Una Bella Festa Musicale All’Insegna Del Miglior Country-Rock Californiano. Richie Furay – 50th Anniversary Return To The Troubadour/Deliverin’ Again

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Richie Furay – 50th Anniversary Return To The Troubadour /Deliverin’ Again– DSDK 2CD o DVD

Quando si pensa al country-rock californiano in voga a cavallo tra gli anni 60 ed i 70, la mente va subito agli Eagles (anche se il loro esordio avverrà solo nel 1972) e poi ai Byrds (gli ultimi anni), ai Flying Burrito Brothers e per molti anche a CSN&Y, nonostante nel famoso supergruppo la componente country non fosse molto presente. In pochi invece si ricordano dei Poco (scusate il bisticcio di parole), gruppo formato nel 1968 per iniziativa degli ex Buffalo Springfield Richie Furay e Jim Messina (quest’ultimo era entrato negli Springfield un attimo prima del loro scioglimento) ed autori di alcuni ottimi album specie nel primo periodo fino al 1976 (ma vi parlerà prossimamente del gruppo in maniera più dettagliata Bruno, con una retrospettiva ad hoc). Oggi i Poco sono ancora in vita con una formazione completamente rimaneggiata (l’unico membro presente in tutte le varie lineup, Rusty Young, è passato a miglior vita da neanche un mese, ma comunque si era già ritirato da qualche anno), e quindi l’unico ex componente a tenere alto il vessillo del gruppo è rimasto proprio Furay, che ha appena pubblicato un bellissimo doppio CD dal vivo, 50th Anniversary Return To The Troubadour, che celebra la stagione d’oro della band da lui fondata, e della quale fino al 1973 è stato uno dei principali autori e voci soliste.

A dire il vero in questo live, che documenta una serata speciale al Troubadour di Los Angeles nel 2018, non è ben chiaro cosa venga festeggiato, in quanto i 50 anni del titolo partono in effetti dal ’68, con i nostri che all’inizio si facevano chiamare Pogo ed al Troubadour avevano tenuto i loro primi concerti, ma poi nel secondo CD viene riproposto canzone per canzone il live Deliverin’, uscito in effetti a gennaio del 1971 ma che col Troubadour non c’entra una mazza essendo stato registrato nel 1970 a Boston e New York. Facezie a parte, 50th Anniversary Live At The Troubadour è un album davvero bellissimo, in cui un Richie in ottima forma ci fa rivivere una stagione unica e irripetibile della nostra musica, con una prima parte di concerto, intitolata Still Deliverin’, che offre una panoramica del meglio della sua carriera, mentre nel secondo dischetto (Deliverin’ Again), come ho già detto troviamo l’omaggio al live del ’70. Furay è ancora in possesso di una voce bella e giovanile, e viene accompagnato da una band solidissima che vede sua figlia Jesse Furay Lynch alle armonie vocali, Scott Sellen alle chitarre e banjo, Jack Jeckot alle tastiere, armonica e chitarra, Aaron Sellen al basso, Alan Lemke alla batteria, Dave Pearlman alla steel guitar e dobro e, nella seconda parte, un ospite speciale a sorpresa che vedremo a breve.

Si parte col botto con il classico dei Buffalo Springfield On The Way Home, scritta da Neil Young ma cantata da Richie anche in origine, preceduta da una lunga intro strumentale in crescendo e col ritmo subito alto: grande melodia e refrain, chitarre in palla e coretti che profumano di California. Dal repertorio degli Springfield in questa prima parte Furay suona anche Go And Say Goodbye (di Stephen Stills, ma l’avevano incisa anche i Poco), gustoso country-rock con banjo e chitarre in gran spolvero ed un eccellente ritornello corale, e quattro pezzi dei Poco, a partire dalla splendida Let’s Dance Tonight (dall’album Crazy Eyes, l’ultimo con Richie), rock song di livello assoluto con un motivo solare ed irresistibile, eseguita in modo grintoso e con ottimi intrecci vocali tra padre e figlia (e Furay dimostra di avere ancora l’ugola di un trentenne). Due brani provengono dall’omonimo secondo album della band, la slow ballad Don’t Let It Pass By, distesa, rilassata e con un bell’assolo di armonica, ed una strepitosa rilettura di quasi nove minuti della sontuosa rock ballad Anyway Bye Bye, piena di stop and go, cambi di ritmo, melodia superba, chitarra di Sellen in tiro ed anche un intermezzo pianistico quasi jazzato.

