Anche Questo Potrebbe Il Disco Blues Del Mese! Duke Robillard And His All-Star Combo – Blues Full Circle

duke robillard full circle

Duke Robillard and his all-star combo – Blues Full Circle – Stony Plain/Dixiefrog/Ird

Non per citarmi, ma così concludevo la mia recensione dello scorso anno di The Acoustic Blues & Roots of Duke Robillard: “Come sapete lo preferisco elettrico, ma questo dischetto è veramente piacevolissimo!” ( qui la potete leggere tuttahttp://discoclub.myblog.it/2015/10/31/disco-acustico-elettrizzante-duke-robillard-the-acoustic-blues-roots-of/)  Ed infatti, quasi mi avesse sentito, a distanza di circa un anno dal precedente, ecco Duke Robillard presentarsi di nuovo con un album, questa volta elettrico, e anche tra i suoi migliori in assoluto, intitolato Blues Full Ciircle. Come ha raccontato lo stesso chitarrista americano, il nostro amico era reduce da un intero anno di inattività in seguito ad un intervento chirurgico, e dopo la riabilitazione si è presentato più in forma ed agguerrito che mai. Nel disco, oltre al suo all-star combo, ovvero Bruce Bears (piano, Hammond organ), Brad Hallen (acoustic and electric bass) e Mark Teixeira (drums), ci sono alcuni ospiti di pregio come Kelley Hunt, piano e voce, Jimmie Vaughan alla chitarra, Sugar Ray Norcia alla voce in un brano e Gordon Beadle e Doug James, ciascuno al sax in due diverse canzoni. L’album ha poi la particolarità di presentare tre pezzi scritti oltre 30 anni fa, quando Robillard era il leader dei Roomful Of Blues, ma che per vari motivi non erano mai state incisi.

Ovviamente non dobbiamo aspettarci niente di nuovo, dal numero di volte che la parola Blues appare nei titoli dei suoi dischi sappiamo cosa aspettarci nei CD di Duke da un bel po’ di tempo a questa parte, ma nel disco in questione il musicista del Rhode Island sembra particolarmente ispirato e voglioso di deliziarci con la sua sopraffina tecnica chitarristica. Si parte con una tosta Lay A Little Lovin’ On Me dove il blues è sanguigno e tirato come non capitava da tempo, la solista di Robillard, dal classico sound pieno e ricco di tonalità, è subito in evidenza con un assolo dove il nostro tira la note alle grande. Anche nella successiva Rain Keeps Falling si torna alle origini del miglior blues elettrico del nostro amico, e anche la voce appare in grande spolvero, mentre la chitarra inanella un assolo dietro l’altro con grande libidine. E pure in Mourning Dove, uno slow blues introdotto dal piano di Bears, sembra quasi di ascoltare il Mike Bloomfield più ispirato, con la chitarra che ci regala un assolo di quelli importanti, fluido, lancinante e tirato, come prevede il manuale del perfetto bluesman, con continui rilanci, mentre No More Tears è il tipico shuffle Chicago-style, pimpante e vivace come ai bei tempi (che non erano secoli fa, basta tornare a pochi anni or sono).

In Last Night troviamo Gordon Beadle che poi sarebbe Sax Gordon e Sugar Ray Norcia alla voce solista, per un jump blues ricco di ritmo, dove Duke Robillard si prende ancora le sue soddisfazioni, veramente voglioso di strapazzare di gusto la sua solista. Senza soluzioni di continuità troviamo una “cattiva” Fool About My Money, dove tra la voce del Duke e il piano di Bruce Bears sembra quasi di ascoltare un brano del Randy Newman più elettrico; eccellente anche The Mood Room, uno dei brani ripescati dal passato, dove il boogie la fa da padrone, grazie al pianino scatenato e alla voce splendida di Kelley Hunt, una delle blues woman più brave della scena americana, più volte incensata dal sottoscritto su queste pagine, e anche Robillard e Bears si scatenano ai rispettivi strumenti. I’ve Got A Feelin’ That You’re Foolin’, con un titolo tipico dei brani blues, è un altro lentone di quelli duri e puri, con la chitarra di nuovo protagonista assoluta. E anche nella successiva Shufflin’ And Scufflin’ non si scherza, un brano strumentale dove Jimmie Vaughan e Duke Robillard si scambiano fendenti a colpa di chitarra, in un brano raffinato e di classe, dove ancora l’organo di Bruce Bears e il sax baritono dell’ospite Doug James (anche lui uno dei membri fondatori dei Roomful Of Blues) hanno i loro giusti spazi. Blues For Eddie Jones è un sentito omaggio a Guitar Slim, la cui storia tragica, culminata con la morte a soli 32 anni, Robillard rivisita in questo intenso lento: molto buona anche la swingante You Used To Be Sugar https://www.youtube.com/watch?v=UndSnxzqzRY , ma non c’è un brano scarso in questo Blues Full Circle, sempre con la chitarra in primo piano. Come nella splendida soul ballad che risponde al nome di Worth Waitin’ On, dove anche la parte vocale è perfetta e sfocia in un assolo ricco di feeling come solo i grandi sanno fare. La conclusione è affidata ad un altro classico slow blues intitolato Come With Me Baby, che conferma lo stato di grazia ritrovata sfoderato per questo album da uno dei maestri contemporanei dello strumento e dello stile.

