Un Altro “Piccolo” Grande Tributo, Made In Italy! Lowlands And Friends Play Townes Van Zandt’s Last Set

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Lowlands And Friends Play Townes Van Zandt’s Last Set – Route 61 Music

L’arte della cover (praticata soprattutto in alcuni EP) e quella del “tributo” non sono sicuramente sconosciute a Edward Abbiati, il leader dei Lowlands, che già nel 2012, in occasione del Record Store Day di quell’anno, aveva realizzato un album Better World Coming che voleva commemorare il 100° Anniversario della nascita di Woody Guthrie, pubblicato come “Lowlands and Friends” e che riuniva appunto molti amici dell’area di Pavia e dintorni http://discoclub.myblog.it/2012/06/24/proseguono-i-festeggiamenti-better-world-coming-lowlands-fri/ . Questa volta, dopo l’album solista pubblicato da Ed con Chris Cacavas, un paio di collaborazioni con Lucky Strikes e Plastic Pals, la lista dei musicisti impegnati nel nuovo album si è ampliata a raccogliere amici da tutto il mondo: alcuni dall’Italia, ma anche dall’Inghilterra, dalla Svezia, dagli Stati Uniti e dall’Australia. Il disco è stato registrato, con zero budget (come ricorda lo stesso Ed nelle note esaustive del libretto), in salotti, cucine, studi di registrazione e sale prova, con l’apporto gratuito degli “amici” impiegati nell’anno circa che ci è voluto per completare questo progetto.

E il risultato è veramente eccellente: l’idea di base del disco in questo caso non era quello di scegliere le migliori o le più belle canzoni di Townes Van Zandt, ma riproporre la scaletta completa dell’ultimo concerto dell’artista texano, tenuto al Borderline di Londra il 3 dicembre del 1996, poco più di un mese prima della sua morte, avvenuta il 1° gennaio del 1997, lo stesso giorno in cui scompariva, tanti anni prima, anche Hank Williams. A fare da trait d’union e “presentatore” delle singole canzoni la voce narrante di Barry Marshall-Everitt, il tour manager di Van Zandt, nonché all’epoca anche del locale, DJ radiofonico veterano a The House Of Mercy Radio e tra i primi supporters dei Lowlands in terra d’Albione. Detto per inciso, nella stessa data, venti anni dopo, una pattuglia più ristretta, ma agguerrita, di Lowlands & Friends, ha portato anche il progetto sul palco dello Spazio Teatro 89 di Milano (un bellissimo posto per sentire concerti, un po’ di pubblicità gratuita). Ma torniamo all’album e vediamo i vari brani e gli ospiti che si susseguono; trattandosi della riproposizione di un concerto ci sono anche alcuni brani che non portano la firma di Van Zandt: e l’apertura è proprio affidata a una cover di una canzone di Lightning Hopkins, un blues, e considerando che Edward non si ritiene un esperto in materia, ha chiamato per eseguire My Starter Won’t Start Maurizio “Gnola” Glielmo e la sua band, in più anche Kevin Russell dei Gourds (la band da un cui brano prende il nome la band i Pavia).

L’esecuzione è tosta e tirata, Russell canta la sua parte con una voce alla Muddy Waters, lo Gnola lavora con la chitarra di fino e il risultato finale è un solido blues elettrico, dove si apprezza anche l’armonica di Richard Hunter. Che rimane, insieme a Gnola, anche per la successiva Loretta, apparsa in origine pure nel mitico Live At The Old Quarter, e che grazie alla presenza di Stiv Cantarelli e della sua slide, si trasforma in un febbrile country-blues, tra battiti di mani e piedi e tanta energia profusa dai musicisti. Pancho And Lefty è il brano più noto di Townes (Emmylou Harris e Willie Nelson tra i tanti che l’hanno cantata) e forse anche il più bello, qui in una versione solare e corale, con Ed, Matthew Boulter dei Lucky Strikes e Sid Griffin dei Coal Porters (ma un tempo anche dei Long Riders) che si dividono le parti vocali e Michele Gazich che aggiunge il suo magico violino alle operazioni, versione splendida. A conferma che nel disco, ove possibile, si è privilegiato un approccio energico nella interpretazione delle canzoni, chi meglio degli italiani Cheap Wine poteva donare una patina rock alla versione di Dollar Bill Blues, dove le chitarre di Michele Diamantini e Roberto Diana sono veramente sferraglianti, e Ed Abbiati e Marco Diamantini si dividono la linea vocale. Anche Buckskin Stallion mantiene questa verve elettrica, con Antonio Gramentieri dei Sacri Cuori alla solista e Winston Watson e Joe Barreca, la sezione ritmica. Katie Bell Blues è più intima e raccolta, Richard Lindgren alla voce e upright piano e Francesco Bonfiglio alla fisarmonica.