Stranamente Furay sceglie anche una canzone recente dei Poco, e che quindi non gli appartiene: Hard Country proviene dall’ultimo studio album del gruppo All Fired Up (2013), ed è una incantevole ed ariosa country ballad splendidamente eseguita e lasciata alla voce squillante di Jesse, una piccola ed inattesa gemma. Infine Richie propone quattro pezzi dal suo repertorio solista (purtroppo nessuno dal bellissimo The Heartbeat Of Love del 2006), che reggono molto bene il paragone con i pezzi classici, e di cui tre provengono dal suo lavoro più recente Hand In Hand, 2015: la pulsante e coinvolgente We Were The Dreamers, dedicata proprio ai suoi anni nei Poco e con un’altra melodia da applausi, la limpida e toccante ballata Wind Of Change, altri sei minuti di grande musica tra organo, chitarre ed armonie vocali da brivido, e l’incalzante Someday, puro country-rock che dimostra la sicura influenza che il nostro ha avuto sugli Eagles; per finire con il travolgente bluegrass elettrico Wake Up My Soul (una delle bonus track di studio inserite nel disco dal vivo Alive del 2016), ennesimo pezzo delizioso sotto ogni punto di vista, con il banjo ancora sugli scudi.

E veniamo alla seconda parte ed alla riproposizione di Deliverin’, che conteneva ben cinque canzoni inedite, una da Poco, quattro dall’esordio Pickin’ Up The Pieces e due dei Buffalo Springfield. Si inizia con un uno-due decisamente potente e rockeggiante formato da I Guess You Made It e C’mon, entrambe con il solito aroma country di base; a questo punto sale sul palco il già citato ospite, ovvero un applauditissimo Timothy B. Schmit, che dopo l’esordio del 1969 aveva sostituito nei Poco il bassista Randy Meisner (cosa che si ripeterà negli Eagles): il lungocrinito Tim impreziosisce con la sua voce angelica Hear That Music, da lui anche scritta, un altro country-rock assolutamente trascinante. E’ poi la volta della languida country ballad Kind Woman con la steel in grande evidenza, una delle più belle canzoni di Richie, scritta all’epoca degli Springfield per la sua futura moglie (con la quale è ancora insieme dopo 51 anni), seguita da tre pezzi suonati in medley esattamente come sul live del 1970: lo squisito country-grass Hard Luck e le note A Child’s Claim To Fame e Pickin’ Up The Pieces, due canzoni una più bella dell’altra. L’orecchiabile ed avvincente You Better Think Twice è un omaggio del nostro al suo autore Jim Messina, ed è seguita dal ruspante rockin’ country A Man Like Me; finale con un altro strepitoso medley di ben undici minuti che mette in fila Just In Case It Happens, Yes Indeed, lo strumentale Grand Junction e Consequently So Long, in un tripudio di ritmo, chitarre, steel e cori da pelle d’oca. Ma c’è spazio anche per un bis (ancora con Schmit sul palco a duettare con Richie), una fulgida versione della title track dell’album A Good Feelin’ To Know (1972, uno dei più belli dei Poco), che chiude definitivamente un concerto magnifico ed un live che sarà sicuramente tra i migliori dischi dal vivo del 2021.

Marco Verdi

Dopo La Prima Sfornata, Altro Pane “Prelibato”. Carla Olson – Have Harmony Will Travel 2

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Carla Olson – Have Harmony, Will Travel 2 – Sunset Blvd Records

A sette anni di distanza dal precedente Have Harmony, Will Travel (anche se devo ammettere che avevo perso quasi le speranze https://discoclub.myblog.it/2013/04/09/per-l-occasione-meglio-in-compagnia-che-sola-carla-olson-hav/ ), Carla Olson (una delle frequentatrici più assidue di questo blog, anche con la reunion dei Textones, https://discoclub.myblog.it/2018/11/01/sono-passati-piu-di-30-anni-ma-ma-non-hanno-dimenticato-come-si-fa-buona-musica-textones-old-stone-gang/) ha mantenuto la promessa e dato un seguito allo sforzo iniziale, riproponendosi con questo lavoro Have Harmony, Will Travel 2, dove, come nel precedente, si avvale di una schiera di “guest stars”, merito di una solida reputazione che si è costruita nel tempo, per attuare il progetto che abbiamo oggi a disposizione da ascoltare e recensire. E così la Olson riesce a portare nei suoi studi californiani di Woodland Hills il bassista degli Eagles Timothy b.Schmidt, l’icona giovanilistica britannica Peter Noone (Herman’s Hermits), Stephen McCarthy dei Long Ryders, il rocker Terry Reid, l’ex chitarrista dei Bee Gees Vince Melouney, con il contributo di Rusty Young dei Poco, e come vocalist la cantante multilingue Ana Gazzola, l’attrice Mare Winningham, e il cantautore Jim Muske, per una selezione di sette brani originali e quattro recuperati da dischi precedentemente pubblicati (in primis il sodalizio col suo vecchio amico Gene Clark e Percy Sledge, entrambi scomparsi).