Bruno Conti

Di Nuovo Musicisti In Crociera! Mitch Woods – Jammin’ On The High Cs Live

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Mitch Woods – Jammin’ On The High Cs  Live – Club 88 Records 

Tornano i dischi registrati nella famosa Legendary Rhythm & Blues Cruise, ovvero un gruppo di musicisti, in questo caso blues, che si divertono come disperati mentre sono in crociera. E allo stesso tempo i passeggeri di queste “Love Boat” dei giorni nostri, e noi che li ascoltiamo a distanza di qualche mese su disco, ci divertiamo moltissimo ad ascoltare l’interscambio e la voglia di jammare che traspare da queste esibizioni. Ricordo CD di Tommy Castro http://discoclub.myblog.it/2011/06/15/ma-allora-e-un-vizio-quelle-delle-crociere-tommy-castro-pres/ , Joe Louis Walker e Elvin Bishop http://discoclub.myblog.it/2011/05/21/tutti-in-crociera-elvin-bishop-raisin-hell-revue/ registrati in queste occasioni, ai quali si aggiunge ora questo Jammin’ On The High Cs del cantante e pianista newyorkese Mitch Woods con i suoi Club 88.

Woods, nel suo fluido e fluente boogie woogie misto a jump blues ha sempre inserito anche elementi di New Orleans style e di r&B e soul di Memphis, che non mancano anche in questa nuova avventura dove il nostro è circondato da una truppa di amici di grande valore: Billy Branch, Tommy Castro, Popa Chubby, Coco Montoya, Lucky Peterson, Victor Wainwright, membri sparsi dei Roomful Of Blues e Dwayne Dopsie, forse il meno noto del gruppo. Il risultato è ovviamente estremamente godibile e piacevole: si parte con una Big Mamou, boogie fiatistico e scatenato dove Mitch Woods è accompagnato da alcuni Roomful Of Blues e sembra di ascoltare il miglior Fats Domino con tromba, sax e piano che si alternano alla guida delle danze. Tain’t Nobody’s Bizness vira su atmosfere swing notturne e calde, con Victor Wainwright e Julia Magness (non credo sia parente di Janiva, questa è una cantante gospel-blues texana) accompagnati solo dal piano si rievocano addirittura tinte sonore alla Bessie Smith; Rip It Up è proprio quella di Little Richard, grande R&R con la voce e la chitarra di Tommy Castro, titillate di nuovo dai fiati dei Roomful e dal piano di Woods.

Tra un intermezzo e una rimembranza sulla nascita del Club 88, fondato dallo stesso Mitch nelle sue prime crociere, si arriva ad un grande blues come Brights Lights, Big City dove l’ospite è l’ottimo Lucky Peterson, mentre Dwayne Dopsie con la sua fisarmonica aggiunge una abbondante quota zydeco ad una vorticosa versione di Jambalaya. Eccellente la torrida rilettura di Eyesight To The Blind, uno dei classici assoluti del blues di Chicago, con Billy Branch all’armonica, Woods al piano e una chitarra di supporto, non serve altro. A questo punto arriva un inconsueto Popa Chubby in veste jump blues per una frizzante I Want You To Be My Baby e a seguire Coco Montoya con Rock Me Baby, in omaggio al grande B.B. King Di nuovo Victor Wainwright in modalità boogie/rockabilly con gli 88 tasti in festa per una brillante Wine Spoo Dee O Dee e Woods che risponde da par suo con una vellutata Broke, prima di richiamare sul palco Billy Branch e Coco Montoya per un terzetto in onore di Boom Boom del grande Hook. E di nuovo un rilassato e divertito Popa Chubby alle prese con Wee Wee Hours, prima di lasciare microfono e proscenio al padrone di casa che accompagnato nuovamente da Dwayne Dopsie alla fisa si cimenta con uno dei classici assoluti del R&R come Whole Lotta Shakin’ Goin’ On, dove le mani volano sulla tastiera.

Disco divertente e senza grandi pretese: a fine mese si replica con un nuovo capitolo dedicato a Buddy Miller e ai suoi amici. Lo trovate nei prossimi giorni nelle anticipazioni sulle uscite di gennaio, penso a partire da domani.

Bruno Conti

Di Nuovo Dalla Danimarca Con Furore! Thornbjorn Risager & The Black Tornado – Songs From The Road

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Thorbjorn Risager & Black Tornado – Songs From The Road – CD/DVD Ruf 

Certamente la Danimarca non è il primo paese a cui si pensa quando si tratta di Blues, ma siccome sono le eccezioni che confermano le regole Thorbjorn Risager con i suoi Black Tornado è un perfetto esempio di questo assunto. Dalla patria di Amleto, degli Aqua e dei Michael Learns To Rock (idoli dei filippini), ma anche di Lars Ulrich, il batterista dei Metallica: forse l’unico contributo alla musica rock, potrebbe essere quello dei Burnin’ Red Ivanohe, band rock progressiva in azione dal finire degli anni ’60, e tutt’ora in attività. Invece Risager e soci si inseriscono a pieno diritto nel filone blues, vincitori più volte come miglior band danese, ma anche segnalati da riviste europee, inglesi ed americane tra i migliori rappresentanti del Blues continentale, con una decina di album al loro attivo, tra cui un paio di live, fautori di uno stile che privilegia l’uso di una formazione abbastanza ampia, con tre fiatisti, sezione ritmica, un tastierista, un chitarrista e lo stesso Risager, all’altra chitarra, solista e ritmica, e per la registrazione di questo Songs From The Road, anche un paio di voci femminili di supporto, quindi dieci musicisti sul palco che creano un sound completo e soddisfacente che spazia tra le classiche 12 battute,  con echi soul & R&B, boogie e R&R, la classica revue di stampo americano.

