Neo Folk-Rock In Arrivo Dal Tamigi (Anche Con I Lowlands Nel Low And Lucky EP E Tour).The Lucky Strikes – The Exile And The Sea

lucky strikes exile and the sea

The Lucky Strikes – The Exile And The Sea – Harbour Songs Records

Vengono da Southend, Inghilterra (culla del pub rock negli anni ’70, e dei bevitori di birra, da sempre), e fra poco saranno dalle nostre parti per una serie di concerti (*NDB in coppia con i pavesi Lowlands, con cui hanno condiviso l’etichetta in Gran Bretagna, la Stovepony, e ora un EP a nome di entrambi, Low And Lucky, che dà il nome anche al mini tour, parte in Italia e parte in Inghilterra) https://www.youtube.com/watch?v=5xQav5_MEco .

lowlands low & lucky ep cover

I Lucky Strikes sono attivi dai primi anni 2000, ma il loro esordio discografico vero e proprio avviene con l’album omonimo The Lucky Strikes (07), una miscela di blues-rock arricchita nel tempo con sonorità country, folk americano e celtico, che li ha portati in seguito ad incidere lavori a tema quali Chronicles Of Solomon Quick (09), un “concept” sul presunto responsabile della morte di Robert Leroy Johnson(“quel” Robert Johnson!) e Gabriel, Forgive My 22 Sins (10), altra “fiction” sulla follia e la caduta di un pugile, prima di approdare a questo The Exile And The Sea, un piacevole ricordo dei loro viaggi in giro per il mondo https://www.youtube.com/watch?v=GpglQOeH-tM .

lucky strikes 2

Il capo ciurma e leader della band risponde al nome di Matthew Boulter chitarra e voce, con il resto dell’equipaggio ad assecondarlo: Paul Ambrose al basso, David Giles al piano e fisarmonica, William Bray alla batteria, e con la collaborazione di due nostromi di valore come Wild Jim Wilson al banjo e violino e Rees Broomfield alle percussioni, il tutto è stato registrato negli studi di campagna The Broom Cupboard,nell’Essex https://www.youtube.com/watch?v=8amXB4bIAoo .

lucky strikes 1

Il forziere di canzoni è aperto da To Be King e The Beast Burnt Down, due brani dalla decisa aria celtica, guidati dal violino e fisarmonica, a cui fanno seguito la title track The Exile And The Sea, una ballata di altri tempi, mentre New Avalon e  The Butcher And Mrs. Shaw hanno il passo del periodo migliore dei Waterboys, del pirata Mike Scott. Dal bottino del forziere viene poi estratta anche Ballet Shoes, una poesia in musica sull’infanzia, per poi passare alla miscellanea folk-rock di Goldspring, mentre la seguente The Devil Knows Yourself  è perfetta per cantare nei Pub con calici di birra alzati. Con Vincent spuntano una pedal steel e un banjo a dispensare “spezie” di country, prima di chiudere definitivamente il forziere con la mirabile melodia di Ghost And The Actress, dove la fisarmonica di Giles e il violino di Wilson profumano d’Irlanda, mentre un intrigante organino accompagna la conclusiva The Writer.

I Lucky Strikes, guidati dall’ugola passionale di Matt Boulter (autore anche di tre dischi solisti), si preparano ad invadere il nostro paese, senza rivoluzionare nulla, ma portando  un suono che incarna l’anima più onesta del “neo folk rock”, che li accomuna per quanto mi riguarda, ai cugini “yankee” dei Decemberists.

Tino Montanari   

Lowlands Lucky Strikes tour

*NDB. Come vedete dalla locandina qui sopra, i Lowlands e i Lucky Strikes saranno in concerto insieme questa sera, 28 febbraio, all’1&35 di Cantù e domani sera a Spazio Musica di Pavia (da informazioni assunte probabilmente ci sarà anche Stiv Cantarelli). Invece la settimana prossima, se siete da quelle parti (chi non va a Southend nell’Essex o a Londra nei fine settimana?), l’accoppiata si ripeterà su territorio inglese. Ai concerti sarà in vendita anche lo split EP The Low & The Lucky EP, un mini album con tre brani: i Lowlands fanno New Avalon della band inglese, i Lucky Strikes ricambiano il favore eseguendo Hail Hail  della band pavese e tutti insieme appassionatamente eseguono una bellissima cover di Fisherman’s Blues dei Waterboys (con le voci alternate e combinate dei due leaders alla guida del brano), che da sola vale il prezzo di ammissione, se anche il resto non fosse valido. Per una volta il buon Ed Abbiati mi perdonerà se non ho parlato diffusamente della sua band e dei suoi lavori solisti ma, visto che molto bolle in pentola per il futuro, ci sarà l’occasione per farlo appena scatta la primavera. Per l’occasione ci premeva (al sottoscritto e all’amicoTino) parlarvi di questi Lucky Strikes che ci sembrano del tutto degni della vostra attenzione!

Bruno Conti

Con Calma, Ce La Può Fare. Dalla Motor City il Blues Di Detroit Frank DuMont – Let Me Be Frank

 

frank dumont let me be frank

LetMeBbackBest_-_Thb_800x708

Detroit Frank DuMont – Let Me Be Frank – Self Released

Fino a pochi giorni non avevo mai sentito nominare Frank DuMont, anzi “Detroit” Frank DuMont, e questo già ci fornisce un elemento, è nativo della famosa città del Michigan, la città della Motown (Motor City Town) , ma anche di Stooges, MC5, Bob Seger, Mitch Ryder e altre centinaia di musicisti che negli anni si sono avvicendati lassù, nel profondo Nord degli Stati Uniti. DuMont non è certo uno dei più famosi, se poi aggiungiamo che dopo una lunga gavetta a Detroit e dintorni, per essere franchi, come dice lui nel titolo, si è pure trasferito, prima in California e poi a Colorado Springs  http://www.youtube.com/watch?v=oL8t_EhYhQc, dove opera con i suoi Drivin’ Wheels, si capisce perché non sia mai diventato più di una “gloria locale”. Se poi per registrare questo suo primo album di studio, Let Me Be Frank http://www.youtube.com/watch?v=Ki-M9T8kj6Q , ci ha pure messo più di venti anni, mi sento ulteriormente giustificato nel non conoscerlo (e di musicisti blues in America ce ne sono veramente moltissimi, i più sconosciuti al grande pubblico, alcuni anche molto bravi).

