L’Eccezione Che Conferma La Regola: Non Tutte Le Orchestre Vengono Per Nuocere! Buddy Holly With The Royal Philarmonic Orchestra – True Love Ways

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Buddy Holly With The Royal Philarmonic Orchestra – True Love Ways – Decca/Universal CD

Sono sempre stato parecchio critico verso le operazioni di “lifting musicale”, in particolare quando vengono prese le tracce vocali di un artista scomparso alle quali viene aggiunto un accompagnamento strumentale inciso ex novo. Qualche eccezione la faccio anch’io, tipo quando si vuole in un certo modo omaggiare il proprio passato (come i Beatles con Free As A Bird e Real Love, costruite intorno a due nastri casalinghi di John Lennon) o quando un gruppo di canzoni viene lasciato in eredità (come nel caso dell’album postumo di Pops Staples Don’t Lose This uscito nel 2015 e formato da canzoni che il grande musicista aveva consegnato prima di morire alla figlia Mavis, con la raccomandazione di pubblicarle); già nel caso dei Queen, sia per l’album Made In Heaven che per i tre brani “inediti” usciti sulla compilation Queen Forever, siamo giusto a metà tra il tributo all’amico Freddie Mercury e la furba operazione commerciale. L’ultima moda in fatto di restauro musicale è prendere le registrazioni originali di grandi del passato, meglio se stelle del rock’n’roll, ed appiccicargli addosso nuove registrazioni a cura della Royal Philarmonic Orchestra: ha inaugurato il nuovo “trend”, tanto per cambiare, Elvis Presley con il terribile If I Can Dream, del quale mi sono sincerato di far sapere il mio pensiero su questo blog https://discoclub.myblog.it/2015/11/05/questanno-natale-bella-seduta-spiritica-elvis-presley-with-the-royal-philarmonic-orchestra-if-i-can-dream/ .

Eppure incredibilmente quel lavoro ha avuto anche successo, dato che sono poi usciti due seguiti (uno dei quali dedicato alle canzoni di Natale), e la moda si è estesa anche ad altri, come Roy Orbison, con ben due volumi a lui accreditati, secondo me sbagliando ancora di più in quanto la voce di Roy, già potente ed “operistica” di suo, il meglio lo ha sempre dato con arrangiamenti piuttosto sobri, e non seppellita da orchestrazioni ridondanti. Come se non bastasse, si è cominciato a pubblicare dei CD usando incisioni di artisti in quel momento ancora in vita (Aretha Franklin) o più o meno in attività (i Beach Boys), ma i risultati dal punto di vista artistico non sono migliorati granché, ed un certo sapore kitsch è sempre venuto prepotentemente a galla. Inizialmente non ero dunque propenso a considerare neanche questo True Love Ways, nuovo episodio della serie e dedicato stavolta al grande Buddy Holly, ma mi ci sono avvicinato dopo aver letto più di un commento positivo, e considerando anche il fatto che l’immagine del rocker texano scomparso tragicamente nel 1959 negli anni è stata gestita sempre in maniera molto rispettosa. E, dopo averlo ascoltato, posso infatti confermare che True Love Ways è un capitolo a parte, in quanto il lavoro di restauro è stato fatto con grande gusto e misura, e l’orchestra è sempre un passo indietro rispetto alla voce di Buddy e all’accompagnamento dei Crickets (Joe B. Mauldin e Jerry Allison).

Alle registrazioni originali sono state aggiunte anche nuove chitarre (John Parricelli e Kenny Vaughan), è stata rinforzata la sezione ritmica (con l’ausilio di Don Richardson e Steve Pierce al basso e Neal Wilkinson alla batteria) e si sono uniti anche interventi di pianoforte e sassofono. Ma il tutto è stato fatto con il massimo rispetto (dietro il progetto c’è l’ex moglie di Buddy, Maria Elena Holly) e cercando di non rovinare le sonorità originali, rendendo il risultato finale estremamente gradevole. La voce gentile di Holly viene anche valorizzata da questo restyling, al punto che in alcuni momenti sembra di ascoltare un disco inciso da poco, ed i brani contenuti nel CD brillano di una luce nuova: non è il caso di recensire le canzoni, i titoli fanno parte della storia della musica, pezzi che rispondono ai nomi di It Doesn’t Matter Anymore, Everyday, Raining In My Heart, la stessa True Love Ways, Words Of Love, Rave On, la stupenda Peggy Sue. Anche i pezzi più rock’n’roll, come That’ll Be The Day, Oh Boy e Maybe Baby, non perdono un’oncia della loro antica bellezza (e l’orchestra, ripeto, lavora di fino). D’altronde Holly era un grandissimo, e Dio solo sa cosa avrebbe potuto regalarci in seguito se solo non fosse salito su quel maledetto aereo: sono pronto a giurare (tanto non c’è la controprova) che negli anni sessanta avrebbe potuto essere tranquillamente un numero uno, dato che Elvis diventerà la parodia di sé stesso in film assurdi, Orbison calerà disco dopo disco fino a scomparire dai radar per tutti gli anni settanta, Jerry Lee Lewis avrà la carriera stroncata a causa del matrimonio con la cugina minorenne, e pure Chuck Berry a poco a poco si perderà. Se questa compilation servirà a far conoscere l’arte di Buddy Holly a generazioni più giovani (dato che, pur essendo una leggenda, per certi versi la sua figura è sempre stata un po’ di nicchia), l’operazione oltre che riuscita dal punto di vista artistico si potrà definire anche meritoria.