Sostenuta dalla sua solida “line-up” attuale, Carla apre con una Timber, I’m Falling In Love del cantautore country americano di origine greca Kostas Lazarides (e portata al successo da Patty Loveless), qui riletta in una versione con un bel gioco di chitarre alla Byrds, e con la voce principale di Stephen McCarthy, seguita da A Child’s Claim To Fame di Richie Furay (membro dei Buffalo Springfield e Poco), dove brillano le corde di Rusty Young e la voce dell’ex Eagles Schmidt, una “pop-song” anni ’60 come Goodbye My Love (Searchers) cantata e suonata alla grande con Peter Noone, e omaggiare il compianto John Stewart con una versione “western” di Shackles & Chains, cantata con vigore dalla Olson sulle chitarre di Vince Melouney.

Il lavoro prende quota con una squisita versione di Uno Mundo di Stephen Stills ripresa dagli anni gloriosi dei Buffalo Springfield, con le voci di Ana Gazzola e Carla che seguono il buon lavoro di chitarra di Todd Wolfe (ultimo partner della Olson in The Hidden Hills Sessions https://discoclub.myblog.it/2019/07/19/un-set-musicale-acustico-suonato-e-cantato-con-grande-passione-carla-olson-todd-wolfe-the-hidden-hills-sessions/ ), recuperare una ballata come Scarlet Ribbons (cantata tra gli altri anche dal grande Harry Belafonte), eseguita con trasporto dal britannico Terry Reid (una voce incompresa del rock, mancato cantante dei Led Zeppelin per scelta personale e autore di un album splendido come River), riscoprire le atmosfere alla Roy Orbison con una Haunting Me cantata in duetto con l’autore Jim Muske, e recuperare dall’ album So Rebellious A Lover, inciso nel 1987 con Gene Clark la sua After The Storm, eseguita con l’eclettica Mare Winningham.

Con la bellissima Honest As Daylight rubata dall’album Reap The Whirlwind si alza (e di molto) la famosa asticella, una ballata “soul” che oltre alla voce di Percy Sledge si avvale della bravura alla “slide” dell’ex chitarrista dei Rolling Stones Mick Taylor, mentre la band di culto californiana I See Hawks In L.A. presta alla Olson una gradevole Bossier City ripresa dall’album Shoulda Been Gold, in un duetto che rimanda al suono che hanno forgiato gruppi come Flying Burrito Brothers, Poco, New Ryders Of The Purple Sage, e chiudere (e non poteva essere altrimenti) con un altro duetto con Gene Clark, una “country-ballad” come Del Gato un brano tratto dall’unico lavoro in studio del mai dimenticato musicista con la Olson, nel superbo e consigliabile So Rebellious A Lover, citato poc’anzi.

La voce di Carla Olson (come nella raccolta precedente) nel complesso non domina molto rispetto ai numerosi ospiti, con canzoni comunque ben eseguite e suonate al meglio da uno stuolo impressionante di musicisti di valore, una “signora” che nella sua vasta carriera solista ha collaborato oltre che con il citato Gene Clark, anche con personaggi come Bob Dylan, Don Henley, Mick Taylor e altri, sempre mantenendo una coerenza di fondo, poco riscontrabile nell’attuale panorama musicale. A volte i dischi di “duetti” funzionano e altre volte meno, ma in questo caso specifico di Have Harmony Will Travel 2, la Olson ha sicuramente prodotto un ottimo lavoro, che è una vera delizia per tutti i “fan” del genere “Americana”, confidiamo però di non aspettare altri sette anni per la terza raccolta.

