7 Settembre 2018: Il Giorno Dei Paul! Parte 2: Paul McCartney – Egypt Station

paul mccartney egypt station

Paul McCartney – Egypt Station – Capitol/Universal CD – 2LP

Ecco la seconda parte di un doppio post dedicato ai due più famosi Paul del rock, dopo quello su Paul Simon di ieri.

A cinque anni dalla sua ultima fatica, New, torna Paul McCartney con il suo nuovo lavoro, Egypt Station, annunciato già da qualche mese. Nel mio ultimo post dedicato a Paul Simon, ho scritto che il piccolo cantautore dei Queens non fa un grande disco dal 1986 (Graceland), e questa, oltre al nome di battesimo, è una considerazione che può andar bene anche per l’ex Beatle, il quale però l’ultimo lavoro veramente degno di nota lo ha prodotto nel 1997 (Flaming Pie). Da allora, Paul ha pubblicato solo quattro album di materiale originale (più due di cover, Run Devil Run, ottimo, e Kisses On The Bottom, discreto): Driving Rain (2001) era lungo, noioso e pretenzioso, mentre i suoi ultimi due, Memory Almost Full ed appunto New avevano qualche buona canzone ma alla fine risultavano del tutto dimenticabili. Forse l’unico con qualche possibilità di essere elevato al rango di bel disco era Chaos And Creation In The Backyard, sia per la solidità di varie composizioni che per il fatto che fosse prodotto alla grande da Nigel Godrich. Egypt Station, che esce con una copertina disegnata dallo stesso Paul (non bellissima peraltro, ed in più mi ricorda non poco quella di Gone Troppo dell’ex amico e collega George Harrison), ha anch’esso un produttore di grido, Greg Kurstin, uno che però ha un curriculum non proprio impeccabile per i lettori di questo blog: Adele, Beck (e fin qui ci siamo ancora), Sia, Pink, Foo Fighters, All Saints, Kylie Minogue, Shakira e Kesha.

Nomi che mi fanno tremare i polsi, dunque, ma devo dire che in questo album Greg ha fatto un ottimo lavoro, dando ai brani un suono pulito, quasi essenziale, e nello stesso tempo moderno senza essere troppo tecnologico. Il resto lo ha fatto Paul, scrivendo alcuni tra i suoi migliori brani degli ultimi vent’anni, e confezionando un album che, pur non essendo un capolavoro, surclassa facilmente i due precedenti e si posiziona nella zona medio-alta di un’ipotetica classifica dei suoi dischi. Egypt Station è pensato come un viaggio in treno, con una stazione di partenza ed una di arrivo, dove ogni canzone è una diversa fermata, anche se le tematiche sono differenti e non me la sento di definirlo un concept: la maggior parte degli strumenti è suonata da Paul stesso (è sempre stato un eccellente polistrumentista), con interventi della sua ormai collaudata road band (Paul Wickens, Abe Laboriel Jr, Rusty Anderson e Brian Ray), dello stesso Kurstin e di una sezione fiati. Stranamente non sono previste edizioni speciali per il momento (ma la Target per gli USA e la HMV per il Regno Unito hanno una versione con due bonus tracks, Get Started e Nothing For Free), ma all’orizzonte c’è un’inquietante Super Deluxe Edition, sembra in uscita ad Ottobre, il cui contenuto è al momento segreto (ma vedrete che il buon Macca farà di tutto per farci comprare lo stesso disco due volte in due mesi). Dopo una breve introduzione d’atmosfera con Opening Station, ecco subito i due pezzi già noti da qualche mese in quanto usciti su singolo: I Don’t Know è una bella canzone, una ballata pianistica tipica del suo autore, dal ritmo cadenzato e melodia fluida e squisita, un pezzo di stampo classico che potrebbe essere stato scritto anche negli anni settanta (fa impressione invece la voce di Paul, invecchiatissima rispetto anche all’album precedente), mentre Come On To Me è un uptempo elettrico tra pop e rock e dal riff insistito, abbastanza coinvolgente anche se forse si sente la mancanza di un ritornello.

Happy With You come da titolo è una gioiosa e saltellante ballata acustica, un altro genere di brani che nei dischi di Paul non manca (quasi) mai, Who Cares parte con una chitarra distorta, poi arriva una ritmica sostenuta ed un motivo diretto e piacevolissimo, un rock’n’roll di presa immediata e tra le più riuscite del CD; la bizzarra Fuh You (l’unica non prodotta da Kurstin, ma da Ryan Tedder) sembra una filastrocca pop, ha un arrangiamento molto moderno ma non artefatto, basato sul pianoforte: non è tipica di Paul ma si lascia ascoltare con piacere, grazie anche ad un refrain che si canticchia fin dal primo ascolto. Una chitarra acustica cristallina introduce Confidante, altro esempio tipico di come il nostro sia ancora in grado di costruire melodie semplici e piacevoli nello stesso tempo; People Want Peace è introdotta da un piano che sembra preso da Obladì-Obladà, poi entrano gli altri strumenti ed il brano si fa più serio, anche se è un gradino sotto i precedenti. Splendida per contro Hand In Hand, una scintillante ballata pianistica classica, con una leggera orchestrazione ed una linea melodica notevole, resa ancora più toccante da un assolo di flauto e dalla voce quasi fragile di Macca; di ottimo livello anche Dominoes, altra squisita pop song di classe e dal ritmo vivace, mentre Back In Brazil se la poteva anche risparmiare, in quanto è una sorta di samba-pop moderna dalla consistenza di una piuma, e pure un po’ irritante.

Il disco però si riprende subito con Do It Now, altro pezzo lento per voce, piano e poco altro (vorrei dire beatlesiano ma mi astengo), ma Ceasar Rock, seppur cantata con la tipica voce grintosa “da rocker” di Paul, è un po’ pasticciata. Despite Repeated Warnings, che dura sette minuti, è invece una rock ballad sontuosa, che inizia ancora pianistica per poi arricchirsi strumentalmente a poco a poco, ed è servita da un motivo limpido: ad un certo punto cambia ritmo e melodia e diventa un pop-rock chitarristico e solare di grande immediatezza, per tornare sul finale al tema iniziale. Insieme a Hand In Hand, il brano più bello del CD. Un altro breve strumentale (Station II) porta alla conclusiva Hunt You Down/Naked/C-Link, un medley che parte come un rock’n’roll elettrico e potente (con fiati), prosegue come una pop song fluida ancora guidata dal piano e termina come una rock song lenta e dal suggestivo assolo di chitarra. Un buon ritorno quindi per Paul McCartney: Egypt Station, pur non essendo di certo paragonabile a Band On The Run (ma nemmeno a Tug Of War), è un bel disco, di quelli tra l’altro destinati a crescere ascolto dopo ascolto. Un CD che consente al Baronetto di vincere l’ideale duello tra Paul, anche perché rispetto a Simon il musicista britannico si è affidato a materiale nuovo di zecca.

Marco Verdi