dumont richards

Diciamo che DuMont si colloca in una posizione intermedia, un onesto professionista, indicatissimo per chi ama il genere, una sorta di Bugs Henderson meno fiammeggiante, ottimo chitarrista, buon cantante, amico e musicista con tutti, almeno a giudicare dalle foto sul suo sito, che lo ritraggono con Keith Richards, Billy Cox (il bassista di Hendrix, che appare anche nel disco), Albert King, John Lee Hooker, James Cotton, Johnny Winter, Mitch Ryder e Jim McCarty dalla sua città, Detroit, oltre a tantissimi altri, basta che ci sia un fotografo in giro e Frank si mette in posa. Con la gran parte ci ha anche suonato, in giro per gli States e in Europa, fisicamente sembra una sorta di Alvin Lee invecchiato prematuramente, ma musicalmente si difende. Certo non sono molti i dischi le cui registrazioni iniziano nel marzo del 1991 in California e a Memphis, Tennessee e si concludono nel 2012, tra Colorado, California, Alabama e ancora Tennessee, sia a Nashville che a Memphis, ai leggendari Ardent Studios, passando anche per i Sun Studios.

dumont albert king

Il risultato è un piacevole disco di blues che deve in ugual misura a quello classico quanto a quello misto a rock che era praticato dagli inglesi tra la fine anni ’60 e i primi ’70  http://www.youtube.com/watch?v=HpINenLbgfE. Travelling Riverside Blues uno dei due brani (anzi tre) di Robert Johnson (del quale nella foto di retrocopertina appare la pietra tombale, insieme a una bellissima chitarra National dal corpo di acciaio) presenti nell’album, sembra un brano che avrebbero potuto fare i Chicken Shack di Stan Webb o i Groundhogs nei loro anni d’oro. Ma la versione di Crossroads, solo voce e chitarra acustica bottleneck è quanto di più tradizionale e classicamente americano si possa immaginare, per poi scatenarsi in una Blues For Buddy, l’unico brano originale firmato da DuMont, dove con l’aiuto di Deacon Jones, il vecchio organista di Freddie King, Billy Cox al basso e il resto del suo gruppo. confeziona un brano strumentale che è quanto di più elettrico e sperimentale ci si possa aspettare in un ambito blues, con la chitarra che viaggia che è un piacere.

dumont hooker

Andando a ritroso nel resto del CD, dove appaiono anche l’ottimo pianista David Maxwell e, in parecchi brani, una piccola sezione fiati, ascoltiamo una sorta di Blues Greatest Hits. Key To To Highway, molto lineare, con fiati, tra King vari e Clapton, Tore Down, un altro super classico  http://www.youtube.com/watch?v=HEZpeeN5mNk, e si farebbe prima a dire chi non l’ha mai suonato, bella versione, una Every Day I Have The Blues, veloce sia nei tempi che nella durata, non dissimile da quella che faceva la Marshall Tucker, ma con i fiati aggiunti. Uno slow lancinante come How Blue Can You Get?, tratta dal manuale “B.B.King” http://www.youtube.com/watch?v=4xTFm20NiYY e due strumentali super classici ancora, come Hide Away e The Stumble, prove di guida con chitarra per ogni esame di Blues che si rispetti, in cui Frank DuMont si merita la promozione alla grande, con Deacon Jones che probabilmente suonava l’organo anche negli originali di Freddie King.

dumont live

Il terzo brano di Robert Leroy Johnson, dove DuMont suona tutti gli strumenti, per dirla alla milanese mi sembra un po’ loffia, moscia se preferite. Invece, “strana” ma peculiare è una versione strumentale di I’ll Be There un brano di un gruppo di quella Tamla Motown citata prima, i Jackson 5, la canzone con tanto di clavicembalo, corno francese, sax, tastiere e slide in questa vece evidenzia le similitudini, che non avevo mai notato, con un altro artefatto del tempo, Rain And Tears degli Aphrodite’s Child, una curiosità che fa da ciliegina sulla torta ad un disco piacevole e un bravo musicista, come potete vedere e sentire nei vari video linkati nel Post!

Bruno Conti  

Mi Manda Eric Clapton! Tom Principato – Robert Johnson Told Me So

Tom Principato Robert Johnson Told me So.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tom Principato – Robert Johnson Told Me So – Dixiefrog/Powerhouse/Ird

Don’t worry, non vi preoccupate, non è il miliardesimo disco tributo alla musica di Robert Johnson, è semplicemente un modo di dire dei musicisti americani che fanno blues e dintorni, Robert Johnson Told Me So, e io lo faccio, direbbe Tom Principato, al suo secondo disco di materiale originale, dopo la buona prova di A Part Of Me.

Per dirla in due parole, così se volete non vi leggete il resto della recensione, è un “disco Claptoniano”, inteso nel miglior senso della terminologia: blues, rock, ballate mid-tempo, accenni di reggae, come i dischi anni ’70 di Manolenta, ma anche l’ultimo Old Sock, un cantato quello di Principato che ricorda molto l’Eric appena citato, dopo svariati anni on the road anche Tom ha sviluppato una buona voce, calda, partecipe, non sarà mai un grande cantante, quello è un dono di natura, ma come chitarrista compensa abbondantemente con uno stile, fluido, diversificato, ad alta componente tecnica ma ricco di feeling, in grado di spaziare dai virtuosismi estremi di un Roy Buchanan o di un Danny Gatton (con cui ha registrato un disco in coppia, Blazing Telecasters pubblicato nel lontano 1984, e il suo seguito, Oh no, More Blazing Telecasters e dopo tanti anni le chitarre ancora “fumano”, i suo migliori, insieme all’ottimo Smokin’ e a qualche live, qui e la durante la sua carriera) al suono caldo e corposo appunto alla Clapton, e in questo disco ci sono entrambe le facce di Principato.

