E Questo Nuovo “Giovanotto” Da Dove E’ Sbucato? Molto Bravo Però, Lo Manda Samantha Fish. Jonathon Long – Jonathon Long

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Jonathon Long – Jonathon Long – Wild Heart Records

Alcuni dei migliori musicisti in quel mondo che sta tra rock e blues ultimamente si dividono tra il loro lavoro e quello del produttore: prendiamo Mike Zito o Luther Dickinson, che alternano ai propri dischi la produzione per altri. Non sono due nomi fatti a caso, perché sono stati legati ai vari album incisi da Samantha Fish per la Ruf https://discoclub.myblog.it/2017/12/23/oltre-le-gambe-ce-di-piu-samantha-fish-belle-of-the-west/ . Ora anche la Fish, in questa tradizione di musicisti “scopritori” di talenti lancia per la propria etichetta Wild Heart Records un “nuovo” cantante e chitarrista Jonathon Long, che forse nuovo non è, avendo al suo attivo già due album pubblicati a nome Jonathon “Boogie” Long. Come dice lo stesso Long nella presentazione dell’album, il nomignolo derivava dalla sua passione per i blues classici e soprattutto per il boogie di John Lee Hooker, ma per questo terzo disco omonimo che vuole essere una sorta di nuova partenza per il cantante di Baton Rouge, Louisiana, sotto l’attenta produzione della Fish, all’esordio anche come produttrice, ma memore di quanto imparato dai suoi “colleghi”, realizza un album dove a fianco del blues, ci sono anche chiari elementi country, di quello buono alla Chris Stapleton per intenderci, e anche pregevole e gagliardo southern rock.

Accompagnato, oltre che dalla sua fida Gibson Les Paul, da Julian Civello alla batteria e da Chris Roberts al basso, Long propone una serie di canzoni, undici in tutto, rigorosamente originali, e con una durata complessiva dell’album di soli 38 minuti, ma come dicono gli americani “all killers no fillers”, è tutta roba di buona qualità. Dalla splendida Bury Me, una sorta di figlia illegittima di Simple Man, con le chitarre di Long e della Fish che mulinano riff senza pietà, e la voce robusta e vissuta di Jonathon intona una sorta di peana alla sua amata Louisiana “… Louisiana and the heavens above; bury me when I am gone, with my guitar and some cheap cologne, all that’s left is a pile of bones, remember me through the words of my song”, prima di rilasciare un assolo di rara intensità. E pure il resto del disco non scherza, Shine Your Light è una country ballad elettroacustica degna della migliori cose di Stapleton, tenera ed intensa, con l’aggiunta di organo e una seconda voce femminile non segnalati, che aggiungono profondità al suono, prima di un altro breve assolo da sballo, limpido e ben definito. That’s When I Knew è un funky-blues dalle paludi della Louisiana, avvolgente e gagliardo, con uso di piano elettrico ed un arrangiamento sempre raffinato e molto curato, mentre un wah-wah morde il freno sullo sfondo prima di salire al proscenio in grande stile.

The Light è un’altra raffinata country song con un violino che si insinua malinconico tra le chitarre acustiche arpeggiate a pioggia, sempre con i profumi della propria terra evocati nel testo https://www.youtube.com/watch?v=Hq5oNjTBSJA , mentre Living The Blues, a differenza di quanto suggerisce il titolo, sembra un brano della miglior Marshall Tucker Band, sinuoso ed incalzante, sempre con la solista ispirata di Long pronta a scatenarsi. Natural Girl è un country-rock di quelli duri e puri, tirato e saltellante, con piano ed organo ad integrare le solite chitarre in spolvero. The River è anche meglio, un lentone sudista  in crescendo di quelli da antologia, con Samantha Fish che aggiunge la sua voce potente e la sua chitarra slide (o è Jonathon?) ad una canzone interpretata magistralmente da Long; Pour Another Drink è quasi un ribaldo barrelhouse blues, con pianino malandrino e un’aria sconsolata da bar malfamato, subito seguito dalla poderosa The Road, una rock song classica ancora con la lezione del miglior southern incisa a fuoco nel proprio DNA, grazie alla solita egregia chitarra di nuovo in modalità slide. Where Love Went Wrong illustra il lato più sofisticato della musica del nostro, un blue eyed soul che ricorda la California solare degli anni ’70, prima di congedarsi con un’altra scarica di energia chitarristica affidata a una Pray For Me che avrebbe reso orgogliosi i migliori Lynyrd Skynyrd https://www.youtube.com/watch?v=N3R1H0QQ9J4 . Ricordatevi il nome, uno bravo che ha fatto un signor dischetto, caldamente consigliato!

