale dell’Ulisse di James Joyce. Il primo album omonimo, venne pubblicato e poi ritirato nel 1988, ma Riverside del 1990, con le stupende Delirious e The man Is Alive (dedicata al padre), e il successivo The Acoustic Motorbike del 1992, entrambi su Reprise/Warner, sono dischi bellissimi anche risentiti oggi e contengono tutti i pregi (e i “piccoli” difetti, per chi scrive, mentre altri lo apprezzano in modo minore) dell’arte di di Luka Bloom. Se proprio vogliamo i suoi dischi, che continuo ad apprezzare in toto, per un un ascoltatore casuale, forse, non hanno una qualità costante, ci sono, sempre, almeno due o tre brani strepitosi, mentre il resto potrebbe sembrare meno valido (potrebbe…)

Anche questo This New Morning (ci siamo arrivati, avevo pensato di fare una recensione “breve , poi mi scappa la mano sulla tastiera e mi lascio trasportare) seguìto di Dreams In America di un paio di anni fa, ha le caratteristiche abituali dei dischi di Bloom: si parte con una delle sue ballate avvolgenti, stupende, How Am I To Be?, con quella voce che ti accarezza il cuore, la chitarra che disegna traiettorie romantiche e mai banali, breve ma subito intensa.

A Seed Was Sown, il primo capolavoro del disco, la storia dell’incontro di Elizabeth & Mary, è uno di quei brani quasi “storici”, tipici della musica di Luka, nasce dalla visione in televisione della storica visita di Elizabetta II in Irlanda e del suo incontro con Mary McAleese, la presidentessa della repubblica d’Irlanda, nel “Giardino dei Ricordi”, che ricorda tutte le vittime della lunghissima faida tra cattolici e protestanti, quasi un reportage, un emozionante resoconto del commovente incontro tra le due donne, arricchito da una musica dolce e profonda percorsa anche dal suono di un’orchestra, è da sentire per credere (la trovate qui sotto), la voce calda dell’autore regala dei brividi particolari, difficili da descrivere, ma quasi palpabili.

Molto bella anche Heart Man, un brano corale con varie voci e strumenti che si intrecciano, perché per questo album Luka Bloom, ha radunato vecchi e nuovi musicisti del giro folk irlandese, gente che aveva già collabrorato in passato con lui, come Donal Lunny, Steve Cooney, Glen Hansard dei Frames e Swell Season, la grande cantante Rita Connolly, Iarla O Lionàird degli Afro Celt Sound System, Conor Byrne al flauto, che suona più o meno in tutti i suoi album dal lontano 1990, in questo brano c’è anche l’accordion di Mairtin O’Connor, a lungo nei De Danann. L’arpa in Capture A Dream non so chi la suona ma crea un bel contrasto con il flauto di Byrne e una sezione di archi per un suono tipicamente gaelic folk, reso più suggestivo da brevi passaggi recitati dallo stesso Luka. I testi di Bloom poi non sono mai banali, al di là delle consuete storie d’amore molto complesse ed elaborate: The Race Runs, ispirata dalla biografia di Sonia O’Sullivan una delle atlete olimpiche irlandesi, racconta le impressioni di corsa dei grandi atleti durante i loro sforzi, visti dall’interno, dal punto di vista dello sportivo.

I brani totali sono quattordici, compresa l’immancabile traccia nascosta e sono tutti molto belli, vi lascio il piacere di scoprire quelli non citati, perché spero di avervi incuriosito rispetto alla musica di questo “piccolo” grande musicista che risponde al nome di Luka Bloom, ma vorrei ricordarne ancora uno: Gaman, ispirato dal terribile disastro nucleare di Fukushima in Giappone, la parola è un termine giapponese che indica un certo tipo di stato d’animo, la dignità del popolo giapponese, bene descritta in questa canzone che ancora una volta ci mostra le inconsuete traiettorie che danno ispirazione alla sua musica.

La versione del video non è quella che si ascolta sul CD ma è comunque affascinante, come lo è questo signore che fa veramente della bella musica, lontana da mode, generi musicali e classifiche, senza tempo. I suoi dischi sono tutti valdi, esistono anche dei DVD dal vivo se volete sperimentare, forse il tutto non è di facile reperibilità ma vale assolutamente la pena di fare qualche ricerca per poi goderne! Better late than never, la ricerca continua…

Bruno Conti