Anche Lui Festeggia (Più O Meno) 50 Anni Di Carriera. Jeff Beck – Live At The Hollywood Bowl

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Jeff Beck  – Live At The Hollywood Bowl – Eagle Vision/Universal 2CD/DVD – Blu-ray

Lo avevamo lasciato poco più di un anno fa, alle prese con un album, Loud Hailer, che al di là delle solite quasi preternaturali doti chitarristiche di Jeff Beck, che con la chitarra fa ancora cose mirabolanti, salvo poche eccezioni, non era un disco proprio memorabile http://discoclub.myblog.it/2016/07/15/jeff-beck-loud-hailer-le-chitarre-bene-il-resto-po-meno/ . Già in quella occasione avevo annunciato l’allora imminente concerto al Hollywood Bowl di Los Angeles per festeggiare i 50 anni di carriera, esprimendo le mie perplessità (che ribadisco) su come vengono conteggiati questi anniversari: se partiamo dai Tridents, il primo gruppo di Beck, risaliamo al 1963, se viceversa il conteggio parte dagli Yardbirds, comunque  al 1965. Ma si sa che questi dettagli sono trascurabili per le case discografiche e spesso anche per gli artisti: comunque il concerto c’è stato, al 10 agosto del 2016, è stato registrato e filmato, ed ora esce in formato doppio CD con DVD o Blu-ray, ed è pure molto bello. Il nostro amico dal capello corvino “naturale” non è nuovo ai dischi (e ai DVD) dal vivo, se non ho fatto male i conti negli ultimi 10 anni, ne sono usciti almeno 7, tra quelli regolari e i bootleg ufficiali, quasi sempre molto buoni, con delle punte di eccellenza assoluta in quello registrato al Ronnie Scott’s di Londra.

La formazione è la stessa dell’ultimo disco di studio, con Rhonda Smith al basso (un’altra di quelle formidabili strumentiste che ogni tanto Jeff scopre), Jonathan Joseph alla batteria, nonché Carmen Vandenberg alla chitarra ritmica e Rosie Oddie alla voce (entrambe della band Bones, una “scoperta” devo dire meno interessante) che apre il concerto, armata di megafono e in tuta mimetica, con The Revolution Will Be Televised, in uno dei pochi brani scarsi del concerto stesso, che per il resto è fantastico. Come la sezione dedicata agli Yardbirds, che parte con il riff celeberrimo “east meets west” di Over Under Sideways Down, dove alla voce solista c’è Jimmy Hall dei Wet Willie, che rimane anche per le successive Heart Full Of Soul e For Your Love, un trio di brani che hanno fatto la storia del primo British Rock, quello che miscelava beat e le prime avvisaglie del “rock” prossimo ad arrivare, e di cui Beck è sicuramente uno dei padri putativi con i due dischi del Jeff Beck Group (con Rod Stewart alla voce, e prima dell’arrivo dei Led Zeppelin dell’amico/nemico Jimmy Page). Nel concerto c’è un altro dei pezzi più celebri di Beck, quel Jeff’s Bolero (scritta proprio da Page) che introduce questa passione per i brani strumentali che rimarrà una costante nella carriera del chitarrista inglese, grande versione per inciso, con Beck che inizia a lavorare anche con il bottleneck, per creare i suoi suoni “impossibili”. A questo punto Jeff Beck ricorda al pubblico che arrivò in California la prima volta nel 1965, ma come turista, mentre oggi è uno dei più rispettati artisti del globo: il rock classico irrompe con il medley stellare Rice Pudding/Morning Dew, ancora con Jimmy Hall alla voce solista (grande cantante) e poi si sublima in Freeway Jam, uno dei suoi pezzi più celebri, con il nostro amico che continua ad estrarre mirabilie dalla sua Fender bianca, mentre la sezione ritmica pompa di brutto, e Jan Hammer che si è aggiunto al synth inizia a gareggiare con Beck per vedere chi realizza le note più bizzarre con il proprio strumento.