Poco più di 37 minuti di musica dove il nostro amico, ben sostenuto dal proprio gruppo e con l’aiuto di un Chuck Leavell molto ispirato a organo (in alternanza a Tommy Lepson) e piano e di Willie Weeks (a conferma del parallelo con i dischi di Slowhand), al basso in alcuni brani. Il disco è blues, ma anche rock, godibilissimo, non un capolavoro, ma scorre assai piacevole, si fa apprezzare, dal classico blues-rock dell’iniziale title-track, dove Tom si cimenta alla slide, con la presenza dell’armonica di Josh Howell, nel resto del disco impiegato alle percussioni, ad aumentare il quoziente blues del disco, ma senza essere troppo scolastico, didattico o noioso, che è il difetto di molti album che vogliono essere troppo filologici, si passa poi a Knockin’ On The Door dove il cantato di Principato ricorda in modo impressionante quello di Clapton, mentre una sezione di fiati, percussioni aggiunte e l’organo virano anche verso sonorità latineggianti, la chitarra poi scivola che è un piacere. It Ain’t Over (‘til It’s Over) è un brano rock di quelli classici, molto anni ’70, ma ha quella freschezza, quel groove senza tempo che è prerogativa della buona musica e tanta bella chitarra, che non manca mai in questo CD, musica che ti sembra di avere sentito da sempre, che si respira nell’aria o esce dai solchi dei vostri vecchi vinili, lì a prendere polvere sugli scaffali. What Goes Around (Comes Back Around) è un reggae-rock bianco, con armonie vocali di un manipolo di voci femminili, un sound caraibico che anche un non amante del genere come me riesce ad apprezzare, e poi c’è un assolo di sintetizzatore old school che non sentivo da una vita.

The Rain Came Pouring Down è il classico blues lento (con fiati) che non può mancare in un disco di Principato, ma non è nella categoria di quelli lancinanti e tiratissimi, più rilassato, melodico, quasi jazzato, cresce lentamente fino all’inevitabile assolo che conferma le grandi virtù tecniche di questo maestro della Telecaster, uno che può stare alla pari con i succitati Buchanan e Gatton. Falls Church, Virginia 22042, che è l’indirizzo della sua etichetta americana la Powerhouse Records  (era anche il nome del suo primissimo gruppo negli anni ‘70) è uno strumentale latineggiante, quasi alla Santana, e ci permette di apprezzare nuovamente il suo virtuosismo, che ha fatto dire a Pat Metheny, un suo ammiratore, “ha un enorme talento nel raccontare storie con i suoi assolo, non suona serie di note standard!”. La melodica, vagamente soul mid-tempo, Run Out Of Time ha quel suono laid-back, pigro, delle serate autunnali che si avvicinano a grandi passi, ma vengono riscaldate dal calore di questa musica dolce ed avvolgente. Si conclude con la ripresa di It Ain’t Over che evidentemente oltre che al vostro recensore è piaciuta pure a Principato, tanto che ci regala una seconda parte del brano, e noi ce la gustiamo ancora, come peraltro tutto l’album. Al cinema si cataloga film per tutti, disco per tutti in questo caso, ma solo se vi piace la buona musica e non molte delle schifezze che circolano al momento!

Bruno Conti   

Bravo “Fortunato” E Tiene Famiglia Ma…The Lucky Peterson Band Feat. Tamara Peterson – Live At The 55 Arts Club Berlin

lucky peterson live cd.jpglucky peterson live dvd.jpg

 

 

 

 

 

 

The Lucky Peterson Band Feat. Tamara Peterson – Live At The 55 Arts Club Berlin – Blackbird Music -2 CD o 3 DVD/2 CD

Questa è la testimonianza di un concerto registrato nel corso di una serie di date europee culminate in una data in questo club di Berlino, dove il gruppo aveva già fatto tappa all’inizio del tour. Come capita per molti artisti neri dell’area blues (e rock, e jazz), Lucky Peterson è molto più popolare in Europa che in madrepatria, dove, peraltro, una lunga carriera lo ha inserito tra i più noti performers della seconda generazione del Blues, avviata tanti anni fa, praticamente da bambino, sotto l’ala protettrice di Willie Dixon. Forse Peterson non ha mai avuto un seguito ben definito per questa caratteristica, che per qualcuno è un pregio per altri un difetto se non una iattura, di essere contemporaneamente organista (e pianista) e chitarrista: fa bene entrambe le cose, per l’amor di Dio, ma il suo stile vaga tra Blues, soul, gospel, funky nel battito di un ciglio e non sempre trattiene la sua esuberanza, soprattutto nei dischi in studio che spesso non sono soddisfacenti.

Però, il nostro amico è stato dotato dalla natura di una bella voce, ricca di toni gospel e soul, come dimostra nella esuberante rilettura di Trouble, una bellissima canzone di Ray LaMontagne, che è il terzo brano di questo CD (o DVD), una versione tra picchi e momenti di calma e che fa seguito ad un paio di brani, I’m Back e Smooth Sailing, che ne mostrano il lato più funky, con l’organo Hammond in evidenza, alla Booker T o alla Billy Preston, con sempre presente anche l’anima più rock rappresentata dall’altro chitarrista, il canadese Shawn Kellerman (che avrà poi occasione di sfogare le sue velleità di guitar hero hendrixiano nel terzo DVD della confezione Deluxe). Quando anche Lucky Peterson imbraccia la chitarra per un lungo Blues Medley strumentale di quelli tosti, l’atmosfera del concerto si infiamma, con una sequenza di riff (tra rock e blues) che uno può divertirsi a cercare di indovinare tra mille possibilità e il suono si fa decisamente più duro con le due chitarre che si rincorrono tra loro, il tutto poi sfocia in una versione di You Shook Me, il super classico scritto dal suo mentore Willie Dixon che più che a quella di Muddy Waters si avvicina ad un composito tra quella dei Led Zeppelin e una ipotetica di Buddy Guy (con citazioni di Little Red Rooster), il brano serve anche da introduzione all’ingresso della moglie Tamara, con il colpo di teatro dei due che si incontrano a metà strada nel club.