Un gradito ritorno è quello di Will T Massey che duetta con Ed in una raccolta versione di Marie. E ottimo anche l’approccio full band per la splendida Waiting Around To Die (la preferita di Abbiati), con Chris Cacavas, seconda voce, piano e chitarra, di nuovo Gazich, anche i fiati, Villani e Paganin, ancora Gnola, Watson e Lowlands assortiti, compreso “Rigo” Righetti; A Song For con l’australiano Tim Rogers degli YOU AM I, privilegia un approccio più acustico, come pure la successiva Short Haired Woman Blues, l’altro blues di Lightning Hopkins, cantata in duetto con il gallese Ragsy, mentre la cover di Presley (?!) di Ballad Of The Three Shrimps, vede di nuovo lo Gnola, Mike “Slo Mo” Brenner alla lap steel e le voci femminili delle No Good Sisters. Brenner passa allo slide bass per una rauca versione di Sanitarium Blues “recitata” da Ed, Will T Massey, Tim Rogers e Rod Picott, che rimane poi per una eccellente versione di Tecumseh Valley (un altro dei tanti capolavori di Van Zandt), registrata in cucina e che si trasforma lentamente in una dolente Dead Flowers degli Stones, con lap steel e fisarmonica. La chiusura del disco è affidata a Colorado Girl, un altro dei pezzi country di Townes, che qui, grazie all’apporto degli svedesi Plastic Pals, diventa una gioiosa rock song chitarristica con Chris Cacavas all’organo e Jonathan Segel dei Camper Van Beethoven al violino, di nuovo una bellissima versione, come quelle presenti in tutto il disco https://www.youtube.com/watch?v=iWG-hXvgmso . Veramente un tributo con i fiocchi.

Bruno Conti

Una Vita Musicale Divisa Tra Belfast E Nashville! Ben Glover – Atlantic

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Ben Glover – Atlantic – Carpe Vita Creative/Proper/Ird

Probabilmente molti di voi, presumo, si chiederanno chi si cela dietro un nome sconosciuto come quello di Ben Glover, cantautore nato a Glenarm nel Nord dell’Irlanda, ma già con cinque album alle spalle e una carriera artistica divisa tra Belfast e Nashville. La musica di artisti americani come Johnny Cash e Hank Williams, insieme alle tradizionali canzoni irlandesi, sono state per il buon Ben la colonna sonora della sua crescita nell’incantevole piccolo borgo dell’isola di smeraldo. Così, nel periodo dell’università, succedeva che attraversava l’Atlantico eseguendo ballate folk-irlandesi e le canzoni di Christy Moore e dei Pogues dello sdentato Shane McGowan nei bar di Boston, e quando ritornava di nuovo a casa nei pub irlandesi, cantava Dylan e Springsteen, e questo tema di una vita divisa a metà tra i due paesi collegati con l’Oceano Atlantico, lo accompagna tuttora.  Ben debutta con un EP The Ballad Of Carla Boone (06) e con il primo lavoro ufficiale The Week The Clocks Changed (08) accompagnato dal gruppo The Earls, poi si trasferisce a Nashville e sotto la produzione di Neilson Hubbard (Matthew Ryan, Garrison Starr, Kim Richey e membro degli Strays Do Not Sleep) sforna due buoni album come Through The Noise, Through The Night (10) e Before The Birds (11), che gli permettono di aprire i concerti di artisti del calibro di Buddy Miller, Vince Gill, Tift Merritt e altri, arrivando ad una certa notorietà con Do We Burn The Boats? (12), disco nel quale un personaggio come Mary Gauthier firma in coppia con Glover la delicata Rampart Street.

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Le canzoni di Atlantic sono state scritte in America, ma registrate nel salotto di casa di Ben nella contea di Donegal (la foto della cover del disco, è la spiaggia di Ballyliffin di fronte all’Oceano Atlantico), con l’apporto di un gruppo di “turnisti” del luogo, che vede oltre allo stesso Glover alla chitarra acustica e voce, Colm McClean alle chitarre e pedal steel, Kris Donegan alla lap-steel e mandolino, Matt McGinn  al basso, Dan Mitchell alle tastiere e pianoforte, il fidato produttore Neilson Hubbard alla batteria e percussioni, le coriste Lo Carter e April Rucker, e come ospite la brava Gretchen Peters, in un brano che porta la sua firma. https://www.youtube.com/watch?v=ylBMI0aj1tA

