Un Disco Bello Al Cinquanta Per Cento, Forse Qualcosa Di Più. Rod Melancon – Pinkville

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Rod Melancon – Pinkville – Blue Elan CD

Terzo lavoro per Rod Melancon, giovane rocker della Louisiana, a distanza di due anni dal più che discreto Southern Gothic https://discoclub.myblog.it/2017/09/12/vibrante-rocknroll-dalla-louisiana-rod-melancon-southern-gothic/ , un album che, pur con un paio di perdonabili cadute di tono, ci presentava una serie di rock’n’roll songs di buon livello, molto dirette e non necessariamente in stretta relazione con la musica del bayou, ma in generale più vicine ad un suono tra Rolling Stones, southern rock e Americana. Pinkville nasce come un’immaginaria colonna sonora di un fantomatico film dallo stesso titolo (un po’ come per Greendale di Neil Young, che però esisteva anche come lungometraggio), con una storia che narra di questa città immaginaria abitata da gente in cerca di riabilitazione e reinserimento nella società, siano essi reduci dal Vietnam, ex galeotti o in generale persone con le quali la vita non è stata benevola, uno scenario un po’ alla Cormac McCarthy, che infatti è una delle influenze principali di Rod dal punto di vista letterario.

Ma se i testi sono indubbiamente interessanti, per quanto riguarda la musica a mio giudizio Pinkville segna un passo indietro rispetto a Southern Gothic, in quanto Melancon spesso si trova a dover accompagnare le liriche piuttosto pessimistiche con una musica altrettanto dura e cruda, come se avesse privilegiato la parte rock del suono dimenticandosi però di accompagnare il tutto con delle canzoni fatte e finite. Intendiamoci, l’album (prodotto da Adrian Quesada e Will Walden e suonato da un essenziale quartetto formato da chitarra (lo stesso Walden), basso, batteria e tastiere) non è da bocciare, ma a mio parere risulta discontinuo e con troppa differenza tra il Melancon rocker dal pelo duro ma con poche idee ed il songwriter dalle diverse e più interessanti sfumature. Pinkville parte proprio con la title track, che nei suoi due minuti di durata (infatti è più un’introduzione che una canzone vera e propria) ha più riferimenti al suono della Louisiana che in tutto il disco precedente: infatti il brano è percorso per tutta la sua durata da una chitarra dal chiaro sapore swamp e da un’atmosfera plumbea, ma Rod non canta, limitandosi a parlare con un tono da voce narrante. Goin’ Out West è invece un’esplosione rocknrollistica dal ritmo sostenuto, basso pulsante, chitarra in tiro e voce aggressiva al limite del “growl”, un pezzo duro e spigoloso che non regala molto all’ascoltatore, ma risulta a suo modo trascinante.

L’intro chitarristico e ritmico di Westgate rimanda subito agli Stones, poi però Rod inizia ancora a parlare più che cantare e nel refrain tira ancora fuori una voce piuttosto sguaiata: una buona rock song dal punto di vista strumentale (c’è anche un ottimo assolo centrale di Walden), ma un po’ latitante da quello compositivo. Rehabilitation è notturna e suadente, con una chitarrina che si muove sinuosa nell’ombra, una ritmica cadenzata ed un piano elettrico che colora il suono, un mood che mi fa pensare ad una versione aggiornata dei Doors, anche per il tono vocale “morrisoniano” (nel senso di Jim) da parte del nostro; completamente diversa è Corpus Christi Carwash, una ballatona dal sapore anni sessanta, con tanto di chitarrone twang alla Duane Eddy, e sempre con i piedi ben saldi al Sud: finora il brano più orecchiabile e riuscito. Abbastanza intrigante anche The Heartbreakers, un boogie alla La Grange con attacco tipico ed uno sviluppo fluido degno di una blues band sudista, con annesso splendido assolo di piano, mentre con Lord Knows siamo in pieno Muscle Shoals Sound, un pezzo di ottimo impatto in cui il suono caldo del Sud incontra il songwriting di Bob Dylan e l’eleganza formale dei Dire Straits (in pratica ho descritto il suono di Slow Train Coming, ed infatti siamo da quelle parti, pur senza le tematiche mistiche).