E non siamo ancora a mezz’ora dall’inizio: Hammer rimane per tutta la sezione jazz-rock del concerto, tutti brani firmati dal tastierista, meno una splendida versione di Cause We’ve Ended As Lovers, la struggente ballata di Stevie Wonder che ai tempi Jeff dedicò a Roy Buchanan. Big Block, da Guitar Shop, chiude il primo CD, mentre nel video, senza soluzione di continuità, arriva Beth Hart per la “consueta”, ma sempre magnifica, versione di I’d Rather Go Blind, uno dei must del concerto, con i due che si stimolano a dare il meglio, in questa immortale canzone, da sempre legata a Etta James, e il pubblico va in visibilio, e per Let Me Love You arriva anche Buddy Guy, per una lotta tra titani della chitarra a colpi di blues. Live In the Dark e Scared For Children, le due canzoni con Rosie Oddie , tratte dall’ultimo CD, non sono malvagie, ma impallidiscono rispetto al resto. La parte finale, veramente scintillante, è un continuo crescendo, prima Rough Boys con Billy Gibbons degli ZZ Top, per l’ultimo duetto tra leggende della chitarra, poi arriva Steven Tyler  per un altro tuffo nel songbook degli Yardbirds, con una potentissima Train Kept A-Rollin’ (che facevano anche gli Aerosmith) e non poteva mancare Shapes Of Things. Non manca neppure la splendida e rivisitata rilettura strumentale di A Day In The Life dei Beatles, meritata vincitrice di un Grammy, mentre per fortuna ci dispensa da Nessun Dorma. Last but not least, finale spettacolare con tutto il cast sul palco per una corale Purple Rain, cantata splendidamente da Beth Hart, in omaggio dell’allora scomparso da poco Prince. Gran Concerto!

Bruno Conti

*NDB. Per motivi che mi sono ignoti (anche a me che l’ho scritta) nella recensione di questo Live, uscita sul Buscadero, nella parte dell’intestazione il disco è stato definito Live At The Hollywood Ball che, a prescindere dal fatto che si pronuncia all’incirca allo stesso modo di Bowl, comunque non esiste. Approfitto dell’occasione per scusarmi con i lettori, visto che quando ho cercato di correggere l’errore ormai la rivista era già in stampa, e quindi ho ripristinato l’esatta grafia per l’occasione e per farmi perdonare ho inserito il video che vedete qui sopra, un altro concerto di Jeff Beck che nel frattempo continua ad imperversare imperterrito dal vivo e speriamo continui a lungo a farlo.

Jeff Beck – Loud Hailer. Le Chitarre Bene, Il Resto un Po’ Meno!

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Jeff Beck – Loud Hailer – Atco/Rhino/Warner

Jeff Beck, nonostante l’improbabile colore nero corvino della capigliatura (per la tinta probabilmente va dallo stesso parrucchiere di Bobby Solo, Silvio Berlusconi e da cui andava il collega Jimmy Page) quest’anno a giugno ha compiuto 72 anni, ad agosto, dopo un tour con Buddy Guy, festeggerà all’Hollywood Bowl con un concerto 50 anni di carriera: anche se avendo iniziato nel 1963 con i Tridents o al limite nel 1965 con gli Yardbirds, l’anniversario, come sempre, è molto opinabile. Quello che è certo è che Beck è uno dei più grandi chitarristi del rock, innovatore, ma anche appassionato del R&R delle origini (e di moto, le sue due passioni), questo dualismo lo rende uno dei solisti più imprevedibili a livello strumentale da sempre. Più prevedibile, purtroppo, da parecchi anni a questa parte, è la qualità dei suoi album: dopo un buon Emotion & Commotion uscito 6 anni fa nel 2010 http://discoclub.myblog.it/2010/03/25/un-fenomeno-di-65-anni-coi-capelli-neri-corvini-jeff-beck-em/ , di cui vi avevo parlato su queste pagine, seguito di dischi veramente bruttarelli come Jeff e You Had It Coming (entrambi vincitori di premi Grammy, a dimostrazione della non grandissima attendibilità di quel riconoscimento, comunque per la cronaca ne ha vinti 8), ma anche di ottimi live come quello dedicato a Les Paul insieme alla band di Imelda Day e al Live+ dello scorso anno http://discoclub.myblog.it/2015/05/27/il-chitarrista-la-c-maiuscola-jeff-beck-live/ .