Tino Montanari

Una Delle Più Belle Voci In Circolazione In Uno Splendido Omaggio Ad Uno Dei Grandi Della Musica Rock! Janiva Magness – Sings John Fogerty Change In The Weather

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Janiva Magness – Sings John Fogerty/Change In The Weather – Blue Elan

Il germoglio per la nascita di questo album era stato piantato nel 2016, quando Janiva Magness, all’interno di un album fatto tutto di brani originali, Love Wins Agains (detto per inciso il suo unico ad essere candidato ad un Grammy come miglior album di blues contemporaneo dell’anno https://discoclub.myblog.it/2016/05/11/piu-che-lamore-la-voce-che-vince-volta-janiva-magness-love-wins-again/ ), aveva inciso una splendida cover tra soul e gospel di Long As I Can See tTe Light dei Creedence, una delle tantissime perle uscite dal songbook di John Fogerty. Janiva poi quel Grammy purtroppo non lo ha vinto, ma per fortuna detiene almeno sette Blues Music Awards, in quanto si tratta, a mio parer,e di una delle più belle voci espresse dalla musica americana nell’ultimo trentennio. La cantante di Detroit, che con questo Change In The Weather giunge al suo disco n° 15, non ne ha mai sbagliato uno, ogni uscita almeno pari alla precedente, in questo aiutata dal suo fido collaboratore storico Dave Darling, che ancora una volta si occupa della produzione, al solito molto curata, ma anche molto essenziale nella sua linearità, con l’impiego della nuova touring band della Magness,  il batterista Steve Wilson, il bassista Gary Davenport e il chitarrista Zachary Ross, anche al dobro, ai quali si affianca lo stesso Darling alla chitarra e l’ottimo tastierista Arlan Oscar, oltre ad un paio di ospiti che vediamo subito.

L’approccio nell’affrontare queste dodici canzoni (7 dei Creedence e 5 non notissime del Fogerty solista) è un po’ quello dei grandi cantanti jazz e dei crooner del passato nelle interpretazioni dei songbook della canzone americana d’autore: quindi non rigorosamente simili all’originale, ma mediati dalla sensibilità di questa interprete sopraffina. C’è del blues, del soul, del gospel, ma anche uno spirito fortemente rock, tutti amalgamati alla perfezione: prendiamo l’iniziale title track Change In The Weather, che viene da Eye Of The Zombie, su un insistito battito di mani e un serrato ritmo di chitarra, basso e batteria, si innesta un drive incalzante tra boogie e blues-rock, con le chitarre cattive e sporche e la voce roca, calda ed espressiva di Janiva che scalda subito i motori. Lodi era uno dei capolavori “country” dei CCR, un brano bellissimo, che qui viene rivisitato sotto forma di duetto insieme alll’eccellente cantautore outlaw country di LA Sam Morrow, in un perfetto equilibrio tra la voce alla carta vetrata di Morrow e quella vellutata di Janiva, diventa un urgente blues-rock tirato e chitarriistico, non privo di elementi Memphis soul, grazie ad un organo scivolante e al call and response dei due cantanti, una meraviglia; Someday Never Comes, un brano tratto da un album minore dei Creedence come Mardi Gras, è uno di quelli che addirittura superano l’originale, su un ritmo ondeggiante tra accelerazioni rock e tempo da ballata, la nostra amica ci regala una prestazione vocale sontuosa https://www.youtube.com/watch?v=nf0W6N05_yE .

A proposito di ballate, la prima del lotto è Wrote A Song For Everyone, che non casualmente era il titolo dell’album del 2013 dove Fogerty riprendeva i suoi vecchi brani https://discoclub.myblog.it/2013/06/06/sempre-le-stesse-canzoni-ma-che-belle-john-fogerty-wrote-a-s/  (e anche Someday Never Comes ne usciva rivitalizzata), ma anche uno dei brani più belli di Green River e dell’opera omnia dei Creedence, partendo da una capolavoro la Magness e Darling hanno pensato di dargli una veste deep soul come quella che avevano le grandi versioni degli artisti Stax quando attingevano dal repertorio rock, cantata sempre in modo incantevole  . Altro duetto delizioso è quello con il decano Taj Mahal nella non notissima Don’t You Wish It Was True, un pezzo tratto da Revival del 2007, che diventa un agile Delta Blues con il banjo di Taj a doppiare il dobro di Ross, e il vocione di Mahal ad accarezzare la voce quasi mielosa ed ammiccante di Janiva, e un divertente finale ad libitum, mentre Have You Ever Seen The Rain una delle canzoni più politiche dei Creedence (ma anche tra le più belle ed indimenticabili) viene rallentata ad arte per adattarla all’attuale pesante clima sociale americano, e diventa una soffusa e sofferta soul ballad, con organo d’ordinanza, armonie vocali avvolgenti e un’altra interpretazione da sballo della Magness, ma quanto canta bene?

