Un Romantico Poeta Canadese. Stephen Fearing – Between Hurricanes

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Stephen Fearing – Between Hurricanes – LowdenProud Records 2013

Ma chi è questo cantautore? Ebbene, per chi non lo conosce, Stephen Fearing è un canadese, di Vancouver per la precisione, scoperto da Steve Berlin dei Los Lobos, ma anche noto come membro fondatore del trio canadese Blackie And The Rodeo Kings, con i due soci Tom Wilson e Colin Linden (progetto grazie al quale si è portato a casa un Juno Award, equivalente dei Grammy). La storia artistica di Fearing merita una breve introduzione: Stephen, come detto, nasce in quel di Vancouver da una mamma irlandese e da un padre inglese, si trasferisce a Dublino fino alle scuole superiori, e fra i suoi compagni di classe ci sono elementi degli U2. A diciotto anni visita gli Stati Uniti, in seguito si iscrive alla British Columbia ad Alberta, dove vive la sorella, e da li inizia una gavetta di almeno una decina d’anni, trascorsi a suonare in piccoli Clubs, diventando un ottimo chitarrista. Dopo i commenti positivi dei primi due dischi Out To Sea (88) e Blue Line (91) (purtroppo ormai introvabili) incide The Assassin’s Apprentice (93) un piccolo capolavoro, prodotto da Steve Berlin  e supportato in studio da Richard Thompson e Sarah McLachlan. Seguiranno negli anni Industrial Lullaby (97), l’intermezzo acustico live di So Many Miles (2000), That’s How I Walk (2002) prodotto da Colin Linden, Yellowjacket (2006), l’immancabile raccolta The Man Who Married Music (2009) e la collaborazione con il songwriter di Belfast Andy White Fearing & White (2011), recensito da chi scrive su queste pagine. una-misteriosa-strana-coppia-fearing-and-white.html Tralascio volutamente la discografia con i Blackie And The Rodeo Kings (ottima, ma che fa parte di un’altra storia musicale).

Prodotto da John Whynot (Bruce Cockburn e Blue Rodeo fra i suoi clienti) e registrato in quel di Toronto, con Between Hurricanes Fearing, in 54 minuti di grande musica, consolida la reputazione, raccontando nelle varie canzoni la tenerezza e l’umanità dei suoi personaggi. Il lavoro si mantiene su livelli di eccellenza per tutto il suo svolgimento, ma ci sono almeno cinque canzoni decisamente sopra la media e che si fanno amare in maniera particolare, partendo dalla delicata Don’t You Wish Your Bread Was Dough (sembra di sentire il miglior Cockburn), l’intro di un pianoforte intimista  in Cold Dawn (il racconto di un incidente di elicottero a Terranova), la ballata acustica Fool, una canzone sulla fragilità dei sentimenti, la folkeggiante These Golden Days, per concludere con una personale versione di un classico di Gordon Lighfoot Early Morning Rain.

Nel corso della sua carriera Stephen Fearing ha collaborato con una lunga lista di artisti tra i quali Tom Wilson e Colin Linden (suoi attuali “pards” nei BTRK), Richard Thompson e Bruce Cockburn (i suoi modelli dichiarati), Shawn Colvin e Margo Timmins (Cowboy Junkies), e, l’ultimo in ordine di tempo, Andy White, e di tutti questi personaggi (come ha dichiarato in varie interviste), ricorda il piacere di frequentarsi e scrivere canzoni insieme. Oggi Stephen, dopo aver vissuto per anni a Guelp nell’Ontario (terra ricca di castori, alci e trapper) in compagnia della poetessa Angela Hryniuk (la cui unione è stata fondamentale per l’evoluzione del musicista canadese), si è trasferito ad Halifax, si è risposato e recentemente è diventato padre. Fearing è certamente un autore di “nicchia” (ma assai stimato in patria), e questo Between Hurricanes è il risultato: un disco, che esalta le melodie folk-rock , dai testi intelligenti e mai banali, composto di umide ballate che profumano degli inverni in Canada  e mette in risalto una voce splendida per dolcezza e portamento. Questo umile recensore (e spero di diffondere la conoscenza di questo artista), rende un doveroso omaggio a tutti quei songwriters che sopravvivono fuori dal mercato.

