La Versione Deluxe Di Un Album Leggendario…Ma Si Poteva Fare Meglio! The Doors – The Doors

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The Doors – The Doors – Elektra/Rhino 3CD/LP Box Set

Strano destino quello dei Doors, storico gruppo californiano molto famoso anche dalle nostre parti: popolarissimi sia nel loro periodo di attività sia dopo (ed ancora oggi), principalmente grazie, oltre ad una manciata di canzoni entrate a far parte dei classici, all’immagine da “bello e maledetto” tramandata ai posteri del loro leader Jim Morrison (cosa ingigantita dalla sua prematura scomparsa avvenuta nel 1971 all’età di 27 anni), oggi sono molto poco citati come influenza dalle band contemporanee, a differenza, per citare un gruppo che operava nello stesso periodo, dei Velvet Underground, che in attività vendette pochissimo ma in seguito ha raggiunto una statura tale al punto da far affermare a Brian Eno che “pochi comprarono i loro dischi quando vennero pubblicati, ma tutti coloro che lo fecero poi formarono una band”. Questo penso sia dovuto al fatto che il sound dei Doors oggi possa risultare un po’ datato (ma a mio parere meno di quello dei Jefferson Airplane, altra grande band di quell’epoca oggi spesso dimenticata), anche se le orecchie più attente hanno sempre riconosciuto l’importanza del quartetto di Venice Beach ed anche il loro sound innovativo, che obiettivamente in quegli anni non li faceva assomigliare a nessun altro. Gran parte del merito va (andava) sicuramente a Ray Manzarek, vero leader musicale del gruppo, che con il suo organo Vox Continental (che dal vivo veniva accoppiato ad un Rhodes Piano Bass sopperendo così all’assenza di un bassista) ha da sempre caratterizzato il sound del gruppo, fungendo sia da strumento solista che ritmico: questo non vuol però dire che sia Robby Krieger, gran chitarrista dal tocco raffinato ed influenzato dal jazz e dalla musica indiana, sia John Densmore, ottimo batterista anch’egli di formazione jazz (e classica), fossero inferiori, e pure Morrison non era solo “un figo” come diremmo oggi, ma aveva una presenza magnetica sul palco, una voce notevole e soprattutto un cultura smisurata, che ritrovavamo nei testi delle canzoni (scritti per la maggior parte da lui), talvolta un vero e proprio campionario di riferimenti letterari, sotto l’influenza (oltre che delle droghe di cui era un vorace consumatore) di poeti, scrittori e filosofi del calibro di William Blake, Arthur Rimbaud, Jack Kerouac e Friedrich Nietzsche, solo per citarne alcuni.

I Doors furono scoperti del presidente della Elektra, Jac Holzman, che li vide esibirsi nei club di Los Angeles, principalmente il London Fog ed il Whiskey-A-Go-Go, e li segnalò al produttore Paul A. Rothchild (figura di vitale importanza per il gruppo insieme al tecnico del suono Bruce Botnick), il quale li portò in sala di incisione e, dopo soli sei giorni, ne uscì con l’album di debutto omonimo dei nostri, un disco che ancora oggi è considerato una pietra miliare del rock dell’epoca (e non solo), ed uno di quelli da possedere assolutamente in una collezione che si rispetti. Gran parte del merito va sicuramente a tre fra i brani più celebri della band, a cominciare dall’aggressiva e potente Break On Through (To The Other Side), posta in apertura, per continuare con la straordinaria Light My Fire, vera e propria signature song del gruppo (e non importa che sia uno di quei pezzi che si conoscono a memoria, ancora oggi le parti di organo e chitarra sono tra le più belle mai incise in assoluto), ed infine con la lunga ed ipnotica The End, delirio letterario di quasi dodici minuti ispirato a Morrison dalla lettura dell’Edipo Re di Sofocle, un brano che ha avuto un utilizzo geniale dodici anni dopo da parte di Francis Ford Coppola per due scene chiave del capolavoro Apocalypse Now. Ma non è che il resto del disco fosse di basso livello, dalla sinuosa Soul Kitchen, all’emozionante The Crystal Ship, nella quale Manzarek si sposta al pianoforte rilasciando un assolo strepitoso (e Morrison si conferma un vocalist dalla straordinaria duttilità), a Twentieth Century Fox, un riempitivo di gran lusso. Completavano il disco la diretta ed orecchiabile I Looked At You (con il basso suonato da Larry Knetchel), l’ipnotica End Of The Night, la bella Take It As It Comes, dal ritmo sostenuto e motivo diretto (peccato duri poco) e due covers, e se la quasi cabarettistica Alabama Song (traduzione inglese di un brano di Bertold Brecht e Kurt Weill) è un esperimento bizzarro, la versione personalizzata del classico blues Back Door Man (scritta da Willie Dixon e resa nota da Howlin’ Wolf) è tra le cose migliori dell’album.