Anche Bad Moon Rising era una dichiarazione di intenti del vecchio Fogerty, trasformata in un trasognato blues a tutta slide, molto Cooderiano, che però a tratti non dimentica l’urgenza dell’originale, e come si potrebbe? https://www.youtube.com/watch?v=K9AEbz0hY1g  Anche Blueboy, presa da Blue Moon Swamp, non è un brano celeberrimo, ma è l’occasione per un tuffo nel classico suono swamp dell’originale, ancora con dobro ed elettrica in azione, e non mancano neppure i classici coretti. Fortunate Son cantata da un punto di vista femminile è inconsueta, ma il riff non manca, la grinta rock neppure, questa canzone si può fare solo così, magari rallentarla appena, ma mantenendo la forza dirompente del brano, caratterizzato da un bel assolo di piano di Oscar, e anche Déjà Vu (All Over Again), dopo un inizio attendista sprigiona la consueta potenza delle canzoni di Fogerty, magari più raffinata e meno sparata a tutta forza, diciamo un ottimo mid-tempo. A Hundred And Ten In The Shade, ancora da Blue Moon Swamp, profuma nuovamente di blues usciti da paludi misteriose e profonde, lasciando la conclusione ad un incantevole tuffo nel country/bluegrass di una vivacissima e ruspante Looking Out My Back Door, con il dobro di Rusty Young, le acustiche di Darling e Jesse Dayton e il violino di Aubrey Richmond. Idea complessiva brillante e personale, esecuzione anche migliore, trai i dischi più belli di quest’anno.

Bruno Conti

Novità Prossime Venture 3. Poco – The Epic Years 1972-1976 : Gli Anni Di Paul Cotton

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Poco – The Epic Years 1972-1976 – 5 CD HNE/Cherry Records – 30-08-2019

Poco, sono uno dei gruppi storici (tutt’ora in attività) e tra i migliori rappresentanti del country-rock americani: nati alla fine degli anni ’60 dall’incontro di due dei membri dei Buffalo Springfield, ovvero i cantanti e chitarristi Richie Furay e Jim Messina, con il futuro Eagle Randy Meisner al basso e George Grantham alla batteria, e con l’aggiunta dell’asso della pedal steel guitar Rusty Young. Di loro esistono varie antologie retrospettive, la migliore delle quali è indubbiamente il doppio CD The Forgotten Trail 1969-1974, un piccolo box, ricco anche di materiale inedito, che fotografa gli anni migliori della band americana. Mentre l’unico altro cofanetto, oltre a questo di cui stiamo parlando, è Original Album Classics, che raccoglie i primi 5 album di studio, quelli usciti proprio tra il 1969 e 1973.

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Della band californiana esistono anche parecchi dischi dal vivo, alcuni usciti postumi in CD negli anni 2000, ma in generale la loro discografia è servita piuttosto bene in Compact Disc. Diciamo che di questo The Epic Years non si capisce del tutto la scelta degli album, visto che anche i primi tre dischi, oltre a Deliverin’, il primo album Live del 1971, era usciti per l’etichetta del gruppo Columbia: quindi nel box troviamo il quarto, quinto, sesto e ottavo disco di studio, più il Live del 1976. L’unica cosa che li unisce, ipotizzo, ma tiro ad indovinare, è la presenza come voce solista e chitarrista di Paul Cotton, entrato nei Poco in sostituzione di Jim Messina dal terzo album From The Inside e presente in tutti gli album del cofanetto. Nella formazione in quegli anni, nel 1970, era arrivato anche Timothy B. Schmit, in sostituzione di Randy Meisner, passato agli Eagles, dove verrà proprio sostituito ancora una volta da Schmit.