Tino Montanari

Fedele Nei Secoli. Sarah McLachlan – Laws Of Illusion

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Sarah McLachlan – Laws Of Illusion – Arista

Ovviamente il titolo non prelude ad un bel post sulla Beneamata, L’ Arma dei Carabinieri, ma si parla del settimo (escluso un profluvio di raccolte, live, compilation di remix, dischi natalizi, no quello conta nella discografia!), ebbene sì, è solo il settimo album di studio di Sarah McLachlan.

Premessa: a me la nostra amica canadese piace e parecchio, al suo apparire nel 1988 con l’album Touch crede di essere stato uno dei primi ad acquistare ed apprezzare quella che sembrava (ed era) una delle voci nuove più interessanti in quegli anni di orribile musica sintetica. Poi si era confermata con gli ottimi Solace e Fumbling Towards Ecstasy fino ad arrivare al mega successo di Surfacing che nel 1997 ha venduto più di 8 milioni di copie nei soli Stati Uniti e la musica, vi assicuro, era sempre ottima. Lo stesso anno ha visto la nascita anche del Lilith Fair il primo Festival itinerante con un cast tutto al femminile ripetuto anche nel 1998 e 1999 sempre con grande successo. Quest’anno, pochi giorni fa, il 26 giugno è partita la nuova edizione del Festival che ritorna dopo dieci anni di pausa e in concomitanza con il nuovo album.

Già il nuovo album, avrete notato che sto ciurlando nel manico per rinviare il commento: la prima volta l’ho sentito con gli auricolari (il tempo per ascoltare i dischi è quello che è, quindi approfitto per ascoltare anche quando sono in giro) e non mi è piaciuto molto, sarà che l’equalizzazione che viene utilizzata per i dischi moderni li rende un po’ tutti uguali, sarà l’ascolto distratto ma avevo trovato l’utilizzo delle moderne tecnologie alquanto “fastidioso”. Ad un secondo ascolto sull’impianto di casa devo dire che l’impatto con la musica del disco mi è parso decisamente migliore anche se non entusiasmante: il titolo relativo alla fedeltà nei secoli (a cavallo dei quali sono usciti i suoi dischi) si riferisce a una certa omogeneità nei suoni e nei contenuti, per dirla “papale papale” mi sembra uguale a quelli precedenti.

Non si può dire che sia brutto, tutt’altro, ma anche dopo una ulteriore serie di ascolti non mi convince a fondo. Oltre a tutto le premesse per un disco più sofferto c’erano tutte: i critici musicali, che sono delle carogne, dicono che gli album che fanno seguito ad una separazione, di solito, sono più interessanti perché mettono a nudo situazioni e sentimenti che sembrano in grado di creare una musica “migliore”. Questo è il disco del post separazione di Sarah McLachlan che dopo aver messo al mondo nel 2007 una seconda figlia avuta dal marito, il batterista Ashwin Sood , l’anno successivo si è separata dallo stesso (creando anche un vuoto nella band, recensore carogna!).

La voce è il solito piacevole mezzo-contralto, lo stile è sempre quella fusione di new-age e cantautrice classica discepola delle grandi degli anni ’70 e anticipatrice delle varie Tori Amos, Fiona Apple, Regina Spektor, anche l’Alanis Morissette meno rockeggiante e una pletora di altre che sarebbero venute dopo di lei: ripeto il disco non è brutto (e poi magari lo rivaluterò e i fans e le fans sicuramente apprezzeranno) ma le tecnologie e la produzione di Pierre Marchand amplificano quel sound molto “carico” che sembra essere molto di moda ai tempi d’oggi.

Rolling Stone l’ha massacrata (ma vista la non massima autorevolezza della rivista ultimamente, non farebbe testo), dandole due stellette e dichiarando che è un disco di “gemiti e sospiri” e il singolo Loving You Is Easy non c’entra molto con il resto dell’album, ma secondo me non è malaccio, una piacevole pop song quasi Beatlesiana, uno dei momenti più piacevoli di un disco per il resto troppo “serioso”.

Da Letterman fa un figurone.

Anche il Los Angeles Times non la tratta troppo meglio, due stellette e mezzo, dicendo che l’album sarebbe potuto uscire in qualsiasi momento degli anni ’90 e che le tonalità di chitarre e tastiere troppo spesso sono fastidiose e omologate al suono attualmente vigente, e qui glielo appoggio, e aggiunge che il brano migliore è la versione solo voce e piano, con una spruzzata di archi,  di Bring On The Wonder, che conclude il disco e approvo di nuovo.