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In Atlantic Ben ha condiviso i compiti di scrittura oltre che con l’abituale amico Neilson Hubbard, anche con Mary Gauthier, Gretchen Peters e Rod Picott, ed è proprio dalla penna del cantautore americano che il viaggio parte con l’iniziale The World Is A Dangerous Place, una ballata acustica cantata con voce profonda da Ben, a cui fanno seguito due brani firmati con la Gauthier, Oh Soul una splendida canzone di redenzione (è inserita anche nel recenteTrouble And Love di Mary) e Too Long Gone con un buon ritmo intervallato da cori soul https://www.youtube.com/watch?v=6VJodQqe3fs , e la cadenzata western-song True Love’s Breaking My Heart con un bel lavoro della slide. Il viaggio prosegue con la splendida Prisoner, un brano da cantare percorrendo la leggendaria Highway 61 https://www.youtube.com/watch?v=dLBqI7oX3U8 , e con i duetti con Gretchen Peters, la delicata ed intensa elegia di Blackbirds https://www.youtube.com/watch?v=z4CEPNMECVQ , e una tenue ballata come The Mississippi Turns Blue, che poteva essere inserita nella tracklist del recente The River And The Thread di Rosanne Cash, mentre Take And Pay è il terzo brano co-firmato con la Gauthier, un intrigante e moderno “gospel”, sempre sorretto dalle voci delle brave coriste. Sul finire del viaggio vengono proposte la sottile malinconia di una How Much Longer Can We Bend?, le atmosfere decisamente irlandesi di Sing A Song Boys, con il mandolino ad accompagnare  una brano perfetto da cantare nei Pub, e una dolcissima canzone sul Capodanno New Years Day, sussurrata da Ben sotto un cielo notturno e davanti alle onde crespe dell’Atlantico.

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Ben Glover nel corso di questi anni ha aperto i concerti di musicisti validi ed importanti, e quindi ormai non è più da considerarsi solo “una giovane promessa”, in quanto in questo Atlantic, testi, voce, strumentazione, trasmettono stati d’animo, atmosfera e una emozione che fanno di questo lavoro un disco praticamente perfetto, e la cosa che sorprende è che il tutto avvenga senza mai alzare troppo la voce.

NDT: Poco distante dal borgo che ha dato i natali a Ben, si trova la contea di Connemara dove si produce uno dei Whisky Irlandesi più ricercati nel mondo, quindi se entrate in possesso di questo CD, il mio consiglio è di ascoltarlo sorseggiando un buon bicchiere di questo eccellente Whisky!

Tino Montanari

*NDB. Qui, volendo, trovate tutto l’album in streaming da ascoltare www.americansongwriter.com/2014/08/album-stream-ben-glover-atlantic/

Un Songwriter “Tormentato” – Rod Picott – Hang Your Hopes On A Crooked Nail

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Rod Picott – Hang Your Hopes On A Crooked Nail – Welding Rod Records

L’ultima volta che ho visto Rod Picott (in un concerto vicino a Pavia nel 2007) stava ancora con la brava cantante e violinista Amanda Shires: oggi la Shires è sposata con il cantante e chitarrista Jason Isbell (ex Drive By Truckers), e, per chi scrive, questo lavoro sembra portarne le logiche conseguenze.

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Rod Picott è nato in una “smalltown” del Maine e ha cominciato relativamente tardi la sua vita professionale da musicista. Nel 2001, a 35 anni, riesce a lasciare il suo lavoro di operaio edile e pubblica il primo disco, Tiger Tom Dixon’s Blues (da riscoprire), che gli permette finalmente di essere un musicista a tempo pieno, un album che contiene un piccolo capolavoro, Broke Down (miglior singolo nelle radio americane) http://www.youtube.com/watch?v=HbYYaGoihUY che in seguito diventerà una “hit” per il suo amico Slaid Cleaves. Rotto il ghiaccio, il suo talento, ben considerato da molti colleghi, fra questi Fred Eaglesmith, Mary Gauthier, Gurf Morlix, Ray Wylie Hubbard e lo stesso Cleaves, lo porta ad incidere 6 dischi in studio, il notevole Stray Dogs (02), Girl From Arkansas (04), il live acustico Travel Log Volume One (05), Summerbirds (07), la fruttuosa collaborazione con Amanda Shires in Sew Your Heart With Wires (08), Welding Burns (11), e a suonare costantemente in giro per l’America (e sempre più spesso in Europa e in Italia) http://www.youtube.com/watch?v=-bJ6IkRPIsI . Finita la storia con la Shires, si trasferisce in pianta stabile ad Austin (patria dei songwriters), e da lì riappare con questo nuovo lavoro,Hang Your Hopes On A Crooked Nail (un titolo più corto no?), prodotto da RS Field, un tipo che nella sua scuderia ha avuto “personcine” come Billy Joe Shaver, Sonny Landreth, Hayes Carll, Webb Wilber e gli Earle (padre e figlio). Per quanto riguarda il suono, elettroacustico questa volta, Rod si è circondato di musicisti rodati, Dave Coleman alle chitarre elettriche, James Haggerty alle chitarre acustiche, Mark Pisapia alla batteria, Joe Pisapia alla pedal steel, Lex Price al mandolino e la dolce Jennie Okon alle armonie vocali, il risultato sono quaranta minuti di onesta canzone d’autore americana.