Bruno Conti

Comunque Lo Si Giri Un Gran Bel Disco! Samantha Fish – Chills & Fever

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Samantha Fish – Chills And Fever – Ruf Records

All’incirca ogni paio di anni la giovane chitarrista e cantante di Kansas City si presenta con un nuovo album e ogni volta cerca di stupire il proprio pubblico con proposte sempre fresche, varie ed accattivanti. Dopo i primi due album prodotti da Mike Zito (ma c’era stato anche un disco dal vivo autoprodotto Live Bait, che l’aveva fatta conoscere ai tipi della Ruf), inframezzati da un paio di album della serie Girls With Guitars, nel 2015 Samantha Fish si era trasferita in quel di Memphis, Tennesse (ma non solo, anche Louisiana e Mississippi) per registrare sotto la produzione di Luther Dickinson l’eccellente Wild Heart, un disco che univa lo stile più rock ed immediato dei primi due dischi, con le radici roots e blues del nuovo album, dove accanto alle notevoli doti di chitarrista metteva in mostra anche un costante miglioramento dal lato vocale, con influssi soul nel suo cantato http://discoclub.myblog.it/2015/06/10/giovani-talenti-si-affermano-samantha-fish-wild-heart/ .

Passano altri due anni e per questo nuovo Chills And Fever la troviamo in quel di Detroit, Michigan, sede ai tempi della gloriosa Tamla Motown, ma anche di una florida scena rock, e poi, in tempi più recenti, di una nuova ondata di talenti in ambito garage-rock e neo-soul: con la produzione di Bobby Harlow, vecchio sodale di Jack White agli inizi della loro carriera a Detroit, nei Go,  impegnato anche con altre band del circuito alternativo locale, tra cui i Detroit Cobras, gruppo etichettato come “Garage Rock Revival, e che, anche se non pubblicano nuovi album da una decina di anni, sono tuttora in attività, come testimonia la loro presenza nel nuovo disco della Fish: ben quattro di loro, Joe Mazzola alla chitarra ritmica, Steve Nawara al basso, Kenny Tudrick alla batteria e Bob Mervak, al piano elettrico e organo, innervati da un paio di fiati ingaggiati in quel di New Orleans, Mark Levron alla tromba e Travis Blotsky al sax. Lei si è infilata in un corpetto sexy, un paio di pantaloni leopardati e armata della sua chitarra elettrica ci regala un ennesimo disco di valore, dove tutti gli elementi citati ci sono, ma il risultato è un album dove il suono si nutre di soul, R&R, qualche deriva garage e punk, ma solo nell’attitudine, visto che il CD ha un sound molto raffinato e ricco di elementi vintage, attraverso una nutrita serie di cover che pescano nel passato, con la voce della brava Samantha sempre più autorevole e ricca di mille nuances.

L’apertura è affidata ad una scintillante He Did It, un vecchio brano delle Ronettes che era anche nel repertorio dei Detroit Cobras, con i vorticosi interventi della chitarra, un ritmo incalzante, i fiati sincopati, la voce pimpante della Fish, veramente splendida, e un’aria di festa e good time music che mettono subito l’ascoltatore in una gioiosa condizione d’animo. La title track, anche se forse non provoca “brividi e febbre”, è una vera delizia nu-soul, più che alla versione di Tom Jones di inizio anni ’60,  si ispira allo stile sexy e felpato della Amy Winehouse del periodo in cui era accompagnata dai Daptones, con piano elettrico e fiati che affiancano la voce felina della brava Samantha, che inchioda anche un breve e misurato solo della sua solista in modalità wah-wah; e pure Hello Stranger, con un organo alla Timmy Thomas, ed uno splendido e raffinatissimo arrangiamento soul, rimanda all’originale di Barbara Lewis, un’altra musicista nativa di quell’area, con la voce della nostra amica sempre accattivante e un intervento della solista di gran classe. It’s Your Voodoo Working, è stata una hit minore per tale Charles Sheffield, cantante R&B misconosciuto della Louisiana, una ulteriore piccola perla di questo Chills And Fever, musica che fa muovere mani e piedi, senza dimenticare il lavoro sempre di fino della chitarra.