Conoscevo già alcuni album precedenti di Thorbjorn Risager, distribuiti in Europa dalla Dixiefrog, anche se è con il disco dello scorso anno, il primo per la Ruf, Too Many Roads, che si sono fatti conoscere e da cui proviene gran parte del materiale presente in questo Live, anche se un paio di canzoni erano su Track Record, il disco del 2010 in cui li avevo sentiti per la prima volta e che mi aveva colpito http://discoclub.myblog.it/2010/07/25/temp-c9257c271ae90042d8fcdbe2ad63bdbf/ . Ovviamente il punto focale della band è Risager, cantante dalla voce potente e duttile, un timbro basso e baritonale che potrebbe ricordare quello di altri bianchi che hanno cantato il blues, come Chris Farlowe o David Clayton-Thomas, fatte le dovute proporzioni, ma comunque un frontman più che adeguato alla bisogna. Intorno a lui ruota una formazione dove la chitarra di Peter Skjerning e le tastiere di Emil Balsgaard sono spesso alla ribalta, insieme alla sezione fiati, utilizzata non solo in funzione di accompagnamento ma anche con ampi spazi solisti dei singoli componenti, e con lo stesso Risager, ottimo chitarrista, spesso in primo piano con la sua Gibson che non lo abbandona mai nel concerto. Per darci un riferimento potremmo essere dalla parti dei Roomful Of Blues, anche se lì si viaggia più sullo stile swing-jump da big band e qui su un blues venato di rock più elettrico, ma i punti di contatto ci sono. CD e DVD (questo con tre brani in più) replicano lo stesso concerto registrato nell’aprile di quest’anno all’Harmonie di Bonn, venue preferita dalle band sotto contratto per l’etichetta di Thomas Ruf.

Come prima impressione mi sembra che il concerto non decolli immediatamente, o forse in base agli ascolti passati le mie aspettative erano maggiori, ma poi quando la band inizia a carburare è un vero piacere ascoltarli, per certi versi ricordano anche una versione maschile, per la leadership vocale, dei Sister Sparrow di Arleigh Kincheloe http://discoclub.myblog.it/2015/07/13/piu-sparviero-che-passerotto-sister-sparrow-and-the-dirty-birds-the-weather-below/ . Tutti i brani, con l’eccezione di tre cover mirate, portano la firma di Risager, che comunque opera nell’ambito delle variazioni sui canoni classici del blues e dintorni: China Gate era nelle colonna sonora di un vecchio film di Sam Fuller dallo stesso titolo, mentre Baby Please Don’t Go e Let The Good Times Roll le conosciamo tutti in mille versioni. Molti componenti in giacca e cravatta formali, tanti cappelli che nascondono gli anni che passano, ma la grinta di Risager e soci è evidente sin dall’apertura della poderosa If You Wanna Leave, con il vocione di Thorbjorn subito sul pezzo in un vorticare di organo, assoli di sax, chitarre e armonie vocali delle due coriste a sostenerlo con energia, Paradise è più atmosferica e ricercata, ma gli elementi sonori sono quelli, Drowning introduce elementi quasi jazzati da ballata notturna, mentre Baby Please Don’t Go viaggia tra R&R e blues come richiede il copione.

Too Many Roads è classico blues urbano, sulle ali della slide malandrina di Skjerning, mentre in China Gate è Risager il solista per un blues di nuovo dalle atmosfere sospese e ricercate, da paludi della Louisiana. Rock’n’Roll Ride e la lunghissima Let The Good Times Roll spargono ritmo e sudore sui convenuti alla serata, ma il nostro sa incantare anche con ballate soul suadenti come Through The Tears o la dolcissima I Won’t Let Down, con uno struggente assolo di tromba e non manca neppure una stonesiana High Rolling. A chiudere Opener (?1?), un’altra esplosione ritmica di voci, fiati, chitarre e tastiere in libertà, e tutto il resto della band non è da meno!

Bruno Conti    

Ritorno Alle Origini! Ronnie Earl & The Broadcasters – Father’s Day

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Ronnie Earl & The Broadcasters – Father’s Day – Stony Plain/Ird

Ormai credo sia cosa risaputa anche dai sassi che Ronnie Earl non canta, ma suona, cazzarola se suona, uno dei chitarristi più fenomenali apparsi nell’ultimo trentennio. E ogni disco è meglio di quello precedente: dopo gli eccellenti Just For Love, un live dove si potevano apprezzare i talenti vocali della bravissima Diane Blue, e il successivo Good News, con la presenza della Blue ancora più marcata http://discoclub.myblog.it/2014/07/12/ottimo-ed-abbondante-ronnie-earl-and-the-broadcasters-good-news/ , ora è la volta di questo Father’s Day,  dove accanto alla confermata Diane troviamo un cantante di notevole talento come Michael Ledbetter, già voce solista nella Nick Moss Band. E non è tutto, dopo tanti anni si ritorna in parte al suono dei primi anni di Ronnie Earl con i Roomful Of Blues, e quindi accanto al suo quartetto appaiono anche i fiati. Oltre a Earl, solista stellare, “The Master of the Telecaster” è un titolo che gli spetta di diritto, troviamo l’ottimo Dave Limina al piano e soprattutto all’organo Hammond, Lorne Entress alla batteria, Jim Mouradian al basso, i due vocalist citati e Nicholas Tabarias, seconda solista aggiunta in un paio di brani, oltre alla sezioni fiati, Mario Perrett e Scott Shetler, entrambi al sax.. E il disco ne guadagna; ci sono solo tre brani originali questa volta, ma la scelta delle cover è fantastica. Ronnie Earl, ripreso in posa sciamanica, ed anche un po’ hendrixiana, sulla copertina del CD, cerca di incantare la sua chitarra, ma finisce per incantare i suoi ascoltatori.