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Tutto lo sviluppo del disco è organizzato in funzione della voce di Rod Picott, che ricorda un po’ l’impostazione da “storyteller” (alla John Prine), e questo si nota principalmente nei brani scritti a quattro mani col suo amico Slaid Cleaves, l’iniziale You’re Not Missing Anything e Where No One Knows My Name, mentre con la sognante Dreams http://www.youtube.com/watch?v=UQe7Jd_Nmbc  e in I Might Be Broken Now si ricompone il sodalizio con l’ex fiamma e partner musicale Amanda Shires http://www.youtube.com/watch?v=IgeHWM9SCys . Il disco scorre piacevolmente tra una tambureggiante 65 Falcon http://www.youtube.com/watch?v=DZRDauKBm0Q , la matrice prettamente “texana” di Mobile Home, una ballata coi fiocchi, dotata di una melodia coinvolgente come All The Broken Parts, la scintillante Milkweed, accompagnata dal piano di Joe Pisapia, e a chiudere, con la intima Nobody Knows dove Rod sembra cantare con il cuore in mano.

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Se vi piacciono i cantautori con la voce sommessa e leggermente roca, le atmosfere soffuse ed acustiche, Hang Your Hopes On A Crooked Nail di Rod Picott fa per voi, un disco diretto e suonato con gusto e prodotto in modo inappuntabile, secondo la critica in giro per il mondo, e anche secondo lo stesso Picott, forse il suo migliore in assoluto. Vale la pena di approfondire la conoscenza di questo signore, bastano poche buone canzoni, e Rod ne scrive parecchie: i dischi non sono di facile reperibilità ma valgono appunto lo sforzo della ricerca.

Tino Montanari

I Migliori Dischi Del 2011! Last But Not Least: Edward Abbiati Dei Lowlands

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Nella Foto non si sta rivolgendo al “cielo” per l’ispirazione ma sta pensando: “Guarda questo rompiballe di Bruno, con tutto quello che ho da fare mi ha chiesto anche la lista dei migliori dischi del 2011 e dove lo trovo il tempo!”. (o forse sta contando?). Ma con due mosse di Ju Jitsu e karate virtuale e “qualche” sollecitazione via mail ecco anche la sua lista. Come sapete questi “esercizi mentali” lasciano un po’ il tempo che trovano ma sono divertenti per chi scrive, perché si ricorda quello che di piacevole a livello musicale è successo nell’anno passato, e per chi legge possono essere fonte di nuove scoperte da condividere, piacevoli si spera (nel caso contrario, sapete che Ed lo trovate a Pavia, casa dei Lowlands, e gli date una fracca di botte se il disco consigliato non ha trovato il vostro gusto). Scherzo, prima che qualcuno mi prenda in parola perché può riguardare anche chi scrive.

Gli perdono la battuta iniziale e l’inserimento del disco di Springsteen che è uscito nel novembre del 2010 e quindi tecnicamente non rientrerebbe nel periodo esaminato ma visto che potrebbe finire tranquillamente in qualsiasi “Best of” da qui all’eternità e ai musicisti in quanto artisti si perdona qualche dimenticanza. Ecco il tutto in “his own words” (io ho inserito solo qualche video e copertina):

 

I musicisti sanno solo contare fino a 4….poi si perdono
 
ecco la mia top 10 (!?!) per il 2011

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Two Cow Garage – Un disco rock fantastico con echi di tutte le band che adoro: Lucero, Marah, You Am I, Punk Rock con influenze nobili, testi scintillanti e ritmi infuocati – Dec 2010

 

Standout Track: Jackson Don’t you Worry & My Great Gatsby

 

Dark River – Un idea pazza (prendere pezzi dell’epoca della guerra civile americana 1860s e farli suonare dalla scena di Austin). Una produzione perfetta con suoni e arrangiamenti sublimi. Un mix di artisti ma il concept si ascolta come se fosse una sola band.

 

Standout track: Johnny Has Gone for a Soldier

 

Social Distortion: Sempre più “appetibili” alle masse. Punk e roots rock si fondono in un disco bellissimo, fieramente invecchiati e maturati.