Quest’ultima forse non è blues woman a tutto tondo ma se la cava egregiamente e poi si passa al suo funky-soul-jazz, probabilmente maturato negli anni passati alla scuola di Dallas, da cui provengono anche Roy Hargrove, Norah Jones e Erykah Badu, prima Knocking (firmata tra gli altri da Ledisi) e poi una serie di brani firmati dalla stessa Tamara Peterson spostano la barra del sound verso un funky un po’ di maniera, cantato anche bene dalla bella signora, ma un po’ anonimo. Fa eccezione un bel lentone scritto dal marito, Been So Long, con tanto di lungo scat introduttivo e improvvise accelerazioni sonore. Lost The Right che conclude la prima parte del concerto ci riporta al blues ed è cantata in duetto dalla coppia, poi si riparte più centrati sul Blues, prima più rock nella tirata Giving Me The Blues, firmata da Rico McFarland l’ex chitarrista della sua band, cantata con slancio da Peterson che pompa sul suo organo mentre Shawn Kellerman centra un bel solo.

Poi si passa alla sezione “classici”, minori, con Ta’ Ta’ You uno slow blues poderoso di Johnny Guitar Watson, It Ain’t safe dell’accoppiata Clarence Carter/George Jackson che è del sano errebì, e importanti, come I’m Ready, sempre di Willie Dixon, arrangiata per organo e sempre molto fluida, Who’s Been Talking del grande Howlin’ Wolf, in una bella versione ricca di pathos, poi passato di nuovo alla chitarra, anche slide per l’occasione, Peterson ci regala una ricca e lunga versione di I Believe I’ll Dust My Brown a metà strada tra Robert Johnson e Elmore James, senza dimenticare una succinta The World’s In A Tangle dal repertorio di Jimmy Rogers. Saltando di palo in frasca torna la consorte per Kiss di Prince e poi per una piacevole Last Night You Left, sempre firmata da Tamara, del soul jazz raffinato che prosegue con Ain’t Nobody Like You che potrebbe ricordare la “compagna di corso” Erykah Badu, anche se con una voce meno duttile, e forse sia i dieci minuti di questo brano che i 14 della successiva Real Music, più funky ma sempre troppo tirata per le lunghe fanno perdere punti al tutto. Del terzo DVD si è detto, per il resto questo primo DVD+CD di Lucky Peterson conferma ancora una volta i suoi pregi e difetti, buono ma non eccelso!

Bruno Conti

Finalmente! Ma Quando Dorme? Joe Bonamassa – Driving Towards The Daylight

bonamassadaylight.jpg

 

 

 

 

 

 

Joe Bonamassa – Driving Towards The Daylight – Mascot/Provogue 22-05-2012

Finalmente! C’è anche dell’ironia in questa esclamazione, ma non solo. Con questo CD, nell’annata 2012, tra live, DVD, ripubblicazioni e quant’altro, siamo a quota quattro, senza contare tutte le innumerevoli partecipazioni a dischi di altri. Ma quando dorme? Nello stesso tempo questo nuovo Driving Towards The Daylight segna un ritorno al Blues: o meglio al Blues according to Joe Bonamassa.  Come ha detto lui stesso in alcune interviste, e secondo il suo parere insindacabile, le parole per definire i precedenti album erano: “swampy” per The Ballad Of John Henry, “worldly” per Black Rock, “Americana” per Dust Bowl e aggiungerei io, “hard” (senza connotati negativi) per i due dischi dei Black Country Communion. La parola magica per questo nuovo disco è “blues”; registrato allo Studio In The Palms di Las Vegas con la produzione di Kevin Shirley in due sedute tra l’agosto del 2011 e febbraio del 2012 questo album è un ritorno alle sue radici musicali, quel British Blues fine anni ’60 poi trasformatosi nel guitar power trio del rock-blues di gruppi come i Led Zeppelin o il Jeff Beck Group mediato dalla riscoperta dello stesso Joe delle “vere” radici di questa musica, ovvero, prima il blues di Robert Johnson e poi quello di Chicago con i suoi grandi autori ed interpreti.

Ospite fisso nella formazione è Brad Whitford, il secondo chitarrista degli Aerosmith (già clienti di Shirley) mentre sono con Bonamassa (almeno credo) Anton Fig alla batteria e Carmine Rojas al basso (anche se nel sito ufficiale il nuovo batterista nel tour degli States è Tal Bergman), alle tastiere l’australiano Arlan Schierbaum. Di solito tutti i brani di Bonamassa partono da un riff di chitarra e poi si assestano su un groove particolare, nel senso che la canzone ruota intorno all’assolo che è la parte importante del pezzo, mentre di solito si fa il contrario ossia scrivi il brano e poi l’assolo è una conseguenza e non sempre è presente, ma questo è un mio assunto, una mia presunzione e vale, secondo me, per tutti i virtuosi della chitarra rock e il buon Joe ne è uno dei migliori rappresentanti.