Sarà solo blues, ma si sente che ci sono passione, intensità, classe, feeling, tecnica, tutti gli elementi che fanno grande un virtuoso dello strumento come il nostro Ronnie. Presentato dal sito della Stony Plain come il suo settimo album per l’etichetta, in altre discografie come il nono, a me ne risulterebbero dieci, la statistica è solo un’opinione, comunque la si veda è l’ennesimo ottimo album di Ronnie Earl: c’è lo shuffle travolgente di It Takes Time, uno dei due brani a firma Otis Rush, dove il chitarrista rilascia un grande assolo, stimolato dalla brillante performance di Ledbetter, vocalist di grande spessore e con la band che lo segue passo dopo passo con la consueta precisione, soprattutto Limina all’organo, poi una delle tre tracce a firma Earl, Higher Love uno shuffle, più raffinato anche nell’uso della solista, dove appaiono i due sassofonisti e Ledbetter divide il compito vocale con Diane Blue, per un ottimo duetto. L’altro brano di Rush è uno dei più famosi, quel Righ Place, Wrong Time che dava il titolo a uno dei suoi album migliori, inutile dire che la versione che Earl fa di questo slow blues intenso con fiati è da manuale, e anche Ledbetter non è da meno, prima di lasciare spazio a un assolo sontuoso del nostro Ronnie. Magic Sam è stato un altro dei grandi chitarristi dell’era moderna del  blues e la sua What I Have Done Wrong è esaltata da una interpretazione ricca di soul della pimpante Diane Blue, mentre troviamo un Earl pungente, con fiati e organo che vanno di groove https://www.youtube.com/watch?v=6wNx36iNfqM .

Giving Up è una struggente soul ballad del Van McCoy era pre-disco, con una magnifica interpretazione vocale, ancora una volta, di Ledbetter e Earl che stilla nota dopo nota dalla sua chitarra, prima di lasciare spazio al sax di Perrett. Every Night About This Time è un altro super classico, questa volta di Fats Domino, puro stile New Orleans, con Limina ovviamente al piano, Ledbetter voce solista e fiati ben bilanciati e Ronnie che guida le danze con la sua Fender https://www.youtube.com/watch?v=3KVqnenDrtM , poi nuovamente in primissimo piano nello slow blues immancabile, che è la title-track Father’s Day, brano frmato Earl-Ledbetter che non sfigura in mezzo a tanti classici https://www.youtube.com/watch?v=k34VdimwGl0 .. Quando Earl ha inciso questo album probabilmente B.B.King non era ancora morto, ma la sua I Need You So Bad risulta un omaggio sentito ed eseguito con classe, un tipico shuffle cantato con perizia dal bravo Michael. Ottima anche l’interpretazione vocale di Diane Blue in I’ll Take Care Of You di Brook Benton, altro lento soffertissimo dove Earl divide gli spazi chitarristici con il suo “protetto” Nicholas Tabarias, come pure nella successiva super funky Follow Your Heart, dove è schierata tutta la squadra, fiati, organo, Ledbetter e Blue a duettare, e Tabarias che esegue il primo solo https://www.youtube.com/watch?v=Vfipsv8bh84 . Moanin’ è l’immancabile strumentale jazz swingato, di Bobby Timmons, con il dualismo chitarra-organo per l’occasione arricchito dai fiati. Altro pezzo da novanta dei brani chitarristici è una All Your Love scintillante, pescata ancora dal repertorio di Magic Sam, versione lenta, con Ledbetter che titilla il “solito” lavoro ad alta precisione della solista e conclusione di uno dei migliori dischi blues dell’anno e di Earl in particolare, con una sognante, delicata ed intensa Precious Lord, un gospel del Rev. Thomas Dorsey dove la gara di bravura tra Earl e Diane Blue porta ad un pareggio a tutto vantaggio degli ascoltatori https://www.youtube.com/watch?v=l3L30UyjjV8 .

Bruno Conti  

Tra Duchi E Conti Ci Si Intende! Duke Robillard – Calling All Blues

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The Duke Robillard Band – Calling All Blues – Dixiefrog/Stony Plain

Di Duke Robillard credo di avere detto, nel corso degli anni, anche sul Blog, in anni recenti http://discoclub.myblog.it/2013/04/17/piovono-chitarristi-2-the-duke-robillard-band-independently/http://discoclub.myblog.it/2010/11/16/blues-blues-e-ancora-blues-duke-robillard-passport-to-the-bl/, tutto quello che era umanamente possibile dire, ossia, sintetizzando, che si tratta di uno dei migliori bluesmen bianchi che abbia graziato la faccia di questo pianeta negli ultimi cinquanta anni circa: primo avvistamento del musicista di Woonsocket, Rhode Island con i Roomful Of Blues nel lontano 1967, quando aveva 19 anni. Ebbene, oggi che è un “arzillo” sessantaseienne, Robillard continua a fare quella musica  https://www.youtube.com/watch?v=hd7hZoFaUYA e per questa nuova prova discografica si presenta come The Duke Robillard Band e come il titolo, Calling All Blues, ampiamente prefigura, si tratta di un disco che ne vuole esaminare alcune delle mille sfaccettature, attraverso dieci brani perlopiù originali. Dal ricco Memphis Sound con fiati di Down On Mexico, dove si gustano con piacere anche l’organo di Bruce Bears e la voce di supporto di Sunny Crownover, ospite fissa in alcuni brani del disco, che si affiancano alle solide chitarre del Duke, Stratocaster per la ritmica e Esquire per la slide, come ricorda lui stesso nelle note. I’m Gonna Quit You Baby è un solido boogie, con Bears al piano, niente fiati e Sunny, ma una acustica per sostenere il ritmo e di nuovo l’elettrica in modalità slide, suonata con due dita legate fra loro a causa di una mano rotta, figurarsi se era sana, non manca il vocione di ordinanza e l’ottima ritmica di Brad Hallen al basso e Mark Teixeira alla batteria, precisi e puntuali come al solito.