Ecco i contenuti completi del box, solo due album hanno delle bonus tracks:

[CD1: A Good Feelin’ To Know (1972)]
1. And Settlin’ Down
2. Ride The Country
3. I Can See Everything
4. Go And Say Goodbye
5. Keeper Of The Fire
6. Early Times
7. A Good Feelin’ To Know
8. Restrain
9. Sweet Lovin’
Bonus Tracks:
10. I Can See Everything (Remix)
11. A Good Feelin’ To Know (Single Edit)

[CD2: Crazy Eyes (1973)]
1. Blue Water
2. Fools Gold
3. Here We Go Again
4. Brass Buttons
5. A Right Along
6. Crazy Eyes
7. Magnolia
8. Let’s Dance Tonight
Bonus Tracks:
9. Nothin’s Still The Same
10. Get In The Wind
11. Believe Me

[CD3: Seven (1974)]
1. Drivin’ Wheel
2. Rocky Mountain Breakdown
3. Just Call My Name
4. Skatin’
5. Faith In The Families
6. Krikkit’s Song (Passing Through)
7. Angel
8. You’ve Got Your Reasons

[CD4: Cantamos (1974)]
1. Sagebrush Serenade
2. Susannah
3. High And Dry
4. Western Waterloo
5. One Horse Blue
6. Bitter Blue
7. Another Time Around
8. Whatever Happened To Your Smile
9. All The Ways

[CD5: Live (1976)]
1. Medley: Blue Water / Fools Gold / Rocky Mountain Breakdown
2. Bad Weather
3. Ride The Country
4. Angel
5. High And Dry
6. Restrain
7. A Good Feelin’ To Know

Devo dire che tutti i dischi dei Poco, almeno fino a Rose Of Cimarron del 1976 (e anche tra quelli successivi ce ne sono alcuni buoni), sono molto belli, ma i cinque contenuti nel box sono probabilmente i migliori in assoluto, con una preferenza del sottoscritto per A Good Feelin’ To Know Carzy Eyes, gli ultimi due con Richie Furay, che poi rientrerà in formazione tra il 1987 e il 1990, e spesso, soprattutto dal vivo, collabora ancora con la band fino ai giorni nostri, e anche Paul Cotton è rimasto con il gruppo dal 1970 al 1988 e poi dal 1992 al 2010. L’unico membro originale sempre presente dal 1969 a oggi è Rusty Young. Quindi se volete conoscere una delle band più importanti nella storia del country-rock (armonie vocali celestiali, voci soliste incredibili, ottimi chitarristi e uno dei più grandi interpreti della pedal steel in assoluto) direi che questo box sarebbe da avere, magari insieme agli altri due segnalati nel Post. Se amate il genere o conoscerlo, come si suol dire, imperdibili.

The Epic Years 1972-1976, salvo rinvii, dovrebbe uscire il 30 agosto.

Bruno Conti

Sono Passati Più Di 30 Anni Ma Non Ha(nno) Dimenticato Come Si Fa Buona Musica. Textones – Old Stone Gang

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Textones – Old Stone Gang – Blue Elan Records

Le reunion non sono una cosa infrequente nel mondo del rock, anzi è vero il contrario, però il caso dei Textones mi pare decisamente diverso: più di 30 anni dall’ultimo album Cedar Creek non sono un lasso di tempo indifferente. Risolti i problemi finanziari, logistici, famigliari del passato, dopo i primi incontri del 2012, comunque poi ci sono voluti sei anni per arrivare a Old Stone Gang, il nuovo album che esce per la Blue Elan. Nuovo disco dei Textones che diciamolo subito è bello. Non un capolavoro, ma un solido lavoro di Americana, di cui il gruppo californiano è stato tra i precursori, power pop elegante ed energico, country e roots rock, favorito anche dal fatto di avere una cantante che ha una delle più belle voci del rock americano, assolutamente non toccata dallo scorrere del tempo, calda, espressiva, una sorta di incrocio tra Chrissie Hynde, la Carly Simon della maturità e Sheryl Crow, che secondo me tanto le deve. Carla Olson in effetti negli ultimi anni è stata più impegnata come produttrice, per esempio nel recente Barry Goldberg (che ai tempi aveva prodotto, nel 1984, il primo disco dei TextonesMidnight Mission https://www.youtube.com/watch?v=zBmHgDhgWqo ), che con dischi propri.