Prendete l’iniziale Dislocated Boy, uno dei cinque brani che porta la sua firma, riff iniziale poderoso, entrata dell’organo, una “figura” ricorrente di chitarra che ricorda il sound del “vecchio” Peter Green e poi una serie di assoli con la sezione ritmica molto impegnata a sostenere quel groove particolare. Quello di Stones In My Passway è molto zeppeliniano, anche se il brano è un Robert Johnson minore, diciamo meno conosciuto, Bonamassa è impegnato alla slide su una Gibson con il doppio manico e il risultato finale avrebbe fatto il suo figurone su Presence, il tocco del piano aggiunge quel “sentire” blues all’insieme. Driving Towards The Daylight è una ballatona scritta con Danny Kortchmar parecchi anni fa e tirata fuori dal cassetto per l’occasione, illustra gli aspetti più rootsy della musica del nostro amico. Preceduto da un breve sample del dialogo tra Howlin’ Wolf e il batterista Aynsley Dunbar, mentre il “lupo” cerca di spiegargli cosa vuole da lui per questo brano, Who’s Been Talking è contemporaneamente un classico del genere e la genesi di Whole Lotta Love. Come saprete il brano dei Led Zeppelin era un costrutto di più canzoni, la parte centrale e finale era You Need Love della coppia Dixon/Waters ma il celeberrimo riff iniziale era tratto da questo brano di Howlin’ Wolf e la gagliarda versione di Bonamassa lo dimostra ampiamente, bellissimo brano, breve e conciso.

I Got What You Need era un altro brano di Willie Dixon, nel repertorio di Koko Taylor, e per l’occasione Bonamassa sfodera una interpretazione degna dei migliori Bluesbreakers di Mayall, quelli con Clapton e Green, notevole come sempre il lavoro della solista, lui è proprio bravo! A Place In my Heart è un bellissimo slow blues scritto da Bernie Marsden dei Whitesnake ma sembra un tributo all’arte di Gary Moore con un superbo Joe. Lonely Town Street è un vecchio brano di Bill Withers ma viene fatto alla Deep Purple, funky ma con un bell’interscambio tra organo e chitarra. Secondo Bonamassa Heavenly Soul è un omaggio a Mellencamp, una sorta di Paper On Fire come avrebbe potuto suonarla Knopfler in stile british, e ha anche ragione, quasi quasi mi ritiro, tanto ci pensa lui. New Coat Of Paint è una bella rilettura bluesata di un brano di Tom Waits, mentre Somewhere Trouble Don’t Go è un ottimo brano di Buddy Miller che viene rivisto à la Bonamassa, boogie, ritmo e chitarre. Too Much Ain’t Enough era uno dei cavalli di battaglia di Jimmy Barnes dei Cold Chisel (a proposito, sono tornati insieme e hanno fatto un nuovo disco) e per l’occasione ritorna a cantarla in una versione che dà dei punti all’originale, che voce e che chitarra. Bel disco, dopo quello con Beth Hart!                

Bruno Conti

Il Ritorno Della “Personcina”! Lance Lopez – Handmade Music

lance lopez handmade.jpglance lopez.jpg

 

 

 

 

 

 

Lance Lopez – Handmade Music (Ltd. Edit.) – MIG Made in Germany

Il nostro amico Lance Lopez, di cui mi ero già occupato lo scorso anno in occasione dell’uscita del CD Salvation From Sundown che conteneva anche un bel DVD registrato al Rockpalast lance%20lopez, fa dell’onesto rock-blues, che mischia lo stile del Texas divenuto sua terra di elezione, con il rock “energico” dei grandi chitarristi inglesi ed in particolare della triade Clapton-Beck & Page. Quindi  cosa ottenete se unite il southern rock-blues degli ZZ Top al suono di Stevie Ray Vaughan e Johnny Winter, ci spalmate una abbondantissima dose di Jimi Hendrix (il suo vero idolo assoluto) affidate il tutto alle abili mani di Jim Gaines il suo produttore di fiducia (quello di Santana, Steve Miller Band, Thorogood, il John Lee Hooker di The Healer), poi vi recate a registrare nei leggendari Ardent Studios di Memphis (per Lopez il luogo dove gli ZZ Top hanno registrato Sharp Dressed Man, Thorogood Bad To the Bone e Jimmy Page ha mixato Led Zeppelin III)?

Probabilmente otterrete questo Handmade Music che unisce il boogie fervido del trio texano nell’iniziale Come Back Home cantato con una voce rauca e ruvida che mi ha ricordato, non so perché, forse a causa di una somiglianza non fortuita, il Popa Chubby più ruspante. Sound e assoli di chitarra di gran fattura che ritornano anche nella successiva Hard Time e poi si stemperano in una gustosa hard rock ballad di notevole appeal come Let Go dove chitarre acustiche e organo e la produzione professionale di Gaines allargano lo spettro sonoro del disco. Visto che il trucco ha funzionato una volta viene ripetuto, con successo, anche nella successiva Dream Away, un altro ottimo esempio di lunga ballata in crescendo che proviene dal miglior southern rock d’annata. Ma lo stile preferito è quel rock-blues intriso di boogie con una solida sezione ritmica nelle mani del bassista Chris Gipson e del batterista Jimmy Dereta, di solito lo chiamiamo power trio e non ci si sbaglia mai, non sarà originale, sentito mille volte, ma se ci affidiamo a un buon manico come Lance Lopez e con una produzione professionale nelle mani di Gaines, brani come Get Out and Walk e Your Love hano un perché, specialmente se uno apprezza il genere.

Non sempre tutto funziona, Travelling Riverside Blues sarà pure il famoso brano di Robert Johnson che suonavano anche gli Zeppelin ad inizio carriera, ma in questa versione abbastanza anonima potrebbe essere Crossroads o Walkin’ Blues, il riff più o meno è quello. Letters con il suo organo aggiunto ed una maggiore verve, potrebbe essere un pezzo d’annata della Steve Miller Band o di Clapton, niente di trascendentale fino all’orgia hendrixiana di wah-wah nella parte centrale che ci rende il sorriso. Non male anche l’ottimo strumentale Vaya Con Dios dove si lavora molto di toni e di finezza sulla chitarra con Lopez che mette di nuovo in mostra le sue indubbie qualità tecniche. E che dire della cover di Black Cat Moan il celebre brano di Don Nix che faceva il suo bel figurone nell’album di Beck, Bogert & Appice? Fa la sua “porca figura” anche in questo Handmade Music come un dovuto omaggio al Jeff Beck rocker! Le due tracce bonus alla fine (nella versione limited da 12 pezzi) sono una leggera ma piacevole versione di Can(t) You Feel It? un brano scritto dallo scomparso Dan Hartman ma lo faceva anche, se non ricordo male (ho controllato, c’è), Johnny Winter in Still Alive And Well e proprio in Zona Cesarini un gagliardo slow blues Lowdown Ways che ritorna alle radici della musica di Lance Lopez e chiude in gloria quello che si può definire un buon album, nel suo genere, ovvero file under blues-rock!