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Svengali, con un florilegio di chitarre utilizzate per dargli un suono ricco ma anche vicino alle radici del blues classico, suona  un poco cooderiana nel suo incedere quasi rudimentale e primitivo, viceversa Blues Beyond The Call Of Duty è il classico slow blues di quelli dove organo e, soprattutto la chitarra di nuovo in modalità slide di Robillard, si divertono a sottolineare il cantato cristallino della brava Sunny Crownover, qui meno leggera e leziosa del solito, molto blues e grande intensità https://www.youtube.com/watch?v=9K2V6q7WJPU  . Emphasis On Memphis, scritto dalla strana accoppiata Gary Nicholson/Ron Sexsmith, è nuovamente un divertente R&B con fiati e voci di supporto a sottolineare il suono sudista della canzone, mentre Confusion Blues è la consueta escursione del nostro amico nello swing jazz raffinato, per l’occasione lasciando alla voce e al piano di Bruce Bears, qui molto alla Mose Allison, la guida del brano, riservandosi un assolo in punta di dita.

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Motor Trouble ha il suono del classico Chicago blues elettrico, con la voce di Duke raddoppiata e la solista in spolvero che conferisce alla canzone una grinta degna dei vecchi tempi, cosa che ogni tanto manca negli ultimi dischi, ma non è questo il caso. Nasty Guitar è un altro duetto tra Robillard e la Crownover e ha di nuovo quella grinta ed energia del precedente brano, fin nella “chitarra cattiva” del titolo che viene finalmente lasciata in libertà, per un altro assolo di quelli che dal vivo dovrebbero fare un figurone, Temptation, il brano più lungo con i suoi quasi sei minuti, ha una andatura sinuosa, punteggiata dalla tromba di Doug Woolwerton e dal piano elettrico di Bears, che unite alla chitarra “minacciosa” di Duke conferiscono alla canzone una ambientazione tra le paludi della Lousiana, dalle parti di New Orleans, eccellente assolo della solista incluso https://www.youtube.com/watch?v=MgEHGdoMXW4 . L’altra cover è un brano anni ’60 di una band minore (ma molto minore), tali Carter Brothers, probabilmente noti solo al nostro amico grazie alla sua enciclopedica conoscenza della musica, She’s So Fine, ancora con i fiati pronti alla bisogna per questo ulteriore tuffo nel vecchio soul, e che conclude degnamente questa nuova fatica del buon Duke. File under blues, non solo per “conoscitori e fanatici”!

Bruno Conti

La “Stanza” E’ Sempre Piena! Roomful Of Blues – 45 Live!

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Roomful Of Blues – 45 Live – Alligator Records/IRD

La stanza è sempre piena di Blues e anche per questa occasione gli “inquilini” si sono riuniti per festeggiare i 45 anni di attività della band in una piccola sala da concerto, detto anche club, The Ocean Mist a Matunuck, Rhode Island, nel marzo del 2013. Quasi tutte facce nuove, della formazione originale è rimasto solo il sassofonista Rich Lataille (nel gruppo dal 1970), il nuovo leader della formazione è il chitarrista Chris Vachon e il nuovo cantante si chiama Phil Pemberton. Vachon è stato il produttore degli ultimi 6 album della band e già negli anni ’90 si era assunto l’ingrato compito di sostituire due grandi predecessori come Duke Robillard, il fondatore della band nel 1967 con il pianista Al Copley, e Ronnie Earl. Chi vi scrive preferisce essere sempre sincero e devo dire che gente come Lou Ann Barton, Curtis Salgado, Sugar Ray Norcia, Fran Christina, Preston Hubbard, Greg Piccolo e molti altri che si sono succeduti negli anni, non è facile da sostituire e quindi gli album, secondo me, non hanno più il vigore e la qualità di un tempo, anche se le ultime prove con la Alligator sono sempre state oneste e gagliarde e il Live At Wolf Trap pubblicato nel 2002, quasi poteva rivaleggiare con il super classico Live At Lupo’s Heartbreak pubblicato dalla Varrick nel lontano 1987, quando per l’occasione erano presenti anche Ronnie Earl, Steve Berlin, Curtis Salgado, Ron Levy e tra gli ospiti Cesar Rosas dei Los Lobos.

Se riuscite a trovarlo varrebbe la pena di metterci le mani sopra, ma in caso contrario potreste “accontentarvi” anche di questo 45 Live che sprizza comunque, come di consueto, jump blues, swing, R&R e R&B, da tutti i bytes del CD. Il divertimento è assicurato, vengono rivisitati classici della band e del Blues in un vorticoso intrecciarsi di fiati, chitarre e tastiere assolutamente vintage, sudore, dedizione e gran classe sono le formule applicate con successo.