Manic Depression è un vibrante brano di stampo country-rock, che non ha niente a che vedere con l’omonimo classico di Jimi Hendrix, a differenza di 57 Channels che è proprio quella di Bruce Springsteen, già non un granché nella versione originale, e non molto meglio neanche qui (ma con tutto quello che ha scritto il Boss proprio questa?): se una canzone è brutta rimane brutta. La potente Cobra chiude il disco con lo stesso tono cupo con cui era iniziato, un rock-blues-swamp molto elettrico ma tutt’altro che irresistibile. Un disco quindi a fasi alterne, che contrappone il Rod Melancon capace e financo raffinato songwriter del Sud al rocker duro e vigoroso ma dalla scarsa fantasia.

Marco Verdi

Vibrante Rock’n’Roll Dalla Louisiana. Rod Melancon – Southern Gothic

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Rod Melancon – Southern Gothic – Blue Elan CD

Rod Melancon non è un esordiente, anche se il suo primo disco, Parish Lines (2014) è passato abbastanza inosservato: originario della Louisiana del Sud, Rod non fa però musica influenzata dalla sua terra, a parte i testi che invece raccontano storie di personaggi locali, tra il reale e l’inventato, e mettendoci dentro anche qualche mistero che fa tanto bayou. Il suono però non è swamp, né cajun, e neppure ha punti di contatto con quel meraviglioso calderone musicale che è New Orleans: Rod infatti predilige un approccio rock’n’roll classico, sul genere di gruppi cardine del suono Americana come i Drive By Truckers, un sound chitarristico e diretto, che contiene anche elementi country e perfino alcuni accenni psichedelici. Southern Gothic contiene dieci canzoni di vero rock americano, suonato con piglio deciso e con le chitarre sempre protagoniste, con la produzione lucida di Brian Whelan (che è anche musicista per conto suo), e vede tra i vari sessionmen diversi artisti appartenenti al panorama country, ma il country più robusto e meno nashvilliano, tra i quali spiccano il bassista Ted Russell Kamp (Shooter Jennings), il batterista Mitch Marine (da tempo con Dwight Yoakam) e lo steel guitarist Marty Rifkin, membro dei Dead Peasants di Chris Shiflett. L’inizio del disco è però spiazzante:

With The Devil è un brano lento e cadenzato, che potrebbe essere un blues paludoso se non fosse per l’accompagnamento che mischia rock e psichedelia, antico e moderno, con un risultato interessante anche se non eclatante (c’è comunque un bell’assolo chitarristico), e poi il synth se lo potevano anche risparmiare. Perry ha un ritmo incalzante, con il basso molto pronunciato, ed è una rock song classica, fluida e scorrevole, cantata da Rod con voce roca e con ottimi spunti di chitarra; Lights Of Carencro è cupa, roccata, dura, con la voce che parla e pure filtrata, non un grande brano, si fa quasi fatica ad ascoltarlo fino in fondo, mentre Dwayne And Me è diametralmente opposta, trattandosi di una struggente ballata tra folk e country, con una melodia decisamente bella e suonata in maniera classica. Promises ha un attacco degno dei Rolling Stones, ed è infatti una buona rock song, vibrante e diretta, una delle più convincenti del CD, ed anche Redhead non abbassa il ritmo né l’attitudine rocknrollistica, siamo quasi dalle parti del Texas: questo è il Melancon che preferisco, diretto e concreto.

Bella anche Praying For Light (il disco sta crescendo canzone dopo canzone), una ballata elettrica dal suono ruspante e con un motivo fruibile, mentre la vivace Mary Lou ha un attacco che ricorda molto la dylaniana I Want You, ed anche come suono siamo lì, un delizioso brano di sapore sixties, leggermente country, insomma una bella sorpresa. Ottima anche Different Man, una sontuosa rock ballad, arrochita ed elettrica, con un feeling alla Neil Young neanche troppo nascosto; l’album si chiude con Outskirts Of You, puro country, uno slow languido con tanto di steel, che conferma la capacità del nostro di variare lo stile pur restando fedele al suo suono. Mi sento quindi di promuovere Rod Melancon, questo Southern Gothic ha un paio di brani sottotono, ma il resto è più che buono, ed in certi momenti addirittura ottimo.

Marco Verdi