Una curiosità finale: chissà se nel tour con Winter sfoggia ancora quel bel completino alla Zorro che aveva nel filmato del Rockpalast?   

Bruno Conti

Un “Adeguato ” Testamento” Sonoro! Jeff Healey Band – Full Circle

jeff healey full circle the live anthology.jpg

 

 

 

 

 

 

The Jeff Healey Band –Full Circle:The Live Anthology 3CD+1DVD – Eagle rock/Edel

Forse delle varie uscite postume, per la maggior parte dal vivo, che si sono succedute nei tre anni dalla morte di Jeff Healey avvenuta nel 2008, questo Full Circle mi sembra la più interessante. Non solo per i contenuti musicali (anche Live At Grossman’s -1994 e Songs From The Road sono decisamente buoni) ma anche per le dimensioni dell’opera e per l’ottima scelta dei pezzi. Infatti i compilatori di questo cofanetto hanno cercato di evitare troppe duplicazioni tra i tre diversi concerti che compongono questo Box e direi che ci sono riusciti. Ovviamente il CD e il DVD del concerto del 1991 al St.Gallen Open Air Festival sono identici ma per il resto la scelta del materiale è stata molto oculata e direi che solo tre brani appaiono per due volte, Angel Eyes, My Little Girl e Blue Jean Blues. Il classico degli ZZ Top merita la ripetizione in quanto le due versioni, entrambe molto lunghe, sono piuttosto differenti tra loro, più lenta e bluesata quella al Festival di Montreal del 1989, più tirata e con un lungo intermezzo con wah-wah hendrixiano quella di San Gallo, in ogni caso ottimi esempi della grande carica del chitarrista cieco canadese.

Come saprete Healey è morto a soli 41 anni per una rara malattia congenita che gli ha scatenato una serie di tumori nell’ultimo anno della sua vita e dai quali non ha avuto scampo. Ma prima aveva fatto in tempo a costruirsi una solida reputazione come uno dei migliori chitarristi delle ultime generazioni, con quel suo stile particolare, seduto con la chitarra appoggiata in grembo e suonata a mo’ di lap steel, ma con le sonorità di una solista normale, spesso con il pedale del wah-wah a manetta. Se tra i suoi dischi in studio See The Light, Feel This e Cover To Cover, ma anche Hell To Pay, sono ottimi esempi della sua arte, era soprattutto dal vivo che Jeff Healey sprigionava una potenza indescrivibile! A chi scrive è capitato di vederlo in concerto a Milano al “vecchio” City Square e vi posso assicurare che quando preso da una sorta di trance agonistica il nostro amico si alzava in piedi per cercare di veicolare attraverso la sua chitarra quello che gli ribolliva dentro non aveva nulla da invidiare ai più grandi solisti della storia della chitarra elettrica.

Questi tre album regalano parecchi di questi momenti: oltre alla già citata Blue Jean Blues, una lunghissima Roadhouse Blues che poi si trasforma nel classico di Freddie King Hideaway, una ottima When The Night Comes Falling From The Sky di Dylan che subisce un trattamento alla All Along The Watchtower, Angel Eyes e See The Light, probabilmente i suoi brani migliori, la seconda soprattutto in una versione fantastica, nuovamente ricca di suggestioni alla Hendrix.  Una notevole rilettura di While My Guitar Gently Weeps, uno dei suoi cavalli di battaglia, cinque minuti di pura magia chitarristica.

E nel CD tratto dal broadcast radiofonico dall‘Hard Rock Cafe di Toronto nel marzo del 1995, il più breve, solo 45 minuti, ma forse il più interessante dei tre concerti per i brani contenuti, appaiono tutte cover di altri autori a parte la conclusiva See The Light, che quindi è il quarto brano che appare due volte. Per il resto si ascoltano I Got A Line on You degli Spirit, Stop Breakin’ Down Blues una ripresa vibrante di un classico di Robert Johnson, uno degli slow blues più classici della storia come As The Years Go Passing By e Yer Blues dei Beatles. Stuck In the Middle With You, il vecchio brano degli Stealers Wheel in quegli anni era ritornata in auge per la sua presenza nella colonna delle “Iene” di Tarantino (o Reservoir Dogs se preferite) mentre Evil di Willie Dixon, ma resa imperitura da Howlin’ Wolf, viene riproposta in una versione tipicamente rock-blues. E non poteva mancare l’omaggio a Jimi Hendrix con la sua classica ballata Angel per concludere in gloria questo cofanetto che vale assolutamente la vostra attenzione come degno documento della carriera di questo grande musicista di “culto” e che vi consiglio caldamente. Ottimo lavoro!