Just Keep On Rockin’ era su Standing Room del 2005 ed è il modo ideale per iniziare questo giro di danze con i fiati subito in evidenza e la voce classica di Pemberton che cerca di non fare rimpiangere i suoi predecessori. It All Went Down The Drain io la ricordo nella versione di Boz Scaggs ed è un bel bluesazzo tosto e ritmato con chitarra e organo che cercano di prendere il soppravvento sulla sezioni fiati mente Pemberton media con successo tra le due fazioni. Di Jambalaya ce n’è una sola ed anche a tempo di swing blues è sempre un piacere ascoltarla, addirittura in questa guisa ha un che di New Orleans nelle sue corde. Easy Blues è il classico lungo e tirato slow blues (scritto da Magic Sam) che non può mancare nel repertorio di una band come i Roomful of Blues e che permette di apprezzare le qualità solistiche dell’ottimo Vachon che non sarà Robillard o Earl ma ci mette del suo, mentre Pemberton strapazza le sue tonsille con buoni risultati, a dimostrazione che anche con tutti i cambi e a dispetto delle mie parziali perplessità questa è ancora una signora band!

That’s Right, swinga, zompa e rolla di gusto, non a caso fu nominata per un Grammy nel 2003. Crawdad Hole era un brano del grande Big Joe Turner, un signore che conosceva l’argomento jump blues come le sue capaci tasche e anche i Roomful l’hanno approfondito con profitto nel corso degli anni. Ottima versione anche per You Dont Know uno standard di B.B. King adattissimo all’approccio fiatistico da big band dei ROF. Dress Up To Get Messed Up, un titolo, un programma, è un altro dei loro cavalli da battaglia ed era il titolo del loro quarto album del 1984, uno dei migliori in assoluto. Lo strumentale Straight Jacquet illustra il lato swing jazz del gruppo e soddisferà i puristi e anche I left my baby di Count Basie e Jimmy Rushing viene da quella parrocchia più riflessiva ancorché sempre swingante nei fiati. Blue Blue World è un blues scritto da Vachon nel 1998 e ci permette di gustare le evoluzioni dell’ottimo organista Rusty Scott che duetta con lo stesso Vachon. Somebody’s Got To Go è un vecchio brano di Eddie “Cleanhead” Vinson con la vocalità di Phil Pemberton ben evidenziata e tutto il gruppo in spolvero. Turn It On, Turn It Up sono i Roomful con tutti i cilindri della macchina ben oliati e in azione, prima della conclusione con la sincopata e divertente Flip Flap Jack che richiama tutti sulla pista da ballo. Uno dei rari casi in cui una band che si rinnova negli anni mantiene (quasi) inalterato il suo appeal. Molto piacevole e consigliato!

Bruno Conti     

“Vecchio” Ma Sempre Nuovo. Ronnie Earl & The Broadcasters – Just For Today

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Ronnie Earl and The Broadcasters – Just For Today – Stony Plain/CRS/Ird

Mi è capitato molte volte, nel corso degli anni, di recensire dischi di Ronnie Earl per il Busca (e per il Blog temp-7c86eb47861bfd87e08cf80efc4797bd.html), e, come dicevo nella recensione del penultimo, Spread The Love e ribadisco per questo Just For Today, se vi dovessi dire qual è il mio album preferito nella sua copiosa discografia, sarei in seria difficoltà e quindi ogni volta, non sbagliando mai, mi limito a citare il più recente. Questo non vuol dire che sono tutti uguali fra loro (beh, un po’ sì, per essere onesti, anche se il livello è sempre medio-alto): d’altronde Earl (un quasi omonimo, tradotto in inglese, di chi scrive) è un virtuoso chitarrista, uno dei migliori, fa del Blues, perlopiù strumentale, è su piazza da oltre un trentennio, prima nei Roomful Of Blues, poi come leader di varie edizioni dei Broadcasters, periodicamente piazza un nuovo CD sul mercato che, immancabilmente, soddisfa la piccola schiera di appassionati del personaggio e del genere, ma non turba i sonni di coloro che non si muovono entro queste ristrette coordinate.

E’ questo è un peccato, perché il musicista merita, escludendo i fans, che una volta appurato che il nostro non abbia fatto un disco di dubstep o tarantelle delle Transilvania (se esistono!) e quindi acquistano in ogni caso i suoi dischi, anche l’appassionato di buona musica un paio di dischi del buon vecchio Ronnie (60 anni quest’anno) li dovrebbe avere nella propria discoteca. Perchè non proprio Just For Love, che tra l’altro è uno dei rari dischi dal vivo registrati nel corso della sua carriera? Gli elementi migliori ci sono sempre, come al solito: tecnica strumentale all’attrezzo (di solito una Fender Telecaster) mostruosa, in bilico tra le folate texane chitarristiche à la Stevie Ray Vaughan di una iniziale tiratissima The Big Train, dove ben sostenuto dall’organo B3 di Dave Limina che gli tira la volata, mostra tutte le sue virtù di solista, ma anche (come direbbe un “nostro amico” politico”, ma è ancora in giro? Quasi quasi gli faccio scrivere la prefazione al Blog, è uno specialista del genere) gli slow blues in crescendo, con finali lancinanti che ti sommergono sotto un diluvio di note e che sono il suo marchio di fabbrica e che molto, secondo me, devono a Roy Buchanan, un altro che come Earl raramente cantava e quando lo faceva era meglio non lo avesse fatto, Blues For Celie è il primo della serie, e si becca la giusta ovazione del pubblico a fine esibizione, pur segnalandovi che il disco è registrato in modo perfetto, non sembra neppure un live, lo capisci solo da applausi e presentazioni a fine brano.