 

Standout Track: Still Alive

 

Steve Earle – il suo migliore disco dai tempi purtroppo lontani di Transcendental Blues e The Mountain. Trovavo la produzione recente di Steve prigioniera del personaggio Steve ed annoiata…mi sbaglierò ma questo è un disco profondamente sincero di Steve Oggi. Io l’ho sempre adorato per questa sua onestà nel descriversi.

 

Standout track: This City

 

WILCO – il loro migliore disco dai tempi di A ghost is born. Siamo lontani dai capolavori loro, ma ho sentito alcune cose nuove e diverse. Tweedy sempre più leader convinto.

 

Standout Track: One Sunday Morning. 12 mins di perfetta imperfezione. Potrebbe andare Avanti per giorni…

 

Tom Waits – Tom ha fatto un bellissimo disco. Dai suoni alle canzoni. Nulla di nuovo sotto il cielo Waitsiano? Vero…ma questo resta l’ennesimo bel disco di un grandissimo artista.

 

Standout Track: They pay Me

 

Josh T Pearson: Presi il disco dei Lift To Experience il secolo scorso…una rivista inglese gli aveva dato 6 stelle su 5 definendolo il disco del millennio. Ovviamente non era il caso…ma gli scenari apocalittici di quel disco erano fantastici. Josh torna dal lato opposto…canzoni scarne, voce e chitarra, che si snodano come solchi nella montagna…scavati negli anni. Più che ascoltare un disco pare di assistere a una vita.

 

Ryan Adams: per me il maggior talento della mia generazione. Rimasi folgorato dai Whiskeytown quando li vidi al Borderline a Londra e seguì Ryan ovunque andasse….qualche disco di troppo sicuramente, qualche curva superflua per disegnare una traiettoria personale…questo disco però sembra che ryan abbia fatto pace col suo talento. E lo lascia sgorgare libero. Non è un capolavoro. Ma è un ottimo disco di un songwriter incredibile.

 

Standout Track: Dirty Rain

 

Dave Alvin – eleven eleven

 

Non mi divertivo tanto con un disco di Dave Alvin dai tempi della sacra trinità (King Of California / Blackjack Dave / Public Domani). Voce, canzoni e band….esattamente dove li amo.

 

Standout Track: No Worries Mija

 

Rod Picott – Forse manca rispetto ad altri dischi il pezzo“facile” ma i testi, la pasta sonora e la produzione sono di primissimo piano. A volte penso che l’unico difetto di Rod sia quello di essere “apparso” qualche anno dopo il boom dell’alt country


Standout Track: Little Scar

Eric Taylor – Live at the Red Shackj

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Per me il live più bello dell’anno e sicuramente uno dei dischi dell’anno. Eric è un peso massimo. Qui, circondato da amici che lo ammirano sfodera un disco di una profondità e sincerità disarmante. Come tutti i pugili ti guarda negli occhi col mento coperto…prima che te ne accorgi ti ha già messo al tappeto. Python si rivela il miglior chitarrista italiano per gusto e sound.

 

Standout Track: Dean Moriarty

 

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Green Like July: LA band alessandrina / pavese del momento. Video sul new yorker / Album registrato in Nebraska / recensito ovunque hanno compiuto il non facile compito (dio sa se lo so) di abbracciare il mondo folk / country / indie rock. Disco che scorre via come se esistesse da sempre. Giù il cappello.

 

Standout Track: A Better Man

 

North Mississippi All Stars: un disco che è una veglia funebre….prodotto PER Luther Dickinson c’è scritto sul retro. Un atto di amore per certe canzoni, certi suoni e certa musica. E per un padre che non c’è più. Se non avessimo tutti voluto bene a luther sembrerebbe di essere di troppo…ma qui c’è posto anche per noi.

 

Standout Track: Let it Roll

 

Infine

 

Ristampa dell’anno:

 

DARKNESS ON THE EDGE OF TOWN

 

Il disco della mia vita. IL disco. I 10 comandamenti del rock…..bellissimo cofanetto, cd, outtakes, dvd….con una considerazione. Nulla del fantastico materiale aggiunge una virgola alla bellezza di quel disco. Perfetto.

 

Lucinda Williams / War On Drugs / Walkabouts devo ancora sentirli….i dischi costano… 😉

ED Abbiati

Post scriptum

Uno o due non li conoscevo neppure io (non si finisce mai di impare, e ascoltare). Sul fronte Lowlands, il nuovo disco è Top Secret ma per ingannare l’attesa:

http://www.noisetrade.com/LOWLANDSband  Lowlands live from Newport (Bryn Mawr FM Broadcast)  FREE DOWNLOAD
 
ecco un piccolo live in attesa del nuovo disco.