Viceversa Jon Pareles del New York Times (che è un ottimo critico) lo recensisce molto positivamente, 4 stellette, citando questa “compassione e consolazione” che sono sempre state caratteristiche delle musica della McLachlan e che questa volta si applicano alla sua situazione e devo dire che visto sotto questo punto di vista il disco ha i suoi meriti (ascoltandolo ricomincia a piacermi). In effetti gli attacchi e i finali dei brani, con brano e voce in evidenza piacciono sempre, non sempre la parte centrale, quella più arrangiata è all’altezza del resto, sarà anche l’assenza del “vecchio”  batterista sostituito dal più “sintetico” Matt Chamberlain e, spesso, da una batteria elettronica? Mah!

In conclusione? Non so, credo che Ponzio Pilato sarebbe stato fiero di me per questo utilizzo di altre “fonti” per non schierarmi troppo, in definitiva lascio sospeso il giudizio, più buono che no, interlocutorio, fate vobis, comunque meglio del 90% della spazzatura che impazza nelle classifiche.

Come detto in altro post, N.3 nelle classifiche Usa, ma anche 2° posto in Canada, 9° in Nuova Zelanda, 12° in Australia, solo in Gran Bretagna non bene, esordio al 76° posto.

P.S. Esiste anche una Deluxe Version con DVD con 6 pezzi dal vivo in studio, il tutto rigorosamente non distribuito in Italia.

Bruno Conti

E Chi E’ Costui? Drake – Thank Me Later

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Drake – Thank Me Later

Non conosco! Comunque non sentivo la mancanza di un rapper canadese. Nella prima settimana di uscita negli States con il disco d’esordio ha venduto 447.000 copie andando direttamente al numero 1. Ma non c’era la crisi del disco!

Per consolarmi, nella stessa settimana, l’ottimo Mojo di Tom Petty è andato direttamente al secondo posto con 125.000 copie, il suo miglior risultato dal 1980 e Sarah McLachlan al terzo con Laws Of Illusion con 94.000. Mi ripeto, ma non c’era la crisi del disco?

Purtroppo sì, in ogni caso dai dati di Billboard il calo è dell’11% rispetto allo scorso anno nello stesso periodo: da 159,7 milioni a 142,4 milioni che è in ogni caso ancora un bel vendere. Considerato che non siamo ancora a metà anno vuol dire che solo negli Stati Uniti alla fine dell’anno si venderanno più di 300 milioni di dischi. Senza contare le vendite digitali che a questo punto dell’anno assommano a quasi 555 milioni (non ho capito se si calcolano brani o album completi, ma penso sia per le singole canzoni) con una proiezione per oltre un miliardo di downloads.

E questo è solo il mercato legale. Ma tutti questi soldi chi se li pappa?

Concludendo su una nota di tristezza, come sospettavo, per il momento, il “sacrificio” verso una musica più commerciale di Grace Potter and the Nocturnals non ha pagato, nella seconda settimana dall’uscita il disco è già precipitato dal 19° al 55° posto!

In Inghilterra, viceversa, Time Flies 1994-2009 degli Oasis ha esordito direttamente al 1° posto e Drake al 15°.

Ad un anno esatto dalla morte di Michael Jackson (R.I.P.) avvenuta il 25 giugno del 2009 nella sola Gran Bretagna si sono venduti più di 4 milioni di dischi del suo catalogo.

Mi ripeto, chi se li pappa? Scusate la volgarità.

Bruno Conti

Ruth Gerson 1 – This Can’t Be My Life

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Ruth Gerson – This Can’t Be My Life – Wrong Records (pre-release uscita 20-7)

E’ un po’ di giorni che ci giro intorno, in ballottaggio con Mellencamp (23-8, troppo presto), il nuovo Mark Olson (27 luglio, anche questo prestino), Ronnie Earl (14 agosto, anche qui non ci siamo), pensavo anche al doppio dal vivo degli Steeleye Span (con relativo DVD), quello è uscito da tempo anche se è arrivato nelle nostre lande in questi giorni,perché non il nuovo Cyndi Lauper che fa blues? Poi alla fine ho deciso per questo, gli altri prossimamente.

Questo è uno dei classici dischi che ci sono e non ci sono, nel senso che l’uscita ufficiale è fissata per il 20 luglio, però sul suo sito e ai concerti lo vende già, anzi ce n’è pure un secondo, Deceived, di cover che è anche più bello ma andiamo per ordine cronologico.