Si diceva che il disco è molto piacevole, la chimica tra i vari membri funziona ancora, in effetti non si erano lasciati per dissapori tra loro. Manca  Phil Seymour, uno dei fondatori della band, morto nel 1993, di cui è stato recuperato anche un vecchio brano sotto forma di demo, completato da Carla Olson e George Callins, il chitarrista e co-leader del gruppo, si tratta di One Half Rock ed illustra bene lo stile gagliardo ed esuberante dei Textones, un pezzo che parte da un riff a metà strada tra Chuck Berry e Stones, su cui si innestano il sax di Tom Morgan Jr., il basso di Joe Read, che nel disco suona pure dulcimer, slide, mandolino e fisarmonica, e la batteria di Rick Hemmert, oltre al piano dell’ospite Barry Goldberg e la voce aggiunta di Todd Wolfe. Rock vecchia scuola anche nell’iniziale Downhearted Town dove il  sound classico vibra con una classe senza tempo, energia pura, belle melodie, armonie vocali essenziali, una pulizia di suono unita ad una grinta invidiabile, e che voce; ripeto, nulla di nuovo, ma come lo fanno bene, con il sax di Morgan che ricorda molto Clarence Clemons, ancor di più nella ballata springsteeniana 20 Miles South Of Wrong, dove troviamo anche Allan Clarke degli Hollies all’armonica, e la pedal steel sognante di Rusty Young che aggiunge un sapore vagamente country alle procedure. Anche la title track Old Stone Gang rocca e rolla di gusto a tutto riff, con Callins particolarmente ispirato e  ben sostenuto dal sax di Morgan, mentre Bared My Soul è una di quelle ballate mid-tempo arrangiate con gran gusto, sempre con la calda e vissuta voce di Carla che evidenzia quel timbro vocale maturo che tanto mi ha ricordato Carly Simon https://www.youtube.com/watch?v=eTnL5PE-HgI .

All That Wasted Time, nuovamente gagliarda e springsteeniana, con Goldberg che fa Bittan e Morgan nei panni di Clemons sarà pure derivativa ma è sempre tanto piacevole. Midnight Roundabout di Joe Read, è una sorta di ballata blues notturna e malinconica, mentre Ghost On A River pigia di nuovo il pedale del rock sano e portatore di buoni principi, con Come Stay The Night che ricorda certo jingle-jangle power pop che era tanto caro a Seymour https://www.youtube.com/watch?v=Y_KrZOQDHAEFor Carly Jo nelle intenzioni di Carla doveva essere una specie di brano Appalachiano con dulcimer, fisarmonica ed acustica, poi l’aggiunta della chitarra backwards alla Yardbirds di Callins le ha dato uno spirito leggermente psichedelico, e in Walkin’ And Talkin’ torna pure una delle primissime incarnazioni dei Textones, con Kathy Valentine delle Go-Go’s alla chitarra, David Provost dei Dream Syndicate al basso, Markus Cuff alla batteria e Richard D-Andrea al sax, oltre alla pedal steel di Young,  il tutto suona stranamente dylaniano, ma forse non troppo visti i trascorsi della Olson con il vecchio Bob Dylan, che le aveva regalato un brano, Clean Cut Kid, in virtù della sua partecipazione al video di Sweetheart Like You https://www.youtube.com/watch?v=A2mE80miKdk. In conclusione troviamo Ride On , un’altra composizione di Joe Read, che per l’occasione se la canta, altro gradevole esempio dell’Americana sound senza tempo di ottima qualità che contraddistingue tutto l’album.

Bruno Conti

Voci E Dischi Così Non Se Ne Fanno Quasi Più! Janiva Magness – Love Is An Army

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Janiva Magness – Love Is An Army – Blue Elan Records/Ird

Anno dopo anno, disco dopo disco, Janiva Magness si conferma una delle voci più belle del panorama musicale americano: vogliamo definire il suo genere blues, soul, rock, country, R&B, tutti elementi presenti, ma quello che spicca sempre nei suoi album è  comunque la voce, un timbro, un fraseggio ed una espressività che non hanno nulla da invidiare alle più grandi, da Mavis Staples a Ann Peebles, tra quelle ancora in attività, ma anche le grandi del passato, soprattutto le “voci nere” con cui la nostra amica condivide quel tocco magico che divide le prime della classe dalle scartine. In questo Love Is An Army, il suo 14° album, la bravissima Janiva fonde ancora una volta in maniera magistrale (grazie anche al suo collaboratore storico Dave Darling), le due anime di Nashville e Memphis, il cuore della migliore musica americana, e lo fa senza sforzo apparente, con una classe e una forza espressiva che per certi versi richiama quella di Delbert McClinton, una sorta di controparte maschile della Magness, o viceversa, presente a duettare con lei in un brano e da tantissimi anni anche lui portatore sano di buona musica, quella più genuina e non adulterata, arricchita da infinite perle sonore che parlano di amore, speranza, protesta, con una resilienza acquisita in lunghi anni on the road, non dimenticando mai gli anni bui degli abusi, degli abbandoni, dell’alcolismo e delle droghe, una vita poi riscattata in modo splendido con una carriera ricca di soddisfazioni che le ha portato sette Blues Music Awards e una nomination ai Grammy nel 2016.