Proprio il disco del 2015, nei due brani nuovi presenti, aveva evidenziato i soliti “problemi”, almeno per chi scrive, della sua musica nel nuovo secolo: squarci di puro rumore chitarristico su ritmi tra l’elettronico e il pomposo all’eccesso, utilizzo di giovani vocalist femminili sconosciute (Veronica Bellino?!) e canzoni che cercano di sorprendere l’ascoltatore, ma spesso sfondano solo i timpani. Non sempre, lo ammetto, e non in tutti i brani, anzi: Jeck Beck ha utilizzato anche l’ottima Imelda Day appena citata, o Joss Stone, per non parlare del veterano Jimmy Hall,  ex Wet Willie, nell’ultimo tour, o la scoperta della prodigiosa e giovanissima bassista Tal Wilkenfeld,  ma per questo nuovo album, alla spasmodica ricerca di giovani talenti che ne aumentino l’appeal verso le ultime generazioni, il nostro “si accoppia” con la cantante Rosie Bones e la chitarrista Carmen Vandenberg, entrambe londinesi e provenienti dalla band Bones, a suo dire scoperte ai loro spettacoli e quindi sul campo, e non uscite da improbabili talent, parole sacrosante. Ma se poi, oltre a loro, si affida anche alla produzione del giovane italiano Filippo Cimatti, anche a tastiere e all’elettronica aggiunta, che porta con sé la sua sezione ritmica di Davide Sollazzi e Giovanni Pallotti, non c’è da stupirsi se il risultato è sì “moderno” nei suoni e al passo con i tempi, ma quanto ad innovativo e di qualità c’è da discutere.

Sintomatico è un brano come O.L.L (Can’t Get Enough Of That Sticky), un pezzo funky-dance pasticciato posto quasi alla fine del CD, che probabilmente anche Bruno Mars e Pharrell Wlliams avrebbero scartato per la scarsa qualità, chitarra slide di Beck esclusa. Per fortuna non tutto il disco è così: la fusione tra ritmi moderni, voci distorte (quella della Bones lo è spesso e volentieri) e le folate chitarristiche del nostro, a tratti funziona, come nell’inziale, pur esagerata, The Revolution Will Be Televised, dove un ritmo marziale viene accoppiato alle sonorità incredibili della chitarra di Beck, per una sorta di brano futuribile del XXI secolo, o nella dura In The Dark, sempre contaminata da sonorità fastidiose e pure un poco pacchiane, con la chitarra che comunque si salva sempre. Pull It è uno dei due strumentali dove Jeff Beck rivolta la sua solista come un calzino, anche esagerando, ma ragazzi suona, mentre Thugs Club è un funky-rock, sempre firmato con la Bones, onesto ma non memorabile.

Meglio Scared For The Children, che, come altri brani presenti in questo album, tratta nel testo di tematiche legate a questi difficili tempi che stiamo vivendo, e lo fa attraverso una onesta ballata, dove la voce della Bones per una volta non è filtrata e le evoluzioni della chitarra di Beck sono più liriche che acrobatiche, con il solito assolo fenomenale. In Right Now Jeff sfodera un wah-wah hendrixiano tipo Band Of Gypsys, ma la solita voce filtrata irrita; Shame, con le sue sonorità riflessive, un ritmo vagamente soul e la voce non filtrata della Bones che nel timbro assomiglia a Cyndi Lauper, nel sound della chitarra ricorda quel Roy Buchanan tanto amato da Beck  , “citato” anche nel breve strumentale Edna. Rimangono The Ballad Of The Jersey Wives, un altro mid-tempo vagamente minaccioso, sempre sostenuto dai virtuosismi di Jeff che sorreggono un certo vuoto di idee https://www.youtube.com/watch?v=JZEutc2g6Ko . Di O.L.L. abbiamo detto, ma la sorpresa, piacevole, è la ballata conclusiva, una Shrine che ricorda molto le atmosfere sospese di certi brani di Jeff Buckley, tipo la sua versione di Hallelujah, che viene evocata nelle melodie di questo brano (quasi ai limiti del plagio) nobilitato da un lavoro di fino della solista di Jeff Beck che è sempre un maestro nell’uso della sua chitarra ed in fondo è il motivo per cui si comprano i suoi album. Esce oggi 15 luglio.

Bruno Conti