D’altronde Ronnie Earl, per problemi di salute, raramente suona dal vivo, e quando lo fa rimane comunque nei paraggi di casa, nel Massachusetts, Boston e dintorni (ma quest’anno è in tour negli States), oppure invita il pubblico in studio, come per il precedente live del 2007, Hope Radio (anche in DVD). Miracle è un altro di quei brani torrenziali, dove lo spirito del miglior Santana o di Buchanan via Jeff Beck si impadronisce delle mani di questo uomo che è una vera forza della natura con una chitarra in mano. Se ami il genere, ripeto, uno così non ti stanchi mai di ascoltarlo, peraltro lui non è instancabile come Bonamassa che fa quattro o cinque dischi all’anno, quindi è sostenibile anche a livello finanziario, il precedente CD era del 2010. Heart Of Glass( ma anche la finale Pastorale) è un altro di quei brani, lenti e sereni, ricchi di spiritualità, dove Earl esplora il manico della sua chitarra alla ricerca di soluzioni di tecnica e di feeling che ti lasciano sempre basito per l’intensità dei risultati. Rush Hour è uno dei rari shuffle, dedicato al grande Otis Rush, dove Ronnie viene raggiunto sul palco dal secondo chitarrista Nicholas Tabarias per fare pulsare alla grande il suo Blues. Ampio spazio per Dave Limina, questa volta soprattutto al piano, nel travolgente Vernice’s Boogie ma poi è nuovamente tempo di tributi con Blues For Hubert Sumlin, un altro dei grandi, affettuosamente ringraziato anche nelle note del libretto, uno slow di quelli torridi come il nostro sa fare come pochi.

Per la cover di Equinox di John Coltrane oltre allo stile di Carlos Santana i Broadcasters si affidano anche ad un groove latineggiante che fa tanto Santana Band e la solista, ben coadiuvata dall’organo di Limina, cesella note, timbri e volumi con una precisione e una varietà incredibili che sfociano anche in territori tra jazz e blues, come ama fare pure un altro virtuoso della chitarra come Robben Ford. Ain’t Nobody’s Business, un’altra delle cover presenti, faceva parte del repertorio di Billie Holiday e sotto la guida del piano di Limina la band si lancia anche in territori ragtime e poi di nuovo, in tuffo, nel blues. Un altro omaggio Robert Nighthawk Stomp, quasi a tempo di R&R e sono di nuovo le 12 battute di Jukein’ a introdurre l’unico brano cantato dell’album, una fantastica e vibrante I’d Rather Go Blind affidata alla ottima voce di Diane Blue. Forse niente di nuovo, ma non suona mai “vecchio”!  

Esce il 9 Aprile.

Bruno Conti

Un Gregario Alla Ribalta. Sax Gordon – Showtime!

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Oggi doppia razione, nel Blog ne trovate anche una scritta da Marco, ma per iniziare…

Sax Gordon – Showtime! – Continental Record Services

Certo che quando ti rivolgi ai siti degli artisti per trovare delle informazioni sui loro dischi, il più delle volte sei andato nel posto al mondo dove sono meno aggiornati. Spesso e volentieri l’ultima uscita non è ancora segnalata (come nel caso di questo Showtime di Sax Gordon, ma c’è sul suo Facebook)e le notizie e le recensioni sono spesso fuorvianti e antiche, nonché prive di qualsiasi data. Per esempio l’attestato di stima della rivista Blues Revue che appare sul sito lo possiamo sottoscrivere in toto, o quasi “ One of the best and most vibrant young sax players in the business”! Direi perfetto, ma quando è stato detto? Il nostro amico, Gordon Beadle all’anagrafe e nelle note di innumerevoli dischi di blues, soul, R&B, jazz, ai quali ha partecipato, risulta nato nel 1965 e quindi oggi ha circa 48 anni, un giovane?!? Forse quando muoveva i primi passi nei dischi di Johnny Heartsman nel 1989 o suonava in alcuni dischi di Champion Jack Dupree di inizio anni ’90. Ma al di là dell’età, Sax Gordon si è costruito una notevole reputazione suonando nel corso degli anni con Duke Robillard e dal vivo con i Roomful Of Blues, in coppia con Doug James e nei dischi di Otis Grand, con la Michelle Willson (un paio di dischi molti belli negli anni ’90, recensiti da chi scrive) e con Pinetop Perkins, anche nella sezione fiati della formazione dei Blues Brothers con Matt “Guitar” Murphy, persino con Bryan Lee e Kim Wilson e in decine di altri dischi.

Ne ha fatti anche tre a nome proprio, l’ultimo Live At The Sax Blast nel 2004 e un paio precedenti per la Bullseye. Nativo di Detroit, ha suonato per molti anni nella Bay Area ma da un po’ fa parte della scena musicale di Boston e continua ad alternare il suo ruolo di sessionman, in anni recenti nuovamente con Duke Robillard, di cui è un habitué e Kenny Wayne, con il suo lavoro di solista, ossia questo nuovo Showtime. E per la serie nomen omen non occorre neppure dire quale strumento suona, possiamo solo aggiungere che è quello tenore e si diletta anche nel canto e come autore. Si è scelto anche degli ottimi chitarristi per questo CD, Jr. Watson, Matt Stubbs e il già citato Matt “Guitar”Murphy, oltre ad una sezione ritmica molto precisa e pimpante e, in alcuni brani, anche una sezione fiati numerosa, tre o quattro oltre a lui. Ovviamente in questo tipo di dischi ci “si diverte”, dalla ritmata title-track strumentale che ci porta subito in un vortice da R&B/blues-soul revue con fiati e chitarra che si scambiano assolo con abbandono impeccabile alla cover di Coldest Cat In Town di Sonny Knight, uno dei primi cantanti di rhythm and blues degli anni ’50, cantata con nonchalance anche se non in modo memorabile: tradotto, non ha una gran voce ma molto mestiere. Get Into It ci scaraventa nel sound dei Blues Brothers o dei loro antesignani, Sam & Dave, Otis Redding e la Stax tutta, con fiati all’unisono e spazio per il sax solista di Gordon e il basso di Jesse Williams che pompa, pompa, pompa!