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Già ero caduto in errore io, trattasi di Newport, Wales non States (anche se gli Stati Uniti…ma non si può dire). Pero vi posso dire che si tratta di un eccellente mini-set elettroacustico con un suono “naturale” di ambiente dello studio delizioso e le voci e gli strumenti molto ben delineati. E le canzoni, manco a dirlo, sono belle. Sul sito della Noisetrade c’è scritto che se fate una offerta libera serve per le spese di preparazione del nuovo album se no, comunque, è gratis, non vi espellono dal sito!

Bruno Conti

P.S. del post scriptum: E se volete vi potete fare anche una bella compilation da ascoltare in macchina o sull’I-Pod.

Novità Di Agosto Parte I. John Hiatt, Kenny Wayne Shepherd, O.A.R., Keb Mo’, Drive-By Truckers, Fountains Of Wayne, Richard Buckner, Eccetera

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Come già ho ricordato, mentre in Italia nel mese di Agosto il mercato discografico se ne va in siesta, negli Stati Uniti e in Inghilterra è uno dei momenti più densi di uscite interessanti, quindi vediamo cosa esce il 2 agosto.

Tanto per gradire, il nuovo John Hiatt Dirty Jeans and Mudslide Hymns, ennesimo capitolo della carriera del cantautore di Indianapolis, ventesimo album di studio e quinto per la New West. Sto ascoltandolo in questi giorni e mi riprometto di riferire nei prossimi giorni (tanto anche le riviste di settore sono in ferie), nel frattempo vi anticipo che, come al solito è molto bello (ma qui sono parziale, visto che è uno dei miei preferiti), nuovo produttore, Kevin Shirley lo stesso di Bonamassa, ma il suono non cambia poi di molto, e stessa band del disco precedente con Doug Lancio alla chitarra. E come al solito c’è anche la versione CD+DVD con il making of del disco e dei brani ripresi durante l’incisione del disco.

Nuovo disco anche per Kenny Wayne Shepherd dopo lo strepitoso Live! In Chicago dello scorso anno. Si chiama How I Go, esce per la Roadrunner, molto alla Bonamassa direi, forse qualche ballata in più, grandi assoli come di consueto e tre cover di spessore, Oh, Pretty Woman di Albert King, Backwater Blues di Bessie Smith e Yer Blues dei Beatles. Manco a dirlo c’è anche una Special Edition, singola, in formato digipack, ma con 4 brani in più.

E, dopo il quadruplo Live Rain or Shine, nuovo album di studio per gli O.A.R. (Of A Revolution), titolo King, viene pubblicato dalla Sbme (Sony Bmg/Wind Up). Decisamente più commerciale del solito per la jam band americana, c’è anche un brano King con Russell Simmons e Dj Logic, qualche brano leggermente reggato e, ovviamente, la versione Deluxe con quattro brani in più nella versione audio e 2 brani acustici nel DVD, nonchè la presentazione del disco e un’intervista track by track.

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Keb Mo’ The Reflection viene pubblicato dalla Yolabelle International, un po’ più elettrico e jazz and soul del solito. Ci sono molti ospiti: David T. Walker, India.Arie, Vince Gill, Marcus Miller, Mindi Abair e Dave Koz. Solita voce bellissima e melliflua, suono molto più fusion alla George Benson. Bella la cover di One of These Nights degli Eagles.

Se non avete nulla dei Drive-By Truckers, questo Ugly Buildings, Whores and Politicians – Greatest Hits 1998-2009 raccoglie il meglio del loro periodo con la New West. Brani scelti da Patterson Hood con un paio di versioni “alternative”. Ottimo rock classico.

Anche i Fountains Of Wayne pubblicano un nuovo album: Sky Full Of Holes, etichetta Yep Rock negli States e Lojinx in Europa. Pensavo si fossero sciolti ma poi ho verificato e ho visto che anche il precedente era uscito a 4 anni di distanza da quello prima e così andando a ritroso. Se amate il loro power-pop-rock spensierato non ci sono molte variazioni rispetto al solito.

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Richard Buckner è uno di quei “beautiful losers” che spesso cito in questo Blog, amatissimo dai colleghi è uno dei secreti meglio custoditi della musica internazionale. I suoi album sono sempre molto belli ed inconsueti ed anche questo Our Blood che esce per la Merge Records non cambia le cose. Atmosfere sospese e rilassate e una voce alla Nick Drake. Sono passati 5 anni dal precedente Meadow ma i fans saranno contenti e neofiti sono bene accetti!

Anche Rod Picott è cantautore di “culto”, questo Welding Burns esce dopo tre anni dal precedente See Your Heart With Wires registrato in coppia con Amanda Shires. La bella cantante e violinista è sempre presente come pure Will Kimbrough. Se volete scoprire perché è uno dei preferiti di Mary Gauthier e Slaid Cleaves questa è l’occasione buona. Distribuzione autogestita.