Hurt’s All Gone, scritta da Jerry Ragovoy, la faceva Irma Thomas, ed è uno splendido midtempo di stampo soul, con fiati e chitarra sempre incisivi, mentre ignoro di chi fosse You Can’t Go, ma è un altro vorticoso errebi dove tutto fila a meraviglia, soprattutto la chitarra di Samantha. Either Way I Lose era nel repertorio di Nina Simone, e questa versione cerca di mantenere, riuscendoci, lo stile raffinato della grande cantante nera, Never Gonna Cry è un’altra oscura rarità di tale Ronnie Dove (?!?), una malinconica love ballad di stampo sixties, che fa il paio con Little Baby, un brano che ha il ritmo e la stamina della famosa Shout degli Isley Brothers, incalzante e irresistibile, con il lavoro della solista sempre perfetto. Che altro aggiungere? Crow Jane è il vecchio pezzo di Skip James, con la Fish alla cigar box guitar, per l’unica concessione al blues puro, ma anche le restanti Nearer To You, You’ll Never Change, la lunga Somebody’s Always Trying, con un assolo di chitarra micidiale, e la cover del vecchio successo di Lulu I’ll Come Running Over, quasi alla Blues Brothers, sono altri ottimi esempi di soul e R&B suonati e cantati con piglio e convinzione, Non si sa se apprezzare di più il lavoro della voce, della chitarra o la produzione di Harlow. Comunque lo si giri un gran bel disco.

Bruno Conti

Giovani Talenti Si Affermano! Samantha Fish – Wild Heart

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Samantha Fish – Wild Heart – Ruf Records/Ird 07-07-2015

Recentemente, recensendo l’ultimo disco di Laurence Jones http://discoclub.myblog.it/2015/05/05/lo-shakespeare-del-blues-magari-laurence-jones-whats-it-gonna-be/ , avevo tirato in ballo anche tutti gli altri giovani, perlopiù inglesi, che sono suoi compagni di etichetta alla Ruf, ma il nome di Samantha Fish, in parte a ragione, visto che è americana, Kansas City, la sua città di origine, non era stato fatto tra i talenti da tenere d’occhio https://www.youtube.com/watch?v=zDvhSGtaRBs . Rimedio, subito dopo l’ascolto di questo Wild Heart, che mi pare veramente un ottimo disco di rock-blues e dintorni. Già i primi due, Runaway (http://discoclub.myblog.it/2011/09/14/giovani-talenti-crescono-samantha-fish-runaway/)  e Black Wind Howlin’, entrambi prodotti da Mike Zito https://www.youtube.com/watch?v=0dO0tmBO9vQ , sembravano dei buoni dischi, ma, sempre per citarmi, concludevo la recensione del primo disco (che leggete al link) così: “ Globalmente la ragazza se la cava brillantemente e le consiglierei di insistere su quello stile rock and soul dei due brani citati all’inizio” (uno dei due, una cover di Lousiana rain di Tom Petty). Non solo la brava Samantha ha insistito ma ha allargato la sua linea d’orizzonte sonoro a ballate alla Susan Tedeschi e Bonnie Raitt, ma anche a brani decisamente tirati, che suonano molto rock & roll, grazie alla presenza della seconda solista di Luther Dickinson, che è pure il bassista e produttore di Wild Heart, ed in alcuni brani rispolvera il vecchio gusto per il rock-blues del periodo in cui suonava con i Black Crowes (e quindi per proprietà transitiva un sound à la Stones e Led Zeppelin). Sicuramente contribuisce pure la presenza alla batteria di Brady Blade, uno che ha una lista di collaborazioni impressionante, dai Dukes di Steve Earle agli Spyboy di Emmylou Harris, ma anche Indigo Girls, Buddy Miller, Anders Osborne e Tab Benoit.

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Proprio con quest’ultimo e Tommy Castro, la Fish ha condiviso il Six Strings Down Tour, vera palestra di miglioramento per lei e alla riuscita del disco contribuiscono anche le locations dove sono stati incisi i vari brani, dai Brady Studios di Shreveport, Lousiana, gli Ardent e i Royal Studios di Memphis; Tennesse, nonché il Zebra Ranch dei North Mississippi Allstars, ognuno ha contribuito a donare quell’atmosfera che caratterizza i vari brani. Si parte sparatissimi con Road Runner, con un dualismo slide/solista che spinge subito il brano verso una grinta rock-blues che mancava nei dischi precedenti, grazie anche alle ottime armonie vocali di Shontelle Norman-Beatty e Risse Norman, di nuovo presenti con belle armonizzazioni nella ballata sudista Place To Fall, che non ha nulla da invidiare a certi brani di Susan Tedeschi (forse solo la voce, certo  la Fish è migliorata, ma non fino a quel punto, il resto è un dono di natura) e anche la lap steel di Dickinson è fondamentale nell’atmosfera sonora della canzone, di grande coinvolgimento emotivo https://www.youtube.com/watch?v=an9g70oklvk . Blame In On The Moon, con un ritmo diddleyano, le solite slide e steel di Luther, aggiunte alla solista della Fish, confermano la qualità di questo brano, grande impianto sudista ribadito nella jam finale, mentre Highway’s Holding Me Now, con il basso pompato di Dickinson, una chitarra acidissima e la voce grintosa, ha quello spirito rock tra Crowes e Zeppelin citato prima.

