“Sconosciuta”? Ma Non Per Tutti! Jude Johnstone – Shatter

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Jude Johnstone – Shatter – Bojak Records 2013

Quello che unisce il sottoscritto, il titolare di questo blog e il compianto Franco Ratti (e, si spera, “molta” altra gente), è la passione musicale per Jude Johnstone, una signora nata nel Maine, ma californiana di adozione che, tanto per cambiare, è tra i segreti meglio custoditi del cantautorato femminile americano. La Johnstone ha iniziato la sua carriera musicale alla precoce età di otto anni, e già a sedici suonava in una band. Scoperta da Clarence Clemons (il mitico sassofonista della E-Street Band e compagno di bevute del Boss), negli anni ha scritto canzoni per grandi artisti come Bonnie Raitt, Bette Midler, Trisha Yearwood, Johnny Cash (la famosa Unchained che dava il titolo al secondo album della serie American Recordings), Jennifer Warnes, Stevie Nicks e tanti altri che evito di menzionare per mancanza di spazio. Ero venuto a contatto con la musica di Jude all’epoca dei suoi primi due dischi da solista, l’esordio Coming Of Age (2003) e soprattutto On A God Day (2005), dove si rivelava una cantautrice dotata e ispirata che faceva un buon uso soprattutto del pianoforte. In seguito i suoi lavori Blue Light (2007), Mr.Sun (2008), Quiet Girl (2011) e anche questo ultimo Shatter sono mutati, hanno preso una impronta diversa, con composizioni dai toni più jazzati, raffinati e intimi, in cui ha riscoperto le sue radici, fatte di ascolti di Sarah Vaughan e Tony Bennett.  

Shatter, prodotto dalla stessa Johnstone e registrato nei Mad Dog Studios di Los Angeles (CA), si avvale di fidati strumentisti, gente del calibro di Danny Frankel alla batteria, Radoslav Lorkovic alle tastiere e alla fisarmonica, Kevin McCormick alle chitarre, Marc Macisso al sax, Dan Savant alla tromba, più altri musicisti di area “losangelina”.

Ad aprire il disco è la title track Shatter, un brano che strappa il cuore, mentre nelle successive What A Fool e The Underground Man la matrice jazz si fa più intensa. La Johnstone si destreggia sia nelle ballate più oscure come When Does Love Get Easier e Girl Afraid, in cui si apprezza uno splendido duetto tra piano e fiati, sia nei brani in cui è maggiore l’influenza blues, come nel caso specifico di Touchdown Jesus, dove brilla il piano di Lorkovic. Una tromba lancinante introduce la splendida Halfway Home, una canzone lenta e sensuale, seguita dal valzer cadenzato di Who Could Ask For More, e verso la fine fanno capolino la ninna nanna di Your Side Of The Bed e il suono caraibico di Free Man dove imperversa il sax di Marc Macisso.

Per chi ha amato i dischi di Rickie Lee Jones e attualmente quelli di Mary Gauthier, Shatter sarà una piacevole sorpresa, infatti Jude Johnstone ha messo insieme undici brani di ottima fattura, dagli arrangiamenti raffinati e dall’anima dolce e romantica. Mi auguro che molti di voi si accostino a questa grande cantautrice, in quanto questo lavoro è un disco dal fascino incredibile, che pur non aggiungendo nulla alla storia musicale americana, evoca un tempo che non c’è più, con canzoni che sembrano fatte apposta per far chiudere gli occhi e costruirci sopra un sogno, e questo mi basta a definirlo un piccolo gioiello di poesia musicale.  

Tino Montanari