E per finire, nuovo disco per i They Might Be Giants, Join Us, in America su etichetta Rounder è già uscito da un paio di settimane.

E’ tutto anche per oggi.

Bruno Conti

Un’Altra Giovane, Bella E Talentuosa Songwriter Dagli States. Amanda Shires – Carrying Lightning

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Amanda Shires – Carrying Lightning – Silver Knife Records Self-released

Dove sta l’inghippo con un titolo di Post così? Giustamente, se così fosse, Amanda Shires dovrebbe essere già conosciutissima ovunque! Lasciatele tempo, ci sta lavorando. Intanto i suoi dischi li fa e li distribuisce in proprio, dalla sua sede in quel di Nashville. Ma è nata in Texas, dove ha vissuto tra Lubbock e Mineral Wells quando i suoi genitori si sono divisi. A dieci anni il padre le ha regalato il primo violino e da lì non c’è stato ritorno. A quindici anni saliva già sul palco con i Texas Playboys la band formata da Bob Wills. Poco dopo, come detto, era a Nashville, dove sperava di trovare fortuna, ma restando fedele ai suoi principi musicali e lontana dalle sonorità della Music City.

A 22 anni pubblicava un primo album solista Being Brave, prevalentemente strumentale ma che lasciava intravedere le sue attitudini di ottima cantante e compositrice, oltre che di violinista di gran classe e suonatrice di ukulele. Nel frattempo (e nel tempo libero, ma quando) entra a far parte anche dei Thrift Store Cowboys, ottimo ensemble texano con una manciata di bei dischi alle spalle. Molto indaffarata la ragazza, ma ha trovato anche il tempo per fare coppia con il bravo cantautore Rod Picott, insieme hanno pubblicato nel 2008 Sew Your Heart With Wires, altro disco molto bello al quale hanno fatto seguire una lunga serie di concerti in tutto il mondo, Europa ed Italia comprese.

Piccola digressione italiana: se il nome vi dice qualcosa potreste averlo letto tra gli ospiti, come cantante e violinista, nell’ultimo disco dei Lowlands Gypsy Child!

Torniamo al mondo! Nel 2009 pubblica quello che considera il suo primo “vero” disco da solista, West Cross Timbers, che ha fatto scomodare nella critica paragoni con Dolly Parton (per il tipo di voce, ma non mi pare) e con Tom Waits per i testi “inconsueti” e l’approccio musicale. Lei cita tra le sue influenze Leonard Cohen e Richard Buckner, uno dei miei preferiti tra i “beautiful losers”, un bravissimo cantautore Californiano che ha regalato al mondo alcuni deliziosi album nello scorso ventennio. E questo depone ulteriormente a favore della signora per gli eccellenti gusti musicali.

Prima di approdare a questo Carrying Lightning ha trovato anche il tempo di partecipare in modo consistente all’ultimo disco dell’ex Drive-by-Truckers Jason Isbell, sentire Codeine da Here We Rest per apprezzare la sua voce e il suo violino. Ma non è tutto, qualcuno a Hollywood ha notato anche il suo bel aspetto ed eccola allora sul palco (finto) del film vero, Country Strong, quello con Gwyneth Paltrow che interpreta una stella del country decaduta, lei è la bella moretta che suona il violino nella band del film e la potrete vedere al cinema perché il film esce nei cinema italiani in questi giorni. Era candidato come miglior canzone sia ai Golden Globes che all’Oscar.

A questo punto due parole sul disco non le vogliamo dire? Ovvio che sì! Intanto il disco è prodotto dalla stessa Amanda Shires con la collaborazione più che fattiva di Rod Picott e David Henry. Alle chitarre troviamo gente come Neal Casal e Will Kimbrough. I brani sono tutti della stessa Amanda meno una bellissima cover di Detroit or Buffalo che è una delle più belle canzoni del repertorio proprio di Neal Casal.

Potremmo definire lo stile folk, country-rock: dall’inizio fischiettato del brano Swimmer al country che mi ha ricordato le Dixie Chicks di Ghost Bird, passando per una bellissima ballata con pedal steel d’ordinanza come When You Need A Train It Never Comes che non avrebbe sfigurato nel repertorio di Townes Van Zandt e che mette in risalto la bella voce di Amanda Shires con un vibrato che la rende particolare e il suo fiddling incisivo e malinconico.

Mi piacciono molto anche She Let Go Of her Kite molto melodica e di nuovo con quel violino insinuante in contrapposizione con un’elettrica intrigante (e qui mi ha ricordato un’altra cantante e violinista molto brava, quella Carrie Rodriguez che ha collaborato a lungo con Chip Taylor).

E che dire di Love Like A Bird con la pedal steel di Chris Scruggs che sembra danzare un valzer con la voce di Amanda. 