Bruno Conti

Giovani “Vecchi Tradizionalisti”! Rev. Peyton’s Big Damn Band – Peyton On Patton

Peyton_on_Patton_CD_Cover.jpg799px-The_Reverend_Peytons_Big_Damn_Band.JPG

 

 

 

 

 

Rev. Peyton’s Big Damn Band – Peyton on Patton – Side One Dummy Records 

Devo dire che il primo impatto con la copertina non mi era parso auspicio di sviluppi piacevoli, il sottotitolo recita “Electro-phonically Recorded In Mono With One Microphone!” e cominciavo a paventare una palla tremenda leggendo anche sul retro del CD Rev. Peyton’s Big Damn Band Performs The Songs Of Charley Patton. Invece devo ammettere che non si tratta di quell’album in lo-fi tremendo registrato dalla stanza accanto e con il suono di un vecchio 78 giri che mi aspettavo.Viceversa si tratta, come recita il titolo, di un omaggio a Charley Patton, uno dei grandi del Blues, della generazione precedente a quella di Robert Johnson di cui quest’anno si celebra il 100° anniversario dalla nascita. Patton addirittura, quando Johnson salì al proscenio, era già morto (nel 1934) ma la sua influenza sul Blues rimane enorme, uno degli inventori del Blues del Delta dalla cui zona proveniva e si vi è capitato di leggere di un Charlie Patton è sempre lui. Il suo brano più celebre rimane Pony Blues ma anche lui come il suo discepolo Robert Johnson ha scritto un brano A Spoonful Blues che è il diretto antenato della famosa Spoonful poi ri-scritta da Willie Dixon per Howlin’ Wolf e resa immortale da quest’ultimo e poi da mille altri a partire dai Cream.

 

Ma veniamo a questi Rev. Peyton’s Big Damn Band che nonostante il nome sono solo in tre, il “Reverendo”, per la sua mamma Josh, che canta e suona vari tipi di chitarra prevalentemente acustici, la moglie Breezy che suona il washboard e canta di tanto in tanto e Aaron “Cuz” Persinger che gestisce il reparto percussioni. Se avete visto qualche foto (magari quella qui sopra), sono un terzetto di “personcine particolari” che però creano una musica profondamente immersa nella grande tradizione della musica popolare americana con amore e grande rispetto e con quella punta di follia che non guasta e hanno già sei CD alle spalle.

musica. bruno conti. discoclub,rev. peyton,charley patton,blues,robert johnson

 A proposito di follia questo album doveva essere formato tutto solo da diverse versioni di Some Of These Days I’ll Be Gone, invece alla fine ne hanno incise “solo” tre, la versione normale, la banjo version e quella per slide guitar (che mi sembra la migliore del trio) peraltro tutte interessanti e diverse tra loro. Il nostro amico Josh Peyton è in possesso di una bella voce, stentorea e declamatoria forse più da folk singer che da Bluesman ma se la cava egregiamente anche nel genere ed è un ottimo chitarrista, forse non all’altezza di Charlie Patton e di altri Bluesmen dell’epoca che se vi è capitato di ascoltare loro dischi. spesso hanno una tecnica mostruosa che dà l’impressione di ascoltare due chitarristi allo stesso tempo ma si tratta sempre solo del soggetto in questione. Se volete investigare potreste cercare il Box di 7 CD della Revenant Screamin and Hollerin’ The Blues che ha vinto 3 Grammy nella categoria nel 2003, ma temo che non sia più in produzione o è a prezzi tali per cui ci si può “accontentare” di quello da 5 dischi della Jsp Complete Recordings 1929-1934 che con i suoi 92 brani di Patton e soci è una eccellente guida per chi vuole esplorare le gioie del Blues delle origini.

 

Tornando ai nostri amici, questo Peyton on Patton comprende 13 brani per poco più di mezzora di musica e non è per niente palloso, il genere è quello ricordato, non manca una versione corale di A Spoonful Blues,corale per modo di dire nel senso che nel brano cantano e suonano tutti e tre i componenti del gruppo mentre nella maggior parte dei brani si ascolta solo il Rev. Peyton in solitaria, peraltro con grande piacere. Pony Blues non c’è ma l’avevano incisa nel loro primissimo album pubblicato a livello indipendente e fuori catalogo da tempo. Non vi sto a fare una lista dei brani, sono tutti molto vivaci e mossi, compatibilmente con gli argomenti non allegrissimi trattati, per fare un esempio l’iniziale Jesus Is A Dying Bed Maker. Vale sia come disco propedeutico per la (ri)scoperta degli artisti citati quanto per la sua validità intrinseca che è notevole. Da investigare!

Bruno Conti   

Promesse Da Mantenere. Lloyd Jones – Highway Bound

lloyd jones highway bound.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Lloyd Jones – Highway Bound – Underworld Records

Le “promesse” non sono quelle di Lloyd Jones ma le mie: quando faccio il giro delle 4 Parrocchie per raccattare un po’ di materiale promo (il povero “recensore” indipendente deve pur sopravvivere) poi mi ritrovo a promettere (giustamente) di parlarne sul Blog o sul Busca. Visto che, come ho detto più volte , il tempo è quello che è, uno deve anche dormire, mangiare e altro, quindi i CD si accumulano colpevolmente sul mio tavolo, non sempre riesco a tenere fede alle promesse. Per cui ogni tanto cercherò di smaltire gli arretrati con degli spazi ad hoc.

Cominciamo con questo signore che non è un novellino, è in pista da parecchi anni, il primo album con il suo gruppo Lloyd Jones Struggle risale addirittura al 1987. Poi ne ha fatti altri quattro e uno in trio con Jimmy Hall e Tommy Castro, Triple Trouble per la Telarc nel 2003. Genere: Blues elettrico con venature soul.

Ma questo Highway Bound come evidenziato dalla copertina (se zoomate si legge) è un disco di Traditional Folk Blues. Ovvero un tuffo alle origini del blues acustico, quello stile che negli anni ’60 ebbe una seconda vita grazie all’opera di musicisti come Sonny Terry & Brownie McGhee, il Rev. Gary Davis, Son House ma anche lo stesso Dylan, Dave Van Ronk, Stefan Grossman, Charlie Musselwhite e tantissimi altri. L’ultimo nome non è citato a caso, in quanto Musselwhite è uno dei due ospiti che appaiono in questo album: sua è l’armonica che appare in Ice Cream Man. Per il resto Jones si arrangia (si fa per dire perché suona veramente bene) con la sua acustica suonata in fingerpicking e la sua voce, rodata da anni di concerti in giro per gli States e per il mondo.

