Un Gallese In Australia. Gwyn Ashton – Radiogram

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Gwyn Ashton – Radiogram – Fab Tone/Proper

Anche Gwyn Ashton è un “cliente abituale” del sottoscritto, un nome ricorrente: avevo parlato sul Busca del suo precedente album, Two-Man Blues Army, un onesto, anche buono, esercizio di rock-blues, rock classico, influenzato da Hendrix e Gallagher e con un notevole tiro chitarristico. Per chi non avesse letto quella recensione, ricordo che Ashton è un gallese emigrato in Australia da ragazzino, dove è diventato uno dei punti di riferimento della scena blues down under, con una discreta carriera alle spalle e forse un punto di arrivo nell’album citato. Ora con questo Radiogram, registrato in Inghilterra, mixato a Los Angeles e masterizzato in Australia, il nostro amico Gwyn sposta l’asse sonoro della musica verso un sound più tipicamente rock, anche radiofonico come lascia intendere il titolo del CD, nel senso della vecchia radio FM degli anni ’70, dove potevi ascoltare musica più composita.

La vena blues è sempre presente e anche l’amore per Hendrix e certo rock-blues classico, I Just Wanna Make Love per il primo e Don’t Wanna Fall, che ha nel riff più di un punto di contatto con Badge dei Cream, per il secondo. Il blues è più mascherato: quando leggi, sul badge della copertina, appunto, il nome di Kim Wilson tra gli ospiti del disco, ti viene da esclamare “apperò”, poi ascolti l’iniziale Little Girl dove appare l’armonicista di Detroit (eh sì, perché non è ne californiano né texano, come pensano in molti) e lo ritrovi solo nei venti secondi dell’outro del brano e potrebbe essere chiunque, anche il gatto dei miei vicini, o l’ottimo Johnny Mastro che poi suona in altri brani come la bluesata, questa sì, Let Me In. Cosa voglio dire con questo? Che Gwyn Ashton è un buon musicista, un pedalatore delle sette note, ma rimanendo nel paragone ciclistico, non è un fuoriclasse, uno da “classiche” o Giri, è uno che può vincere la corsa di giornata, ha classe alla chitarra, un buon tocco, ma non rimarrà nella storia della musica, anche se nello stesso tempo, gli appassionati del genere rock/Rock-blues possono accostarsi con piacere a questo disco, certi di non beccarsi la fregatura epocale.

Si può acoltare la ballatona power-rock di spessore, come Fortunate Kind, con armonie vocali di Mo Birch, vecchia veterana della scena musicale e la seconda chitarra di Robbie Blunt, indimenticato, da pochi, chitarrista dei Bronco, una quarantina di anni fa e in anni più recenti nella band di Robert Plant. Oltre all’hendrixiana I Just Wanna Make Love (che è poi quella di Willie Dixon), la chitarra di Ashton si gusta anche nel power-trio rock di Dog Eat Dog o nella raffinata Angel (che non è quella di Jimi). Se proprio vogliamo essere pignoli Ashton non è un fulmine di guerra come cantante ma se la cava egregiamente tutto sommato e nella finale Bluz For Roy, presumo dedicata a Buchanan, sciorina un repertorio da chitarrista coi fiocchi, con un intricato lavoro  di toni e finezze varie, da certosini della Fender (che fa bella mostra di sé nel libretto interno del dischetto). Anche For Your Love non è quella degli Yardbirds, ma permette all’ospite Don Airey (che è proprio quello di Deep Purple e Rainbow) di dare una rinfrescata al suo organo (inteso come strumento musicale, bisogna stare attenti al doppio senso) e anche Comin’ Home, con un discreto lavoro alla slide di Ashton, completa il cerchio sonoro dell’album con un omaggio al vecchio rock classico inglese degli anni ’70.

Bruno Conti