Il Meno Famoso Dei “Re” Del Blues. Freddie King – Going Down At Onkel Po’s

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Freddie King – Going Down At Onkel Po’s – Rockbeat Records

Ultimamente, nella esponenziale crescita delle uscite di vecchi concerti più o meno ufficiali, i compilatori di queste chicche (perché di questo spesso parliamo), si stanno interessando anche al materiale di archivio relativo ai grandi del Blues, bianchi e neri che siano: per l’occasione parliamo di Freddie King. Tra l’altro non sempre questi Live vengono pubblicati da etichette sconosciute di provenienza britannica, ci sono anche case come la Cleopatra e la Rockbeat che operano regolarmente sul mercato americano. Poi la fonte è spesso quella dei vecchi bootleg, al limite i “promo” di antica memoria; facendo alcune ricerche risulta che questo concerto, registrato il 19 ottobre del 1975 all’Onkel Po’s Carnegie Hall (nome completo del locale!) di Amburgo in Germania, era uno dei mitici dischi della serie King Biscuit Hour, ora ampliato in  versione doppia.

freddie king taking care of businessfreddie king texas flyer

La stessa Bear Family, oltre al monumentale cofanetto Taking Care Of Business 1956-1973, che se le vostre finanze lo consentono è fondamentale per conoscere l’opera omnia di Freddie King in studio, ha pubblicato anche un compendio in 5 CD, Texas Flyer 1974-1976, composto di materiale inedito, per l’80% dal vivo, che ha qualche brano in comune con l’Onkel Po’s in questione. La versione Rockbeat ha una qualità sonora decisamente buona, Freddie King è  nel pieno del suo vigore come chitarrista e cantante, uno dei tre Re del blues, morto a soli 42 anni, nel 1976, quando la sua traiettoria artistica non era certo in fase calante, i due ultimi album in studio usciti per la RSO, Burglar e Larger Than Life, il primo prodotto da Tom Dowd, il secondo da Mike Vernon, riflettevano sì la nuova svolta più elettrica e rock che molti bluesmen neri stavano affrontando, ma erano comunque ottimi dischi, e le sue sessions ai Criteria Studios con “Manolenta”, inserite come bonus in Give Me Strength: The ‘74/’75 Recordings dimostrano che King era ancora uno dei più grandi chitarristi di blues in circolazione https://www.youtube.com/watch?v=-fz0Jip2CDk , uno che con le sue registrazioni per la King e la Federal, in CD per la Real Gone, ha forgiato la carriere di gente come Eric Clapton, Peter Green, Jeff Beck,  i fratelli Vaughan e generazioni intere di chitarristi che poi hanno fatto la storia del blues-rock.

Armato della sua chitarra Gibson Les Paul, in possesso di una tecnica solista aggressiva, nel suo repertorio ci sono strumentali come Hideway e The Stumble, blues lancinanti come Have You Ever Loved A Woman e versioni di grandi classici del blues, suonate con vibrante forza e tecnica sopraffina. Accompagnato da un solido quintetto che prevede una chitarra ritmica, piano, organo, basso e batteria, Freddie King ancora una volta ci dimostra perché è stato uno dei più grandi chitarristi (e cantanti) della storia del blues elettrico. Certo il suo stile di vita on the road, 300 concerti all’anno, una dieta a base di bloody marys, party in continuazione, non giovavano al suo stomaco, tanto che alla fine le sue ulcere sono deteriorate in pancreatite e il 28 dicembre del 1976 ci ha lasciato, ma in questa serata tedesca pare ancora in gran forma: si parte con la consueta introduzione della band,  poi arriva il Grande Capo, con una funky Big Legged Woman, sostenuta da un forte uso delle tastiere, sempre molto presenti in tutto il concerto, ma con quella chitarra magica che si arrampica su tonalità vibranti e note lunghissime, e la voce, ancora piena di forza ed energia, poi The Moon Is Rising, puro Chicago Blues ad alta tensione, anche se, a ben vedere, King era texano, il primo slow micidiale Woman Across The River, Boogie Funk, tirata a velocità impossibili, e ancora 56th And Wichita, oltre dieci minuti di pura magia sonora, un altro lento incredibile, la sua versione di Feelin’ Alright dei Traffic, un’altra esplosione di pura potenza come Mojo Boogie, poi un uno-due da leggenda con la “sua” Have You Ever Loved A Woman, intensissima e una Rock Me Baby gigionesca ma canonica.

Concludono la prima parte il soul di Something You Got e una tirata Messin’ With The Kid. Si riparte con Sweet Home Chicago, un altro lento d’atmosfera come You’re The One, una poderosa Woke Up This Morning con la chitarra che viaggia alla grande, il vecchio standard Ain’t Nodoby’s Business, altro lento intensissimo in crescendo, lo strumentale King’s Thing, una lunghissima Going Down, il suo cavallo di battaglia del periodo, The Things That I Used To Do, sempre molto intensa, la celebrazione di Let The Good Times Roll e la conclusione con una chilometrica, oltre quindici minuti, versione di Stormy Monday, dove Freddie King dà una ennesima lezione di blues, tra picchi e vallate, silenzi e ripartenze, tutto il repertorio della sua arte a disposizione del pubblico, prima di chiudere con una Hideaway non riportata nei credits del disco ma riconoscibilissima. Sono passati 40 anni ma non si direbbe!

Bruno Conti