Lei è una della cantautrici americane più brave come hanno testimoniato tra gli altri il San Francisco Chronicle e il New York Times, i giornali delle due aree geografiche dove ha vissuto, ma anche il Buscadero l’ha eletta tra le sue beniamine e in Italia ha una sorta di patria di elezione, nel 1997, nel periodo di sua massima popolarità, sempre a livello di “culto”, ha duettato anche con Massimo Bubola nel brano Mio Capitano tratto da Mon Tresor.

Come molti musicisti tra i più bravi per sopravvivere, oltre al canto, deve fare anche altri lavori, nel suo caso insegna, musica part-time nel primo periodo della sua carriera e a tempo pieno nei sei anni che sono intercorsi dall’uscita del precedente album Wake To Echo. Nel frattempo sono successe molte altre cose nella sua vita, un divorzio e il fatto di essere diventata una mamma single hanno influito sul suo stile di vita. Questo ritorno alla musica e ai concerti è coinciso con l’invenzione di tale Singinbell TM un bio-feedback device che aiuta il diaframma nella respirazione durante il canto, non chiedetemi come funziona ma pare che funzioni perchè grazie ai proventi di questo marchingegno ha potuto permettersi di tornare a fare la musicista e supportare economicamente la sua famiglia.

Questo album, This Can’t Be My Life era stato registrato, masterizzato e stampato, in una parola pronto, già nel 2007, poi il diavolo ci ha messo lo zampino ed è stato rinviato. Eccolo qua e le mie perplessità riguardano, in parte, il suono del disco: il produttore dell’album è tale Nic Hard (che ha prodotto The Bravery e Jesse Malin), ma è l’additional recording & mixing di Daniel Wise, collaboratore di Scissor Sisters e Secret Machines che non mi convince del tutto. Il tutto in quel di NYC prima del recente trasferimento nella Bay Area.

Per togliere i dubbi, trattasi comunque di musica che nel suo ambito è meglio del 90% di quello che trovate in giro. Solo che dal rock cantautorale del passato siamo passati a un pop-rock più di maniera, insomma da un incrocio tra Natalie Merchant e Patti Smith con un tocco della giovane Grace Slick come era stata definita siamo passati ad un incrocio tra Fiona Apple, Tori Amos e Sarah McLachlan con una spruzzata di Florence & The Machine. Sempre rispettabile ma non è la stessa cosa.

Comunque, come dicevo, il successivo Deceived ha già sistemato le cose, e questo album contiene in ogni caso dei brani di notevole spessore, è cantato con grande partecipazione, visti gli argomenti autobiografici trattati, e lei ha sempre una gran voce.

Diciamo che la parte iniziale e quella finale sono quelle migliori, in mezzo cala un po’ la qualità: Fresh Air è una bella ballata pianistica che ricorda le cose migliori di Fiona Apple, cantata con voce sicura e autorevole. This Can’t Be My Life, sempre pianistica, è più ritmata, un bell’arrangiamento e belle melodie che valorizzano la sua voce. Bulletproof, pop e orecchiabile non mi entusiasma. Anche Stay With Me con troppe tastiere e batteria elettronica non mi fa impazzire, ma non è dissimile nel suono a cose tipo Florence & The Machine e quindi magari mi sbaglio. Someday Soon veleggia sempre su questa sonorità pseudo-moderne senza infamia e senza lode. Don’t Go (for ‘em) è una ulteriore variazione sul tema (magari la useranno per qualche spot di automobili giapponesi, molto gettonati questo tipo di brani). Does Your Heart Weep è una ballatona con piano e organo, che ti prende al cuore, semplice ma efficace,contrariamente a quanto si possa pensare non è una canzone d’amore ma parla di guerra, in ogni caso molto bella con la voce molto compartecipe e perfetta, da una insegnante di canto, di grande talento, non potresti aspettarti di meno. Hazel non sarebbe male ma ha sempre quell’elettronica leggermente fastidiosa.

Anche You Lie avrebbe fatto ben altra figura con un arrangiamento rock tipo i vecchi album. Black Water viceversa è ancora una bella ballata pianistica in crescendo di notevole appeal mentre per la conclusiva Take It Slow hanno addirittura scomodato le Heart di Dreamboat Annie, lo spirito è quello, acustico ma con l’anima rock che c’è ma in questo album rimane un po’ nascosta. Disco di transizione ma comunque rispettabile, il sesto della sua discografia, il settimo tra poco, anche su questo Blog.

Per chi non l’avesse mai vista o sentita.

Bruno Conti