Piovono Chitarristi, Il Ritorno! Jason Elmore & Hoodoo Witch – Tell You What

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Jason Elmore & Hoodoo Witch – Tell You What – Underworld Records

Non posso che confermare quanto detto di buono in relazione alla precedente uscita di Jason Elmore, Upside Your Head (forse ai tempi sul Busca avevo anche “ciccato” il titolo), dischetto del 2010 che ci aveva presentato questa nuova realtà del rock, intriso di blues, texano. Anzi, se possibile, questo nuovo Tell You What è ancora più soddisfacente, nella sua corposa e sanguigna varietà che ruota intorno a questo sound molto anni ’70 (anche più indietro) ma che tiene conto dei vari chitarristi che si sono susseguiti nelle decadi successive, Stevie Ray Vaughan e Joe Bonamassa i primi che mi vengono in mente, ma ce ne sono molti altri.

Quindi, come al solito, niente di nuovo, ma per chi ama il genere rock, nelle sue varie declinazioni e i chitarristi in particolare, qui c’è di che gioire: le influenze vanno dagli Zeppelin di Page, sentire per credere la potente Botton Feeder al Rory Gallagher degli inizi, citato in prima persona con una grandiosa cover di Country Mile che ha stampato nel proprio DNA l’indimenticabile forsennato drive dei migliori brani dell’irlandese, e per riprodurlo al meglio si sono dovuti mettere in due, con l’amico e consulente (?!?) Jim Suhler che aggiunge la sua slide alla feroce solista di Jason Elmore (sembra uno pseudonimo ma è più un caso di “nomen omen”, un destino), per una cavalcata selvaggia e senza freni nel miglior rock-blues d’annata. Ma anche il southern-rock blues “cattivo” di Southbound, che non è quella degli Allman ma ha quei profumi e ritmi boogie, addizionati con la verve di certe jam band anni ’90 come i Blues Traveler o i Gov’t Mule, chitarre fumanti e voci distorte ma anche assolo di assoluta precisione chirurgica e tecnica sopraffina. O ancora lo slow blues Cold Lonely Dawn, con l’organo B3 di Tommy Young e la screziatura di fiati di Ron Jones (una novità di questo album) che aggiungono una patina di deep soul al suono vibrante del pezzo e la chitarra disegna linee soliste assolutamente degne di nota, fluide e ricche di inventiva, insomma in soldoni, questo è uno buono, forse i suoi sono avanzi della cucina del giorno prima, ma presa da un ristorante a cinque stelle, si chiama arte del riciclo!

C’è anche quell’aria country got soul, passavo per caso da Memphis, di When The Sun Goes Down o le brillanti evoluzioni strumentali dell’iniziale, frenetica Sharecropper Shuffle che qualche grado di parentela con la musica di SRV sicuramente le ha, ma cita pure la Hideaway di Freddie King e il blues tutto nel suo crescendo, breve ma inarrestabile. Dirt Ain’t Enough è un altro slow blues atmosferico, questa volta tra Jimi e Stevie Ray, d’altronde quelli sono alcuni dei punti di riferimento di Elmore, poi lui ci mette del suo con una cascata di note, nell’assolo nella parte centrale e finale del brano, che ha quell’effetto devastante sul gatto nero disegnato in copertina. Buckaroo è un breve omaggio all’inventore del Bakersfield Sound, Buck Owens, puro country picking strumentale, mentre Don’t Pass Me By vuole ricordare un altro giovane talento, scomparso troppo presto, come Sean Costello, un ulteriore pezzo bluesato ma marinato nel soul, come usava fare il chitarrista, anche lui “sudista” come il nostro Jason.

Non male anche la quasi jazzata, ma a tempo di boogie rallentato, Good Foot (non ci sono brani scarsi e anche questo è un merito) e, l’unica non memorabile, a onore del vero, la swingata She Fine, che ha qualche attinenza con lo stile di Robillard e si riscatta per il lavoro di fino alla solista di Elmore. Si conclude in gloria con una sontuosa You Don’t Miss Your Water, scritta e cantata da William Bell, ma che molti ricordano perché concludeva quell’indimenticato capolavoro che è Otis Blue: Otis Redding Sings Soul. Non potendo competere nel campo vocale, anche se la parte cantata è più che rispettabile, Elmore James si affida alla sua solista per un lirico contributo alla soul music più “profonda”, ben coadiuvato dal solito organo Hammond di Young e alla lap steel, aggiunta per l’occasione, di Kirby Kelley. Bella musica, questo brano, ma il disco tutto, come si suole dire in questi casi, caldamente consigliato!

Bruno Conti