Un disco fatto bene non basta comunque a far cambiare idea al sottoscritto circa questo genere di iniziative, e sarò sempre pronto a “bastonare” futuri album non al livello di questo True Love Ways.

Marco Verdi

E Quest’Anno Per Natale Una Bella Seduta Spiritica! Elvis Presley With The Royal Philarmonic Orchestra – If I Can Dream

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Elvis Presley With The Royal Philarmonic Orchestra – If I Can Dream – RCA/Sony Legacy CD – Deluxe CD + 2LP

Si sa che nel mondo della musica, e non solo rock, i morti vendono.

Ma, a parte registrazioni inedite di studio o dal vivo di artisti passati a miglior vita, una delle pratiche più controverse è utilizzare tracce vocali o strumentali del musicista in questione e rivestirle di sonorità totalmente nuove. Negli anni questa procedura ha prodotto effetti che vanno dal censurabile (il caso più famoso sono i due dischi del 1975 di Jimi Hendrix, Crash Landing e Midnight Lightning, ad opera del famigerato Alan Douglas, che cancellò le basi originali facendole risuonare da sessionmen che Jimi non l’avevano neppure conosciuto) al comprensibile (come le registrazioni postume dei Queen con Freddie Mercury alla voce, o anche i singoli Free As A Bird e Real Love dei riformati Beatles e cantati da John Lennon, certo due operazioni commerciali ma anche un omaggio delle rispettive band al loro passato) al dovuto (per esempio, l’album uscito quest’anno di Pops Staples, Don’t Lose This, il quale in punto di morte aveva passato alla figlia Mavis le sue ultime registrazioni chiedendole di pubblicarle), ma potrei citare molti altri casi.

Elvis Presley è indubbiamente l’artista che nella storia della musica ha reso più da morto che da vivo: è infatti interminabile la lista di dischi usciti dopo la sua scomparsa avvenuta prematuramente nel 1977, ed in molti casi si sono spacciati per nuovi lavori che riciclavano sempre lo stesso materiale. Chiaramente Elvis non è stato esente anche da operazioni di dubbio gusto, come obbrobriosi remix in chiave dance di suoi successi (A Little Less Conversation, tanto per fare un esempio) e, addirittura (pochi anni fa), una intera tournée americana di concerti con sue immagini di repertorio proiettate su megaschermi ed accompagnamento live eseguito sul momento, una cosa che definire macabra è dir poco. E per il Natale del 2015 (anno in cui il King avrebbe festeggiato gli 80 anni) che cosa vanno a pensare quei geniacci della RCA? Prendiamo quattordici tra le canzoni più famose di The Pelvis (17 nella versione a box set con vinile allegato) e facciamole accompagnare dalla Royal Philarmonic Orchestra, infilandoci un paio di ospiti scelti tirando i dadi e legittimiamo il tutto chiedendo all’ex moglie Priscilla di fare da garante dichiarando che questo è ciò che Elvis avrebbe sempre voluto fare ma non ha fatto in tempo in quanto il destino ce lo ha strappato troppo presto.

Il risultato di cotanta pensata è If I Can Dream, un disco che sinceramente non saprei come definire, un’operazione commerciale delle più discutibili, con Elvis trattato ormai come un prodotto da piazzare sul mercato e basta, un pastrocchio artisticamente fine a sé stesso, che venderà comunque a palate in quanto la maggior parte del pubblico è di bocca buona e questo disco è perfetto per un certo tipo di mercato natalizio (e basta leggere le prime recensioni entusiastiche online per rendersene conto). La scelta delle canzoni è stata chiaramente bilanciata in modo da accontentare un po’ tutti: troviamo quindi l’Elvis rock’n’roller, quello più balladeer, quello quasi “operistico” ed anche quello gospel, come da tracklist qua sotto:

 1. Burning Love
2. It’s Now or Never
3. Love Me Tender
4. Fever – Elvis Presley feat. Michael Bublé
5. Bridge Over Troubled Water
6. And the Grass Won’t Pay No Mind
7. You’ve Lost That Loving Feeling
8. There’s Always Me
9. Can’t Help Falling In Love
10. In the Ghetto
11. How Great Thou Art
12. Steamroller Blues
13. An American Trilogy
14. If I Can Dream