Lo stesso anno in cui ha pubblicato l’ottimo Love Wins Again https://discoclub.myblog.it/2016/05/11/piu-che-lamore-la-voce-che-vince-volta-janiva-magness-love-wins-again/ , poi raddoppiato nel 2017 con il mini album Blue Again, altrettanto bello. In passato Janiva ha cantato spesso e volentieri anche canzoni di altri, interpretandole in modo sublime, ma in questo nuovo Love Is An Army, forse il suo disco più bello in assoluto, ha deciso di rivolgersi ad un repertorio originale, pezzi scritti da lei, da Dave Darling e da altri collaboratori che hanno saputo pescare nei sentimenti più genuini e veraci, poi il resto ancora una volta lo ha fatto lei con la sua voce splendida, e anche tutti i musicisti incredibili che suonano nel disco: da Darling alla chitarra, passando per le sezione ritmica impeccabile di Stephen Hodges, batteria e Davey Faragher, basso, Arlan Schierbaum, tastiere (per lunghi anni con Bonamassa, Beth Hart e anche John Hiatt), Doug Livingston al dobro e alla pedal steel (ma in un brano, splendido, c’è anche Rusty Young dei Poco), e ancora Phil Parlapiano al piano e in alcuni brani. una sezione fiati con Darrell Leonard, Joe Sublet e Alfredo Ballesteros, oltre a svariati backing vocalists che illuminano con la loro presenza le sfumature delle canzoni.

Oltre a Young ci sono vari altri ospiti che duettano con la nostra amica: dall’iniziale Back To Blue, che stabilisce subito i confini musicali, tra Stax e Hi Records, più la prima nel caso specifico, con echi del profondo southern soul che usciva dai solchi dei dischi degli Staples Singers, ma anche da quelli di Ann Peebles, con la voce che galleggia su un mare di voci, fiati, tastiere, l’organo magnifico, la chitarra malandrina, con risultati speciali. Hammer aggiunge al menu anche tocchi più blues, grazie alla presenza di Charlie Musselwhite all’armonica, per un brano ritmato e scandito, quasi funky, che fonde mirabilmente le 12 battute e il R&B più genuino, per poi sfociare in un country got soul magnifico, dove la pedal steel di Rusty Young disegna traiettorie adorabili che ci spediscono diritti negli anni magici delle più riuscite e nobili fusioni tra la musica nera e quella bianca, On And On è una di quelle canzoni perfette, cantata in modo mirabile dalla Magness, che sfodera per l’occasione una delle sue interpretazioni più memorabili, semplicemente magnifica, sentire per credere. Tell Me è un “soul psichedelico” tra Heard It Through The Grapevine e i Temptations, con la chitarra “sporca e cattiva” di Darling in bella evidenza, Love Is An Army è un’altra bellissima ballata dal retrogusto country, a tutta steel, cantata divinamente in coppia con il compagno di etichetta, il texano Bryan Stephens, un altro brano delizioso e sognante.

Notevole pure Down Below, un pezzo dove appare il virtuoso del banjo e della chitarra Courtney Hartman, dalla band Della Mae, altro brano incalzante dal gusto rootsy che illustra il sound complesso di questo album; What’s That Say About You è un altro pezzo “nero”, potente e ritmato degno della gesta degli Staple Singers. What I Could Do, l’unica cover, un pezzo scritto dal bravissimo Paul Thorn, è l’occasione per il duetto citato con Delbert McClinton, una ballata melliflua e delicata cantata in modo radioso dai due che si integrano alla perfezione, teneri e vissuti come solo i grandi sanno essere. Un pizzico di blues del Delta per il quasi gospel di Home dove la chitarra di Cedric Burnside è elemento portante, mentre Love To A Gunfight, ancora con la pedal steel di Doug Livingston in grande spolvero, è un altro esempio del miglior country got soul che si possa immaginare, elevato alla quasi perfezione, e poi ripetuto nella fragile e cristallina When It Rains, dove sembra di ascoltare la migliore Joan Armatrading degli anni ’70, vulnerabile e delicata nel mettere a nudo il proprio animo. Janiva Magness ci regala un’ultima perla del suo perfetto phrasing nella emozionante Some Kind Of Love, una ballata gospel solo voce e piano di una bellezza disarmante, cantata in modo sontuoso. Voci così non se ne fanno più.

Bruno Conti