E così scorrono brani firmati da nomi leggendari, Careless Love firmata da W.C.Handy (uno dei fondatori del Blues, c’è pure un premio a suo nome, esiste!), Broke Down Engine di Blind Willie McTell, Last Fair Deal Gone Down di R.L.Johnson (Robert per gli amici), Southbound Train di Big Bill Broonzy, Don’t Want me Baby di Mississippi John Hurt (questo me lo ero dimenticato nella lista di prima), ancora Key To the Highway di Big Bill Broonzy (che tutti conoscono nella versione “elettrica” di Clapton). E ancora Make Me A Pallet On The Floor sempre di W.C.Handy, Goodnight Irene di Leadbelly e Good Morning Little Schoolgirl di Sonny Boy Williamson per arrivare fino a Lazy Bones che è un brano di Hoagy Carmichael e Johnny Mercer, uno standard della canzone americana che diventa un blues arcano abbellito dall’armonica dell’altro ospite Curtis Salgado.

In un paio di brani Lloyd Jones imbraccia una chitarra dal corpo d’acciao, una national steel e in un altro paio una vecchia Danelectro elettrica ma per il resto è un viaggio rigorosamente acustico nel Blues, di notevole fascino per la bravura del musicista che riesce a far rivivere questi vecchi brani che nascevano su gracchianti 78 giri d’epoca con le moderne tecnologie di registrazione senza snaturare lo spirito di questi brani.

Solo per appassionati di Blues (anche simpatizzanti) ma potrebbe essere una piacevole sorpresa. Per chi vuole approfondire http://www.lloydjonesmusic.com/.

Bruno Conti

Centenario Della Nascita di Robert Johnson. Prime Celebrazioni e Pubblicazioni. Tributo Di Big Head Blues Club & Friends

robert johnson centennial edition.jpg

 

 

 

 

 

 

Quest’anno, l’8 maggio cade il centenario dalla nascita di Robert Johnson, The King Of The Delta Blues, uno degli inventori della “musica del diavolo” come la intendiamo oggi e di tante sue leggende.

Manca ancora un poco all’inizio delle celebrazioni ma visto che già qualcosa si muove parliamone! Intanto quel manufatto che vedete effigiato qui sopra sarà il “cofanetto ufficiale” dell’evento. Se vi trovate quei 320 euro (circa) o quei 440 dollari (sempre circa) che vi ballano in tasca potreste prendere in considerazione l’idea di pre-ordinare il manufatto, The Complete Original Masters – Centennial Edition ma attenzione lo potete fare solo a questo indirizzo in internet 5747793, non sarà nei negozi.

Visto i soldi che vi chiedono si tratta di una confezione lussuosa. Contiene i seguenti elementi:

– una tiratura limitata e numerata in 1000 copie dei 12 originali 78 giri con le 24 canzoni che hanno reso immortale l’arte di Robert Johnson, con grafica che riproduce i dischi originali. Ovviamente per la gioia di grandi e piccini i dischi girano a 45 giri!

The Robert Johnson Centennial Collection, è un doppio CD che uscirà anche per conto proprio nei negozi e contiene i 42 pezzi registrati da Johnson, alternate takes comprese

– un altro doppio CD che si intitola Rarities From The Vaults, diviso in Rare Victor Blues e Also Playing con rare tracce d’epoca dagli archivi Sony/Victor con 24 brani il primo, registrati tra il 1928 e il 1932 dagli antesignani di Johnson e il secondo con dieci brani registrati tra San Antonio e Dallas, Texas negli stessi studi e nello stesso periodo in cui era presente anche Robert Johnson

– un DVD intitolato The Life And Music Of Robert Johnson:Can’t You Hear The Wind Blow, un documentario realizzato dalla BBC nel 1992, narrato da John Hammond Jr (il figlio dello scopritore di Johnson e grande musicista per conto proprio) con contributi di Keith Richards, Eric Clapton, Johnny Shines e decine di altri, noti e meno noti

– un libretto con nuovi saggi, foto e quant’altro che aggiorna quello che era contenuto nel Complete Recordings pubblicato nel 1990 e che conteneva 41 brani, quindi la nuova edizione parrebbe avere un brano in più.

E questo uscirà, come riportato nel sito dello Sony, dal 26 aprile in avanti.

big head blues club.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Nel frattempo, la settimana prossima, il 1° marzo, cominciano a uscire i primi tributi. Questo Big Head Blues Club 100 Years of Robert Johnson, pubblicato dalla Big Records, nasconde le fattezze di Todd Park Mohr, ovvero Big Head Todd And The Monsters, noti blues-rockers americani. Per non farsi mancare niente però, i nostri amici si sono recati ai famosi Ardent Studios di Memphis, Tennessee e in cinque giorni, con la produzione del vincitore di Grammy Chris Goldsmith, hanno registrato questo tributo che comprende 12 brani. Ovviamente non erano da soli ( se no l’interesse suscitato dal disco, per quanto bravi, sarebbe stato molto più limitato): infatti sono della partita i due “Grandi Vecchi, BB King e Hubert Sumlin (che ho visto entrambi veramente male in arnese nell’ultimo doppio DVD di Crossroads, quello registrato lo scorso anno a Chicago e pubblicato a fine anno), nonché David “Honeyboy” Edwards, l’amico e compagno di avventura di Johnson che quest’anno compirà 96 anni! E anche Charlie Musselwhite, Ruthie Foster, Cedric Burnside e Lightnin’ Malcolm.

Il disco, al quale ho dato una ascoltata veloce intanto che scrivevo questo Post, non mi sembra affatto male, elettrico e nello stile tipico dei Big Head Todd, con l’eccezione di tre brani acustici, Kind Hearted Woman, All My Love Is Love In Vain (che per gli amanti degli Stones è semplicemente Love In vain) e Sweet Home Chicago, il brano che apre le Complete Recordings.

Non c’entra con il disco ma visto che era bella l’ho inserita lo stesso! Questo è l’inizio, poi vi terrò informati su future uscite.

Bruno Conti