Dulcis in fundo, abbiamo anche degli ospiti, e se il grande Duane Eddy è una scelta sulla carta eccellente (anche se dispiace che il leggendario chitarrista si sia prestato ad una comparsata del genere), Michael Bublé, uno che per soldi canterebbe anche con Peppa Pig, stupisce meno, ma è ancora ottimo se paragonato al tragico trio pop-operistico Il Volo, che rende la già indigesta It’s Now Or Never (che come saprete è O Sole Mio in inglese) praticamente inascoltabile, anche se pensiamo che tra gli italiani d’America verrà oltremodo apprezzata. Nella maggior parte dei casi l’orchestra serve solo ad appesantire canzoni dove non servivano orpelli: mi dite a che cavolo serve la Filarmonica in Fever (dove quindi Bublé non è il problema principale), nella cadenzata e ruspante Steamroller Blues o in Burning Love (ovvero come rovinare una delle migliori canzoni dell’ultimo periodo del Re)? E poi certi arrangiamenti erano già ridondanti all’epoca (penso a Bridge Over Troubled Water o In The Ghetto), che bisogno c’era di renderli ancora più grevi? Anche un maestro come Eddy si perde in questo assurdo marasma, ed i suoi interventi chitarristici (nel già citato classico di Paul Simon ed in An American Trilogy) suonano posticci, inutili e, specie nel primo caso, completamente fuori contesto. Certe interpretazioni di Elvis nella loro forma originale erano strepitose, specie nell’ultima decade di carriera quando aveva raggiunto una potenza vocale impressionante, ma così rischiano di venire sepolte dalle orchestrazioni: come se la nefasta esperienza di Phil Spector in Let It Be dei Fab Four non avesse insegnato nulla. Forse gli unici due casi in cui ci sono andati con mano più leggera sono la relativamente poco nota And The Grass Won’t Pay No Mind (un brano di Neil Diamond inciso da Elvis nel 1969), che rimane godibile ed alla quale l’orchestra conferisce un sapore quasi da film western, e con Can’t Help Falling In Love, che è talmente una grande canzone che sopravvive a qualsiasi tipo di trattamento.

Ovviamente chiunque è libero di farsi una propria opinione in merito, ma a me questo disco mette una tristezza infinita.

Marco Verdi

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*NDB Il nome del Blog, come molti sanno e come si intuisce dal logo, che era quello originale, nasce dal negozio di Milano di cui ero titolare: ebbene, come mi chiede di ricordare Marco, negli anni gloriosi del vinile uscì un LP intitolato The Elvis Presley Séance, con la registrazione di una seduta spiritica alla presenza di una nota medium registrata a luglio e pubblicata su disco il 17 agosto del 1979, il giorno dopo il 2° Anniversario della morte di Elvis. Giuro, parola di giovane marmotta! Il manufatto è quello che vedete sopra, ebbene sì, succedevano anche queste cose, quindi non meravigliamoci troppo per If I Can Dream.

Skin Vince Anche Questa Partita! Skunk Anansie – An Acoustic Live In London

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Skunk Anansie – An Acoustic Live In London – 100% Records/Carosello 2013 – CD + DVD

Formatisi nel lontano ’94, gli inglesi Skunk Anansie, nel volgere di pochi anni e di pochi album, a partire dall’esordio Paranoid And Sunburnt (95),poi con Stoosh (96) e Post Orgasmic Chill (99), diventano un riferimento del panorama indipendente rock, grazie al punto di forza del gruppo che viene rappresentato dal carisma e dall’abilità di Skin, cantante di colore molto dotata, sia per le sue doti vocali, che per l’immagine aggressiva e diretta, con al suo fianco una band che ricama trame sonore aspre e dinamiche.

Per festeggiare il quasi ventennale della loro carriera, gli Skunk Anansie hanno abbandonato lo “spirito rock” che contraddistingue i loro live, dando vita ad una performance inusuale (una veste acustica delle canzoni più amate del gruppo), registrata il 15 Aprile di quest’anno alla storica Belgravia Cadogan Halldi Londra (casa della mitica Royal Philarmonic Orchestra).

Il documento di quella serata viene proposto in versione audio e video in questo An Acoustic Live in London, dove sul palco, Skin (voce), Ace (chitarra acustica), Mark (batteria) e Cass (basso), hanno attinto dal loro repertorio storico,da Hedonism (il singolo che li ha lanciati) a Secretly, da Week a Charlie Big Potato, e dai brani dei loro ultimi dischi di studio Squander, Because Of You, Charity e My Ugly Boy e a sorpresa una versione di You Do Something To Me, una delle più belle canzoni di Paul Weller (dall’album Stanley Road), accendendo la fantasia del pubblico (competente) presente, con una nuova forma di canzoni che si susseguono, nella dimensione acustica, in maniera molto coinvolgente.

Questo concerto avvalora sempre di più la tesi, condivisa da molti ma non da tutti, che formazioni di questo tipo o anche di altri generi musicali (metal, hard rock o similari), quando staccano la spina danno il meglio della loro versatilità (pur mantenendo le loro radici musicali), a dimostrazione che la buona musica, per chi la sa suonare, è sempre un valore aggiunto, anche se è opportuno ricordare che in questo caso, il talento della cantante (Skin) e la sua splendida voce, hanno un’importanza superiore al 50% del valore totale del gruppo. Il DVD ripropone l’intero concerto, con alcuni interessanti extra!

Tino Montanari