Quest’anno cade il cinquantesimo anniversario di The Doors, e la Rhino ne ha approfittato per pubblicare una versione deluxe in triplo CD (con accluso anche il vinile) di questo disco storico, ma qualcosa non torna. Ok per la decisione di inserire nel primo dischetto un nuovo mix in stereo con le canzoni proposte alla velocità originale in cui furono suonate (pare infatti che il disco uscito all’epoca fosse leggermente rallentato, e questa versione è presente sia nel secondo CD, mixata in mono, sia nell’LP, anche se bisogna stare con le orecchie davvero dritte per accorgersi delle differenze), ma non capisco la scelta di non accludere nessuna bonus track, visto che ciò era stato fatto in edizioni precedenti a questa (ci sono due canzoni non entrate a far parte del disco originale, Moonlight Drive e Indian Summer, e pare che esistano anche versioni alternate molto interessanti di altre canzoni dell’album, tra cui The End). E veniamo al terzo CD, ed anche qui continuano le decisioni incomprensibili: infatti troviamo otto canzoni tratte da un concerto al Matrix di San Francisco (le prime sette di The Doors nello stesso ordine più The End), peccato che questo concerto fosse già stato pubblicato nel 2008 in doppio CD, e quindi in versione completa (prendendo in esame due diverse serate); va bene che qui sono stati usati per la prima volta i nastri originali di Peter Abrams (proprietario del Matrix), ma non è che la qualità di incisione sia migliorata poi di molto, diciamo che siamo sui livelli di un buon bootleg. Morrison fornisce un’interpretazione selvaggia (e qua e là un po’ sopra le righe) di tutti gli otto pezzi, e gli altri tre dimostrano di essere una notevole live band, ma il concerto rimane nettamente incompleto (il doppio del 2008 contava ben sedici brani in più). Quindi questo cofanetto è da considerarsi indispensabile per un neofita (o per chi come me non possiede il Live At Matrix originale, ed avendo già altri album dal vivo della band mi bastano anche otto canzoni), ma non offre nulla di succulento ai fans del gruppo.

Speriamo che nella (probabile) deluxe edition di Strange Days (il secondo album dei Doors, uscito anch’esso nel 1967) ci si impegni un po’ di più per includere qualche extra interessante.

Marco Verdi

Niente Di Nuovo Sotto Il Sole, Forse Solo Per I Fans Dei Doors! Robby Krieger – In Session

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Robby Krieger  – In Session – Purple Pyramid/Cleopatra

In alto nella recensione avrete letto il nome dell’etichetta e quindi potete immaginare che i “miei amici” californiani ne hanno combinata un’altra delle loro! Robby Krieger nella sua carriera post-Doors ha inciso sei/sette album, a seconda delle discografie, nessuno particolarmente memorabile (forse agli inizi i due con la Butts Band, precedenti alla carriera solista, i migliori, insieme con Versions del 1982): album di solito strumentali, o con la presenza di vocalist aggiunti, perché la parola cantare e Robby Krieger non sono mai stati sinonimi, anche se ci ha provato alcune volte, un brano anche in questo CD In Session (peraltro l’unico vero “inedito” del dischetto, una Back Door Man dal vivo registrata nel 1988, non tra le migliori, diciamo trecento versioni che mi è capitato di sentire del classico di Willie Dixon, pure incisa maluccio).  Il resto del disco, come lascia intendere e presagire il titolo, è tratto da svariate collaborazioni del chitarrista dei Doors, prese da alcuni dischi del catalogo della Cleopatra Records, principalmente dai loro innumerevoli tributi a questo e quel artista o album. Nell’insieme l’album comunque risulta piacevole, per cui alla fine il giudizio è financo favorevole, in considerazione pure del fatto che gli eventuali fan di Robby e dei Doors (e pure di Beatles Pink Floyd) non devono comprarsi tutti gli album dove appaiono questi brani, ma in virtù della loro rarità li trovano raccolti in unico CD.