Shake The walls con il suo tempo di tango sgangherato potrebbe ricordare in effetti qualcosa del Tom Waits meno radicale. Ma sono tutti belli i brani di questo album: la dolce Sloe Gin così come le derive folk quasi alla Joni Mitchell dell’evocativa Bees In The Shed. E ancora la deliziosa Lovesick I remain guidata dall’ukulele della Shires che potrebbe apparire anche in qualche spot televisivo o spopolare in qualche radio in un mondo alternativo.

Lei ci crede moltissimo. Tanto da avere decisivo di girare un video per ogni canzone presente nell’album (anche a cartoni animati). Le prime quattro le trovate sparse per il Post. Buon ascolto e buona musica!

Bruno Conti

Sembrano Uguali! Matthew Ryan – Dear Lover

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Matthew Ryan – Dear Lover & Dear Lover (the Acoustic Version) – Plastic Violin/Dear Future Collective

Tra i cosiddetti cantautori “minori” sicuramente Matthew Ryan è uno dei “Maggiori”!. E dopo questa perla potrei concludere qui, ma svisceriamo il tema.

La partenza fu di quelle brucianti con il primo bellissimo May Day che nel 1997 lo fece conoscere agli appassionati del cantautorato (l’ho detto ancora, ebbene sì, poi un giorno vi spiego), ma di quello di qualità sopraffina con echi di Springsteen, dei primi Waterboys, di Tom Waits, per la voce roca e sussurrata ma con una sua scrittura già ben definita e un sound molto personale, Guilty era un brano rock di eccellente qualità ma tutto quel disco brillava di luce propria, se lo trovate non fatevelo scappare, ieri…

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Naturalmente visto il successo (di critica ma non di pubblico) è stato subito scaricato dalla major di turno, A&M/Universal, iniziando a peregrinare disco dopo disco da una etichetta indipendente all’altra (alcuni pubblicati anche a livello autogestito) ma sempre mantenendo una qualità notevole nei contenuti, dischi come Concussion (che contiene un duetto con Lucinda Williams), Happiness (che contiene una cover di Springsteen, Something in The Night e un brano scritto con David Ricketts, quello di David and David), Regret Over The Wires (con Doug Lancio, l’ottimo chitarrista che suona anche nell’ultimo di John Hiatt) e From A Late Night High-Rise, sono solo alcuni esempi della sua cospicua discografia e dischi che si elevano abbondantemente sopra la media delle produzioni passate e presenti di chicchessia!

Gli ultimi anni sono stati un po’ travagliati, diventa sempre più difficile e faticoso trovare i suoi dischi per chi non si fida troppo degli acquisti in rete (come il sottoscritto, se non in casi indispensabili): questo nuovo disco che vedete nella sua duplice veste, prima elettrico (o meglio quasi “elettronico”, e questo mi ha fatto tentennare nella mia decisione di parlarne) uscito negli ultimi mesi del 2009 e poi in versione acustica, uscita questa estate conferma quanto di positivo si è sempre detto su di lui, ma dispiace che per questioni di budget non possa più pubblicare quei gagliardi dischi che hanno contrassegnato la sua carriera ma debba limitarsi a questa situazione più intimista ancorché sempre valida.

La prima versione del disco con Matthew Ryan che oltre delle chitarre si è occupato anche dei synth e della programmazione (che brutte parole per un cantautore, anche se poi i risultati, non solo nel suo caso, non devono necessariamente essere negativi), del basso e della fisarmonica, come nella iniziale City Life e nella conclusiva The End Of A Ghost Story (mai titolo più profetico), passando per la collaborazione con la coppia Rod Picott (voce) e Amanda Shires (violino) nell’ottima PS (Protest Song) che unisce sonorità moderne con il consueto spirito Springsteeniano. Ma Spark con DJ Preach ce la poteva risparmiare, tanto in discoteca non lo mettono e poi il pezzo è veramente brutto. The World Is… anticipa la dimensione acustica ed intimista della versione acustica di Dear Lover che ci presenta un Matthew Ryan scarno e minimale molto vicino allo stile dello Springsteen di Nebraska o The Ghost of Tom Joad.

Comunque entrambi i dischi hanno i loro pregi e sono complementari fra loro, si integrano alla perfezione, io preferisco la versione acustica ma anche quella elettrica risentita oggi ha un suo perché e non mi dispiace per nulla, oltre a tutto la seconda versione ha anche un brano nuovo Beauty Has A Name come bonus.

Per chi lo conosce e lo ama una ulteriore prova della sua bravura per tutti gli altri l’occasione di essere introdotti ad un “talento vero” tra i migliori in circolazione.

Bruno Conti