The Way It Is è uno slow blues, nuovamente strumentale, che permette di gustare la bravura di Beadle prima e di Matt Guitar Murphy poi, mentre Big And Hot è un brano di Ed Scheer dei Love Dogs che avrebbe fatto un figurone cantato da Willy Deville ma è più che piacevole anche in questa versione. Per I Got It si riaprono le piste da ballo, honkin’ rock’n’roll molto divertente, non male anche il ballatone mid-tempo romantico Be Careful What You Wish For con Sax Gordon che gigioneggia da consumato performer qual è. La lunga Don’t mess with me torna in territori errebì divertenti e scanzonati con i fiati in grande spolvero mentre That Girl è uno strumentale grintoso e scandito, quasi rock. La conclusione è affidata a una versione dalle atmosfere notturne di Nobody’s Fault But Mine, jazzata e in formazione a quartetto con il sax e la chitarra di Guitar Murphy in evidenza.

Bruno Conti

Puntuale, Ogni Anno Ritorna. The Duke Robillard Band – Low Down And Tore Up

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 The Duke Robillard Band – Low Down And Tore Up – Stony Plain/Dixiefrog

Ormai ogni anno puntuale mi presento all’appuntamento con il Duke Robillard, più o meno cosa aspettarmi lo so, per iniziare un grande chitarrista, uno dei migliori nell’ambito Blues e dintorni, un classico nel genere, le sue tre stellette se le merita sempre. Ma, come Evaristo scusate se insisto, il nostro amico ha anche sempre questa passionaccia per jazz, swing, boogie wogie ed in generale per la musica degli anni ’50. E quando questo tipo di repertorio prevale nei suoi dischi si perde un po’ di quella “cattiveria” tipica del guitar slinger a favore dello stilista. Dopo il Passport To the Blues dello scorso anno che era un disco carnale, chitarristico pur con le dovute concessioni ai suoi altri “piaceri” e che si meritava quella mezza stelletta in più, in questo Low Down And Tore Down (notare la doppia copertina) Duke Robillard si rivolge al vecchio repertorio del blues, quel lowdown style sentito quando era un giovane 17enne apprendista della musica del diavolo, brani spesso oscuri estratti dall’enorme serbatoio della memoria e della conoscenza e che però perdono un po’ dell’immediatezza e del vigore della sua musica migliore.

Niente di negativo ma ci situiamo in quella terra di mezzo tra lo stile del suo primo gruppo, i Roomful of Blues, quindi con più spazio ai fiati, in questo caso “un fiato”, il sassofono tenore e baritono di Sax Gordon, presente in tutti i brani meno tre, e spazio anche al pianino acustico di Bruce Bears (e Matt McCabe) e quello più turgido e tirato della Duke Robillard Band di altri dischi. Anche il fatto che ci sia un bassista acustico, peraltro molto bravo come Brad Hallen, fa propendere il sound del gruppo per un suono più contenuto con il giusto spazio per la chitarra che ha una sonorità più vintage del solito. Come dice lo stesso Robillard nelle note del disco in molti brani ha usato una Epiphone Broadway acustica del 1938 con un vecchio amplificatore degli anni ’50 che sicuramente preserva il “sapore antico” di molti di questi brani ma aggiunge anche una patina da Back to the future che lascia per strada quell’immediatezza tipica del miglior Duke, si perde insomma il piacere di ascoltare quegli assoli torrenziali che caratterizzano i suoi migliori momenti a favore di una maggiore “classicità”, questo a parere del sottoscritto, ovviamente.

Sicuramente contribuisce anche la scelta dei brani, Robillard che oltre ad essere un grande musicista è anche uno storico del Blues è andato a scegliere canzoni di autori famosi (e parecchio) ma tra le meno conosciute e quindi troviamo due brani a testa di Guitar Slim, Tampa Red, Pee Wee Crayton, Elmore James, Sugar Boy Crawford (famoso? Questo non so se lo conosce nemmeno Clapton che in quanto a conoscenza non è da meno) e uno di Eddie Taylor, John Lee Hooker, Jimmy McCracklin e Bobby “Blues” Merrill, Ain’t mad at you di cui francamente ignoravo l’esistenza. Tool Bag Boogie è uno strumentale di Elmore James ma avrebbe potuto essere un brano dal repertorio del primo Chuck Berry, anche se, come in molti brani del CD, Robillard lascia troppo spazio al sax a scapito della sua chitarra.

Se l’attacco di chitarra di Do Unto Others, firmata da Dave Bartholomew (il musicista di New Orleans che ha scritto o arrangiato tantissimi dei successi di Fats Domino), vi ricorda qualcosa non state sognando: evidentemente anche John Lennon che era un appassionato del genere doveva conoscerla, non è che gli somiglia vagamente è proprio identico al riff iniziale di Revolution dei Beatles.

Momenti come quello appena ricordato, “ma questa la conosco!” (magari non così evidenti), ricorrono spesso nell’ascolto di questo disco e anche se non è vero (che li conoscete) rendono l’ascolto piacevole e divertente. Preferisco “l’altro Robillard” ma anche quello dell’album in questione è sempre una garanzia.

Bruno Conti