Due o tre canzoni sono anche notevoli: per esempio l’iniziale cover di Across The Universe, cantata da un ispirato Jackson Browne è veramente molto bella, con gli arpeggi delicati della chitarra di Krieger, quello che sembra un flauto o un mellotron, tastiere varie non accreditate e il coro di voci bianche, un filo tamarro (ma parliamo della Cleopatra) che sottolinea l’intervento della solista, molto lirico; il tutto si trovava su un album, Abbey Road – A Tribute To The Beatles, uscito nel 2009 e curato da Billy Sherwood, noto per essere stato molto brevemente un membro degli Yes, e produttore e deus ex machina di tutti questi “tributi” della Cleopatra. Dallo stesso album è estratta anche una onesta versione di All You Need Is Love, cantata molto bene dal recentemente scomparso John Wetton, con Alan White ottimo alla batteria e Sherwood che suona tutto il resto, sul tutto si libra la solista di Robby Krieger. Hypernova (Inner Space Mix), che tradotto vuol dire che ne hanno brutalmente tagliato tre minuti dalla versione originale, che appariva su Space Fusion Odyssey, è un buon brano strumentale prog, tratto dal disco del sassofonista degli Hawkwind, Nik Turner, ma con la chitarra vera protagonista assoluta del brano. Saltando di palo in frasca si passa a Empty Spaces, un brano non memorabile tratto dal tributo a The Wall dei Pink Floyd, eseguita da Sherwood, e che vive tutta soprattutto sui “ghirigori” della chitarra, d’altronde questa è la funzione della compilation di cui stiamo parlando.

Da un altro tributo, questa volta a Dark Side Of The Moon, viene una Where We Belong, scritta da Sherwood e posta misteriosamente come appendice al capolavoro della band inglese, il brano non è neppure male, con l’organo di Tony Kaye, il primo tastierista degli Yes, a sottolineare le evoluzioni del sitar elettrico di Krieger. Don’t Leave Me Now, di nuovo dal tributo a The Wall, vede la presenza di Tommy Shaw degli Styx e di un altro Yes, Geoff Downes, si salva giusto l’assolo di chitarra. Molto meglio una fedele Brain Damage, ancora da Dark Side Of The Moon e di nuovo con Downes, anche voce solista, Vinnie Colaiuta alla batteria e gradevoli interventi del sitar e delle chitarre di Robby https://www.youtube.com/watch?v=ejSL3Srfi3w . E niente male pure la versione di School dei Supertramp, tratta dal loro tributo e in origine su Crime Of The Century (che era comunque un gran disco nel suo genere), con le tastiere e la voce di Rod Argent che fanno la loro porca figura accanto alla solista di Krieger  . Deep Down, tratta dal tributo a William Shatner (ebbene sì, il mitico Capitano Kirk di Star Trek), è più che altro una curiosità, se ne ignoravate l’esistenza, sembra un pezzo degli Yes,  ma con la voce recitante di Kirk. Stendiamo un velo pietoso su Little Drummer Boy, tipico brano stagionale tratto da una compilation natalizia della Cleopatra, cantata da Sherwood e fatta in versione prog, mah, forse si salvano solo il sitar e le chitarre di Krieger,  ma forse. Degli ultimi due brani abbiamo detto, per il resto, diciamo alcune buone canzoni e un lodevole lavoro complessivo della solista del nostro, può bastare? Se collezionate i Doors e non volete comprarvi una decina di dischi extra, probabilmente sì.

Bruno Conti