Go Home viceversa è una bellissima ballata di stampo quasi acustico, ricca di belle melodie e con un arrangiamento sontuoso, tipo le cose migliori della Raitt, che ribadisce la crescita della Fish anche come autrice (tutti suoi i brani, meno le due cover): una Jim Lee’s Blues Pt.1, a firma Charley Patton, un blues arricchito dal mandolino di Dickinson e dalla seconda chitarra di Lightnin’ Malcolm, altro compagno di avventura della brava Samantha. Turn It Up, con il volume delle chitarre alzato a manetta, ricorda quel sound alla Black Crowes citato in apertura, con le due soliste che si fronteggiano gagliardamente su un groove quasi kudzu blues https://www.youtube.com/watch?v=VBi-JvFvlaw . Anche Show Me, l’unico brano dove non c’è Dickinson, non abbassa la tensione sonora, sempre quasi minacciosa e pronta ad esplodere in scariche chitarristiche micidiali alla Jimmy Page https://www.youtube.com/watch?v=8jlmEw2FALE . Poi riaffiora il lato più gentile e ricercato, nella lunga Lost Myself, nuovamente impreziosita dalla lap steel del NMA nel finale in crescendo del brano, con la title-track Wild Heart, di nuovo un violentissimo boogie-rock zeppeliniano di grande impatto e ricco di riff,  con accenni di jam chitarristiche, riservate per l’eccellente Bitch On The Run, altro ottimo esempio di rock-blues quasi stonesiano con i due che si lasciano andare https://www.youtube.com/watch?v=31Tg95EuDTA . L’ultimo brano è l’altra cover, I’m In Love With You, scritta da Junior Kimbrough, un insolita ballata acustica e gentile per l’inventore dell’Hill Country Blues, assolutamente deliziosa e che chiude in gloria un disco veramente bello. Esce ufficialmente il 7 luglio, ma lo trovate già in circolazione.

Bruno Conti

Giovani Talenti Crescono! Samantha Fish – Runaway

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Samantha Fish – Runaway – Ruf Records          

Ormai i dischi con ragazze chitarriste (e cantanti) che si cimentano con il Blues sono tantissimi. L’ultima della lista è questa Samantha Fish che esordisce come solista con questo Runaway ma già pochi mesi orsono aveva pubblicato, sempre per la Ruf, un Girls With Guitars insieme a Dani Wilde, inglese e Cassie Taylor, americana. Anche la Fish viene dagli States, Kansas City, Missouri come i fratelli Schnebelen dei Trampled Under Foot che per il sottoscritto rimangono un gradino più in alto.

Comunque la giovane Samantha Fish (21 anni), ha grinta, classe, una bella voce anche se non memorabile, scrive le sue canzoni, si è scelta un ottimo produttore nella persona di Mike Zito e anche nell’unica cover presente nell’album, Louisiana Rain denota buoni gusti musicali. Proprio la ballata sudista di Tom Petty con una bella slide che la percorre denota un percorso diverso dal blues più canonico che compone gran parte del disco, insieme al duetto con Zito nel solido rock tra southern e Stones di Push Comes To Shove, firmata da entrambi, indica un percorso più variegato alla Susan Tedeschi o Bonnie Raitt, vedremo.

Nel frattempo giovani talenti crescono con il minaccioso groove di Down In The Swamp dove l’acerbità parziale della voce è compensata da un notevole lavoro chitarristico mentre nella title-track Runaway a ritmo di boogie à la Hooker denota una varietà di stili e modalità all’interno di un percorso Blues di fondo. Nello slow Today’s My day alterna acustica ed elettrica slide e canta con passione mentre in Money To Burn una bella atmosfera sospesa con improvvise aperture della solista dimostra che la ragazza ha talento.

L’hanno definita l’Ana Popovic americana e direi che ci sta: quando sfodera il wah-wah d’ordinanza nella grintosa Leavin’ Kind le analogie ci sono anche se l’altra, anche in questo caso, ha una classe superiore. Qualche brano non brilla, ad esempio Otherside of The Bottle è abbastanza superfluo e la conclusiva Feelin’ Allright con la sua atmosfera da jazz after hours non c’entra molto con il resto e la sua statura di vocalist non può fare la differenza.

Globalmente la ragazza se la cava brillantemente e le consiglierei di insistere su quello stile rock and soul dei due brani citati all’inizio e dell’ottima Soft And Slow.

Bruno Conti